lunedì 21 maggio 2018

Non è un problema di cattivi accordi commerciali, ma di denaro fasullo (Parte #1)





di David Stockman


Quella tra Stati Uniti ed Europa sembra davvero una sfida in stile Mezzogiorno di Fuoco, a livello commerciale ovviamente.

In materia di politica commerciale, infatti, Trump ha un considerevole spazio di manovra unilaterale grazie ai poteri presidenziali conferiti dalla sezione 232 della legge del 1962 e dalla sezione 301 della legge del 1974. La prima autorizza misure protezionistiche, compresi i dazi, per salvaguardare la "sicurezza nazionale" e la seconda autorizza tali misure al fine di far rispettare gli accordi commerciali statunitensi o di contrastare pratiche commerciali "sleali" in materia di commercio estero.

Le definizioni arbitrarie dei termini citati (sicurezza nazionale e pratiche sleali) dovevano essere analizzate dagli occupanti della Casa Bianca, e non usate come un inno protezionista da un uomo intossicato da nozioni mercantiliste del XVII secolo.

Ad esempio, si consideri la foglia di fico della difesa nazionale nella sezione 232 che Trump ha sfruttato per i suoi dazi al 25% su $29 miliardi di importazioni annue di acciaio.

L'anno scorso gli Stati Uniti hanno prodotto circa 82 milioni di tonnellate di acciaio e ne hanno importate altre 14 milioni da Canada, Brasile e Messico, i quali sono rispettivamente gli importatori di acciaio n° 1, n° 2 e n° 4 negli Stati Uniti. Quindi sono 96 milioni di tonnellate di disponibilità, supponendo che i nostri vicini non siano tanto sciocchi da dichiarare guerra a Washington e porre un embargo alle loro esportazioni di acciaio negli Stati Uniti.

96 milioni di tonnellate sembrano più che sufficienti a coprire i 3.5 milioni di tonnellate necessari per l'attuale macchina da guerra degli Stati Uniti, secondo il Pentagono; e in realtà il requisito reale sarebbe forse di poche centinaia di migliaia di tonnellate all'anno per proteggere gli Stati Uniti.

Dopotutto, sotto l'attuale stato di cose la vera sicurezza nazionale è puramente una questione di deterrenza nucleare, poiché nessun Paese al mondo ha una possibilità persino remota di invadere il Nord America. Inoltre, l'acciaio utilizzato nella nostra forza di rappresaglia nucleare (sottomarini Trident, missili Minutemen e bombardieri strategici) è stato prodotto molto tempo fa. Cioè, non abbiamo bisogno di altre testate nucleari, né di altro acciaio per lanciarle.

Infatti, se Washington smettesse di sprecare denaro per portaerei, carri armati, navi da sbarco anfibie, missili TOW, aerei per il trasporto aereo e bombe anti-bunker, la difesa nazionale non avrebbe bisogno di molto più acciaio ogni anno di quanto viene prodotto dalla Danimarca (70,000 tonnellate). Nel mondo di oggi l'acciaio militare riguarda l'impero, non la sicurezza nazionale.

Almeno nei suoi tweet Trump non si è nascosto dietro questa farsa della sicurezza nazionale e ha detto che detesta il risultato dell'attuale sistema commerciale globale e progetta di intraprendere azioni drastiche.

La cosa divertente è che Trump ha ragione su una cosa: quasi fino all'anno in cui fu pubblicato il folle Trade Act del 1974, gli Stati Uniti sperimentarono il loro ultimo avanzo commerciale annuale nel 1975.

Da allora c'è stato un continuo e profondo deficit commerciale negli Stati Uniti. Cioè, un tuffo nel rosso di 43 anni che ha segnato l'off-shoring della produzione, dei posti di lavoro e degli stipendi degli Stati Uniti.

In totale, stiamo parlando di circa $15,000 miliardi in più di cose acquistate dall'America rispetto a quelle vendute al resto del mondo sin dal 1975.

A tale proposito, i cosiddetti critici liberali di Trump hanno la testa sepolta nella sabbia perché la maggior parte di loro è keynesiana d'acqua salata (Harvard/FMI/Brookings school), o keynesiana d'acqua dolce (monetaristi/Chicagoboys/AEI).

In entrambi i casi, sembrano pensare che l'America possa accendere prestiti per sempre, un mondo senza fine; e che lo stato di squilibrio dell'economia statunitense dopo quattro decenni di questo tipo di commerci, sia un risultato naturale di mercati del lavoro relativamente liberi.

E invece no!

Anche quando si contano i servizi (turismo, trasporti, assicurazioni, royalties e servizi aziendali), un surplus di $4,000 miliardi durante lo stesso periodo di 43 anni, il deficit delle partite correnti con il resto del mondo è ancora $11,000 miliardi, e questo in dollari di allora. Al potere d'acquisto del 2017, il saldo con il resto del mondo sin dal 1975 è ben più grande dell'attuale PIL degli Stati Uniti.

Quindi, nonostante la sua retorica mercantilista, Trump ha ragione su alcune cose. Infatti è il motivo per cui la sua candidatura ha radunato ampie fasce di votanti nell'entroterra americano, ed è in definitiva il motivo per cui ha avuto successo tra i quartieri industriali di Pennsylvania, Ohio, Michigan, Wisconsin e Iowa.


Ahimè, suddetti $11,000 miliardi (tra le linee blu e arancione) non è opera di sciocchi, o persone incapaci di negoziare nel governo degli Stati Uniti. Vale a dire, l'USTR (rappresentante commerciale degli Stati Uniti), il Dipartimento del Commercio ed i burocrati del Dipartimento di Stato avevano relativamente poco a che fare con tale cifra; né può essere imputata al NAFTA, all'OMC (organizzazione mondiale del commercio), o persino ai globalisti presso l'FMI e la Banca Mondiale.

Invece i nomi dei malfattori sono Alan (Greenspan), Ben (Bernanke) e i Due Janet (Yellen e Powell). L'America sta perdendo terreno a causa del denaro fasullo, non a causa di cattivi accordi commerciali.

Questo perché la pianificazione monetaria keynesiana capisce le cose al contrario. Cerca di gonfiare i prezzi, le retribuzioni ed i costi interni al 2% all'anno (o più, se misurati correttamente) in un mondo brulicante di manodopera a basso costo; quando invece un sistema di denaro onesto avrebbe generato aggiustamenti deflazionistici volti a mantenere l'industria americana competitiva.

Allo stesso modo, la Finanza delle Bolle ha portato ad una drastica repressione finanziaria, a tassi d'interesse ultra bassi e al consumo e alla finanziarizzazione alimentati dal debito; quando invece una moneta sonante avrebbe generato il contrario. Ad esempio, alti tassi d'interesse, bassi consumi e maggiori livelli di risparmio ed investimenti al fine di mantenere un equilibrio sostenibile con il resto del mondo.

Liberare il settore bancario centrale dalle rigidità sane imposte dall'oro, ha aperto la strada affinché l'Eccles Building diventasse un massiccio esportatore di inflazione monetaria. Alla fine queste inondazioni di dollari indesiderati hanno incoraggiato le nazioni inclini al mercantilismo dell'Asia orientale, i Petro-stati, gran parte dei Paesi in via di sviluppo e talvolta anche l'Europa, a comprare dollari ed a gonfiare le proprie valute per prevenire la salita del tasso di cambio e le conseguenti dislocazioni a breve termine nei propri settori di esportazione fortemente sovvenzionati.

Basti dire che nel mondo pre-keynesiano in cui un asset monetario governava il flusso del commercio e della finanza internazionale, e che era ancorato all'oro piuttosto che al credito fiat delle banche centrali, non ci sarebbe stato nulla di simile a $15,000 miliardi di deficit commerciali negli Stati Uniti per oltre 43 anni consecutivi.

Invece i grandi deficit commerciali causati dalla mobilitazione di manodopera a basso costo dalle risaie asiatiche e dall'energia a basso costo proveniente dalle sabbie dell'Arabia, avrebbero generato la loro stessa correzione: ampi disavanzi delle partite correnti degli Stati Uniti avrebbero causato un doloroso deflusso di oro, che, a sua volta, avrebbe causato un aumento dei tassi d'interesse interni, un calo del credito interno e deflazione di prezzi, salari e costi.

Alla fine, le importazioni sarebbero diminuite, le esportazioni sarebbero aumentate e il conto delle partite correnti statunitense sarebbe tornato all'equilibrio, determinando in tal modo un afflusso rinnovato d'oro.

Tuttavia, come è accaduto, l'inflazione monetaria distruttiva della FED si è diffusa come una malattia contagiosa, e in nessun posto è più evidente che nel NAFTA. Il Messico ha praticametne cestinato la sua moneta in risposta all'inflazione del dollaro dopo l'avvio del NAFTA e la crisi del peso nei primi anni '90. Da allora, il tasso di cambio del peso è precipitato da circa 4:1 a 19:1.

Non sorprende se la manodopera già a buon mercato del Messico sia diventata molto più economica in termini di dollari. Per quanto riguarda il Messico, Trump ha centrato il punto. Nel 1991 le esportazioni statunitensi verso il Messico hanno leggermente superato le importazioni, mentre nel 2017 gli Stati Uniti hanno avuto un enorme deficit commerciale da $71 miliardi. Le esportazioni statunitensi in Messico erano solo $243 miliardi, pari al 77% dei $314 miliardi di importazioni statunitensi dal Messico. Tuttavia questo enorme squilibrio non era dovuto all'eliminazione dei dazi e di altri ostacoli nell'ambito dell'accordo NAFTA, entrato in vigore il 1° gennaio 1994; era un fenomeno monetario.


A prescindere dai giochi che i canadesi hanno svolto nella promozione mercantilistica dei singoli prodotti, come i prodotti forestali, il tasso di cambio canadese non è cambiato molto dai primi anni '90, né i suoi prezzi interni, i salari ed i costi in relazione all'economia degli Stati Uniti.

Non sorprende che non vi sia stato alcun cambiamento di tendenza nella bilancia commerciale degli Stati Uniti con il Canada. Sia le importazioni che le esportazioni sono cresciute di circa 4 volte rispetto ai livelli pre-NAFTA. Infatti nel 2017 le esportazioni statunitensi in Canada hanno totalizzato $282 miliardi e le importazioni dal Canada erano $300 miliardi.

Detto in modo diverso, un accordo commerciale presumibilmente "cattivo" avrebbe portato a risultati completamente diversi.


Come abbiamo detto, il massiccio problema commerciale e il conseguente declino dell'economia industriale statunitense negli ultimi decenni è una funzione del denaro fasullo, non di accordi commerciali cattivi.

Quando le nazioni mercantiliste hanno usato l'alluvione dei dollari della FED come scusa per impegnarsi in una persistente soppressione dei tassi di cambio, hanno rubato la produzione e l'occupazione ai lavoratori americani.

Ma come vedremo nella seconda parte, la soluzione è un dollaro forte.



[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://francescosimoncelli.blogspot.it/



=> Potete leggere la Parte 2 a questo indirizzo: https://francescosimoncelli.blogspot.it/2018/05/non-e-un-problema-di-cattivi-accordi_23.html



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