venerdì 2 luglio 2010

Guerra e politica estera #3


di Murray N. Rothbard


Politica estera sovietica

In un capitolo precedente abbiamo già affrontato i problemi della difesa nazionale, astraendo dalla questione se i russi sono realmente decisi a tutti i costi a scatenare un'attacco militare sugli Stati Uniti. Sin dalla seconda guerra mondiale la politica interna ed estera americana, almeno retoricamente, si è basata sull'ipotesi di una possibile minaccia di attacco da parte della Russia – una supposizione che ha permesso di guadagnare consenso pubblico per l'interventismo globale americano e per fare debiti per miliardi di dollari con le spedizioni militari. Quanto realistica e quanto fondata è questa ipotesi?

Primo, non c'è dubbio che i sovietici, insieme a tutti gli altri marxisti-leninisti, vorrebbero rimpiazzare tutti i sistemi sociali esistenti col regime comunista. Ma tale intenzione scarsamente implica qualsiasi sorta di minaccia di attacco realistica – proprio come una malattia desidera attaccare i soggetti, difficilmente ciò può essere preso come una previsione realistica di un'imminente attacco. Al contrario, il marxismo-leninismo stesso crede che una vittoria del comunismo sia inevitabile – non sulle ali della forza esterna, ma piuttosto con l'accumulazione di tensioni e "contraddizioni" dentro ogni società. Così il marxismo-leninismo considera che la rivoluzione interna (o, come nella versione "euro-comunista corrente", cambiamento democratico) porti all'inevitabile instaurazione del comunismo. Allo stesso tempo crede che ogni imposizione coercitiva esterna del comunismo nel migliore dei casi sia sospetta e nel peggiore sia un tentativo distruttivo e controproducente per un genuino cambiamento sociale. Ogni idea d' "esportazione" del comunismo in altri paesi sulle spalle dei militari sovietici è totalmente contradditoria alla luce delle teorie marxiste-leniniste.

Certamente non stiamo dicendo che i leaders sovietici non farebbero mai niente contro la teoria marxista-leninista. Ma se affermiamo che loro agiscono come dei ordinari dominatori di una forte nazione-stato russa, allora il caso di un'imminente minaccia sovietica agli Stati Uniti è largamente debole. L'unica base addotta a simile minaccia, come dichiarato dai nostri "alfieri della guerra fredda", è la devozione dichiarata dell'Unione Sovietica alle teorie marxiste-leniniste e il suo ultimo fine che prevede il trionfo del comunismo in tutto il mondo. Se i capi sovietici dovessero semplicemente agire come dittatori russi tenendo conto solo dell'interesse della propria nazione-stato, allora l'intera base per cui si trattano i sovietici come un'unica diabolica sorgente di un'assalto militare cadrebbe a terra.

Quando i bolscevichi presero il potere in Russia nel 1917 diedero poco pensiero ad una futura politica estera sovietica, poichè loro erano convinti che la rivoluzione comunista sarebbe ben presto attecchita negli altri paesi industrialmente avanzati dell'Europa occidentale. Quando queste speranze si frantumarono dopo la fine della prima guerra mondiale, Lenin ed i suoi seguaci bolscevichi adottarono la teoria della "coesistenza pacifica" come base per la politica estera di uno Stato comunista. L'idea era questa: come primo movimento comunista vittorioso, la Russia sovietica sarebbe servita come segnale per tutti gli altri partiti comunisti nel mondo. Ma lo Stato sovietico, in quanto Stato, avrebbe dovuto dedicare se stesso a relazioni pacifiche con altri paesi e non avrebbe dovuto tentare di esportare il comunismo tra gli altri Stati con espedienti bellici. L'idea qui non era solo seguire le teorie marxiste-leniniste, ma seguire il percorso pratico di mantenere viva l'esistenza dello Stato comunista come come più importante scopo della politica estera; proprio così, mai mettere in pericolo lo Stato sovietico attaccando battaglia con altri Stati. Ci si aspettava che gli altri paesi diventassero comunisti attraverso processi interni tutti loro.

Sebbene, fortuitamente, da un mix di concetti pratici e teorici tutti propri, i sovietici arrivarono presto a ciò che i libertari considerano essere la sola ed unica strategia per la politica estera. Col passare del tempo questa linea politica fu rinforzata da un "conservatorismo" che sorpassò tutti gli altri movimenti dopo che avevano acquisito e mantenuto il potere per molto tempo; tale conservatorismo fece guadagnare terreno a quegli interessi che avrebbero condensato sempre di più il potere sopra una singola nazione-stato rispetto all'idea iniziale di rivoluzione mondiale. Questo crescente conservatorismo sotto Stalin ed i suoi successori rafforzò e solidificò quella politica di non-aggressione e "coesistenza pacifica".

I Bolscevichi, invece, iniziarono la loro storia di successo diventando letteralmente l'unico partito politico in Russia a volere, sin dalla prima guerra mondiale, un'uscita immediata della stessa Russia fuori dalla guerra. Andarono oltre, invece, e si accollarono enormi impopolarità tra le persone auspicando la sconfitta del "loro stesso" governo ("sconfitta rivoluzionaria"). Quando la Russia iniziò a riportare pesanti perdite, accompagnate dalla massiccia diserzione militare sul fronte di guerra, ed il conflitto divenne estremamente impopolare, i Bolscevichi, guidati da Lenin, continuarono ad essere l'unico partito a richiedere l'immediata uscita dalla guerra – gli altri partiti ancora giuravano di combattere i tedeschi fino alla fine. Quando i Bolscevichi presero il potere, Lenin, nonostante le opposizioni isteriche perfino della maggioranza del consiglio centrale bolscevico, insistette per concludere i trattati "di resa" di Brest-Litovsk nel marzo del 1918. Qui Lenin ebbe successo a portare la Russia fuori dalla guerra, perfino al prezzo di cedere alla vittoriosa armata tedesca tutte le parti dell'impero russo che dopo occupò (inclusa la Russia bianca e l'Ucraina). Così Lenin ed i Bolscevichi iniziarono il loro regno non comportandosi semplicemente da partito della pace, ma in pratica da partito della "pace a qualsiasi prezzo".

Dopo la prima guerra mondiale e la sconfitta della Germania, il nuovo Stato polacco attaccò la Russia ed ebbe successo nel conquistare un grande pezzo di Russia bianca e l'Ucraina. Avvantaggiandosi del disordine e della guerra civile in Russia alla fine della guerra, varie altre nazioni – Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania – decisero di staccarsi dai confini pre-bellici dell'impero russo e dichiararono la loro indipendenza nazionale. Ora, mentre il leninismo predicava solo a parole l'auto-determinazione nazionale, ai comandanti sovietici era chiaro sin dall'inizio che i confini del vecchio Stato russo dovessero rimanere inalterati. L'armata rossa riconquistò l'Ucraina, non solo dai Bianchi ma anche dai nazionalisti ucraini e dall'indegna armata anarchica ucraina di Nestor Makhno. Per il resto era limpido che la Russia, come la Germania negli anni '20 e '30, era un paese "revisionista" nei confronti degli accordi di Versailles del dopoguerra. Proprio così, l'obiettivo della politica estera di Germania e Russia era quello di riconquistare i territori persi dopo la prima guerra mondiale – ciò che loro consideravano i "veri" confini dei loro rispettivi Stati. Si dovrebbe notare che ogni partito politico o tendenza in Germania e Russia, nonostante fosse al governo o all'opposizione, era d'accordo con questo proposito di pieno recupero dei territori nazionali.

Ma, dovrebbe essere sottolineato, che mentre la Germania di Hitler adottò pesanti misure per ricatturare le terre perdute, i conservatori e prudenti comandanti sovietici non fecero assolutamente nulla. Solo dopo il patto Stalin-Hitler e la conquista della Polonia da parte della Germania, i Sovietici furono stimolati a riconquistare i loro territori perduti non avendo più pericoli da affrontare nel fare ciò. Nel dettaglio i Russi si ri-impossessarono dell'Estonia, della Lettonia, della Lituania come anche delle vecchie terre russe nella Russia Bianca e dell'Ucraina che è stata sotto la Polonia orientale. E furono in grado di fare tutto questo senza un combattimento. La vecchia Russia pre-guerra mondiale era stata ristorata con l'eccezione della Finlandia. Ma la Finlandia si preparava alla lotta. Qui però la Russia richiedette la re-incorporazione non dell'intera Finlandia, ma solo le parti dell'Istmo di Karelia che erano etnicamente russe. Quando i finlandesi declinarono la richiesta, ne conseguì la "guerra d'inverno" (1939-1940) che finì con i finlandesi che rinunciavano solo alla Karelia russa.[1]

Il 22 giugno 1941 la Germania, vittoriosa su tutti tranne che sull'Inghilterra, lanciò un improvviso, massiccio e non provocato attacco nei confronti della Russia, un atto di aggressione sostenuto e favorito da altri Stati pro-Germania in Europa orientale: Ungheria, Romania, Bulgaria, Slovacchia e Finlandia. Questa invasione della Germania e dei suoi alleati diventò ben presto uno dei fatti cardine nella storia d'Europa fino a quel momento. Nonostante Stalin era impreparato per l'assalto, aveva così fiducia nella razionalità dell'accordo di pace Germania-Russia in Europa orientale che permise all'armata russa di cadere nel panico. Stalin era così non bellicoso che la Germania fu abile a conquistare quasi tutta la Russia in mezzo a tanto scalpore. Però Hitler si fece persuadere dal richiamo delle sirene anti-comuniste buttando via un'atteggiamento prudente e razionale innescando, quindi, l'inizio della sua rovina, altrimenti la Germania avrebbe avuto un controllo indefinito su tutta l'Europa.

La mitologia degli alfieri della guerra fredda di solito concorda col fatto che i sovietici non erano intenzionalmente aggressivi fino alla seconda guerra mondiale – invece furono costretti ad asserire questo punto, dal momento che molti di loro approvavano con entusiasmo l'alleanza Stati Uniti-Russia contro la Germania nella seconda guerra mondiale. Fu durante ed immediatamente dopo la guerra, loro dissero, che la Russia divenne espansionista mirando all'Europa orientale.

Ciò che questa imputazione trascura è il fatto centrale che fu la Germania ed i suoi alleati ad assaltare la Russia nel giugno del 1941. Non c'è alcun dubbio che la Germania ed i suoi alleati scatenarono la guerra. Da qui, per sconfiggere gli invasori, era ovvia la necessità per i russi di respingere le armate nemiche e conseguentemente conquistare la Germania e gli altri paesi guerreggianti dell'Europa orientale. E' più giusto dire che gli Stati Uniti, e non la Russia, divennero degli espansionisti visto che conquistarono ed occuparono l'Italia e parte della Germania – dopo tutto gli Stati Uniti non furono mai attaccati direttamente dai tedeschi.

Durante la seconda guerra mondiale gli Stati Uniti, l'Inghilterra e la Russia, i tre grandi alleati, erano d'accordo che tutte e tre le potenze militari, dopo l'occupazione di un territorio, avrebbero dovuto avere una parte nei territori conquistati. Gli Stati Uniti furono i primi a rompere questo accordo non permettendo alla Russia di giocare un ruolo (nemmeno marginale) nell'occupazione militare dell'Italia. Nonostante questa seria rottura dei patti, Stalin mostrò la sua profonda predilizione negli interessi conservatori dello Stato-nazione russo invece di rimanere fedele ad un'ideologia rivoluzionaria tradendo ripetutamente ed indegnamente i movimenti comunisti. Per preservare relazioni pacifiche tra la Russia e l'occidente, Stalin cercava di smorzare continuamente i successi dei movimenti comunisti. Fu vittorioso in Francia ed Italia, dove i gruppi di partigiani comunisti avrebbero potuto facilmente prendere il potere sulla scia della ritirata dei tedeschi; ma Stalin gli ordinò di non farlo, persuadendoli ad unirsi ai governi della coalizione comandate da partiti anti-comunisti. In entrambi i paesi i comunisti furono subito buttati fuori dalla coalizione. In Grecia, dove i partigiani comunisti presero quasi il potere, Stalin li indebolì irrimediabilmente abbandonandoli e pressandoli a consegnare il potere nelle mani delle nuove truppe d'invasione, gli inglesi.

In altri paesi, particolarmente quelli in cui i gruppi di partigiani erano forti, i comunisti rifiutarono apertamente le richieste staliniane. In Yugoslavia il vittorioso Tito rifiutò la pretesa staliniana di sottomettersi all'anti-comunista Mihailovich in una coalizione di governo; Mao allo stesso modo si rifiutò di subordinarsi a Chiang Kai-shek. Non c'è dubbio che questi rifiuti diedero il via ai successivi importanti scismi all'interno del movimento comunista.

La Russia, d'altro canto, governò l'Europa orientale come un'occupatore militare dopo che vinse la guerra mossa contro di essa. Lo scopo iniziale della Russia non era di rendere comunista l'est europeo con l'uso dell'armata sovietica. Il suo vero fine era assicurarsi che quella parte d'Europa non fosse una grande autostrada per un'assalto verso la Russia stessa, come accadde per tre volte in mezzo secolo – l'ultimo dei quali la portò in una guerra che massacrò più di venti milioni di russi. In breve, la Russia voleva paesi nei suoi confini che non fossero anti-comunisti in senso militare e che non venissero usati come trampolino per un altra invasione. Le condizioni politiche in Europa orientale erano queste, solo nella più moderna Finlandia esistevano politici non-comunisti di cui la Russia potesse fidarsi per raggiungere una linea pacifica di politica estera. In Finlandia questa situazione fu il risultato della lunga vista di un uomo con grande esperienza politica, il leader degli agrari Julio Paasikivi. Ciò perchè la Finlandia, prima e dopo, seguì fermamente la "linea di Paasikivi" secondo la quale la Russia avrebbe dovuto ritirare le proprie truppe dalla Finlandia e non insistere a far diventare comunista il paese – anche se la Russia aveva combattuto due guerre con la Finlandia nei precedenti 6 anni.

Negli altri paesi dell'est Europa la Russia aderì alle varie coalizioni di governo per svariati anni dopo la guerra e riuscì a renderli completamente comunisti solo nel 1948 – dopo tre anni di ostinate pressioni americane che cercavano di scacciare la Russia da questi paesi. In altre aree, come Austria ed Azerbaijan, la Russia prontamente rititò le sue truppe.

Gli alfieri della guerra fredda trovavano difficoltoso spiegare le azioni russe in Finlandia. Se la Russia è stata sempre determinata ad imporre il comunismo dovunque potesse, perchè allora la "linea sottile" in Finlandia? L'unica spiegazione plausibile fu la sicurezza della nazione-Stato russa contro un qualsiasi attacco, lasciando il successo del comunismo nel mondo ad un livello più basso nella scala delle priorità.

Infatti non furono mai capaci di spiegare ed accettare i profondi scismi all'interno del movimento comunista mondiale. Poichè se tutti i comunisti fossero stati governati da una comune ideologia, allora ogni comunista in qualsiasi luogo avrebbe dovuto essere parte di un'unico filone, quello che, scaturito dai primi successi ai Bolscevichi, avrebbe fatto di loro dei subordinati o "agenti" di Mosca. Se i comunisti sono principalmente motivati dal loro retaggio marxista-leninista, come avvenne la profonda divisione tra Cina e Russia, per esempio, dove quest'ultima manteneva circa un milione di truppe all'erta sul confine cinese? Come nacuqe l'ostilità tra gli Stati comunisti Yugoslavia ed Albania? Come è nato l'attuale conflitto tra comunisti cambogiani e comunisti vietnamiti? La risposta, ovviamente, è che una volta che un movimento rivoluzionario conquista il potere statale, inizia molto velocemente a mescolare le prerogative di classe dirigente con quelle di interesse a conservare il potere statale. Le rivoluzioni mondiali iniziano a sbiadire, nelle loro concezioni, fino a diventare insignificanti. E finchè le elites statali hanno interessi conflittuanti in potere e ricchezza, non è una sorpresa che le lotte tra comunisti sono diventate endemiche.

Sin dalla vittoria sull'aggressione dei tedeschi e dei loro alleati nella seconda guerra mondiale, i sovietici hanno continuato ad essere conservativi nella loro politica militare. Il loro unico uso delle truppe è stato per difendere i territori del blocco comunista, piuttosto che espanderlo di più. Perciò quando l'Ungheria minacciò di lasciare il blocco sovietico nel 1956 o la Cecoslovacchia nel 1968, i sovietici intervennero con le armate – sicuramente un'azione riprovevole, ma in fin dei conti fu una condotta conservativa e difensiva piuttosto che espansionistica. (I sovietici apparentemente davano ancora peso al pensiero di invadere la Yugoslavia dopo che Tito la slegò dal blocco sovietico, ma le formidabili qualità in combattimento delle armate yugoslave funzionavano da deterrente.) In nessun caso la Russia usò le truppe per estendere il suo blocco o per conquistare ulteriori territori.

Il professor Stephen F. Cohen, direttore del programma di studi in russo a Princeton, ha recentemente delineato la natura del conservativismo sovietico nella politica estera:

«Potrebbe sembrare assurdo che un sistema nato dalla rivoluzione ed ancora manifestante idee rivoluzionarie, sia diventato uno dei più conservativi al mondo. Ma tutti quei differenti fattori, molto importanti nelle politiche sovietiche, hanno contribuito al conservatismo: la tradizione burocratica del governo russo prima della rivoluzione; la seguente burocratizzazione della vita sovietica, che diede vita a norme conservative e creò un'intrecciata classe di zelanti difensori dei privilegi burocratici; la natura geriatrica dell'elite odierna; perfino l'ideologia ufficiale, la cui spinta scemò molti anni prima la creazione del un nuovo ordine sociale....

In altre parole, la spinta principale del conservatismo sovietico quest'oggi è preservare ciò che si ha già in casa ed all'estero, non di frammentarlo. Un governo conservatore è, di certo, capace di azione militarmente pericolose, come abbiamo visto in Cecoslovacchia....ma questi sono atti di protezionismo imperiale, una sorta di difesa militare, e non di tipo rivoluzionario o aggressivo. E' sicuramente vero che per molti capi sovietici, come anche per molti leaders americani, la distensione non sia uno sforzo altruistico bensì la soddisfazione di interessi nazionali. In un certo senso ciò è triste. Ma è anche probabilmente vero che gli interessi condivisi provvedono ad una base più duratura per la distensione piuttosto che per un'altezzoso e vuoto altruismo.»[2]


Similarmente il direttore della CIA William Colby, un'impeccabile fonte anti-sovietica, trova preoccupante l'interesse dei sovietici a perseguire uno scopo difensivo nell'evitare un altra catastrofica invasione dei loro territori. Così Colby si espresse davanti alla Commissione Senatoriale degli Affari Esteri:

«Troverete una preoccupazione, a volte paranoica, circa la loro [dei sovietici] stessa sicurezza. Scoprirete la determinazione che li motiva a non essere mai più invasi e messi nella condizione tumultuosa che hanno passato durante le differenti invasioni....Penso che loro....vogliano proteggersi fini all'inverosimile, per essere sicuri che ciò non accada mai più...»[3]


Anche i cinesi, nonostante la loro furia, hanno perseguito una pacifica e conservativa politica estera. Non solo hanno fallito nell'invadere Taiwan, riconosciuto internazionalmente come parte della Cina, ma loro hanno perfino permesso alle isole Quemoy e Matsu di rimanere nelle mani di Chiang Kai-shek. Nessuna mossa fu fatta contro l'occupazione inglese-portoghese di Hong Kong e Macao. E la Cina fece perfino il passo inusuale di dichiarare un cessate il fuoco unilaterale e ritirare le forze nei propri confini dopo aver trionfato facilmente sulle armate indiane durante la battaglia scoppiata tra i loro confini.[4]


Evitare a priori la storia

C'è ancora una tesi in comune tra americani e libertari che potrebbe impedire loro di assorbire l'analisi di questo capitolo: il mito proposto da Woodrow Wilson che le democrazie devono portare inevitabilmente pace ed amore mentre le dittature la guerra. Questa tesi fu altamente conveniente a Wilson per coprire le sue colpe di aver trascinato l'America in una guerra mostruosa ed inutile. Ma a parte ciò, semplicemente non ci sono prove che dimostrino questa asserzione. Molte dittature si sono dedicate solo al loro paese, rimanendo cautamente tra i loro confini per tormentare i propri cittadini: gli esempi vanno dal pre-moderno Giappone alla comunista Albania, fino alle innumerevoli dittature nel Terzo Mondo di oggi. L'ugandese Idi Amin, forse il più brutale e repressivo dittatore nel mondo ai giorni d'oggi, non mostra di voler frantumare il suo regime inavdendo i paesi vicini. Dall'altra parte, una così indubbia democrazia come l'Inghilterra ha ricoperto col suo imperialismo coercitivo tutto il globo durante il diciannovesimo ed i precedenti secoli.

La ragione teorica per cui risulta fuorviante concentrarsi solo su democrazia o dittatura è che gli Statitutti gli Stati – dominano la loro popolazione e decidono se fare o meno la guerra. E tutti gli Stati, che siano formalmente una democrazia o una dittatura o qualsiasi altra forma di dominio, sono gestiti da una elite dirigente. Al di là della volontà di queste elites, in ogni particolare caso, ciò che scatenerà la guerra verso un altro Stato è una funzione di una intricata ragnatela di cause che include il temperamento dei dirigenti, la forza dei loro nemici, le istigazioni alla guerra, l'opinione pubblica. Mentre quest'ultima deve essere valutata in ogni caso, la sola vera differenza tra una democrazia ed una dittatura circa la guerra è che più propaganda possibile deve essere diffusa ad ogni singolo cittadino per costruire la loro approvazione. Una massiccia propaganda è necessaria in ogni caso – come possiamo vedere dal carattere plasma-opinioni di tutti i moderni Stati guerreggianti. Ma lo Stato democratico deve lavorare più velocemente e duramente. Lo Stato democratico deve essere anche più ipocrita nell'uso della retorica, designata per appellarsi ai valori della massa: giustizia, libertà, interesse nazionale, patrittismo, pace nel mondo, etc. Quindi negli Stati democratici l'arte di fare propaganda sui propri cittadini deve essere più sofisticata e raffinata. Questo, come abbiamo visto, è vero per tutte le decisioni governative, non solo per la guerra o la pace. Tutti i governi – specialmente quelli democratici – devono lavorare duramente per persuadere i loro cittadini che tutti i propri desideri di oppresione sono in realtà nel miglior interesse dei cittadini.

Ciò che abbiamo detto circa la democrazia e la dittatura si applica egualmente alla mancanza di correlazione tra il grado di libertà interna in un paese e quello della sua aggressività estera. Alcuni Stati si sono dimostrati perfettamente capaci di permettere, internamente, un considerevole livello di libertà mentre si dimostravano aggressivamente guerrafondai all'estero; altri Stati si sono dimostrati capaci di una dominazione totalitaria, internamente, mentre all'estero perseguivano una politica pacifica. Gli esempi di Uganda, Albania, Cina, Inghilterra, etc. si applicano molto bene in questo confronto.

In breve, i libertari e gli altri americani devono diffidare dalla storia a priori: in questo caso contro l'asserzione che, in ogni conflitto, lo Stato che è più democratico o permette maggiori libertà interne sia necessariamente o presumibilmente la vittima dell'aggressione da parte di quello Stato più dittatoriale o tatalitario. Semplicemente non esiste nessuna prova storica per questa supposizione. Nello stabilire chi sia nel giusto e nello sbagliato, col relativo grado di aggressessività, in ogni disputa di politica estera non c'è nessun sostituto che la disputa stessa per un'investigazione dettagliata, empirica e storica della stessa. Non ci dovrebbe essere nessuna sorpresa, quindi, se suddetta investigazione conclude che i democratici e denigratori della libertà Stati Uniti sono stato più aggressivi ed imperialisti nelle questioni estere rispetto ad una totalitaria Russia o Cina. Viceversa, lodare uno Stato per essere stato meno aggressivo nelle questioni estere in nessun caso implica che l'osservatore sia in ogni caso simpatizzante per condotta interna di quello Stato. E' vitale – davvero una questione di vita o di morte – che gli americani siano capaci di vedere con un occhio più critico e con sangue freddo, senza l'influenza di miti e propaganda, la condotta della politica estera del governo, così come lo fanno crescentemente con la politica interna. La guerra e la fasulla "minaccia esterna" sono state per lungo tempo le scuse principali con cui lo Stato siè garantito la lealtà dei suoi cittadini. Come abbiamo visto, la guerra e il militarismo sono state la tomba del liberalismo classico; non dobbiamo permettere mai più allo Stato di continuare la sua opera con questo stratagemma.[5]


Un programma di politica estera

A conclusione del nostro discorso la prima tavola di un programma di politica estera libertaria per l'America deve essere basato sull'abbandono da parte degli Stati Uniti della sua politica di interventismo globale: ritirararsi completamente ed immediatamente (ovvero militarmente e politicamente) dall'Asia, l'Europa, dall'America Latina, dal Medio Oriente, dappertutto. Il grido tra i libertari americani dovrebbe essere per il ritiro degli Stati Uniti adesso, da ogni luogo in cui il governo statunitense è coinvolto. Gli Stati Uniti dovrebbero smantellare le loro basi, ritirare le loro truppe, fermare le loro incessanti politiche impiccione ed abolire la CIA. Dovrebbero essere anche interrotti tutti gli aiuti esteri – che sono solo un semplice meccanismo per forzare i contribuenti americani a sovvenzionare le esportazioni americane e favorire gli Stati esteri, tutto ciò nel nome del "sostegno delle persone che muoiono di fame nel mondo". In breve il governo statunitense dovrebbe ritirarsi interamente entro i suoi confini e mantenere una linea politica strettamente "isolazionista" o neutrale ovunque.

Lo spirito di questo ultra-"isolazionismo" della politica estera libertaria fu espresso durante il 1930 dal congedato general maggiore del corpo dei Marines, Smedley D. Butler. Nell'autunno del 1936 il generale Butler propose un, ormai dimenticato, emendamento costituzionale, il quale avrebbe deliziato i cuori dei libertari se fosse stato preso seriamente. Qui l'emendamento costituzionale proposto da Butler nella sua interezza:

  1. E' proibito, con la presente, per qualunque ragione lo spostamento di membri delle forze armate di terra al di fuori dei limiti continentali degli Stati Uniti e della zona del canale di Panama.

  2. E' proibita, con la presente, per qualunque ragione la navigazione per vascelli della marina degli Stati Uniti o di altri ranghi dei servizi armati, eccetto per tentativi di salvataggio, per più di 500 miglia dalla nostra costa.

  3. E' proibito, con la presente, per qualunque ragione il volo per l'aviazione, la marina ed il corpo dei Marines, per più di 750 miglia oltre la costa degli Stati Uniti.[6]


Disarmo

Lo stretto isolazionismo e la neutralità, quindi, sono la prima tavola della politica estera libertaria, con l'aggiunta del riconoscimento della responsabilità principale allo Stato americano per la guerra fredda e l'entrata in guerra in qualsiasi altro conflitto di questo secolo. Acquisito l'isolamento, comunque, che tipo di politica sulle armi dovrebbero perseguire gli Stati Uniti? Molti degli isolazionisti originali chiedevano una politica dell' "armati fino ai denti"; ma tale programma, in un'epoca nucleare, tiene in gioco il grave rischio di un'olocausto globale, di uno Stato pesantemente armato e dell'enorme spreco e distorsione che l'improduttiva spesa di governo impone all'economia.

Perfino da un puerile punto di vista militare gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica hanno il potere di annientarsi a vicenda molte volte; e gli Stati Uniti potrebbero facilmente evitare tutta questa potenza di rappresaglia nucleare gettando tra i rottami ogni armamento eccetto i sottomarini Polaris che sono indistruttibili ed armati con missili nucleari muniti di obiettivo multi-bersaglio. Per i libertari, anzi per chiunque preoccupato di una distruzione nucleare di massa dell'umanità, perfino disarmare i sottomarini Polaris sarebbe una regolamentazione scarsamente soddisfacente. La pace nel mondo continuerebbe ad appoggiarsi su di un debole "bilanciamento del terrore", che potrebbe essere sempre sconquassato da un incidente o da azioni compiute da fanatici assetati di potere. No; per chiunque voglia sentirsi al sicuro da una minaccia nucleare è di vitale importanza ottenere il disarmo nucleare mondiale, un disarmo verso cui gli accordi SALT del 1972 e i negoziati SALT II sono solo un timido inizio.

Dal momento che è nell'interesse di tutte le persone, e perfino di tutti i dirigenti statali, non essere annientati da un'olocausto nucleare, questo interesse condiviso rappresenta una base razionale e solida per trovare un accordo e farne scaturire una linea politica unita e mondiale di "disarmo generale e completo" da ogni arma nucleare o qualsiasi altra di distruzione di massa. Questo disarmo comune fu fattibile anche quando l'Unione Sovietica accettò quelle proposte occidentali del 10 maggio 1955 – un'accettazione che provocò solo l'abbandono secco ed isterico dell'occidente delle stesse proposte da loro ideate![7]

La versione americana ha per lungo tempo sostenuto che mentre noi volevamo il disarmo e l'ispezione, i sovietici avrebbero concesso solo il disarmo e non l'ispezione. Il quadro della situazione in realtà è ben diverso sin dal 1955, l'Unione Sovietica ha concesso ogni tipo di disarmo e possibilità d'ispezione illimitata di tutto ciò che fosse stato disarmato; mentre gli americani chiedevano per loro un disarmo esiguo o nullo, nonostante accettassero la possibilità d'ispezione illimitata! Questo fu il fardello della spettacolare ma fondamentalmente disonesta proposta "cieli aperti" del presidente Eisenhower, che rimpiazzava le precedenti proposte di disarmo che noi celermente rifiutammo dopo che i sovietici le accetarono nel maggio del 1955. Anche se ora quella proposta (cieli aperti) è stata essenzialmente raggiunta per ciò che concerne i satelliti spaziali russi ed americani, infatti il controverso accordo SALT del 1972 non coinvolge nessun disarmo, solo limitazioni circa una maggiore espansione nucleare. In più, dal momento che la forza strategica americana con potere nucleare ed aereo rimane in tutto il mondo, ci sono buone ragioni per credere nella sincerità sovietica in ogni accordo atto ad eliminare missili nucleari o bombardamenti d'attacco.

Non solo ci dovrebbe essere un disarmo comune dalle armi nucleari, ma anche da tutte quelle armi capaci di bombardare massicciamente i confini di una nazione; in particolare i bombardamenti, quindi. Sono precisamente queste armi di distruzione di massa, come i missili e i bombardamenti che non possono avere una mira precisa, che devono essere bandite per il loro uso contro i civili innocenti. L'abbandono totale di missili e bombardamenti rinforzerebbe in ogni governo, incluso quello americano, quella linea plitica di pace e neutralità. Se solo i governi fossero privati delle loro armi di offesa bellica sarebbero costretti a perseguire una politica di pace ed isolazionismo. Di certo assistendo ai torbidi risultati di tutti i governi, incluso quello americano, sarebbe pazzesco lasciare questi araldi di omicidio e distruzione di massa nelle loro mani e fidarsi di loro che non impiegherebbero mia queste mostruose armi. Se è illegittimo per i governi usare simili armi, perchè dovrebbero rimanere, cariche, nelle loro non-troppo-pulite mani?

Il contrasto tra le posizioni conservative e libertarie sulla guerra e la politica estera americana furono interamente espresse in uno scambio di battute tra William F. Buckley Jr. ed il libertario Ronald Hamowy nei primi giorni del movimento libertario contemporaneo. Disprezzando la critica libertaria alla politica estera conservativa, Buckley scrisse: "C'è una luogo in ogni società per quelli la cui unica preoccupazione è imbottirsi di pasticche; perchè devono rendersi conto che la predisposizione dei conservatori al sacrificio per respingere il nemico [sovietico], ha permesso loro di godersi il proprio monasticismo e seguire i piccoli e confusi seminari dove parlano se sia giusto o meno demunicipalizzare il servizio di nettezza urbana." Al quale Hamowy incisivamente rispose:

«Potrei sembrare ingrato, ma devo declinare i miei ringraziamenti a Mr. Buckley per avermi salavato la vita. In più è mia credenza che se il suo punto di vista prevarrà e che se persisterà sulla via dell'aiuto non richiesto, il risultato sarà quasi per certo la mia morte (ed anche di altri dieci milioni) in una guerra nucleare oppure il mio imprigionamento come un "non-Americano"...

Io mi tengo stretta la mia libertà ed è precisamente per questo che io insisto che nessuno ha il diritto di costringere gli altri ad accettare le proprie decisioni. Mr. Buckley sceglie di essere morto piuttosto che Rosso. Così faccio io. Ma io insisto che a tutti gli uomini deve essere permesso di prendere le proprie decisioni. Un'olocausto altrimenti lo farò per loro.»[8]


A questo potremmo aggiungere che chiunque lo desideri è autorizzato a prendere la personale decisione del "meglio morto che Rosso" oppure "datemi la libertà o datemi la morte". Ciò che non è autorizzato a fare è predere queste decisioni per altri, come invece la politica pro-guerra conservatrice vorrebbe fare. Ciò che i conservatori stanno dicendo realmente è: "Meglio loro morti che Rossi" e "datemi la libertà o datemi la loro morte" – che sono le grida di battaglia non di nobili eroi ma di assassini di massa.

In un certo senso Mr. Buckley ha ragione: in un'era nucleare è più importante preoccuparsi della guerra e della politica estera che della demunicipalizzazione del servizio della nettezza urbana. Ma se agiamo così, finiamo ineluttabilmente all'opposto della conclusione di Buckley. Ci ritroveremo davanti la realtà che finchè le moderne armi aeree e missilistiche non potranno avere un sistema preciso di mira che possa evitare di colpire i civili, la loro sola esistenza deve essere condannata. Ed il disarmo nucleare ed aereo diventa uno scopo grande e costante da raggiungere, più avidamente perfino della demunicipalizzazione del servizio della nettezza urbana.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/

(I). Link alla Prima Parte

(II). Link Seconda parte


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Note

[1] Per una visione illuminante del conflitto russo-finlandese, si veda Max Jakobson, The Diplomacy of the Winter War (Cambridge: Harvard University Press, 1961).

[2] Stephen F. Cohen, "Why Detente Can Work," Inquiry (December 19, 1977), pp. 14–15.

[3] Citato in Richard J. Barnet, "The Present Danger: American Security and the U.S.-Soviet Military Balance," Libertarian Review (November 1977), p. 12.

[4] Si veda Neville Maxwell, India's China War (New York: Pantheon Books, 1970). Nemmeno la riconquista del Tibet e la relativa soppressione della rivolta nazionale da parte della Cina, è un punto valido contro la nostra tesi. Chiang Kai-shek, come anche tutti gli altri cinesi, ha considerato per molte generazioni il Tibet come una parte di una più Grande Cina, e la Cina stava agendo nello stesso modo di uno Stato-nazione conservatore come abbiamo visto sotto la guida dei sovietici.

[5] Per una critica sui recenti tentativi da parte dei nostalgici della guerra fredda di ravvivare lo spauracchio della minaccia militare sovietica, si veda Barnet, The Present Danger.

[6] The Woman's Home Companion (September 1936), p. 4. Reprinted in Mauritz A. Hallgren, The Tragic Fallacy (New York: Knopf, 1937), p. 194n.

[7] Per i dettagli delle vergognose documentazioni di queste negoziazioni e dell'interpretazione della stampa americana, si veda Philip Noel-Baker, The Arms Race (New York: Oceana Publications, 1958).

[8] Ronald Hamowy e William F. Buckley, Jr. "National Review: Criticism and Reply," New Individualist Review (November 1961), pp. 9,11.

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