mercoledì 4 ottobre 2023

Un breve resoconto storico dello standard aureo

 

 

di Alasdair Macleod

Mentre aumentano le prove che le principali economie occidentali si stanno dirigendo verso una crisi bancaria e monetaria a causa della contrazione del credito, ci troviamo ad affrontare le conseguenze di uno standard monetario instabile. L’era del fiat standard sta volgendo al termine e la sua morte sarà dolorosa per le economie avanzate altamente indebitate del Nord America, Europa e Giappone. La storia e i precedenti giuridici ci dicono che il denaro fiat morirà e l’oro tornerà a fornire un’ancora ai valori del sistema creditizio.

Come sempre, ci sono lezioni da imparare dalla storia monetaria, in particolare nel contesto delle economie post-feudali dipendenti dal credito, quando si prevedeva che il gold standard avrebbe coperto montagne di credito sotto forma di banconote e depositi bancari.

In questo saggio esaminerò le lezioni tratte dai gold standard del diciannovesimo secolo e gli errori commessi; nella maggior parte dei casi avrebbero potuto essere facilmente evitati.

Un dibattito sul ritorno della copertura aurea per il credito sta diventando sempre più pressante, non solo perché il sistema monetario fiat ha fatto il suo corso, ma perché è sempre più nell’interesse dei Paesi in via di sviluppo abbracciarlo. E a meno che la Russia non si muova per sostenere il suo rublo con l’oro, la sua economia quasi certamente soffrirà di una crescente instabilità.

Sappiamo che fin dagli albori della storia monetaria, la moneta è stata rappresentata da oro, argento o rame mentre tutto il resto era credito. E il rapporto tra moneta e credito fu codificato in una serie di pronunciamenti del diritto romano risalenti alle Dodici Tavole di Roma del 449 a.C. Furono le nazioni successive all'Impero Romano, che si estendevano dalla costa atlantica agli Urali, a colonizzare il mondo, a parte Cina e Giappone. In coincidenza con le Dodici Tavole, fu l'era di Confucio, morto solo trent'anni prima, e la fioritura della filosofia cinese che confermarono conclusioni simili sul denaro. Dalla fine del baratto ci sono stati numerosi tentativi da parte dei governanti di falsare o confiscare fraudolentemente il denaro, solitamente per finanziare guerre o mascherare i propri debiti.

La transizione dal feudalesimo all’industrializzazione fu facilitata dall’espansione del credito, non della moneta, sebbene continuarono ad accumularsi le scorte di oro e argento disponibili per la coniazione. E con tale espansione, i sistemi bancari si sono evoluti per gestire il credito, creandolo a richiesta. In epoca romana esistevano operazioni bancarie rudimentali nel settore del credito, motivo per cui giuristi come Ulpiano, Paolo e Gaio all'inizio dell'era cristiana si pronunciarono sulle differenze tra denaro e credito.

Nel suo trattato Della Moneta del 1751, l’economista italiano Ferdinando Galiani confermò le origini del sistema bancario italiano che si diffuse in tutta Europa:

In particolare, le prime banche erano nelle mani di privati presso i quali le persone depositavano denaro e da cui ricevevano titoli di credito e che erano governate dalle stesse regole delle attuali banche pubbliche. E così gli italiani non solo sono stati i padri, i maestri e gli arbitri del commercio, tanto che in tutta Europa sono stati depositari del denaro e si chiamano banchieri.

Il sistema bancario come lo conosciamo oggi si sviluppò in Inghilterra dagli orafi di Londra, che iniziarono a ricevere in deposito le monete d'oro e d'argento dei mercanti. Non solo accettavano di rimborsarle su richiesta, ma di pagare un interesse del 6% annuo per il loro utilizzo. Di conseguenza, per poter pagare gli interessi promessi, diventavano necessariamente di loro proprietà e le usavano per commerciare come desideravano. Non erano gli amministratori del denaro, ma i suoi proprietari. E le monete depositate presso gli orafi non venivano classificate come depositum da restituire in metallo, ma diventavano di loro proprietà e classificate come mutuum da restituire ai mercanti a richiesta. Questa attività fiorì dopo la Restaurazione nel 1660 e si espanse notevolmente sotto Guglielmo d'Orange, in seguito alla Gloriosa Rivoluzione quando fu bandito il cattolico Giacomo II.

Quando gli orafi ricevevano in deposito il denaro, in cambio concedevano un credito o un diritto di azione in favore del mercante per una pari somma da restituire a richiesta. Era l'onere del banchiere nei confronti del depositante, che nel linguaggio bancario oggi viene definito deposito.

Man mano che questo business diventava mainstream, l’esperienza dimostrò che se alcuni clienti di una banca avessero richiesto il rimborso dei loro depositi o crediti quotidianamente, altri probabilmente avrebbero pagato all’incirca un importo uguale, cosicché alla fine della giornata non ci fosse stata molta differenza nel saldo di cassa. In pratica, si riscontrò che normalmente il saldo della banca differiva raramente da 1/36 del totale dei depositi; pertanto se un banchiere avesse trattenuto 1/10 del suo saldo per soddisfare eventuali richieste di rimborso, ciò avrebbe costituito un'ampia copertura per i deflussi di depositi in condizioni ordinarie.

Significava altresì che i banchieri potevano acquistare cambiali commerciali e di altro tipo in quantità molto maggiori in cambio di un deposito accreditato a favore di chi le vendeva. Trattando il credito in questo modo, la leva finanziaria che il banchiere poteva applicare al proprio bilancio poteva arrivare fino a dieci volte. E con un tasso di sconto sulle cambiali commerciali tipicamente pari o superiore all’8%, i banchieri erano in grado di pagare il 6% ai depositanti e trattenere un buon profitto.

Chiaramente il valore del credito bancario doveva essere espresso in denaro: si prevedeva cioè che un deposito potesse dover essere rimborsato, ma con l'evoluzione dell'attività degli orafi e le montagne di credito create dalla loro attività, si evolvette anche il rapporto tra oro e argento da un lato e obblighi di pagamento dall'altro.

Il gold standard, come lo conoscevano i nostri antenati del diciannovesimo secolo, era fondamentalmente un figlio del governo britannico e della sua banca a Londra, la Banca d’Inghilterra. Quest'ultima aprì i battenti il ​​1° agosto 1694 con un organico di diciannove persone. Per la maggior parte del periodo tra il 1717 e il 1931, la Gran Bretagna gestì un gold standard formale o de facto. Esso nacque dopo che Sir Isaac Newton, in qualità di Maestro della Zecca, valutò la ghinea d'oro a 21 scellini d'argento, segnando un importante passaggio dallo standard argenteo a quello aureo. Dopo un periodo di bimetallismo, l'oro venne gradualmente considerato la misura del valore al posto dell'argento e nel 1816 l'oro fu dichiarato l'unica misura di valore giuridico in Inghilterra. La sterlina divenne l'equivalente in oro di 20 scellini d'argento.

Con il Regolamento della Zecca del 1816, il peso di quaranta libbre di lingotti d'oro venne ridotto a £1.869 sovrane, fissando il prezzo dell'oro a £3/17/6d. Nelle misure moderne una sovrana pesa 7,99 grammi con un contenuto di oro pari a 7,32 grammi.

Negli Stati Uniti prima della Guerra d'Indipendenza prevaleva la legge inglese e alla fine del 1700 i Commentari di Blackstone erano il trattato giuridico standard tra gli americani. Era chiaro cosa costituisse il denaro:

Il denaro è il mezzo del commercio. È prerogativa del re, in quanto arbitro del commercio interno, conferire ad esso tutta l'autorità o renderlo attuale. Il denaro è un mezzo universale o una misura comune rispetto al quale si può determinare il valore di tutte le merci: un segno che rappresenta i rispettivi valori di tutte le merci [...].

La coniazione della moneta è in tutti gli Stati un atto del potere sovrano affinché il suo valore possa essere conosciuto mediante ispezione. E riguardo alla monetazione in generale ci sono tre cose da considerare: i materiali, l'impressione e la denominazione. Per quanto riguarda i materiali, Sir Edward Coke stabilisce che la moneta d'Inghilterra debba essere d'oro o d'argento [...].

Gli autori della Costituzione adattarono Blackstone per sostituire le prerogative del re con il nuovo Congresso, dando al governo federale il potere di battere moneta. Per aggirare questa restrizione, il desiderio di ogni politico spendaccione, il governo federale avrebbe dovuto controllare una banca commerciale per produrre sostituti dell’oro sotto forma di banconote.

Nel 1790 Alexander Hamilton, in qualità di primo segretario del Tesoro, presentò una relazione al Congresso in cui delineava la sua proposta d'istituire una banca di proprietà del governo federale, la Banca degli Stati Uniti, utilizzando lo statuto della Banca d'Inghilterra come base per il suo piano. Fu approvato e uno statuto ventennale fu convertito in legge dal presidente Washington nel febbraio dell'anno successivo successivo. Oltre a fungere da agente fiscale del governo federale e concedergli prestiti, operava anche come banca commerciale, emettendo banconote. Nel 1811 Hamilton morì, il Partito Repubblicano aveva preso il controllo dei Federalisti e lo statuto non fu rinnovato.

Appena cinque anni dopo la proposta di Hamilton, la Banca d'Inghilterra iniziò a sperimentare un significativo drenaggio delle sue riserve di lingotti, a causa della necessità di oro da parte del governo inglese per finanziare la guerra contro la Francia e anche per pagare il grano importato dopo una serie di cattivi raccolti. Nel 1797 la BoE sospese i rimborsi (cioè in monete d'oro e d'argento). La sospensione continuò durante le guerre napoleoniche, quando la BoE gonfiò l'emissione di banconote facendo aumentare il prezzo dell'oro rispetto alla valuta cartacea. Nel 1810 ciò portò alla nomina di una commissione ristretta “per indagare sull’alto prezzo dei lingotti”, la quale concluse che il deprezzamento della moneta era dovuto all’eccessiva emissione di banconote. Ecco il passaggio più rilevante:

[...] c'è attualmente un eccesso di banconote cartacee in circolazione in questo Paese, di cui il sintomo più inequivocabile è l'altissimo prezzo dei lingotti; che questo eccesso sia da attribuire alla mancanza di un controllo sufficiente sulle emissioni di banconote cartacee da parte della Banca d'Inghilterra e alla sospensione dei rimborsi in metallo. Infatti, da un punto di vista generale sull'argomento, la vostra Commiccione è dell'opinione che non si possa trovare alcuna misura sicura, certa e costantemente adeguata contro un eccesso di cartamoneta, sia occasionale che permanente, se non nella convertibilità di tutta questa cartamoneta in metallo. La vostra Commissione non può quindi non vedere motivo di rammaricarsi che la sospensione dei rimborsi in metallo, che, nella luce più favorevole in cui può essere vista, era solo una misura temporanea, è stata portata avanti troppo a lungo; e in particolare che, per il modo in cui è strutturata la presente legge continuativa, si sarebbe dovuto attribuirgli il carattere di una misura di guerra permanente.

La commissione raccomandò al Parlamento che sarebbe stato impossibile giudicare l'imposizione di restrizioni numeriche all'emissione di banconote e che, in assenza di un servizio di cambio tra banconote e monete in metallo, l'unico criterio sicuro doveva essere trovato nel monitoraggio del prezzo dei lingotti e delle monete sui cambi esteri. Fu una conclusione che ha resistito alla prova del tempo, dato che da allora sono falliti tutti i tentativi di gestire l’emissione di banconote e altre forme di credito del sistema bancario centrale per raggiungere la stabilità dei prezzi.

Forse l'implicazione che il Parlamento non fosse in grado di controllare le questioni monetarie era inaccettabile, dato che la relazione di quella commissione venne ignorata. Di conseguenza, essendo priva di restrizioni, la Banca d'Inghilterra era libera di aumentare la sua emissione di banconote senza restrizioni, riducendo ulteriormente il valore in oro della sterlina cartacea.

In un contesto inflazionistico tutti contro tutti, le banconote venivano emesse in numero crescente anche da banche di paesi fuori Londra, in quello che si sarebbe rivelato essere un classico ciclo di espansione del credito bancario. La conseguenza dell'espansione delle banconote fu l'aumento dei prezzi: si stima che tra il 1808 e il 1813 il livello generale dei prezzi al consumo fosse aumentato del 25%. Inevitabilmente seguì una stretta creditizia e tra il 1814 e il 1816 metà delle banche del Paese fallirono nella successiva crisi, riducendo sostanzialmente il volume totale della valuta cartacea circolante. La carenza di banconote fece sì che il valore delle banconote della BoE aumentasse di conseguenza, dimostrando che la commissione sopraccitata aveva ragione nella sua analisi: era impossibile giudicare quali restrizioni imporre all'emissione di banconote e che la soluzione migliore doveva essere trovata in un rapporto stabile con il metallo.

Anche se il Parlamento aveva ignorato quella relazione, essa divenne oggetto di molti dibattiti con il risultato che uomini d'affari e commercianti ne abbracciarono le conclusioni. Convertì anche Robert Peel, che in seguito divenne il primo Primo Ministro con un serio background imprenditoriale. Peel divenne anche presidente della Bullion Committee nel 1819 e promosse una legge che inizialmente introduceva uno standard per i lingotti d'oro, seguita da un ritorno nel 1823 del precedente standard delle monete sovrane. Ma la BoE aveva accumulato abbastanza oro per premere affinché la legge fosse modificata in modo da poter riprendere i rimborsi in monete nel maggio 1821.

Solo tre anni dopo iniziò una corsa alle riserve della BoE, portando le sue riserve di lingotti da £13 milioni nel gennaio 1824 a poco più di £1 milione nel dicembre 1825. Una crisi creditizia si sviluppò a seguito della contrazione dell'emissione di banconote, arrestata solo dalla BoE che emise altre banconote. Alla fine i direttori della Banca d'Inghilterra si convinsero che ci fosse del vero nella relazione della commissione e dal 1827 si sforzarono di garantire che gli attivi del suo bilancio fossero divise per due terzi a favore del debito pubblico e per un terzo in monete d'oro e lingotti.

Di tanto in tanto la BoE ebbe grandi difficoltà a mantenere questa posizione e nel 1839 fu costretta a ottenere prestiti da Parigi e Amburgo per £3.500.000 in oro ed evitare la bancarotta. Le vicissitudini della BoE come emittente di banconote e come banca commerciale portarono a un dibattito tra due scuole di pensiero: quella monetaria e quella bancaria. Per esperienza e, alcuni sostenevano, per proprio interesse, la scuola bancaria era contraria all’approccio basato sulle regole della scuola monetaria, preferendo che la domanda di credito bancario fosse lasciata ai mercati e sottoscrivendo le conclusioni della sopraccitata commissione.

La scuola monetaria sosteneva che l’emissione di banconote doveva essere separata dalle attività bancarie. Si trattava di un approccio basato su regole imposte dalla legge e sull'analisi di David Ricardo del 1824 da cui è rilevante il seguente estratto:

La Banca d'Inghilterra compie due operazioni bancarie, ben distinte e non necessariamente connesse tra loro: emette moneta cartacea in sostituzione di quella metallica e anticipa denaro, sotto forma di prestiti, a commercianti e altri. Da ciò risulterà evidente che queste due operazioni bancarie non hanno alcuna connessione necessaria, che esse potrebbero essere esercitate da due enti separati, senza la minima perdita di vantaggio, sia per il Paese, sia per i commercianti che ricevono tali prestiti.

Di conseguenza, ai sensi del Bank Charter Act del 1844, la Banca d’Inghilterra fu divisa in due dipartimenti: il Dipartimento di Emissione e il Dipartimento Bancario. Gli amministratori dovevano trasferire al Dipartimento di Emissione £14.000.000 in titoli (per lo più azioni governative) e tutte le monete d'oro e lingotti d'oro e d'argento non richiesti dal Dipartimento Bancario. Secondo gli Orders in Council l'ammontare dei titoli fu successivamente aumentato a £15.000.000 per compensare le banche private che cessarono di emettere banconote dopo l'introduzione della legge. L'aumento del bilancio del Dipartimento di Emissione permise di aumentare l'emissione di banconote.

Gli autori della legge del 1844 presupponevano che, se ci fosse stata una contrazione dell'emissione di banconote a causa della presentazione delle banconote in cambio di metallo, la minore quantità di banconote in circolazione ne avrebbe coperto il valore, in modo che l'accordo avrebbe sempre assicurato che una potenziale corsa agli sportelli del Dipartimento di Emissione si sarebbe autocorretta. Emersero, invece, tutta una serie di errori nella formulazione della legge.

Essa, infatti, tentò d'istituire il Dipartimento di Emissione come una banca di deposito, affinché emettesse banconote a fronte di lingotti detenuti sul lato attivo del suo bilancio. Era vietato esercitare credito, ma consentendo al bilancio di registrare attivi per £15 milioni in titoli di debito, si abusò di quel principio, perché tali titoli dovevano essere acquistati tramite l’emissione di credito. Inoltre era evidente che vi erano costi irrecuperabili nella conversione delle monete in banconote e viceversa. Presumibilmente gli autori della scuola monetaria pensavano che questi potessero essere compensati dai proventi sui titoli.

Il secondo errore fu più grave. Gli autori della legge avevano ipotizzato che alla BoE sarebbero state presentate solo banconote in cambio di monete. Avevano omesso di capire che gli assegni incassati nel Dipartimento Bancario potevano essere ugualmente scambiati con monete o lingotti, tanto che quando ci fu una corsa agli sportelli del Dipartimento di Emissione essa venne innescata dagli assegni, non dalle banconote presentate per il rimborso in oro. Ciò smentì la speranza che le banconote coperte dai lingotti ne sostenessero il valore. Questo errore portò alle sospensioni temporanee della legge nel 1847, 1857 e 1865.

Ci fu anche un terzo errore: quando c'erano un certo numero di valute basate su standard aurei (che era sempre il caso de facto o de jure), si sarebbe verificata una corsa agli sportelli delle riserve auree del Dipartimento di Emissione se la BoE avesse mantenuto il tasso di sconto troppo basso. Per illustrare questo punto, nel 1799 ci fu una crisi bancaria ad Amburgo e il tasso di sconto salì al 15%, attirando lingotti da Londra. 

Per capire perché le cose andarono così, bisogna tenere presente che sia il capitale che gli interessi erano rimborsabili in oro o sostituti dell’oro. Pertanto, indipendentemente dagli squilibri commerciali e da altri fattori che avrebbero potuto essere attribuiti ai rischi relativi tra un centro e l’altro, quando il tasso di sconto tra due luoghi differiva di più del costo di spostamento dell’oro, quest'ultimo sarebbe fluito da dove lo sconto era più basso a dove era più alto.

La legge avrebbe potuto funzionare, nonostante il fatto che il Dipartimento di Emissione non fosse una vera e propria banca di deposito, se oltre ai poteri conferitigli gli fosse stato dato anche il potere di fissare il tasso di sconto al solo intento di conservare la riserva di lingotti. In ciascuno dei tre fallimenti sopra menzionati, fu questo potere nelle mani del Dipartimento Bancario che portò a corse agli sportelli per le riserve auree della BoE e alla sospensione della legge nel 1847, 1857 e 1866.

Il punto è che non era possibile avere una funzione di emissione di banconote rimborsabili in oro su richiesta come parte di un’attività bancaria più ampia, come gli americani capirono quando il Congresso non rinnovò lo statuto ventennale della Banca degli Stati Uniti nel 1811.

Prima del 1834, gli Stati Uniti adottarono uno standard bimetallico (oro e argento), passando all’oro nel 1834 ad un tasso di $20,67 l’oncia, confermato dal Gold Standard Act nel 1900 e che continuò a quel tasso fino al 1933 anno dell’Executive Ordine del presidente Roosevelt che ne annullò il possesso per i cittadini statunitensi. Il fatto che il gold standard americano sia rimasto per quasi un secolo senza alterazioni o compromessi attraverso i cicli del credito bancario è la prova che una banca centrale, anche divisa in dipartimenti, è talmente conflittuale nei suoi obiettivi da essere incapace di garantire la stabilità monetaria. Fu solo l’istituzione della FED nel 1913 e la sua ingerenza post-bellica nei mercati del credito che portarono alla svalutazione del dollaro.

Sappiamo dalla lunga storia della divisione del lavoro che la moneta e il credito hanno fatto progredire la condizione umana dopo le restrizioni del baratto. E sappiamo anche che il credito deve trarre il suo valore da una forma di credito più elevata per la quale non esiste rischio di controparte. Sia nella pratica che nella giurisprudenza, per quasi 2.500 anni tale forma più elevata di credito è stata la moneta metallica.

La situazione odierna, in cui il credito delle banche commerciali trae il suo valore dal credito dello stato, è un'aberrazione. Infatti ogni volta che lo stato ha cercato di assumere il controllo definitivo sul credito commerciale, ha sempre fallito. Il nostro attuale sistema monetario, in vigore dalla sospensione dell’accordo di Bretton Woods nel 1971, ha ormai fatto il suo corso. Non vi sono dubbi sul fatto che, per quanto a lungo si resisterà alla sua conclusione, i precedenti giuridici e storici alla fine avranno la meglio: l’oro tornerà ad essere il sostegno ultimo per tutto il credito e quindi per il valore di tutte le attività commerciali e della ricchezza.

Non c’è dubbio che il ritorno a un gold standard incontrerà una forte resistenza da parte dei governi occidentali, i quali sono arrivati ​​a dipendere dall’espansione del loro credito per finanziare la spesa in eccesso. Come abbiamo visto quando il Parlamento britannico ignorò il Bullion Report del 1810, la classe politica ha la convinzione che la moneta e il credito siano qualcosa che possa essere controllato, e qualsiasi prova contraria viene ignorata. Il fallimento dell’economia di libero mercato nel guadagnare terreno intellettuale contro gli interessi statalisti ha molti esempi nella storia. La scuola storica tedesca adottò la Teoria statale della moneta di Georg Knapp del 1905, liquidando gli intellettuali viennesi come un gruppo di bifolchi (gli Austriaci).

Fu così che, nonostante il crollo delle valute cartacee europee sulla scia della prima guerra mondiale, le lezioni che si sarebbero dovute trarre dal distacco del credito dai metalli non furono apprese. Possiamo sempre prevenire un problema monetario gestendolo meglio, era il grido statalista; e quando i ruggenti anni venti, alimentati dall’espansione del credito durante la presidenza di Benjamin Strong alla FED, finirono con la crisi di Wall Street nel 1929-1932 che provocò la successiva depressione, la colpa fu invece additata all’economia di libero mercato. Non bisognava permettere che ciò accadesse di nuovo, dissero gli statalisti; gli economisti abbandonarono il libero mercato e il denaro sano/onesto e abbracciarono la macroeconomia e la modellistica statistica.

L’establishment non era attrezzato per affrontare le sfide legate a un ritorno alla stabilità monetaria. I cosiddetti esperti non erano più in grado di diagnosticare i problemi in anticipo, reagendo invece agli eventi solo con il motivo principale di preservare lo status quo. Tutto ciò che possiamo dire è che all’indomani di Waterloo i leader britannici di Liverpool, Castlemaine, Beresford e Wellington credevano nel denaro sano/onesto, comprendevano l’importanza del libero mercato, credevano in Adam Smith e nell’importanza di un gold standard. Dopo Waterloo venne messa in moto un'economia che si espanse in termini reali sulla base del non intervento, consentendo al debito pubblico di scendere dal 172% del PIL stimato nel 1819 al 21% nel 1914. Secondo la ricerca della Banca d'Inghilterra, questo debito scese da un totale di £893 milioni a £706 milioni tra suddette date. Un ulteriore vantaggio del finanziamento pubblico era l'utilizzo di stock di prestiti consolidati senza data, che non dovevano mai essere rifinanziati o riscattati. 

Questo è l’altro aspetto essenziale dietro il denaro sano/onesto: la disciplina sulla spesa pubblica. Nel 1820, una volta terminata la spesa in tempo di guerra, la spesa pubblica ammontava solo al 13% del PIL, lasciando alle imprese e agli individui l’87% del proprio denaro con cui svolgere le proprie attività. Oggi la spesa pubblica è molto più elevata, superando addirittura la metà dell'intera economia in alcune nazioni europee. A meno che questi eccessi non vengano drasticamente ridotti, non vi è alcuna possibilità che un nuovo standard aureo possa durare.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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