venerdì 8 agosto 2025

Come gli inglesi hanno scatenato la guerra civile americana

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Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato fuori controllo negli ultimi quattro anni in particolare. Questa una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Richard Poe

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/come-gli-inglesi-hanno-scatenato)

“Sono l'ultimo presidente degli Stati Uniti”, disse James Buchanan il 20 dicembre 1860.

La Carolina del Sud si era appena separata dall'Unione; altri dieci stati l'avrebbero seguita.

Se Buchanan fosse rimasto in carica, non c'è dubbio che avrebbe lasciato andare il Sud. Gli Stati Uniti avrebbero cessato di esistere 160 anni fa.

“E allora?” potrebbero ribattere alcuni lettori. “Buchanan aveva ragione. Non c'è nulla di sacro nell'Unione. Se gli stati vogliono separarsi, che lo facciano”.

Un recente sondaggio del Center for Politics dell'Università della Virginia afferma che il 41% dei sostenitori di Biden e il 52% dei sostenitori di Trump sono a favore della secessione.

Sebbene questi numeri possano essere esagerati, la tendenza è chiara.

Con l'aumento delle tensioni tra stati “rossi” e “blu”, molti americani sono giunti alla conclusione che convivere con i nostri litigiosi connazionali non valga più la pena. Molti sperano che una separazione pacifica – il “divorzio nazionale”, come lo chiamano – possa permettere agli americani di separarsi amichevolmente, senza spargimento di sangue.

Ma sarà così? La storia suggerisce il contrario.


Storia dimenticata

Nel 1861 la secessione non portò la pace, portò direttamente alla guerra civile.

La guerra scoppiò per lo stesso motivo di sempre, perché gli uomini potenti la volevano e ne traevano vantaggio.

Un vecchio detto recita: “Quando due cani litigano, un terzo cane si prende l'osso”.

Nel 1861 il terzo cane era la Gran Bretagna.

La Gran Bretagna aveva un forte interesse a disgregare l'Unione, che considerava un concorrente per il predominio globale. Il piano della Gran Bretagna era quello di spartire gli Stati Uniti in sfere di influenza coloniali, da distribuire tra le grandi potenze europee.

Se gli inglesi avessero avuto successo, sia il Nord che il Sud avrebbero perso la loro indipendenza.

Questo fatto – un tempo ampiamente noto agli americani – è stato cancellato dai nostri libri di storia.

Prima di precipitare a capofitto nella Guerra Civile 2.0, potrebbe essere saggio riscoprire la storia dimenticata della lotta di Lincoln contro l'intervento straniero.

Sarebbe sciocco cadere nella stessa trappola due volte.


L'appello di Seward per la guerra

Il 1° aprile 1861 la Guerra Civile non era ancora iniziata. Quel giorno il Segretario di Stato, William Seward, redasse un memorandum a Lincoln chiedendogli di agire contro “l'intervento europeo”.

“Chiederei immediatamente spiegazioni categoriche a Francia e Spagna”, scrisse Seward. “Chiederei spiegazioni a Gran Bretagna e Russia [...] e se non si ricevessero spiegazioni soddisfacenti da Spagna e Francia, convocherei il Congresso e dichiarerei loro guerra”.

Le preoccupazioni di Seward erano legittime.

Constatando la debolezza dell'America, le potenze straniere avevano iniziato a mettere in discussione la Dottrina Monroe, che proibiva l'intervento europeo nelle Americhe.

La Spagna aveva annesso la sua ex-colonia di Santo Domingo il 18 marzo, aumentando deliberatamente la guarnigione cubana a 25.000 uomini. La Francia stava agitando le armi per Haiti e altre colonie perdute.

Nel frattempo i diplomatici britannici si stavano impegnando a fondo per riunire Spagna, Francia e Russia in una coalizione abbastanza forte da costringere Lincoln a riconoscere la Confederazione.

Questi intrighi violavano palesemente la Dottrina Monroe, ma a nessuno importava più cosa pensasse l'America. Gli Stati Uniti stavano andando in pezzi.

“I nostri dissensi interni stanno producendo i loro frutti”, scrisse il New York Times il 30 marzo 1861. “Il terrore del nome americano è svanito e le potenze del Vecchio Mondo stanno accorrendo al banchetto da cui il grido della nostra aquila le aveva finora spaventate. Stiamo iniziando a subire le conseguenze di essere una potenza debole e disprezzata”.

Quando Seward scrisse il suo promemoria a Lincoln, l'attacco a Fort Sumter sarebbe arrivato entro undici giorni. Il primo colpo della nostra Guerra Civile non era ancora stato sparato.

Ciononosante le potenze d'Europa erano già pronte a combattere.


La Gran Bretagna era la capofila

La Gran Bretagna era la forza trainante di questi complotti. Gli inglesi pianificavano la caduta dell'America da anni.

L'Inghilterra non fece mistero delle sue ambizioni in Nord America.

Il 3 gennaio 1860 il londinese Morning Post chiese senza mezzi termini il ripristino del dominio britannico in America.

Il Post era noto per essere il portavoce di Lord Palmerston, Primo Ministro britannico. Infatti si vociferava che lo stesso Palmerston scrivesse di tanto in tanto editoriali non firmati per il giornale.

Se Nord e Sud si fossero separati, affermava il Morning Post il 3 gennaio 1860, le colonie del Nord America britannico (in seguito unite nel Dominion del Canada) avrebbero “detenuto l'equilibrio di potere sul continente”. Il Canada si sarebbe trovato in una posizione di forza per annettere le contese frazioni degli ex-Stati Uniti.

Il primo obiettivo avrebbe dovuto essere Portland, nel Maine, suggeriva il Post. Strategicamente situato al capolinea della Grand Trunk Railway canadese, il porto di Portland forniva al Canada l'accesso all'Atlantico durante i mesi invernali, quando tutti i porti sul fiume San Lorenzo erano ghiacciati.

Perché lasciare una risorsa così vitale in mani americane?

“Per motivi militari, oltre che commerciali, è ovviamente necessario”, sosteneva il Morning Post, “che il Nord America britannico disponga sull'Atlantico di un porto aperto tutto l'anno [...]”.

Il quotidiano raccomandava che lo stato del Maine si unisse volontariamente all'Impero britannico, una volta crollata l'Unione. “Il popolo di quello Stato, in vista del profitto commerciale, dovrebbe offrirsi di essere annesso al Canada”, suggeriva.

Il Post prevedeva che il crescente potere del Canada in un mondo post-americano avrebbe presto portato a ulteriori annessioni, culminando in quello che il giornale definiva “il ripristino di quell'influenza che più di ottant'anni fa l'Inghilterra non avrebbe dovuto perdere”.

Con queste parole il Morning Post chiarì di essere favorevole al ritorno del dominio britannico in America, esattamente del tipo di cui l'Inghilterra aveva goduto “più di ottant'anni fa” (prima del 1780, ovviamente).


Il piano britannico per una guerra per procura

La minaccia di riconquista sul Morning Post non era vana.

Infatti quel piano ebbe quasi successo.

Sappiamo da altre fonti, tra cui la corrispondenza diplomatica, che l'Inghilterra progettava di utilizzare la Confederazione per combattere una guerra per procura contro gli Stati Uniti.

Una volta esaurite le forze americane, la Gran Bretagna e i suoi alleati europei intendevano chiedere una mediazione internazionale per porre fine alla guerra.

Se Lincoln avesse rifiutato, la Marina britannica avrebbe rotto il blocco dell'Unione e liberato il Sud, costringendo così Lincoln al tavolo delle trattative, che gli piacesse o no.

Gli arbitri avrebbero diviso gli Stati Uniti in due Paesi separati, il Nord e il Sud.

In seguito progettarono di frammentare ulteriormente gli Stati Uniti in quattro o più mini-stati, troppo deboli per resistere alla ricolonizzazione.


Supporto militare britannico alla Confederazione

Il primo passo del piano britannico fu quello di esaurire le forze americane attraverso la guerra civile. Per raggiungere questo obiettivo, la Gran Bretagna divenne il principale fornitore di armi e rifornimenti per i ribelli del Sud.

Il 13 maggio 1861 la regina Vittoria emanò un proclama che concedeva lo status di belligerante alla Confederazione: ciò significava che le navi da guerra ribelli potevano ora operare legalmente dai porti britannici.

I costruttori navali britannici fornirono ai Confederati una marina moderna. Molte delle migliori navi da guerra ribelli furono assemblate nei cantieri navali britannici, finanziate da obbligazionisti britannici e, in alcuni casi, con equipaggi britannici.

I predoni confederati paralizzarono la navigazione unionista, affondandone quasi un migliaio. Un predone, la CSS Alabama, costruita in Gran Bretagna, distrusse 65 navi mercantili e da guerra unioniste in due anni, fino al suo definitivo affondamento nel giugno del 1864. L'equipaggio dell'Alabama era composto per lo più da britannici.

Il supporto tecnico britannico si rivelò fondamentale anche nella costruzione di una fabbrica di polvere da sparo ad Augusta, in Georgia, nel 1861. Era l'unica struttura del genere nel Sud; senza di essa i Confederati non avrebbero avuto polvere da sparo.


Schieramento delle truppe in Canada

L'Inghilterra fornì più di un semplice supporto logistico al Sud: minacciò anche il Nord con schieramenti di truppe e minacce di guerra.

Ad esempio, nel dicembre del 1861, la Gran Bretagna dispiegò 11.000 soldati in Canada, richiamò la milizia canadese e pianificò un blocco navale del nord-est degli Stati Uniti, come descritto nel libro One War at a Time: The International Dimensions of the American Civil War (1999) di Dean B. Mahin.

La ragione ufficiale di questi preparativi era quella di difendere il Canada da un possibile attacco statunitense, nel caso in cui la Gran Bretagna avesse dichiarato guerra per l'Affare Trent, un incidente in cui una nave della Marina statunitense aveva abbordato un pacco postale britannico nei Caraibi, arrestando due inviati confederati.

Tuttavia l'Affare Trent fornì solo una scusa per attuare i piani britannici esistenti.

Mahin scrisse che una delle mosse difensive proposte dagli strateghi britannici nel dicembre del 1861 fu la conquista di Portland, nel Maine, per impedire alle forze dell'Unione di tagliare l'accesso britannico al porto.

Tuttavia, come accennato in precedenza, la conquista di Portland era un obiettivo bellico britannico già esistente, annunciato sul London Morning Post quasi due anni prima.


Schieramento delle truppe in Messico

Mentre la Gran Bretagna rinforzava il Canada, si unì a essa anche Francia e Spagna in un'invasione congiunta del Messico. Tutti e tre i Paesi sbarcarono truppe a Veracruz l'8 dicembre 1861, innescando una guerra civile messicana che infuriò fino al 1866.

Il pretesto per l'invasione era quello di imporre il pagamento del debito pubblico messicano; il suo vero scopo era quello di garantire al Messico un'area di appoggio per l'intervento nella guerra civile americana, un fatto che presto sarebbe diventato evidente.

L'imperatore francese Luigi Napoleone Bonaparte III era il più stretto alleato della Gran Bretagna, legato all'Inghilterra per il suo trono.

Nipote di Napoleone I, Luigi Napoleone prese il potere con un colpo di stato il 2 dicembre 1851, rovesciando la Seconda Repubblica francese, con l'appoggio e l'approvazione di Lord Palmerston.

Napoleone III si unì poi ai suoi protettori britannici in una serie di avventure militari, tra cui la Guerra di Crimea (1853-1856) e l'invasione del Messico del 1861.


“Una guerra alla volta”

L'enormità delle provocazioni francesi e britanniche giustificava chiaramente una risposta militare da parte del Nord. Eppure la mano ferma di Lincoln al timone impedì che la Guerra Civile si trasformasse in una conflagrazione globale.

Nel suo libro, One War at a Time, Mahin suggerì che Lincoln avesse deliberatamente giocato a fare il poliziotto buono e il poliziotto cattivo, permettendo al suo Segretario di Stato, William Seward, di lanciare minacce sconsiderate contro le potenze straniere, mentre Lincoln forniva la voce rassicurante della ragione.

Il 4 aprile 1861, ad esempio, Seward dichiarò al Times di Londra di essere “pronto, se necessario, a minacciare di guerra la Gran Bretagna” se avesse osato riconoscere il governo ribelle.

Probabilmente in risposta alla minaccia di Seward, il Proclama della Regina del 13 maggio non concesse il riconoscimento diplomatico al Sud. Ciononostante la Regina Vittoria concesse diritti di belligeranza alle navi da guerra confederate, il che fece infuriare Seward.

Elaborò prontamente istruzioni per Charles Francis Adams Sr., ambasciatore degli Stati Uniti a Londra, ordinandogli di avvertire la Gran Bretagna che il riconoscimento della Confederazione sarebbe stato un atto di guerra.

“Una guerra alla volta”, consigliò Lincoln a Seward, dopo aver rivisto una bozza della sua lettera il 21 maggio 1861. Lincoln modificò il documento di suo pugno per addolcirne il tono.

Durante la guerra, questo tipo di interazioni private tra Lincoln e Seward tendevano a trapelare. In una certa misura sembra probabile che i due stessero recitando, mettendo in scena uno spettacolo per diplomatici stranieri e giornalisti.

Se la routine del poliziotto buono e del poliziotto cattivo di Lincoln fosse davvero una strategia deliberata, allora ebbe successo. Mantenne gli inglesi nervosi, sbilanciati e indecisi per i primi tre anni di guerra.

Se la Gran Bretagna e i suoi alleati avessero agito tempestivamente e con coraggio – rompendo il blocco unionista del Sud, sigillando le coste unioniste e conquistando i porti del New England, come avevano inizialmente pianificato – un'America divisa sarebbe stata troppo debole per resistere.

Lincoln avrebbe perso il sostegno pubblico e, con esso, la guerra.


Motivare i Confederati

Le continue minacce di Seward intimidivano gli inglesi, rendendoli timorosi di un'azione diretta, ma non esitarono mai a spendere sangue confederato nella loro guerra per procura contro il Nord.

Per motivare i loro clienti del Sud, gli inglesi fecero un uso accorto di carota e bastone.

Offrirono continuamente la carota del riconoscimento britannico.

I Confederati sapevano che, una volta che la Gran Bretagna avesse riconosciuto la Confederazione, altre potenze europee avrebbero seguito il loro esempio. Lincoln si sarebbe trovato isolato nel mondo occidentale, sarebbe stato costretto a sedersi al tavolo delle trattative.

Ma c'era anche un bastone.

Gli inglesi chiarirono che non avrebbero rischiato una guerra con l'Unione finché la Confederazione non avesse dimostrato di poter far valere il suo peso sul campo di battaglia.

Il 14 agosto 1861 il Ministro degli Esteri britannico, John Russell, incontrò tre inviati confederati a Londra, informandoli che l'Inghilterra avrebbe preso in considerazione il riconoscimento del loro governo solo quando “la fortuna delle armi [...] avrebbe determinato chiaramente la posizione dei due belligeranti”.

Lord Palmerston riecheggiò questa opinione in una lettera del 20 ottobre 1861, in cui simpatizzava per l'indipendenza del Sud, ma avvertiva che “le operazioni belliche sono state finora troppo indecise per giustificare un riconoscimento dell'Unione del Sud”.


Il motore della guerra

La promessa di un intervento britannico, fatta privatamente e ripetutamente ai leader confederati, fu il motore trainante della ribellione. Senza queste promesse, vi sono seri dubbi sul fatto che i leader confederati avrebbero osato entrare in guerra.

Già nella primavera del 1860, quando Lincoln era ancora in campagna elettorale per la presidenza, i consoli britannici negli stati del sud informarono Londra che erano in corso piani di secessione e che i ribelli contavano sul sostegno britannico.

Due anni dopo l'allora Segretario di Stato per la Confederazione, Judah Benjamin, sperava ancora che il riconoscimento britannico potesse avere successo laddove l'esercito confederato aveva fino a quel momento fallito.

In una lettera del 12 aprile 1862 Benjamin scrisse: “Poche parole provenienti da Sua Maestà Britannica porrebbero di fatto fine a una lotta che così desola il nostro Paese”.

Ma gli inglesi non si lasciarono impressionare dalle lamentele confederate, solo un'azione sanguinosa sul campo di battaglia li avrebbe soddisfatti.

E così i Confederati continuarono a combattere, sempre fiduciosi che la loro vittoria successiva avrebbe potuto convincere i loro protettori britannici ad agire.


Il tentativo dell'Inghilterra di forzare la mediazione

La seconda battaglia di Manassas si rivelò un punto di svolta. Dopo la vittoria confederata del 30 agosto 1862, i leader britannici decisero che i tempi erano maturi.

Lord Palmerston scrisse a Russell il 14 settembre 1862, facendo notare che le forze dell'Unione avevano “subito una disfatta” a Manassas.

“Non sarebbe giunto il momento per noi di valutare se, in una tale situazione, Inghilterra e Francia non potrebbero rivolgersi alle parti in conflitto e raccomandare un accordo basato sulla separazione?”, suggerì Palmerston.

Stipulando che la mediazione proposta dovesse essere “basata sulla separazione”, Palmerston ammise che i colloqui di pace sarebbero stati una farsa. L'esito era già stato deciso: Nord e Sud dovevano separarsi.

Russell rispose il 17 settembre: “Sono d'accordo con lei sul fatto che sia giunto il momento di offrire una mediazione al governo degli Stati Uniti, in vista del riconoscimento dell'indipendenza dei Confederati. Concordo inoltre sul fatto che, in caso di fallimento, dovremmo riconoscere noi stessi gli Stati del Sud come Stato indipendente. [...] Dovremmo, quindi, se concordiamo su un tale passo, proporlo prima alla Francia e poi, da parte di Inghilterra e Francia, alla Russia e ad altre potenze, come misura da noi decisa”.


L'obiettivo nascosto dell'Inghilterra

Se l'obiettivo della Gran Bretagna nella nostra Guerra Civile fosse stato semplicemente quello di cercare una separazione pacifica tra Nord e Sud, le sue azioni avrebbero potuto essere giustificate come ingenue ma ben intenzionate.

Tuttavia gli obiettivi nascosti della Gran Bretagna divergevano nettamente da quelli ufficiali.

La corrispondenza diplomatica pubblicata nel Parliamentary Blue Book britannico tende a fornire una versione edulcorata delle intenzioni britanniche, in quanto tali dispacci furono scritti con la piena consapevolezza che sarebbero stati pubblicati.

Una versione meno edulcorata delle intenzioni britanniche può essere ricavata da fonti non ufficiali, come articoli di giornale, osservazioni di diplomatici stranieri e dalle azioni dello stesso governo britannico.

Un attento studio di tali fonti rivela che la Gran Bretagna non mirava tanto a una separazione pacifica tra Nord e Sud quanto alla completa distruzione degli Stati Uniti, che sperava di ottenere frammentando il Paese in più parti.


Dividi et impera

Come discuteremo anche più avanti, Napoleone III nutriva un “Grande Disegno” per lo smembramento degli Stati Uniti, il quale avrebbe lasciato il Texas, la Louisiana, la Florida e altri territori statunitensi sotto il controllo francese.

Gli inglesi avevano piani simili, che senza dubbio coordinarono con i loro alleati francesi.

Il 25 settembre 1861, dopo una lunga serie di sconfitte dell'Unione, Sir Edward Bulwer-Lytton, un importante statista britannico e membro del Parlamento, predisse con gioia lo smembramento dell'America in quattro o più parti, “con felici risultati per la sicurezza dell'Europa”.

“La separazione tra Nord e Sud degli Stati Uniti, che ora è causata dalla guerra civile, l'ho da tempo prevista e predetta come inevitabile”, affermò Bulwer-Lytton in un discorso.

Prevedette che gli Stati Uniti si sarebbero divisi non in “due, ma almeno quattro, e probabilmente più di quattro Commonwealth separati e sovrani”.

Questa era una buona notizia per l'Europa, dichiarò Bulwer-Lytton: finché gli Stati Uniti fossero rimasti uniti, “incombevano sull'Europa come una nube temporalesca. Ma nella misura in cui l'America si sarebbe suddivisa in diversi Stati [...] la sua ambizione sarebbe stata meno temibile per il resto del mondo”.


“Vi spezzerete in frammenti”

Bulwer-Lytton non stava semplicemente esprimendo la sua opinione personale. Altre fonti confermano che alti statisti britannici erano favorevoli alla spartizione dell'America in più parti, non solo in due.

Il ministro degli Esteri russo, il principe Alexander Gorchakov, avvertì Lincoln di questo piano.

“Una separazione sarà seguita da un'altra; verrete spezzati in frammenti”, disse Gorchakov, in un incontro del 27 ottobre 1862 con Bayard Taylor, l'incaricato d'affari americano a San Pietroburgo.

L'ambasciatore statunitense in Gran Bretagna, Charles Francis Adams Sr., trasse una conclusione simile.

“La passione predominante qui [in Inghilterra] è il desiderio di una suddivisione definitiva dell'America in molti stati separati che si neutralizzeranno a vicenda”, scrisse Adams a Seward l'8 agosto 1862.


L'Inghilterra si avvia verso la guerra

Tutte le prove suggeriscono che i pianificatori britannici sapessero fin dall'inizio che i loro obiettivi in America non sarebbero mai stati raggiunti senza spargimento di sangue.

Anche il primo passo per separare il Nord dal Sud avrebbe richiesto un intervento militare.

Come accennato in precedenza, Seward aveva chiarito il 4 aprile 1861 che l'Unione avrebbe dichiarato guerra alla Gran Bretagna se avesse riconosciuto il Sud. In tal caso gli inglesi pianificarono di utilizzare la Royal Navy per rompere il blocco dell'Unione, pienamente consapevoli che il Nord avrebbe risposto invadendo il Canada.

Per questo motivo, quando Lord Palmerston approvò il piano di mediazione, sottolineò, in una lettera a Russell del 17 settembre 1862, che “dovremmo metterci al sicuro in Canada, non inviandovi più truppe [oltre alle 11.000 già schierate l'anno precedente], ma concentrando quelle che abbiamo in pochi avamposti difendibili prima dell'arrivo dell'inverno”.

Il Primo Ministro ammise quindi che la sua proposta di “mediazione” avrebbe probabilmente portato a una guerra di terra tra Gran Bretagna e Stati Uniti.

Palmerston scelse comunque di procedere.

Una riunione del gabinetto della regina Vittoria era prevista per il 23 ottobre 1862: in essa si sarebbero discussi i piani per un intervento congiunto di Francia, Russia e Gran Bretagna.


“Hanno creato una nazione”

Due settimane prima della riunione del gabinetto della Regina, il Cancelliere dello Scacchiere William Gladstone preparò il terreno per il riconoscimento del Sud in un discorso tenuto a Newcastle il 7 ottobre 1862. Gladstone disse: “Jefferson Davis e gli altri leader hanno creato un esercito; stanno creando, a quanto pare, una marina; e hanno creato qualcosa di più di entrambe le cose: hanno creato una nazione. [...] [Possiamo] prevedere con certezza il successo degli Stati del Sud per quanto riguarda la loro separazione dal Nord”.

Nel suo discorso Gladstone arrivò pericolosamente vicino a riconoscere il Sud come nazione sovrana.

Nonostante la spavalderia di Gladstone, i leader britannici erano nervosi, esitanti a procedere senza il sostegno delle altre potenze europee.

Il 17 novembre 1862 l'Incaricato d'Affari russo a Washington, Edouard de Stoeckl, riferì al suo governo che un attacco franco-britannico all'Unione era imminente. Poiché né i francesi né gli inglesi nutrivano “alcuna illusione che la loro offerta di mediazione venisse accettata [...] il passo successivo sarà il riconoscimento del Sud [...] [e] l'apertura forzata dei porti meridionali [...]”.

Prima di compiere questo passo gli inglesi cercarono di ottenere il sostegno di tutte le grandi potenze europee.

De Stoeckl riferì che Lord Lyons, ambasciatore britannico a Washington, voleva che “il tentativo [di mediazione] [...] venisse non solo da Francia e Inghilterra, ma da tutto il mondo civilizzato”.


La questione russa

Per tutte queste ragioni, gli inglesi desideravano ottenere il sostegno russo per la loro mossa contro Lincoln.

Sapevano che la Russia era il più forte sostenitore di Lincoln in Europa, ma speravano di poter rompere l'amicizia se avessero esercitato la giusta pressione.

In realtà lo zar Alessandro II stava facendo il doppio gioco con gli inglesi. Pur fingendo di ascoltare i loro piani di mediazione, i diplomatici russi riferirono prontamente tutto. Torniamo agli americani.

Gli inglesi cercarono di convincere la Russia a collaborare con loro, offrendo concessioni in altre parti del mondo.

Ad esempio, una rivolta polacca contro la Russia era in fermento dal 1861, fornendo a Francia e Gran Bretagna una scusa per minacciare la Russia di intervenire. Inoltre Inghilterra, Francia e Russia stavano negoziando per decidere chi sarebbe diventato il prossimo re di Grecia.

Voci di corridoio raggiungero Seward secondo cui i russi avrebbero potuto sostenere l'intervento nella guerra civile americana, in cambio di concessioni in Grecia da parte di Inghilterra e Francia. Seward era sufficientemente preoccupato da convocare de Stoeckl al Dipartimento di Stato all'inizio del 1863 per chiedere spiegazioni.


L'appello di Lincoln allo Zar

Con l'imminente intervento francese e britannico e la posizione della Russia ancora incerta, Lincoln rivolse un appello segreto direttamente allo Zar.

Una mossa astuta.

La Russia era l'unica potenza europea con eserciti terrestri in Asia sufficienti a sfidare il dominio britannico sull'India e sul Medio Oriente. Per questo motivo Inghilterra e Russia erano acerrime e perenni nemiche.

A peggiorare queste tensioni Inghilterra, Francia e i loro alleati ottomani avevano di recente sconfitto la Russia nella guerra di Crimea del 1853-1856. I russi bramavano vendetta.

Lincoln sapeva che la politica russa di mettere l'America contro l'Inghilterra era una strategia consolidata fin dalla Guerra d'Indipendenza, quando l'imperatrice russa Caterina la Grande aveva sostenuto il diritto dei coloni americani a chiedere l'indipendenza.

Nel 1839 lo zar Nicola I aveva detto a George Mifflin Dallas, all'epoca ministro degli Stati Uniti a San Pietroburgo: “Non solo i nostri interessi sono simili, ma anche i nostri nemici sono gli stessi”.

L'“imminente dissoluzione dell'Unione Americana” avrebbe rappresentato una minaccia per gli interessi russi, avvertì de Stoeckl al principe Gorchakov in una lettera del 4 gennaio 1860, poiché la rivalità della Gran Bretagna con l'America era stata in precedenza “la migliore garanzia contro i progetti ambiziosi e l'egoismo politico della razza anglosassone”.

Meglio mantenere gli anglosassoni divisi!

Lo zar concordò sul fatto che preservare l'Unione Americana fosse “essenziale per l'equilibrio politico universale”.

Esisteva quindi una base per la cooperazione russo-americana.


La promessa dello zar a Lincoln

All'inizio del 1862 Lincoln ordinò al nuovo ambasciatore statunitense a San Pietroburgo, il generale Simon Cameron, di interrogare segretamente lo zar su cosa avrebbe fatto se Francia e Gran Bretagna fossero intervenute nella nostra guerra civile.

Lo zar promise a Lincoln che, in caso di intervento straniero, “o al manifestarsi di un reale pericolo, l'amicizia della Russia per gli Stati Uniti sarebbe stata riconosciuta in modo decisivo, tale che nessun'altra nazione avrebbe potuto fraintendere”.

Dopo aver ricevuto questa rassicurazione, Seward si impegnò a diffondere la voce che esistesse un'intesa segreta tra Stati Uniti e Russia.

“Sarebbe bene che in Europa si sapesse che non siamo più allarmati dalle dimostrazioni di interferenza europea”, scrisse Seward al console americano a Parigi, John Bigelow, il 25 giugno 1862.

D'ora in poi, scrisse Seward, qualsiasi stato europeo “che si impegni a intervenire in qualsiasi parte del Nord America, prima o poi finirà tra le braccia di un nativo di un Paese orientale non particolarmente distinto per gentilezza di modi o carattere [...]”.

Quando parlava di un “Paese orientale” non “distinto per gentilezza”, Seward si riferiva chiaramente alla Russia.


Debolezza dell'Unione

La primavera del 1863 vide le speranze dell'Unione al loro punto più basso. Nel suo libro, Czars and Presidents, Alexandre Tarsaïdzé descrisse la situazione in questo modo: “Gli eserciti del Nord non avevano nulla da mostrare dopo due anni di spargimenti di sangue [...]. Quando Lee minacciò di invadere gli Stati del Nord, Baltimora era esultante, Filadelfia paralizzata e New York pronta alla secessione. [...] Nel luglio del 1863 scoppiarono rivolte a New York City per le leggi sulla coscrizione e nel giro di due giorni un migliaio di soldati e civili [...] giacevano morti per le strade. Il Segretario Seward fu informato che le truppe francesi in Messico stavano avanzando verso nord. Più o meno nello stesso periodo giunse la notizia che un reggimento britannico, sulle note vivaci di Dixie, era sbarcato in Canada”.

Nel frattempo Harper's Weekly riportava che due nuove corazzate ribelli sarebbero state varate dai porti britannici a settembre, la cui missione era quella di contribuire a rompere il blocco navale dell'Unione.

La notte del 26 giugno 1863 un gruppo di incursori confederati entrò nel porto di Portland, nel Maine, con l'intenzione di sabotarlo. Le navi della Marina statunitense attaccarono e catturarono i Confederati, ma la Battaglia di Portland, come venne chiamata, sollevò inquietanti interrogativi sul consolidamento delle truppe britanniche in Canada.

Conquistare Portland era un noto obiettivo bellico britannico. Il raid su quel porto prefigurava forse un'imminente azione britannica?


I francesi fanno la loro mossa

Le truppe francesi presero Città del Messico il 10 giugno 1863, deponendo il presidente Benito Juárez, il quale fuggì sulle montagne per organizzare una guerriglia di resistenza.

Un mese dopo il nuovo governo messicano controllato dai francesi invitò l'arciduca austriaco Massimiliano a formare un regime fantoccio e accettare il titolo di Imperatore del Messico.

Nell'ottobre del 1863 circa 40.000 soldati francesi combattevano in Messico.

Con l'intensificarsi del coinvolgimento francese in Messico, i funzionari confederati si affrettarono a ingraziarsi Luigi Napoleone. Circolarono voci di un'alleanza segreta tra la Confederazione e il nuovo regime francese in Messico.

“Gli Stati Confederati saranno nostri alleati e ci difenderanno contro gli attacchi del Nord”, dichiarava un opuscolo di propaganda francese del 1863.

Lord Palmerston aveva già espresso approvazione per il cambio di governo sponsorizzato dalla Francia, dichiarando al ministro degli Esteri John Russell, il 19 gennaio 1862, che i piani francesi di istituire una monarchia in Messico avrebbero scoraggiato un'ulteriore espansione verso sud da parte degli Stati Uniti.


I piani di Napoleone III sul territorio del Sud

Tuttavia i francesi si rivelarono alleati problematici per il Sud, poiché Luigi Napoleone progettava di annettere ampi tratti del territorio meridionale.

Anni prima Luigi Napoleone aveva ammesso con noncuranza di voler “stabilire una Gibilterra francese a Key West, impadronirsi della Florida, della Louisiana e della costa del Golfo e portare l'Impero messicano sotto il dominio francese”, secondo Alexandre Tarsaïdzé in Czars and Presidents (1958).

Sembrava in quel momento che Luigi Napoleone potesse ottenere ciò che desiderava.

Nel gennaio del 1863 i consoli francesi a Galveston e Richmond furono colti in flagrante mentre cercavano di organizzare una ribellione in Texas contro Jefferson Davis.

Contemporaneamente un importante quotidiano viennese riportò la voce secondo cui i funzionari confederati avevano accettato di cedere volontariamente il Texas al regime francese in Messico. Se l'Unione avesse osato bloccare questo trasferimento, avvertiva il giornale, Luigi Napoleone avrebbe probabilmente “interferito con la forza armata a favore del Sud”.

L'interesse di Luigi Napoleone per il Texas faceva parte di un piano più ampio che lui chiamava il suo “Grande Disegno”. Come documentato nel libro, Blue and Gray Diplomacy (2010) di Howard Jones, il “Grande Disegno” mirava a frammentare gli Stati Uniti in tre nazioni diverse, Nord, Sud e Ovest, annettendo al contempo il Texas, la Louisiana e altri territori del Sud all'Impero messicano.

Lincoln fu sufficientemente allarmato dalle notizie sul “Grande Disegno” di Luigi Napoleone da distogliere le truppe dalle operazioni del generale Grant in Mississippi per invadere il Texas quattro volte tra il 1863 e il 1864, nel tentativo di stabilire un “punto d'appoggio” statunitense in Texas per scoraggiare l'occupazione francese.


Intervento russo

Con il generale Lee all'offensiva in Pennsylvania e 40.000 soldati francesi a minacciare il Texas, i timori di un intervento anglo-francese si intensificarono.

Tre miracoli salvarono l'Unione.

Il primo fu la vittoria a Gettysburg il 3 luglio 1863.

Il secondo fu la caduta di Vicksburg il giorno successivo, il 4 luglio 1863.

Il terzo miracolo fu l'arrivo di due flotte russe a New York e San Francisco, rispettivamente a settembre e ottobre 1863.

La flotta russa del Baltico arrivò improvvisamente a New York tra l'11 e il 24 settembre 1863, al comando del contrammiraglio Stepan Lisovsky.

Il 12 ottobre la flotta russa dell'Estremo Oriente gettò l'ancora nella baia di San Francisco, al comando del contrammiraglio Andrei Popov.

La Marina russa rimase in acque statunitensi per sette mesi. Quando se ne andarono, la guerra si era decisamente orientata a favore di Lincoln. Il pericolo di un intervento straniero era ormai passato.


Mistero e segretezza

Ancora oggi mistero, controversie e segretezza circondano lo schieramento navale russo del 1863.

Gli storici accademici sostengono da tempo che lo spiegamento russo non avesse nulla a che fare con la Guerra Civile Americana. I documenti che suggeriscono il contrario vengono minimizzati o screditati.

La versione ufficiale è che lo Zar avesse bisogno di mettere la sua flotta al sicuro. Se francesi e inglesi fossero entrati in guerra per la questione polacca, i russi temevano che le loro navi potessero rimanere intrappolate nei loro porti.

Ma c'erano posti più sicuri in cui lo Zar avrebbe potuto inviarle; l'America era una zona di guerra all'epoca.

Chiaramente lo Zar non stava cercando di fuggire da francesi e inglesi, ma piuttosto cercava il posto migliore per combatterli. Decise di schierarsi in America.

Sembra ragionevole concludere che, qualunque fossero le altre motivazioni che lo Zar potesse avere per schierare la sua flotta in America, almeno una era quella di mostrare solidarietà agli americani, scoraggiando Inghilterra e Francia dall'attaccare entrambi i Paesi.


Prove delle intenzioni russe

Alcune dichiarazioni attribuite al Principe Gorchakov, Ministro degli Esteri russo, possono aiutare a far luce sulle ragioni del dispiegamento russo.

Nel febbraio 1862 il Principe Gorchakov chiese al diplomatico statunitense, Charles A. De Arnaud, se l'Unione avesse navi sufficienti per mantenere il blocco navale. De Arnaud ammise di non esserne sicuro, al che il Principe Gorchakov rispose (secondo le memorie di De Arnaud): “Verificherò se hanno navi sufficienti per mantenere il blocco navale, e se non le hanno loro, le abbiamo noi! L'Imperatore, mio Augusto Signore, non permetterà a nessuno di interferire con questo blocco navale, anche a costo di rischiare un'altra guerra alleata!”.

Otto mesi dopo, nell'ottobre del 1862, lo stesso principe Gorchakov rispose a una lettera del presidente Lincoln offrendo queste assicurazioni a Bayard Taylor, incaricato d'affari americano a San Pietroburgo: “Solo la Russia vi ha sostenuto fin dall'inizio e continuerà a sostenervi. [...] Desideriamo la sopravvivenza dell'Unione americana come nazione indivisibile. [...] Verranno avanzate proposte alla Russia per aderire a un piano di interferenza; essa rifiuterà qualsiasi invito del genere. [...] Potete contare su questo”.

Così, dieci mesi prima dello schieramento della flotta russa, il principe Gorchakov aveva avvertito Lincoln di aspettarsi un ultimo tentativo di intervento da parte di Francia e Inghilterra, un tentativo che tutti sapevano avrebbe comportato un'azione navale per rompere il blocco dell'Unione.

Alla luce di questi fatti non sembra azzardato concludere che lo zar avesse inviato la sua flotta, almeno in parte, per scoraggiare Francia e Gran Bretagna dal loro piano.

Lo zar mantenne la promessa fatta a Lincoln: “L'amicizia della Russia per gli Stati Uniti sarà riconosciuta in modo decisivo, tale che nessun'altra nazione potrà mai sbagliarsi”.

Potremmo essere in debito con la Russia per aver difeso l'Unione in un momento cruciale.


Come la Gran Bretagna causò la Guerra Civile

Il resoconto precedente ha convinto, si spera, i lettori a chiedersi se la Gran Bretagna fosse davvero “neutrale” nella nostra Guerra Civile, come sostengono molti storici.

L'ingerenza della Gran Bretagna stiracchia la definizione di “neutralità” oltre ogni limite.

E c'è di più.

Alcune prove suggeriscono che l'Inghilterra potrebbe aver effettivamente causato la Guerra Civile.

Il principale consigliere economico di Lincoln, Henry Charles Carey (1793-1879), ne era convinto. Accusò la Gran Bretagna di aver istigato la guerra per il proprio tornaconto.

Nel suo opuscolo del 1867, Reconstruction: Industrial, Financial and Political, Carey accusò la Gran Bretagna di alimentare passioni secessioniste attraverso una rete di “agenti britannici” che operavano “in stretta alleanza con l'aristocrazia schiavista del Sud [...]”.

L'economia del Sud dipendeva dalla Gran Bretagna, la quale ne acquistava ogni anno il 70% delle esportazioni di cotone. Secondo Carey, la Gran Bretagna usava la sua influenza per spingere i leader del Sud verso la secessione.

Gli inglesi sapevano che un Sud indipendente sarebbe stato libero di ridurre i dazi e di utilizzare manodopera schiavizzata, mantenendo bassi i prezzi del cotone.

Se non si fosse affrontato il problema di fondo dell'influenza britannica, Carey predisse che gli sforzi dell'Unione per “ricostruire” il Sud sarebbero falliti.

“Il libero scambio britannico, il monopolio industriale e la schiavitù umana vanno di pari passo”, concluse Carey, “e chi intraprende l'opera di ricostruzione senza essersi prima accertato che tale sia la realtà, scoprirà di aver costruito su basi instabili e non riuscirà a costruire un edificio che sia permanente”.


“Sistema britannico” & “Sistema americano”

Carey credeva che due sistemi economici rivali si stessero contendendo il predominio nel XIX secolo: il “Sistema britannico” e il “Sistema americano”.

Sosteneva che la nostra Guerra Civile fosse stata combattuta, in gran parte, per determinare quale di questi due sistemi avrebbe prevalso.

Il Sistema britannico mirava a fare dell'Inghilterra l'“officina del mondo”, con un monopolio globale sulla produzione industriale. Altri Paesi avrebbero dovuto fornire cibo e materie prime in cambio dei prodotti manifatturieri britannici.

Al contrario, il Sistema americano incoraggiava l'autosufficienza nazionale. Gli americani erano spinti a produrre tutto ciò di cui avevano bisogno nel proprio Paese, inclusi cibo, materie prime e prodotti manifatturieri.

I due sistemi erano incompatibili e destinati a scontrarsi.

L'America era l'arena naturale per questa contesa, poiché il Nord industrializzato seguiva il Sistema americano, mentre il Sud agricolo seguiva il Sistema britannico.


Perché l'Inghilterra sostenne la Confederazione

Gli inglesi avevano molto da perdere se il Nord avesse prevalso.

Il Nord stava costruendo le proprie fabbriche tessili e cercando di sostituire l'Inghilterra come principale partner commerciale del Sud. Se ciò fosse accaduto, il sistema britannico avrebbe potuto potenzialmente crollare.

La Gran Bretagna avrebbe perso la sua fornitura di cotone a basso costo, avrebbe perso il suo monopolio tessile globale e avrebbe perso il Sud degli Stati Uniti come mercato per i prodotti manifatturieri inglesi. Da quel momento in poi i sudisti avrebbero acquistato manufatti dal Nord.

Il 7 marzo 1862 Lord Robert Cecil si rivolse al Parlamento britannico con queste parole: “Gli Stati del Nord d'America non potranno mai essere nostri amici sicuri [...] perché siamo rivali, politicamente, commercialmente. Aspiriamo alla stessa posizione. Entrambi aspiriamo al governo dei mari. Siamo entrambi un popolo manifatturiero, e in ogni porto, così come in ogni corte, siamo rivali l'uno dell'altro. [...] Per quanto riguarda gli Stati del Sud, la tesi è completamente invertita. La popolazione si basa sull'agricoltura. Fornisce la materia prima della nostra industria e consuma i prodotti che ne ricaviamo. Con loro, quindi, ogni interesse deve portarci a coltivare relazioni amichevoli, e abbiamo visto che, allo scoppio della guerra, si sono subito rivolti all'Inghilterra come loro alleato naturale”.

Con queste parole Lord Cecil chiarì che il rapporto che la Gran Bretagna desiderava con l'America era un rapporto coloniale, in cui le “colonie” avrebbero esportato cibo e materie prime alla madrepatria, mentre quest'ultima forniva in cambio i manufatti.

La Gran Bretagna favoriva il Sud proprio perché i sudisti non avevano mai rotto il legame coloniale; il Sud rimaneva economicamente dipendente dalla madrepatria.

Il Nord, dall'altra parte, aveva cercato di migliorare la propria situazione industrializzandosi e costruendo una propria flotta mercantile, entrando così in competizione con la Gran Bretagna. Così facendo il Nord divenne il rivale dell'Inghilterra e, in definitiva, il suo nemico mortale.


“Libero scambio” & “Protezionismo”

Molti storici sostengono che il sistema britannico incoraggiasse il “libero scambio”, mentre il sistema americano promuovesse il “protezionismo”. Questo è fuorviante.

In realtà entrambi i sistemi erano protezionistici.

La confusione nasce dai propagandisti britannici che impararono presto a camuffare le loro politiche protezionistiche sotto la retorica del “libero scambio”.

Nel suo libro del 1776, La ricchezza delle nazioni, l'economista britannico Adam Smith sosteneva che tutti i Paesi avrebbero dovuto commerciare liberamente tra loro, senza dazi o altre restrizioni. La “mano invisibile” dei mercati avrebbe garantito a ciascun Paese la ricezione dei beni di cui aveva bisogno al miglior prezzo.

L'idea di Smith poteva essere stata praticabile o meno, ma non fu mai sperimentata nell'effetivo.

Al contrario la Gran Bretagna applicò il libero scambio in modo selettivo, solo nei mercati in cui deteneva un monopolio sicuro o qualche altro vantaggio.

L'accordo commerciale del 1810 tra la Gran Bretagna e il Brasile illustra questo punto.


La silenziosa conquista del Brasile

Nel 1807 la Marina britannica salvò i Braganza, la famiglia reale portoghese, trasportandoli nella colonia portoghese del Brasile, fuori dalla portata delle truppe d'invasione di Napoleone.

In cambio di questo favore, i Braganza accettarono di aprire i porti brasiliani al “libero scambio”.

Era un inganno. Il dominio britannico sui mari garantiva che i porti brasiliani appena aperti avrebbero avvantaggiato principalmente la Gran Bretagna. Gli inglesi si appropriarono della maggior parte del commercio estero brasiliano.

Alcuni consiglieri reali misero in guardia i Braganza da ulteriori concessioni, ma una fazione “liberale” all'interno della burocrazia si oppose. Rodrigo de Souza Coutinho e José da Silva Lisboa avevano studiato La ricchezza delle nazioni di Adam Smith e avevano esortato i Braganza a fidarsi della “mano invisibile” del libero mercato.

Nel 1810 gli inglesi erano sufficientemente trincerati a Rio de Janeiro da costringere il Brasile a firmare un nuovo trattato che garantiva privilegi speciali alla Gran Bretagna, tra cui un dazio preferenziale che tassava le merci britanniche solo al 15%, rispetto al 24% delle altre nazioni. Persino la madrepatria, il Portogallo, era tassata al 16%.

Così, con il pretesto del “libero scambio”, la Gran Bretagna di fatto sostituì il Portogallo come madrepatria del Brasile, riducendolo a uno stato cliente.


La guerra commerciale del 1783

Come i liberali portoghesi, i Padri Fondatori americani erano ideologicamente inclini al libero scambio.

Alcuni, come Thomas Jefferson, temevano che i dazi protezionistici avrebbero trasformato l'America da una nazione rurale a una urbana, in cui banchieri e industriali avrebbero detenuto tutto il potere.

Altri ricordavano che la Dichiarazione d'Indipendenza aveva condannato Re Giorgio per “aver interrotto il nostro commercio con tutte le parti del mondo”, un riferimento alle restrizioni imposte dal Trade and Navigation Act britannico.

Nonostante questi scrupoli, la dura realtà della guerra commerciale britannica costrinse presto i Padri Fondatori a riesaminare i loro presupposti sul libero scambio.

Il campanello d'allarme arrivò nel 1783. Subito dopo la firma del trattato di pace che pose fine alla Guerra d'Indipendenza, la Gran Bretagna iniziò a immettere enormi quantità di prodotti manifatturieri a basso costo sul mercato statunitense, vendendoli a prezzi molto inferiori a quelli inglesi e, in molti casi, sottocosto.

I produttori americani alle prime armi non riuscirono a sostenere tali prezzi e fallirono. L'economia crollò; i debitori persero le loro case.

Dal 1786 al 1787 scoppiò una rivolta armata nel Massachusetts, nota come Ribellione di Shay, per chiedere sollievo dai debiti, dagli sfratti e dal dumping britannico.

Molti stati chiesero a gran voce la secessione; la Repubblica era sull'orlo della dissoluzione.


Indipendenza politica & indipendenza economica

Attraverso questa esperienza la generazione rivoluzionaria imparò che l'indipendenza politica è inutile senza indipendenza economica.

Finché gli inglesi controllavano i cordoni della borsa americana, controllavano l'America.

La guerra commerciale del 1783 rese chiaro che la Gran Bretagna non avrebbe rinunciato al suo monopolio sui prodotti manifatturieri in America.

All'atto pratico l'America rimaneva una colonia britannica.

L'essenza di un rapporto coloniale è che la colonia produce cibo e materie prime, mentre la madrepatria produce manufatti. Poiché le materie prime sono economiche e i prodotti manifatturieri costosi, i profitti affluiscono costantemente alla madrepatria.

Prima della Rivoluzione la Gran Bretagna mantenne uno stretto controllo sul commercio americano attraverso i Trade and Navigation Act del 1660, 1663 e 1672.

Ai coloni era proibito dedicarsi all'industria manifatturiera. Inoltre tutte le navi che trasportavano merci da e per le colonie erano tenute a fare scalo nei porti inglesi per pagare dazi e altre spese di trasporto, indipendentemente dalla loro destinazione finale o dal punto di origine. Persino una nave che andava da Boston al Rhode Island e ritorno doveva attraversare l'oceano due volte, fermandosi due volte nei porti inglesi, per pagare dazi e altre spese di trasporto.

Come risultato di queste leggi, nel 1677 la Gran Bretagna godeva di uno squilibrio commerciale di dieci a uno con le sue colonie americane, un rapporto che rimase costante fino alla Rivoluzione.

Nel suo libro, The Unity of Law (1872), Henry Carey calcolò che le normative commerciali coloniali consentivano alla Gran Bretagna di tassare “tre quarti del prodotto del lavoro americano” ogni anno.


Indipendenza: “Un pezzo di pergamena”

Durante la Guerra d'Indipendenza gli americani dovettero cavarsela da soli. Impararono a produrre i propri vestiti, corde, carta, ferro e altri beni essenziali. Molti speravano che queste nuove industrie locali avrebbero dato vita a un'economia prospera e indipendente.

Ma il dumping britannico pose fine a quel sogno nel 1783.

Edward Everett, fervente sostenitore del sistema americano, ricordò nel 1831: “Si presentò così lo straordinario e disastroso spettacolo di una rivoluzione vittoriosa, che fallì completamente nel suo obiettivo finale. Il popolo americano era andato in guerra non per i nomi, ma per le cose. Non si trattava semplicemente di cambiare un governo amministrato da re, principi e ministri, con un governo amministrato da presidenti, segretari e membri del Congresso. Si trattava di riparare i propri torti, di migliorare la propria condizione, di liberarsi del peso che il sistema coloniale imponeva alla propria industria. Per raggiungere questi obiettivi, sopportarono difficoltà incredibili; sopportarono e soffrirono in modo quasi inimmaginabile. E quando ottennero la loro indipendenza, scoprirono che era ormai un pezzo di pergamena”.

Gli americani impararono che una guerra commerciale può devastare una nazione con la stessa crudeltà del ferro e del fuoco. Impararono anche che l'unico modo per combattere una guerra commerciale è vendicarsi con la stessa moneta.

Gli Articoli della Confederazione, allora in vigore, non offrivano alcun mezzo di ritorsione. I singoli stati potevano imporre dazi, ma non il governo nazionale.

In risposta alla crisi alcuni stati istituirono le proprie dogane e imposero dazi, ma questo portò solo a guerre commerciali tra stati, dividendo ulteriormente il Paese.

Nei quattro anni successivi alla battaglia di Yorktown, dal 1781 al 1785, la bilancia commerciale tra Gran Bretagna e Stati Uniti rimase più di tre a uno a favore della Gran Bretagna.


Combattere il fuoco con il fuoco

Quando la Costituzione fu firmata nel 1787, praticamente tutti i Padri Fondatori erano giunti a concordare sulla necessità di dazi protettivi per contrastare la guerra commerciale britannica.

In un discorso del 9 aprile 1789, James Madison disse al Congresso che “il commercio dovrebbe essere libero”. Osservò, tuttavia, che questo principio funzionava solo quando tutti seguivano le stesse regole: “Se l'America lasciasse i suoi porti perfettamente liberi e non facesse alcuna discriminazione tra le navi di proprietà dei suoi cittadini e quelle di proprietà straniera, mentre altre nazioni facessero questa discriminazione, è ovvio che tale linea di politica finirebbe per escludere del tutto la navigazione americana dai porti stranieri, e l'America ne subirebbe le conseguenze materiali in uno dei suoi interessi più importanti”.

Quindi l'unica difesa contro il protezionismo britannico era il protezionismo americano. Gli americani avrebbero dovuto combattere il fuoco con il fuoco.

“Washington e i suoi segretari, Hamilton e Jefferson, approvarono questa linea d'azione”, scrisse Carey, “e, così facendo, furono seguiti da tutti i successori di Washington, fino al generale Jackson”.


La Costituzione

Molti americani hanno dimenticato che la nostra Costituzione è nata dall'urgente necessità di difendere l'industria statunitense dalla guerra commerciale britannica.

Fisher Ames, che prese parte alla Convenzione, affermò che “l'attuale Costituzione è stata dettata da necessità commerciali più che da qualsiasi altra causa. La mancanza di un governo efficiente per tutelare gli interessi manifatturieri e promuovere il nostro commercio è stata a lungo avvertita da uomini di giudizio e sottolineata da patrioti desiderosi di promuovere il nostro benessere generale”.

Firmata il 17 settembre 1787, la nuova Costituzione conferiva al Congresso il potere di imporre dazi doganali.

“Il potere di regolamentare sia il commercio estero che quello tra gli stati era attribuito chiaramente al governo nazionale adesso, per sempre sottratto agli stati stessi”, scrisse Robert Ellis Thompson in Political Economy with Special Reference to the Industrial History of Nations (1882).

Per il suo insediamento George Washington indossò un abito di stoffa tessuta in casa, per dimostrare la sua solidarietà agli industriali americani in difficoltà.


Guerra economica

Se posso permettermi una digressione personale, alcuni lettori potrebbero essere interessati a sapere che difendere il protezionismo non mi viene né facile né naturale. Ero uno studente universitario diciannovenne quando lessi per la prima volta Per una nuova libertà di Murray Rothbard, e da allora mi definisco un libertario.

Tuttavia, dopo aver studiato il sistema coloniale britannico e le sue numerose guerre commerciali contro gli Stati Uniti, non riesco a trovare altra difesa contro questi mali se non quella che i nostri Padri Fondatori alla fine decisero: i dazi protettivi.

La Gran Bretagna aveva chiaramente sia la volontà che il potere di schiacciare l'industria manifatturiera statunitense, e lo fece ripetutamente nei primi anni della nostra Repubblica.

Nel 1816, mentre la Gran Bretagna attaccava nuovamente le industrie statunitensi con una campagna di dumping, il signor (e in seguito Lord) Brougham dichiarò alla Camera dei Comuni che “vale la pena subire una perdita [...] per soffocare nella culla quelle giovani industrie manifatturiere degli Stati Uniti che la guerra ha costretto alla nascita”.

David Syme, un tempo liberoscambista inglese, emigrò in Australia e vide con i propri occhi gli effetti distruttivi del dumping britannico.

Nel suo libro, Outlines of an Industrial Science (1876), Syme descrisse come la Gran Bretagna mantenesse i suoi monopoli attraverso la guerra economica: “Il modo in cui il capitale inglese viene utilizzato per conservare la supremazia manifatturiera dell'Inghilterra è ben noto all'estero. In qualsiasi parte del mondo si presenti un concorrente che potrebbe interferire con il suo monopolio, il capitale dei suoi produttori si concentra immediatamente in quella particolare parte e le merci vengono esportate in grandi quantità e vendute a prezzi tali da schiacciare di fatto la concorrenza esterna. È noto che per anni i produttori inglesi hanno esportato merci in mercati lontani e le hanno vendute a prezzo di costo, con l'obiettivo di riprendere il controllo di quei mercati”.


Il sistema britannico di libero scambio

Nei suoi scritti Henry Carey racchiudeva abitualmente il termine “libero scambio” tra virgolette per ricordare ai lettori che era semplicemente un rebranding della tradizionale linea di politica coloniale britannica.

Mentre autoproclamati discepoli di Adam Smith evangelizzavano il mondo attraverso gruppi come la British Free-Trade League, la Gran Bretagna stessa continuava a governare i suoi mercati con la forza bruta.

A titolo di esempio, Carey citò le Guerre dell'Oppio del 1839-42 e del 1856-60 in cui la Gran Bretagna usò la forza militare per costringere la Cina ad acquistare oppio da produttori autorizzati dagli stessi inglesi nell'India britannica.

Carey osservò che azioni militari, crisi finanziarie orchestrate, dazi proibitivi e campagne di dumping erano solo alcuni degli interventi diretti e sovvenzionati dallo stato che i “principi mercanti” britannici usavano abitualmente per proteggere i loro monopoli, spingendo nel contempo il “libero scambio” verso le loro vittime designate.

Un membro del Parlamento, mister Robertson, confermò l'opinione di Carey quando dichiarò alla Camera dei Comuni, il 22 ottobre 1831: “Era inutile da parte nostra cercare di persuadere altre nazioni ad unirsi a noi nell'adottare i principi di quello che veniva chiamato 'libero scambio'. Altre nazioni sapevano, così come il nobile Lord di fronte a noi e coloro che agivano con lui, che ciò che intendevamo per 'libero scambio' non era altro che, grazie ai grandi vantaggi di cui godevamo, ottenere il monopolio di tutti i loro mercati per i nostri produttori e impedire loro, tutti quanti, di diventare nazioni manifatturiere”.


Monopolio britannico nel Sud degli Stati Uniti

Nel 1860 la Gran Bretagna era diventata il principale produttore mondiale di tessuti e fili di cotone, importando l'80% del suo cotone grezzo dall'America.

Il cotone divenne così la principale esportazione del Sud e la Gran Bretagna il suo principale cliente. In sintesi, il Sud dipendeva dalla Gran Bretagna per il suo sostentamento.

Quando, nel 1824, i protezionisti cercarono di incoraggiare la produzione tessile statunitense imponendo dazi sulle importazioni straniere, i membri del Congresso del Sud li contrastarono. Il Nord non avrebbe mai potuto sperare di sostituire l'Inghilterra come partner commerciale del Sud, sostenevano, perché non sarebbe mai stato in grado di acquistare tanto cotone quanto l'Inghilterra.

Quest'ultima forniva prodotti di cotone al mondo, sostenevano, mentre le fabbriche del Nord rifornivano solo l'America, e solo una piccola parte di essa.

Cotton is King (1856) di David Christy – una polemica anti-protezionista che contribuì a ispirare la ribellione del Sud – sosteneva che le fabbriche statunitensi nel Nord non avevano la capacità di lavorare più di un quarto della resa totale. Inoltre la popolazione statunitense dell'epoca non poteva consumare più di un terzo della produzione del Sud, anche se le fabbriche statunitensi fossero riuscite a sfornare abbastanza indumenti di cotone per tutti. L'Inghilterra era quindi l'unico cliente valido, concluse Christy.

La lealtà del Sud degli Stati Uniti verso i suoi partner commerciali britannici era impressionante, ma non era ricambiata. La Gran Bretagna non cessò mai di cercare fonti alternative di cotone per sostituirlo, cercandole in Egitto, Brasile, India e altrove.


Come il sistema britannico incoraggiò la schiavitù

L'instancabile ricerca da parte dell'Inghilterra di cotone a prezzi più bassi spinse gli agricoltori del Sud degli Stati Uniti a offrire i prezzi più bassi possibili, cosa che riuscirono a fare solo utilizzando manodopera schiava.

Una delle principali critiche di Carey al sistema britannico era che incoraggiasse la schiavitù abbassando il prezzo del lavoro – cioè i salari – in tutto il mondo.

Sotto il sistema britannico, ogni Paese era costretto a fare affidamento sul commercio estero; a nessuno era permesso di diventare autosufficiente.

Così, ogni acquirente, in ogni Paese, setacciava costantemente il pianeta alla ricerca dei beni più economici. Allo stesso modo ogni venditore in tutto il mondo era in competizione per attrarre quegli acquirenti globali fornendo i beni più economici.

Il modo più semplice per produrre beni a basso costo era pagare meno i lavoratori.

Pertanto il sistema britannico premiava costantemente coloro che pagavano meno i lavoratori. I prodotti più economici, realizzati dai lavoratori meno pagati, ottenevano inevitabilmente la distribuzione più ampia.

Il lavoro da schiavi era il più economico di tutti e per questo motivo i beni prodotti dagli schiavi godevano di un vantaggio naturale nel sistema britannico.

“Qualsiasi sistema basato sull'idea di abbassare il prezzo delle materie prime manifatturiere [e] dei prodotti grezzi del lavoro agricolo e minerario, tende necessariamente alla schiavitù [...]”, concluse Carey nel suo opuscolo del 1867, Reconstruction: Industrial, Financial and Political.


“L'imperialismo del libero scambio”

Il sistema britannico esercitò un'ulteriore pressione sul Sud degli Stati Uniti.

Poiché quest'ultimo non aveva industrie interne, era costretto ad acquistare tutto ciò di cui aveva bisogno altrove, principalmente dall'Inghilterra.

Se il Sud avesse aumentato troppo i prezzi del cotone, gli inglesi l'avrebbero acquistato altrove; il reddito del Sud si sarebbe prosciugato.

I consumatori del Sud si sarebbero quindi trovati nell'impossibilità di permettersi i beni importati da cui dipendevano. In una crisi del genere, il sistema delle piantagioni stesso avrebbe potuto facilmente crollare.

I sudisti vivevano nel timore di un simile crollo e avrebbero fatto qualsiasi cosa per impedirlo.

Per questo motivo gli storici John Gallagher e Ronald Robinson definirono il Sud anteguerra un'“economia coloniale” della Gran Bretagna, nel loro articolo del 1953 intitolato The Imperialism of Free Trade.

La dipendenza dal commercio britannico non lasciò altra scelta ai sudisti se non quella di accontentare e cooperare con la Gran Bretagna in ogni questione: la definizione stessa di dipendenza coloniale.


L'impero Dixie britannico

“Le imprese commerciali britanniche trasformarono il cotone sudista in un'economia coloniale e gli investitori britannici speravano di fare lo stesso con il Midwest”, scrissero Gallagher e Robinson, “ma la forza politica del Paese [gli Stati Uniti] si oppose loro”.

Con queste parole Gallagher e Robinson svelarono le origini del conflitto che portò alla Guerra Civile Americana.

Dopo essere riusciti a stabilire un'“economia coloniale” nel Sud, gli inglesi si opposero a qualsiasi tentativo del Nord di interferire con il loro monopolio. In particolare si opposero a qualsiasi suo tentativo di sostituire la Gran Bretagna come principale partner commerciale del Sud, cosa che il Nord cercò continuamente di fare imponendo dazi doganali proibitivi sui prodotti britannici.

Nel loro articolo, The Imperialism of Free Trade, Gallagher e Robinson ammettevano che la Gran Bretagna considerava le industrie nascenti del Nord una minaccia al loro controllo coloniale sul Sud.

“Era impossibile fermare l'industrializzazione americana”, scrissero, “e le sezioni industrializzate [del Nord] fecero campagna propagandistica per ottenere dazi doganali nonostante l'opposizione di quelle sezioni [il Sud] che dipendevano dai rapporti commerciali britannici”.

Qui risiedeva la causa della Guerra Civile Americana.


Perché i Confederati inserirono una clausola di “libero scambio” nella loro Costituzione

Uno dei modi in cui i sudisti cercarono di compiacere e collaborare con la Gran Bretagna fu l'inserimento di una clausola di “libero scambio” nella Costituzione confederata adottata l'11 marzo 1861.

L'Articolo I, Sezione 8(1), stabiliva che “nessun dazio o tassa sulle importazioni da nazioni straniere [sarà] imposto per promuovere o favorire alcun ramo dell'industria [...]”.

Con queste parole i Confederati assicurarono ai loro protettori britannici di non avere alcuna ambizione di costruire industrie nazionali. Erano contenti di rimanere produttori a basso costo di alimenti e materie prime.

I diplomatici confederati usarono questa clausola di “libero scambio” nei loro negoziati con la Gran Bretagna.

Ad esempio, quando gli inviati confederati incontrarono John Russell, il Ministro degli Esteri britannico, il 4 maggio 1861, lo allettarono con la visione di un nuovo Sud indipendente, che non avrebbe mai più permesso a Washington di limitare il commercio britannico.

Russell reagì favorevolmente.

In seguito a questa conversazione gli inviati riferirono all'allora Segretario di Stato confederato, Robert Toombs, la lieta notizia che “l'Inghilterra non è in realtà contraria alla disintegrazione degli Stati Uniti e [Inghilterra e Francia] agiranno favorevolmente nei nostri confronti al primo successo [militare] decisivo che otterremo”.


La dipendenza economica porta alla dipendenza politica

Imponendo il “libero scambio” al Brasile, la Gran Bretagna aveva di fatto stabilito quello che Gallagher e Robinson chiamavano un dominio “informale” sul Paese.

Allo stesso modo la Costituzione del “libero scambio” della Confederazione ratificava il dominio “informale” della Gran Bretagna sul Sud degli Stati Uniti.

Nel loro articolo del 1953 Gallagher e Robinson sostenevano che esistessero in realtà due imperi britannici: uno “formale” e uno “informale”.

L'impero “formale” comprendeva quei Paesi su cui la Gran Bretagna esercitava un controllo diretto, solitamente indicati in rosso o rosa sulle vecchie mappe. L'impero “informale” comprendeva quei Paesi che la Gran Bretagna controllava attraverso accordi economici.

La differenza tra governo “formale” e “informale” era in realtà irrilevante, sostenevano gli autori, poiché la Gran Bretagna manteneva il controllo politico in entrambi i casi. “L'impero formale e quello informale sono essenzialmente interconnessi e in una certa misura intercambiabili”, concludevano.


I limiti sfumati del potere britannico

Cercare di determinare i limiti del potere britannico in base all'estensione del territorio “colorato in rosso sulle mappe” era “come giudicare le dimensioni e le caratteristiche degli iceberg basandosi esclusivamente sulle parti che emergono dalla linea di galleggiamento”, sostenevano Gallagher e Robinson.

Quei Paesi che in vari periodi sono stati sottoposti al dominio britannico “informale” erano parte integrante dell'Impero britannico, insistevano Gallagher e Robinson, nonostante non siano mai stati “colorati in rosso sulle mappe”.

I nomi di alcune di queste dipendenze “informali” sorprenderanno alcuni lettori.

L'India, che aveva apparentemente ottenuto la sua “indipendenza” nel 1947, era ancora sotto il dominio britannico “informale” all'epoca in cui gli autori scrivevano (1953), o almeno così sostenevano.

“L'India è passata da un'associazione informale a una formale con il Regno Unito e, dalla Seconda Guerra Mondiale, è tornata a una connessione informale”, scrissero.

Altri esempi di passate dipendenze britanniche – secondo Gallagher e Robinson – includevano Cina, Brasile, Argentina e il Sud degli Stati Uniti anteguerra.


L'élite coloniale del Sud

Gallagher e Robinson osservarono che, una volta che la Gran Bretagna avesse instaurato un sistema di “libero scambio” in un Paese, le élite locali avrebbero cercato di perpetuare quel sistema: “Una volta che le loro economie erano diventate sufficientemente dipendenti dal commercio estero, le classi la cui prosperità derivava da esso, si impegnavano nella politica locale per preservarne le condizioni necessarie”.

In altre parole i locali che traevano profitto dal commercio con la Gran Bretagna fungevano da rappresentanti locali per gli inglesi, facendo valere gli interessi britannici sul territorio.

Questo è ciò che intendeva Carey quando scrisse che “gli agenti britannici sono sempre stati in stretta alleanza con l'aristocrazia schiavista del Sud”.

L'“aristocrazia schiavista” pronunciata da Carey formò un'élite coloniale nel Sud, dello stesso tipo descritto da Gallagher e Robinson, “la cui prosperità derivava” dal “commercio estero” e su cui si poteva quindi contare per “impegnarsi nella politica locale” e preservare il potere britannico e il relativo progresso del programma di “libero scambio” britannico.

Era questa classe di persone, scrisse Carey, che cercava costantemente di annacquare i dazi doganali americani al punto che erano troppo bassi per influenzare i monopoli britannici.

Uno di questi dazi annacquato, la Walker Tariff del 1846, portò direttamente alle crisi finanziarie che intensificarono la nostra Guerra Civile, secondo Carey.

Nel 1867 scrisse: “Dalla data del ripristino del sistema monopolistico britannico nel 1846 [attraverso la Walker Tariff] siamo andati costantemente avanti distruggendo il commercio interno, aumentando la nostra dipendenza da Liverpool come luogo di scambi con tutto il mondo e aumentando il nostro debito estero, fino a raggiungere all'improvviso l'inevitabile risultato: lo scioglimento dell'Unione”.


Conclusione

A più di 156 anni dalla resa di Lee ad Appomattox, gli americani rimangono profondamente divisi sulla Guerra Civile.

Nessun evento nella nostra storia suscita risentimenti più profondi, né altro tema genera controversie più sconcertanti e difficili da risolvere.

Né questo articolo, né altri ancora da scrivere, riusciranno probabilmente a portare gli americani a un accordo sul perché abbiamo combattuto la Guerra Civile.

Spero che, raccogliendo questi fatti dimenticati, ciò abbia acceso la curiosità dei lettori, i quali potrebbero rendersi conto che la nostra storia è incompleta, che eventi vitali sono stati cancellati dalla nostra memoria e che dobbiamo impegnarci per recuperare ciò che è andato perduto.

Come possiamo affrontare il futuro senza la guida del passato?

Come dice il vecchio proverbio, tra i due litiganti il terzo gode.

La Gran Bretagna era il proverbiale terzo nel 1861.

Ma chi è il terzo oggi?

E cosa vuole?

Rispondere a queste domande non risolverà tutti i nostri problemi, ma potrebbe almeno consentirci di iniziare a discutere il tema del “divorzio nazionale” in modo costruttivo.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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