venerdì 28 marzo 2014

Una teoria inconsistente e inconcludente: il keynesismo





di Francesco Simoncelli


Al cuore dell'economia moderna esiste un'unica teoria che in tutti questi anni ha guidato le politiche degli stati, delle banche centrali e gli insegnamenti nelle aule accademiche: la teoria keynesiana. Le azioni intraprese per combattere le recessioni, per stabilizzare l'economia, per mettere mano ai bilanci, hanno sempre fatto riferimento agli insegnamenti promulgati per la prima volta nel 1936 quando apparve la General Theory. La stampa mainstream plaude ogni volta che i dirigenti politici parlano in questi termini, perché questo vuol dire un aumento della spesa. E molto probabilmente incentivi all'editoria. Siamo di fronte ad una delle pietre miliari della storia del pensiero economico che ha più influenzato il corso degli eventi dell'essere umano nell'ultimo secolo.

Grazie alle teorie keynesiane, o per meglio dire quelle neo-keyensiane propagandate da Paul Samuelson, gli stati hanno trovato terreno fertile per radicare meglio la loro presenza nell'immaginario collettivo come identità salvifica. Attraverso le loro decisioni politiche è possibile arrivare alla salvezza economica, ed è proprio per questo che devono essere legittimati ad avere carta bianca in quei momenti in cui sono richieste decisioni drastiche. Quanto c'è di vero in queste asserzioni?

Credo che ormai abbiate capito che oggi andremo a dissezionare le teorie del secondo marmittone.



PRIMA DEL KEYNESISMO

La teoria keynesiana arrivò in un periodo di grande caos finanziario ed economico, per il quale i vari stati del mondo avevano gran parte delle responsabilità (avendo speso denaro oltre le loro capacità ed avendo abusato della stampante monetaria). Il 1914 è l'anno dello spartiacque, quello in cui il pensiero economico tradizionale viene messo da parte per fare spazio alle irresponsabilità e alle demenze della guerra mondiale. Tutti i paesi del mondo seguono la stessa linea di azione: spesa a deficit.

Il gold standard era ovviamente un intralcio per questa linea d'azione, quindi gli stati sospesero il suo ruolo come mezzo di scambio. Stampare carta era più facile, inoltre i debiti di guerra potevano essere accollati alle nazioni perdenti. Nonostante ciò, alla fine della prima guerra mondiale tutte le nazioni del mondo ne uscirono con le ossa rotte, soprattutto dal punto di vista economico perché pensarono di ritornare al gold standard ai tassi di cambio pre-bellici.

Per l'Inghilterra sarebbe stato un disastro, perché si pensava di poter ignorare a cuor leggero l'inflazione di massa che aveva avuto luogo negli anni del combattimento. Questo avrebbe dovuto forzare due decisioni: vendere oro o restrignere l'offerta di moneta. Qualsiasi delle due decisioni sarebbe stata sensata ed avrebbe permesso al mercato di ripulirsi dagli errori precedenti; ma lo stato, ora come allora, non brilla certo per arguzia e intelligenza. Montagu Norman, capo della BoE all'epoca, invitò il suo amico negli Stati Uniti, Benjamin Strong capo della FED di New York, a persuadere in qualche modo il presidente della Federal Reserve affinché pompasse l'offerta monetaria del suo paese, così da evitare un assalto alle riserve aureee britanniche.

Benjamin Strong morì nel 1928, e fino a quella data riuscì ad esaudire il desiderio del suo amico. Poi la FED smise di creare denaro e questo incanalò l'economia statunitense verso il crollo azionario del 1929.

Stampare denaro è sempre stato un escamotage per cercare di tassare indirettamente la popolazione ed accentrare più risorse pecuniarie nelle mani dei primi ricevitori del nuovo denaro, nonché avere vita facile per ripagare i debiti; però prima della comparsa della General Theory coloro che sostenevano una posizione simile dovevano scontrarsi con il pensiero economico dominante, il quale era dedito a promulgare una politica conservatrice nei bilanci. (es. niente interferenze statali nei mercati, valuta stabile ancorata all'oro, tasse e spese al minimo.)

Infatti, gli economisti del diciottesimo e diciannovesimo secolo avevano dimostrato come l'intervento dei governi nei mercati avrebbe impedito un loro funzionamento in accordo con i desideri degli attori economici che li compongono.

Non solo era possibile arrivare a questa conclusione attraverso il ragionamento, ma per chi fosse stato ancora scettico era possibile annoverare a supporto di tale tesi una sequela di esempi storici. Un esempio su tutti, il gold standard che per secoli è durato nell'Impero Bizantino. Infatti, avendo come monito l'ennesimo fallimento della cartamoneta per gentile concessione delle strambe teorie di John Law, gli economisti sapevano che il governo doveva tenere le mani lontano dalla stampante monetaria affinché si volesse avere una moneta stabile. Questo era il motivo per cui sostenevano un gold standard e un bilancio dei governi in pari.

Infatti, i governi non hanno né la capacità né la conoscienza per poter direzionare in modo sano i mercati; più la loro azione è limitata alla sola protezione della proprietà privata ed a far rispettare i contratti, più la prosperità economica sarà una realtà per la società. E' questo quello che avvenne nell'America del XIX secolo, come viene spiegato nel libro di Robert Higgs The Transformation of the American Economy, 1865-1914. Tali principi, nonostante la creazione della Federal Reserve, erano ancora vivi nella popolazione americana quando nel 1920 il presidente William Harding risolse con successo una delle depressioni più brevi nella storia del settore bancario centrale. Come fece? Due parole: laissez-faire.

Morì nel 1923 e con lui una parte di quel rigore ideologico e morale verso la libertà che caratterizzò gli USA delle prime colonie; infatti, l'Inghilterra tornò al gold standard nel 1925, e da allora in poi la FED iniziò la sua corsa verso l'espansionismo artificiale perpetuo. Questa strategia andava a tutto vantaggio dello stato, il quale si trovava ad avere l'occasione di poter ampliare la sua sfera d'influenza potendo incamerare i frutti dell'inflazione grzie alla FED e quelli del clientelismo grazie alla spesa a deficit.

L'azione irresponsabile della pianificazione centrale culminò con la depressione degli anni '30, periodo in cui le politiche sconsdierate che erano state adottate fino a quel momento non sembravano funzionare. Cosa successe? Perché sembrò tornare il sole tutto d'un tratto? Vennero infrante delle promesse. Roosevelt sospese di nuovo il gold standard, e con la creazione del FDIC al mercato venne impedito di ripulire l'ambiente economico. Da quel momento in poi l'establishment politico e bancario avrebbe agito seguendo una sola massima: quando niente sembra più funzioanre, basta semplicemente implementare più della stessa cosa che non ha funzionato. Inondarono, quindi, il mercato con denaro fiat.




Fu da questi semi che germogliò il keynesismo. Politici e banchieri centrali sapevano di essersi spinti oltre, e che non potevano più tornare indietro, quindi avevano bisogno di una giustificazione agli occhi della popolazione.



DEVIAZIONE SULLA VIA VERSO LA LIBERTA': IL NEW DEAL

Non bisogna tralasciare uno dei capisaldi dell'attivismo burocratico e fiscale dell'epoca: il New Deal. Questo pacchetto di misure voluto dall'amministrazione Roosevelt segnò profondamente la storia del pensiero economico negli anni a venire, perché rappresentò il primo passo concreto verso l'espansione dell'influenza dello stato e la distruzione della proprietà privata. Il mix di nazionalismo ed autarchia contenuto nel New Deal servivano solo ad imbastire una sequenza di controlli dei prezzi e controlli della produzione.

John T. Flynn ha scritto un favoloso libro sulla figura di Roosevelt, andando proprio a concentrare la lente d'ingrandimento sugli errori commessi dall'allora presidente degli Stati Uniti: The Roosevelt Myth. Qui apprendiamo che lui e la sua amministrazione, avendo sperimentato un rally nel mercato azionario e nelle proprietà agricole, quando scoppiò la bolla pensarono di aggredire i prezzi bassi come modo per curare la depressione incipiente.

L'aumento delle tasse, dei legacci burocratici e della propaganda anti-imprese contribuì a far peggiorare il periodo di stagnazione in cui erano entrati gli Stati Uniti, con l'attività economica che rallentava ulteriormente a causa della gesione miope di Roosevelt e dei suoi tirapiedi. Una delle leggi più tossiche partorite da questi ultimi fu il NIRA (Nation Industrial Recovery Act): introduzione di un salario minimo nonostante le capacità dei lavoratori; maggior potere ai sindacati; costi della manodopera elevati; ecc. L'effetto di queste politiche fu uno solo: disoccupazione. Non poteva essere altrimenti, perché l'ABC dell'economia ce lo conferma: ad un prezzo maggiore, la domanda diminuisce.

Dopo tutte queste nuove strategie e la sospensione del gold standard, la Grande Depressione avrebbe attanagliato il paese per altri quindici anni. Nel 1948, infatti, con l'abolizione delle regole imposte dal New Deal e con taglio della spesa pubblica di circa il 60%, l'economia statunitense potè recuperare dagli squilibri accumulati in passato. Solo in quell'anno la produzione del settore privato aumentò di un terzo, e dopo 18 anni gli investimenti privati di capitale videro finalmente il segno positivo. Come ci spiega Robert Higgs nel suo saggio Regime Uncertainty: Why the Great Depression Lasted So Long and Why Prosperity Resumed after the War, non furono le misure adottate da Roosevelt a far tornare gli USA su un cammino di prosperità bensì l'affievolimento della presa statale sul mercato.



LE PRESCRIZIONI DEL KEYNESISMO

Nella piena turbolenza dei mercati e con politiche la cui diffidenza era nota, i dirigenti politici si trovavano a fare i conti con gli errori della loro presunzione di conoscenza e con la volontà di mantenere in piedi a tutti i costi un sistema ormai decotto. L'arrivo della teoria generale di Keynes rappresentò una manna dal cielo. Si sarebbero trovati per le mani una dottrina che avrebbe predicato esattamente il loro corso d'azione: controllo centrale dell'economia, irresponsabilità fiscale, consumismo sfrenato.

Passo dopo passo le mani dello stato erano finite sull'economia, andando a conquistarne ogni giorno che passava un pezzo in più. Erano state fatte troppe promesse e le risorse per mantenerle non c'erano. Si scelse la via più facile nel breve termine: ignorarle. Come? Sei parole, le più insensate ed irresponsabili mai pronunciate nella storia del pensiero economico: nel lungo periodo saremo tutti morti. La classe dirigente aveva ora la giustificazione che tanto bramava dalla classe accademica, potevano innalzare un simbolo attraverso il quale continuare ad agire secondo i propri capricci. Il prezzo da pagare sarebbe stato salato. Ma non sarebbe arrivato allora.

C'erano carriere da seguire. Denaro da raccogliere. E' così che il mondo ha abbracciato il keynesismo.

La nuova teoria introdotta da Keynes andava a colpire le basi del libero mercato, accusandolo di essere irrazionale e prigioniero dei cosiddetti "spiriti animali" degli imprenditori, i quali provocavano ampie fluttuazioni nella produzione, nell'occupazione e nei prezzi. Stava sovvertendo quella rivoluzione nel pensiero e nel sistema produttivo che aveva dato i natali ad uno dei periodi più floridi nella storia dell'uomo, una crescita economica come sperimentata in quel periodo resta ancora senza precedenti. Keynes non stava facendo altro che ribaltare le convinzioni che avevano generato questa crescita senza precedenti, elevando il governo a figura onnisciente in grado di salvare le sorti dell'economia attraverso deficit durante le fasi di depressione (per stimolare una crescita) e surplus durante le fasi di boom (per tenerla a bada).

Affinché gli stati potessero essere liberi di agire in tal modo, dovevano prima di tutto liberarsi dalle "manette" dell'oro in modo da poter gestire una moneta elastica e manipolarne l'offerta, il tasso di interesse ed il suo valore di cambio nei mercati esteri. Queste prescrizioni erano necessarie perché potevano garantire un certo ammontare di spesa pubblica da utilizzare per investimenti e per mettere al lavoro un bacino crescente di lavoratori. Keynes stava chiaramente sovvertendo l'ABC dell'economia, ma questo non importava: la sua era una giustificazione plausibile all'operato di una classe dirigente disposta a fare di tutto pur di rimanere al proprio posto.

Non solo credeva che economisti brillanti come lui potevano aiutare i politici ad uscire da situazioni difficili, ma accusava il libero mercato di essere incapace di ripulire l'ambiente economico dagli errorri accumulati. Domanda e offerta passavano in secondo piano, lasciando campo libero ai capricci di una cerchia di individui che si ritrovavano "l'obbligo morale" di poter fissare i prezzi su basi "giuste" e "ragionevoli." Anche se si voleva ignorare l'ABC dell'economia, quest'ultima non ignorava la realtà: carenze ed eccedenze. Alla domanda dei sindacati di aumentare i prezzi dei salari, lo stato rispondeva con una dose maggiore di quelle politiche che avevano causato i problemi economici in prima istanza. L'obiettivo era la cosiddetta "piena occupazione" delle risorse umane inattive, le quali, languendo nel limbo tra sindacati e governo, vennero incanalate oltreoceano a ricoprire il ruolo di carne da macello.

Ma andiamo con ordine. Lo stimolo attraverso la spesa, nell'ottica keynesiana, serve ad infodnere nel governo la capacità di entrare in possesso di fondi che possono essere spesi per creare nuovi lavori. La teoria, definita moltiplicatore keynesiano, recita che la spesa che finisce nelle tasche di qualcuno, diventerà il reddito di qualcun altro quando spenderà quel denaro. Qual è il problema? Il denaro speso dallo stato non cade dagli alberi, il quale ha tre modi per entrarne in possesso: tasse, prestiti, stampa di denaro. Qualunque modo prediliga, il risultato è lo stesso, ovvero, lo stato distrugge i lavori. O per meglio dire, sposta denaro da un lavoro ad un altro senza preoccuparsi della produttività e dell'efficienza di tale mossa. Non c'è correlazione tra crescita economica e crescita della spesa pubblica.[1]




L'illusione di poter conferire un alone magico alla spesa del governo è alquanto fuorviante, perché lo stato si appropria delle risorse che spende attraverso la coercizione quindi non deve fare alcuna fatica per guadagnarsele. Espande solamente la sua sfera d'azione cercando di capire, attraverso il suo punto di vista ristretto, cosa può essere "utile" alle persone. Inutile dire che fallisce miseramente.

La classe dirigente è incapace di operare un calcolo economico in accordo con i desideri del mercato. La sua natura predatoria glielo impedisce. Anche quando prende in prestito denaro attraverso l'emissione di IOU abbiamo a che fare con la stessa situazione. Quando lo stato spende piú soldi di quelli che incassa, esso sta commettendo un atto fraudolento nei confronti dei contribuenti che sta vessando. Per poter proseguire le proprie attività, va sul mercato e offre dei IOU come promessa di pagamenti futuri. Cioè spende nel breve termine e prende in prestito nel lungo termine. Una "linea d’investimento" assai criticabile, la quale non può portare che a una lunga agonia, culminante nel default. Ma andiamo avanti. Lo stato promette a coloro che gli concedono credito un ripagamento sicuro alla scadenza. Aspettate un momento, però: chi paga? Perché, da quanto appreso finora, il finanziamento cui fa ricorso lo stato non produce alcun bene o servizio (cioè la ricchezza totale della nazione non aumenta). Se, ad esempio, concedessimo credito a un’azienda neonata che volesse acquistare macchinari per realizzare un’idea ritenuta tecnologicamente rivoluzionaria, il calcolo imprenditoriale alla base di quest’attività ci conferirebbe enormi guadagni dalla resa futura dell’investimento, perché sarebbero soddisfatti i desideri dei consumatori, che sono i decisori ultimi del successo e del fallimento di qualsiasi attività imprenditoriale, in un mercato libero.

Quindi, l’interesse generato dalle obbligazioni private è ripagato attraverso un aumento della produzione. Lo stato, invece, spende semplicemente quel che incassa. Lo definireste "investimento," questo? Non solo: prendendo in prestito dalla popolazione autoctona, esso devía risorse reali verso settori che non sarebbero mai stati finanziati volontariamente dagli attori di mercato. Il presunto investimento si trasforma: da giudizio di mercato, diventa giudizio politico. Gl’investimenti improduttivi cui s’è dedicato il sistema statale in tutti questi anni non hanno fatto altro che distruggere ricchezza reale: spese per un sistema di welfare crescente e per guerre sanguinose. Questo è ciò che fa lo stato, e i debiti accumulati finora non saranno mai ripagati. Saranno rinnovati negli anni. Altrimenti, perché il debito pubblico starebbe ancora crescendo, se l’impegno dello stato fosse davvero quello di ripagarlo? Peggio ancora: non solo l’investitore non riceve alcun bene o servizio in cambio, ma parte dell’investimento dev’essere ripagata da lui stesso attraverso il sistema fiscale.

Ma se ci troviamo in un periodo recessivo, e questo denaro verrebbe usato per stimolare l'economia ritardando il giorno della resa dei conti, lo stato sarebbe costretto ad attuare una serie crescente di manipolazioni ed intereferenze con la struttura produttiva e sociale fino a sprofondare in una spirale dittatoriale. Tutti quei settori che erano prosperati grazie al falso boom indotto dalla precedente espansione monetaria, finirebbero sotto pressione e necessitanti di un salvataggio. Non solo per rimanere in attività, ma anche per correggere i salari all'interno della loro presunta attività imprenditoriale.

Il mancato aggiustamento degli errori, diffonde falsi segnali in tutto il panorama economico andando a distorcere sempre di più la struttura produttiva di un paese. Sempre più individui si presenteranno alle porte dello stato per essere salvati perché incapaci di poter organizzare le proprie attività. La pianificazione centrale espande la sua cecità al resto dell'economia, decretando la fine della democrazia di mercato ed inaugurando un'economia di controllo.[2]



RINCARARE LA DOSE

Oltre alla spesa pubblica ed ai prestiti, la classe dirigente venne incitata nella General Theory a manipolare i tassi di interesse armeggiando con l'offerta di moneta.

Il giusto rimedio per il ciclo economico non lo si deve cercare abolendo i boom e quindi facendoci navigare in uno stato di semi-depressione; ma lo si deve cercare abolendo le depressioni per mantenerci in uno stato permanente di quasi-boom.[3]

Questa politica tenta di ridurre gli interessi sui debiti attraverso una tassazione indiretta della popolazione, mascherando una linea d'azione palesemente truffaldina con una patina di altruismo. Visto che la tassazione diretta rende visibile il dolore economico, la classe dirigente parla di "giustizia sociale" quando deve ricorrere alla stampante monetaria, promettendo un El Dorado di prosperità a tutti coloro che si fideranno dei loro eletti. In realtà, in virtù dell'effetto Cantillon che caratterizza una pratica simile, i piccoli risparmiatori verranno pesantemente puniti mentre verranno premiati, ad esempio, i possessori di azioni.

L'illusione di un miglioramento delle condizioni economico-finanziarie dura solo temporaneamente, o almeno finché i prezzi si aggiustano al nuovo equilibrio riportando a galla la situazione iniziale con tutta una serie di nuovi problemi. Sopprimere i tassi di interesse attraverso uno stimolo dell'offerta di moneta distorce la struttura di produzione e la struttura dei finanziamenti, lanciando nel panorama economico il falso segnale secondo cui i risparmiatori sono ancora disposti ad elargire nuovi fondi. E' un bluff, l'espansione monetaria in un sistema monetario fiat non è coperta da risparmi reali e devia le risorse scarse verso attività che molto probabilmente le sprecheranno.

Una volta che il nuovo denaro scorre nell'economia più ampia, i prezzi si aggiustano al margine fino ad intaccare ogni settore; si viene a creare una situazione alquanto sgradevole per coloro che ricevono per ultimi (o non ricevono affatto) il denaro fiat di nuova creazione. Questo richiede l'ulteriore intervento del governo, il quale impone controlli dei prezzi nel vano tentativo di tappare una falla con un dito. L'economia inizia a viaggiare su binari separati: uno ufficiale (manipolato), uno ufficioso (mercato nero).

Quest'ultimo tenta di sopperire ai desideri espressi dagli attori di mercato, i quali attraverso le loro azioni mantengono vivo il libero mercato. Nonostante le prime fasi della produzione possano vedere un miglioramento dal punto di vista dei costi e dei salari, questo stato di cose non rimane sempre così perché a fronte di un'espansione artificiale del denaro fiat non segue un aumento della produzione, la quale viene deviata verso settori non richiesti dalle necessità sane degli attori economici. Scrisse Ludwig von Mises:

Il corso espansionistico non è sostanzialmente influenzato dal fatto che alla sua vigilia vi siano capacità inutilizzate, scorte eccedenti invendute e lavoratori disoccupati. Supponiamo che vi siano attrezzature non usate per l'estrazione del rame, scorte di rame invendute e lavoratori disoccupati delle miniere cuprifere. Il prezzo del rame sia a un livello al quale l'estrazione non è conveniente per alcune miniere, i cui lavoratori vengano licenziati; vi siano speculatori che si astengano dal vendere le loro scorte. Ciò che è necessario per rendere nuovamente redditizie queste miniere, per dare lavoro ai disoccupati e per esitare le scorte senza ridurre i prezzi al di sotto di costi di produzione, è un incremento p dell'ammontare di beni capitali disponibili, abbastanza grande perchè ne segua un aumento dell'investimento, della produzione e del consumo tale da provocare un aumento adeguato nella domanda del rame.

Se peraltro questo aumento non appare e gli imprenditori, illusi dall'espansione del credito, agiscono nondimento come se p fosse realmente disponibile, le condizioni sul mercato del rame durante l'espansione sono come se p fosse stato realmente aggiunto all'ammontare dei beni capitali disponibili. Ma tutto ciò che s'è detto circa le inevitabili conseguenze dell'espansione del credito vale anche per questi. La sola differenza è che, per il rame, l'espansione inadeguata della produzione non occorre sia raggiunta con la sottrazione di capitale e lavoro da impieghi in cui questi avrebbero soddisfatto meglio i bisogni dei consumatori. La nuova espansione incoccia in un cattivo investimento di capitale e di lavoro già influenzati dall'espansione precedente che il processo di riaggiustamento non ha ancora assorbito.[4]

In realtà, il vero spettro che aleggia durante i periodi in cui la classe dirigente tenta di reflazionare l'economia attraverso uno stimolo monetario, non è quello di costi e prezzi in aumento nel presente, ma di un loro ulteriore aumento nel futuro. Quando i banchieri centrali avviano le rotative per mantenere artificialmente in piedi investimenti decotti, lo fanno in un panorama perlopiù deflazionistico.[5] Quando il denaro di nuova creazione, dopo un certo lasso di tempo, inizia a fluire nell'economia più ampia ha un effetto anti-deflazionistico, e non inflazionistico. In un certo modo, rassicura la popolazione: scongiura un aumento futuro dei prezzi facendole credere che i prezzi non scenderanno più.

Questa situazione è temporanea perché al continuo fluire del nuovo denaro, il panorama economico inizia ad essere pungolato dagli effetti inflazionistici dell'espansiome monetaria. Se la testardaggine dei pianificatori centrali li conduce a creare quantità sempre crescenti di denaro e credito, il processo finisce per sfuggire di mano portando ad una severa svalutazione della valuta nazionale (a tutto vantaggio delle nazioni estere che, se si sono astenute dal perseguire politiche simili, possono comprare merci e servizi a prezzo scontato). Sovvenzionando indirettamente il mercato estero, quello interno inizia a subire gli aumenti dei costi derivati da un'inflazione dei prezzi perpetua.

L'insostenibilità della situazione generata dal denaro fiat, porta la realtà a scontrarsi con l'illusione monetaria, generando un solo possibile evento: aumento dei tassi di interesse. Infine anche i salari subiscono le stesse pressioni, perché come scrisse Adam Smith: "Sebbene i salari dei lavoratori siano pagati in denaro, il loro reddito reale, come quello di tutti gli altri uomini, non consiste nel semplice denaro, ma nel valore del denaro; non nei pezzi di metallo, ma in quello che può acquisire con essi."[6] Le misure monetarie servirebbero solo ad abbassare il costo della manodopera in modo silenzioso senza che gli interessati se ne possano accorgere.

La General Theory di Keynes, così come abbiamo detto, rappresentava un ribaltamento delle teorie di libero mercato che fino al 1914 avevano garantito una certa prosperità alla popolazione americana, ma che nella Grande Depressione vennero messe in discussione dato il persistere della stessa. Infatti Keynes accusava il libero mercato di non essere in grado di ripulire il panorama economico dagli errori commessi in precedenza, creando una serie di risorse inattive senza uno scopo. Queste risorse comprendevano anche il mondo del lavoro. Nonostante la General Theory venne seguita da altri libri (improntati da una connotazione austriaca, come The Great Depression di Lionel Robbins nel 1937) che davano una spiegazione alla Grande Depressione con approcci diversi, Keynes ottenne tutte le attenzioni. E' ovvio, giustificò tutto quello che fino a quel momento avevano fatto i governi: contrarre deficit.

Nonostante Keynes assicurò nel suo libro che la sua teoria fosse di carattere generale ed applicabile in periodi transitori, i suoi discepoli si spinsero oltre facendole assumere un carattere permanente. "Più della stessa cosa," sarebbe stata questa la formula principe.

Ma che succede se, per esempio, lo stato dovesse ritirare la propria influenza diminunedo spesa, tasse e finanziamenti attraverso i prestiti? Secondo i keynesiani ci sarebbe una recessione. Questo è vero nel breve termine, infatti la disoccupazione aumenterebbe. Ma cambierebbero anche i destinatari della spesa degli individui, i quali si ritroverebbero molti più fondi nelle loro tasche. Il mercato non presenta risorse inattive, ma individui che scelgono cosa fare o cosa non fare. Le interferenze della pianificazione centrale canalizzano i lavori verso settori della produzione praticamente inefficienti, che non solo drenano risorse ma inglobano sempre più manodopera che sarà destianta alla disoccupazione nella fase di bust. La resa dello stato ad intervenire ulteriormente non dobbiamo definirla come recessione, bensì come il superamente stesso della recessione. Una volta che vengono liquidati quegli investimenti decretati dal mercato come improduttivi, verranno sostituiti da attori economici che invaderanno la scena e faranno quello per cui esistono gli imprenditori: soddisfare il cliente.

Avendo più soldi in tasca e avendo una visione più chiara dell'ambiente economico (scevra da interferenze centrali), gli individui faranno le loro scelte premiando quelle attività che più soddisferanno i loro desideri. L'abbassamento del costo della manodopera, dovuto alla riallocazione delle risorse umane, sarà controbilanciato nel tempo da un potere d'acquisto stabile della moenta e da una produzione industriale in rapida ascesa.

Il keynesismo poggia su un grande inganno: sostiene che la spesa pubblica possa far funzionare il mercato, mentre non può farlo quella dei privati. Capite benissimo che questo non ha senso.



SAY O NON SAY

L'altro argomento che diede lustro alla General Theory fu la sua presunta confutazione della legge di Say. Secondo Keynes la legge di Say era vera solo quando l'economia aveva una piena occupazione, ma cessava la sua validità in periodi caratterizzati da risorse inattive. E' davvero così? Innanzitutto vediamo di capire cosa dice la legge di Say:

Un prodotto terminato offre da quell'istante uno sbocco ad altri prodotti per tutta la somma del suo valore. Difatti, quando l'ultimo produttore ha terminato un prodotto, il suo desiderio più grande è quello di venderlo, perché il valore di quel prodotto non resti morto nelle sue mani. Ma non è meno sollecito di liberarsi del denaro che la sua vendita gli procura, perché nemmeno il denaro resti morto. Ora non ci si può liberare del proprio denaro se non cercando di comperare un prodotto qualunque. Si vede dunque che il fatto solo della formazione di un prodotto apre all'istante stesso uno sbocco ad altri prodotti.[7]

A prima vista sembrerebbe un dilemma riconducibile all'uovo e alla gallina. In effetti le persone vorrebbero sempre saziare la loro fame attraverso un buon pranzo. Il problema è: se lo possono permettere? Cosa possono offrire in cambio al contadino, ad esempio, per entrare in possesso delle sue merci? Ad esempio, per permettere al contadino di allevare i capi di bestiame che producono latte e carne, coloro intenzionati ad acquistare i suoi prodotti potrebbero costruirgli un recinto di legno in cui far pascolare gli animali. La produzione di una cosa (recinto/offerta) permette ad un individuo di acquistare vettovaglie (latte o carne/domanda).

Qui in gioco ci sono i desideri degli attori economici che entrando in uno scambio, cercano di entrare in possessodi quegli oggetti che più daranno loro soddisfazione. Sono loro, quindi, che decidono come allocare le risorse nel panorama economico. Immaginiamo ora che qualcuno sia in grado di creare un mezzo di scambio dal nulla. Perché darsi la pena di produrre qualcosa quando si può avviare uno scambio fasullo (qualcosa in cambio di niente)? Viene quindi a mancare un pezzo della produzione (offerta), e più questa convinzione dello scambio fasullo permea l'ambiente economico più la produzione incasserà colpi deleterei.

La legge di Say ha smesso di essere vera? Non credo proprio. Nell'equazione del libero mercato si è inserito un parametro esterno che perturba l'equilibrio tra domanda e offerta, creando squilibri crescenti e duraturi se non ripuliti. Infatti, il produttore che è entrato in possesso di beni in cambio di cartamoneta priva di valore, ha diminuito la ricchezza della società perché ha consumato quegli asset. Nonostante l'interdipendenza di tutte le attività economiche, Keynes si sbagliava quando affermava che fosse il consumo la loro forza motrice. E' la produzione.

Al progredire della situazione iniziale ed al continuo consumo di beni e servizi, arriva un punto di saturazione in cui il mercato si rende conto che la strada intrapresa all'inizio di questo processo non è sostenibile: troppo denaro a caccia di troppo pochi beni. E' necessaria un'inversione, con il conseguente abbandono della cartamoneta come asset affidabile negli scambi. Tutti coloro che hanno invece creduto nella "potenza" della cartamoneta e che hanno costruito attività basate su di essa, vanno falliti. Non sono altro i cosiddetti investimenti improduttivi di cui abbiamo parlato prima, e le risorse umane attirate in questi business devono essere riallocate altrove non appena il tessuto economico si riprende da tale shock. Questo processo richiede due cose essenziali: tempo e flessibilità.

Qualora la cartamoneta dovesse ancora giocare un ruolo in questa situazione, perché ad esempio un'entità terza obbliga l'utilizzo di tale strumento negli scambi, allora il mercato troverà enormi difficiltà nel cercare di riportare le cose al loro punto di equilibrio. In questo punto si inserisce l'errore di Keynes, il quale suggerisce al governo di subentrare e rimpiazzare il consumo privato con un aumento della spesa pubblica. Questa strategia non fa altro che creare più domanda a scapito dell'offerta, cercando di bloccare in un punto preciso il sistema di prezzi in modo da favorire quelle entità che dovrebbero essere spazzate via dalla pulizia del mercato.

La loro improduttività non farà altro che erodere il bacino della ricchezza della società, distruggendo sempre più produzione quanto più questa strategia verrà tenuta in vita.

E' questo quello che accadde anche durante la Grande Depressione. La presenza distorsiva della banca centrale venne tenuta in vita attraverso misure draconiche che andavano ad ingessare il mercato. Soprattutto quello del lavoro, quando ad esempio col New Deal i sindacati guadagnare maggior potere di esercitare pressioni politiche. Questo cartello monopolistico spinse il governo ad aumentare i salari dei lavoratori al di sopra dei livelli di mercato (privo di interferenze). Come ci ricorda l'ABC dell'economia, quando aumenta il prezzo la domanda cala e l'unico esito poteva essere uno solo: sovrabbondanza di lavoratori (disoccupazione).

Ci si rifiutò di capire che fu lo stato a prolungare la depressione, ma questo rifiuto aveva un prezzo: mancanza di una giustificazione. E' per questo che Keynes venne accoltoa braccia aperte quando apparve sulla scena mondiale. Nonostante la sua teoria fosse un conglomerato di concetti fuorvianti e pessima esposizione letteraria, venne idolatrato. Lo stato prese infine il suo agognato scettro e divenne un dio a tutti gli effetti, e Keynes il suo messia.



TEMPI MODERNI

Al giorno d'oggi la maggior parte delle persone non da peso alle politiche implementate dallo stato. Avendolo riconosciuto come entità salvifica, accetta perlopiù passivamente le ricette che i suoi organi decisionali prendono in merito ai vari problemi affrontati dalla società. Le teorie keynesiane, oltre ad essere propugnate dall'ambiente accademico, sono state assimilate per osmosi anche dalla popolazione. O perlomeno la versione iper-semplificata delle fallacie economiche keyensiane. Tutto ciò grazie al lavoro di propaganda promosso da Paul Samuelson, il quale, in veste di promotore del neo-keynesismo, ha fornito una traduzione della General Theory secondo linee più comprensibili. Questo ambiente ha permesso ai pianificatori centrali di spingersi oltre, di varcare quei limiti che anche gli accademici sostenitori della teoria keynesiana credevano non potessero essere varcati.

Gli stimoli monetari senza precedenti a cui abbiamo assistito sin dallo scoppio della bolla immobiliare statunitense, sono qualcosa di mai visto prima nella storia dell'economia. Queste misure hanno spiazzato il mondo accademico, il quale si ritrova suo malgrado a sostenere una linea d'azione mai tentata prima d'ora. In realtà, tutto ciò sottolinea come le intenzioni dello stato fossero bel altre rispetto a quelle propagandate nel corso degli anni. Il mondo accademico è stato innalzato agli allori della fama per il suo sostegno, ora ne pagherà le cosneguenze.

E' inutile sbracciarsi dicendo che questo Keynes non l'avrebbe mai approvato, questo invece è esattamente l'esito della sua giustificazione originale. Il mondo accademico, nonostante qualche titubanza, è intrappolato nelle disilluse strategie auto-distruttive dello stato. Anch'esso è intrappolato nelle sue stesse menzogne. I keynesiani sono intrappolati in quello stesso sistema che per anni hanno difeso. Periranno insieme ad esso. Quando accadrà gli Austriaci saranno lì a ricordare: "Ve l'avevamo detto, e vi avevamo detto anche perché."

La ZIRP che la maggior parte dei paesi sta perseguendo, seppur apparentemente benefica nel breve periodo, porta con sé i semi della sua stessa distruzione. In un ambiente pervaso da tassi artificialmente bassi, gli investitori sono alla disperata ricerca di investimenti che possano rendere loro un ritorno decente. Questo li spinge sempre di più verso quegli asset altamente pericolosi, emessi da imprese bisognose di finanziamenti in un ambiente pervaso da tassi bassi.

Anche le banche sono dei giocatori in questo mercato, dato il tasso di interesse reale negativo. C'è fame di rendimenti nel mercato di oggi, e questa fame sta direzionando la banderuola verso una errata valutazione del rischio. Il risultato sarà un nuovo bust, poiché la manipolazione del tasso di interesse conduce sempre a distorsioni economiche e squilibri artificiali nel sistema dei prezzi. Ogni boom può anche essere differente, ma la caratteristica comune rimane sempre la politica monetaria allentata da parte della banca centrale.

Alla fine le bolle scoppiano sempre, portandosi dietro il loro carico di errori e manipolazioni passate. Più si ritarda questa inevitabilità, più dolore economico sarà percepito. Perché? Quattro parole: non esistono pasti gratis. In natura uno scambio di qualcosa per niente è semplicemente un controsenso e va contro qualsiasi ragionamento umano sensato. (Pensate un momento al Baltic Dry Index, un termometro sulla produzione globale; è ai minimi storici dall'inizio della recessione e prosegue a far registrare record negativi.)

Come sosteneva Friedrich Hayek, più la società si dirige verso una centralizzazione dei poteri, più diviene difficile per il singolo individuo agire in conformità con le proprie azioni. La crescita economica non è qualcosa che si può pianificare a tavolino. Richiede risparmi, capitale ed investimenti in un ambiente di mercato non ostacolato. In assenza di questi requisiti, la condanna è solo una lunga e decrepita stagnazione.



CONCLUSIONE

Il keynesismo sarà chiamato al banco dei testimoni per rispodnere delle sue colpe: giustificazione di un positivismo presumibilmente saggio consegnato nelle mani della pianificazione centrale. Il trenno dell'economia è lanciato a tutta velocità verso un cavalcavia in fiamme. I banchieri centrali non sanno come fermarlo. Il compito dei keynesiani è quello di far credere ai passeggeri che il fumo che si vede in lontananza è quello di un barbecue che li aspetta arrivati in città. Stanno sudando freddo. Sanno cosa li aspetta. L'hanno sempre saputo.


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Note

[1] A Historical and Statistical Analysis of U.S. Fiscal Stimulus Activity, 1953-2011, Antony Davies, Bruce Yandle, Derek Thieme, Robert Sarvis, 5 aprile 2012.

[2] Ludwig von Mises, Planned Chaos, Foundation for Economic Education; 1st Ed(AsSuch) edition (giugno 1981).

[3] John Maynard Keynes, The General Theory of Employment, Interest, and Money (Amherst, N.Y.: Prometheus Books, 1997), p. 322.

[4] Ludwig von Mises, L'Azione Umana, Capitolo XX sez. 9.

[5] Allo scoppio di una bolla alimentata dal denaro fiat, si innesca un processo purgativo che fa calare bruscamente i prezzi di quegli asset che avevano beneficiato dell'espansione monetaria. Le forze di mercato riportano i prezzi laddove sarebbero dovuti stare in assenza di una manipolazione artificiale. Il buon economista non dovrebbe "tifare" o lodare questo tipo di deflazione, perché è il risultato di interferenze esterne nelle decisioni individuali degli attori economici. Dovrebbe semplicemente limitarsi a dire che questo non è altro che il risultato inevitabile di un boom artificiale alimentato dalla stampante monetaria. Un evento doloroso, ma necessario. Discorso diverso per la deflazione dei prezzi in un gold standard, la quale non è altro che il risultato augurabile di un aumento dell'offerta di beni e servizi di un paese a fronte di un'offerta di moneta pressoché stabile. Cfr. George Selgin, A Plea for (Mild) Deflation.

[6] Adam Smith, The Wealth of Nations, Lonra, 1796, Libro I, p. 440.

[7] J.B. Say, Treatise on Political Economy, Libro I, Cap. XV, pp. 141-142.

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6 commenti:

  1. Complimenti!
    Viviamo in un fiatmondo, dominato da superpotenze fiatmoney e finiremo, come sempre è storicamente successo col fiatmoney, in un fiatdisastro. Forse più grande di quando crollò l'Impero Romano d'Occidente.
    Poi... se saremo sopravvissuti...

    Il tuo libro è in dirittura d'arrivo?

    Infine, dagli anni ruggenti pre1929 (ricostruiti nel 1972): http://www.youtube.com/watch?v=X-ibQGPNDxw

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    1. Ciao Dna.

      Se i piani andranno così come progettati, allora dovrebbe uscire il mese prossimo. E' legato al restyling del sito di The Fielder, nella cui nuova "veste" avrà una vetrina in cui poter acquistare i libri scritti dai suoi collaboratori.

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    2. potremmo fare una presentazione alla fondazione einaudi, così per vendere un po'...

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  2. "E' inutile sbracciarsi dicendo che questo Keynes non l'avrebbe mai approvato, questo invece è esattamente l'esito della sua giustificazione originale."
    Questo è quanto esattamente mi rispose un amico quando provai a fargli notare le incongruenze macroscopiche del pensiero keynesiano: sono convinto che si tratti di un ultimo meccanismo di difesa avente parvenza di logicità, perché oltre può esserci solo l'irrazionalità manifesta.

    Bell'articolo, e un in bocca al lupo per il libro.

    Riccardo Giuliani

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  3. Bravo Francesco! Bell'articolo!
    ...pensa che c'è un sacco di gente nel'area 5 stelle e scenari economici che è SERIAMENTE convinta che il keynesianesimo non è mai stato applicato e che invece sarebbe la panacea per tutti i mali! Voglio dire, ma come si fa a credere scemenze di queste dimensioni???
    Niki

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