giovedì 20 ottobre 2011

La Natura Umana e la Società "Perfetta"


"Intendo con esso [lo Stato] quella somma di privilegi e posizioni dominanti che sono portati alla luce da un potere al di là dell'economia. […] Con Società intendo, la totalità dei concetti di tutte le relazioni puramente naturali e le istituzioni tra uomo e uomo." ~ Franz Oppenheimer, The State


[Questo articolo è un estratto da The Rise and Fall of Society (1959). Un file audio MP3 di questo articolo, narrato da Keith Hocker, è disponibile per il download.]



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di Frank Chodorov


Chiunque ragioni sulla capacità dell'uomo di mantenere la sua vita sociale in perfetto ordine deve tenere in conto il fatto biologico della longevità. L'uomo cerca di soddisfare i suoi desideri mentre vive, non quando la morte li ha eradicati, e le cifre attuariali gli dicono quanto gli resta da vivere.

Il suo modello di comportamento è necessariamente determinato dalla sua speranza. C'è da dire che nella natura delle cose il suo è un punto di vista a breve termine, sebbene la sua prospettiva possa essere allungata da una preoccupazione per il suo futuro immediato, per i suoi figli e per i suoi nipoti in potenza. Oltre a ciò c'è il "futuro del suo paese", un interesse speculativo che può incidere poco sui suoi lavori giornalieri.

Il banchiere sa bene che i bond dello Stato nel suo caveau non rappresentano beni prodotti ma sono solamente rivendicazioni sulla produzione; "l'interesse" che rendono è fatto di tasse, pescate dal mercato, ed egli difatti è un esattore delle tasse. Non è ignaro del carattere inflazionistico di questi pezzi di carta: nel lungo termine deprezzano il valore di tutti i suoi asset come anche quelli dei suoi depositanti, il mercato è difatti impoverito dai suoi possedimenti.

Per di più, se smette di pensarci, deve sapere che più bond detiene più deve sostenere le attività fiscali dello Stato, poiché il deprezzamento del valore di questi bond potrebbe mandarlo in bancarotta. La prudenza lo obbliga a trascurare tali considerazioni; egli coopera con gli schemi di finanziamento dello Stato, anche se egli sospetta che fare ciò lo abbasserà gradualmente ad una posizione segretariale. Nel suo bisogno di avere un profitto quest'anno mette da parte qualsiasi scrupolo possa avere nel comprare i bond dello Stato. Il futuro deve prendersi cura di se stesso.

Il presidente di una corporazione si è abituato ad uno standard di vita che richiede un certo numero di entrate. Gli piace ed anche a sua moglie. E' vero che ha guadagnato tre volte quell'ammontare e che lo Stato gli ha confiscato i due terzi dei suoi guadagni. E' infastidito dalla confisca, desidera poter conservare di più e così migliorare il suo standard, ma trova conveniente assecondare lo Stato per una buona ragione.

Forse la sua corporazione è interamente o parzialmente alle dipendenze dello Stato; in questo caso, i suoi guadagni sono praticamente derivati dalle tasse che è forzato a pagare. E' vero che i suoi impiegati nel complesso pagano di più di quanto paghi lui e, sebbene non se ne sia accorto, la probabilità è che egli percepisca un profitto da questa allocazione di tasse.

Forse se non fossero tassati i suoi impiegati comprerebbero i prodotti della corporazione come fa liberamente l'esattore delle tasse, ma vendere ad una moltitudine di compratori significherebbe più vendite e problemi di credito, e per il momento (dove è concentrata tutta la sua attenzione) trova più facile condurre affari con Un Grande Compratore. Ingaggia un lobbista per occuparsi delle vendite.

Continuando con il presidente della corporazione, se le vendite del suo prodotto calano ad un punto in cui i suoi profitti abituali sono minacciati — diciamo perchè le tasse hanno privato i suoi potenziali clienti del potere d'acquisto — è incline a guardare con favore alle attività inflazionistiche dello Stato. La distribuzione di maggiore denaro, anche se un pò contraffatto, arricchirà temporaneamente la popolazione e permetterà loro di rendere il suo grafico delle vendite una cosa gradevole da guardare.

Che l'infusione di nuovo denaro nel mercato avrà l'effetto di deprezzare il valore del suo stabilimento nell'intensità in cui la sua attività potrebbe ritrovarsi in una condizione insolvente, senza contare quanto egli potrebbe risparmiare per i ricambi, è una considerazione da fare; ma è qualcosa di cui si dovranno preoccupare il presidente successivo e gli azionisti del futuro. Quest'anno deve pagare i dividendi.[1]

Sarebbe un agricoltore stupido colui che non capisce che essere pagati per non produrre è un'anomalia; sarebbe un individuo indifferente che non era infastidito dalle regolamentazioni che accompagnavano l'elargizione. Tuttavia il bisogno immediato di un trattore o una televisione fanno svanire queste considerazioni, inclusa la probabilità che suo figlio non sarà mai un agricoltore indipendente.

Il locatore sussidiato potrebbe cogliere una certa relazione tra il suo privilegio e le deduzioni dalla sua busta paga; anche così, è bello sapere che le abitazioni gli costano meno rispetto ad un non-sussidiato che osserva abitazioni paragonabili.

La vecchia signora che vive con la paga della "previdenza sociale", lo Stato che si prende cura del conto del medico del veterano e quello che si da malato ricevendo indennità di disoccupazione non sono minimamente preoccupati del futuro. Anche il filosofo che vede infausti presagi nelle tendenze fa pace con esse, se la necessità lo richiede, e nel comfort di una sovvenzione immeritata trova consolazione per i suoi timori. Siamo condannati a vivere nel presente.

E' questa necessità biologica che priva del punto di vista a lungo termine della realtà e facilita le operazioni dello Stato. Il bisogno di vivere adesso piega la volontà di vivere nelle condizioni sotto le quali è possibile vivere; proprio come un uomo che nella natura selvaggia conforma la sua vita a condizioni primitive, così egli si adatta alle regole, alle regolamentazioni, ai controlli, alle confische ed agli interventi imposti su di lui dal potere politico.

Se queste limitazioni alle sue aspirazioni sono regolarizzate, in modo che il suo "modo di vivere" raggiunga una sembianza di stabilità, egli perde subito consapevolezza della limitazione; ciò che avrebbe potuto infastidirlo all'inizio non solo è accettato ma anche difeso. Essendo questa la composizione dell'uomo, il suo adattamento all'ambiente non è solo confinato alla sola abitudine fisica ed insensata; deve includere un'accettazione consapevole, una giustificazione, un supporto morale. Non può vivere confortevolmente senza dare la sua benedizione alle condizioni nelle quali vive.

La sua abilità con le parole aiuta il processo di adattamento; con le parole sviluppa una ideologia che soddisfa la sua mente alla correttezza e perfino all'aderenza dei principi morali del suo "modo di vivere". Questo è l'alleato segreto dello Stato — l'inclinazione dell'uomo ad adorare le condizioni che sono state imposte su di lui e nelle quali ha trovato un adattamento confortevole.

La sua macchina di propaganda, attraverso ripetizioni costanti, trasforma le frasi ideologiche in una liturgia; la sua burocrazia, che regolarizza l'amato "modo di vivere", acquisisce la gloria di un clero; i suoi edifici, perfino le sue prigioni, sono coperte con un'aura distinta; il suo formalismo diviene rituale, le sue dichiarazioni autorevoli.

Solo il teorico, l'economista e lo storico, si preoccupano per le conseguenze a lungo termine dell'interventismo dello Stato. Nel frattempo si deve vivere e nel frattempo "lunga vita al re".

In queste circostanze, colui che guarda al lungo termine, il profeta che batte sempre sullo stesso tasto dei principi fondamentali e delle conseguenze ultime della violazione, è un operatore di irrealtà ed è un disturbatore sgradito dell'adattamento. I suoi sghiribizzi potrebbero essere ricordati e la sua profezia richiamata alla mente quando a lungo andare i suoi presagi si avverano. Cioè, quando le limitazioni si moltiplicano al punto in cui l'adattamento lascia poco spazio per vivere, quando un'esistenza miserabile è tutto quello che si può raggiungere attraverso i propri sforzi.

E' allora che l'istinto primordiale per la libertà soverchia più prepotentemente l'istinto per la vita stesso e non c'è niente da fare se non liberarsi dalle catene dello Stato. Ma questo, nel presente, è l'irreale reame del lungo termine.

L'istinto per la libertà, il desiderio ardente dell'espressione della propria personalità senza intralci, è l'essenza di cui è fatta l'utopia. Se non fosse per questo elemento dell'enigmatico carattere dell'uomo, non sarebbe mai coinvolto negli affari politici e la sua storia sarebbe simile ad una storia della giungla.

L'uomo, il produttore, deve avere libertà, mentre l'uomo, il predatore, pone limiti alla libertà e questa dicotomia intrinseca è la trama della sua storia. La sua ricerca per una "società buona" è la sua ricerca per un epilogo. Se o no sia nella natura delle cose che la lotta debba andare avanti indefinitamente, non può fare a meno di cimentarsi a modellare un lieto fine. E ciò che segue da qui è semplicemente un altro tentativo verso la stessa cosa.

L'ingrediente principale in qualsiasi formula per una "buona società" deve essere un preventivo. Come la Società può proteggere se stessa contro la tendenza del potere politico ad invadere e liquidare il potere sociale? Questo è stato il problema continuo delle integrazioni sociali, e la sola soluzione a cui ha pensato l'ingegnosità umana è stata la sorveglianza e la supervisione.

La società deve sempre tenere i suoi occhi e, quando è necessario, mettere le sue mani sul potere politico. In pratica, la sorveglianza e la supervisione prendono la forma del costituzionalismo, o limitazioni scritte al potere politico, con il suffragio popolare come agenzia di applicazione. L'esperienza mostra, tuttavia, che le costituzioni ed il suffragio ritardano solamente, non impediscono, la fermentazione del potere politico; gli uomini possono votare e votano se stessi sotto la promessa di un vantaggio immeritato, e le costituzioni non sono scritte con l'inchiostro indelebile della legge naturale.

La fallibilità del costituzionalismo è possibile poiché il potere politico estende la sua area operativa ed è capace di mettere un gruppo contro un altro, rivolgendosi alle loro varie cupidigie, e sotto la copertura di tali conflitti intrasociali (lotte di classe) la sua intrinseca propensione all'espansione irrompe dai legami costituzionali.

C'è l'ulteriore fatto che la produzione, non la sorveglianza e la supervisione del potere politico, è la prima attività della Società e che questa occupazione aggiuntiva sarà probabilmente soprasseduta; in particolare quando coloro che esercitano il potere vanno oltre la sfera personale di coloro sopra i quali è esercitato. Come questione pratica, pertanto, la sorveglianza e la supervisione sono un limite efficace solo quando l'unità politica è piccola, così piccola che il personale politico non può sfuggire alle pressioni sociali. Cioè, il comune.

Stiamo parlando dell'unità politica, non economica. La grandezza dell'unità economica è sempre determinata dal raggio di scambi ed è sempre regolata dal senso del valore dell'uomo. Compratore e venditore, nonostante la loro distanza, sia di spazio che di cultura, diventano membri del mercato mediante l'atto dello scambio.

Il mercato si regola da se, operando sotto leggi che si auto-impongono e portano le loro proprie sanzioni; è un meccanismo che funziona senza l'uso del potere politico e la cui efficienza può solo essere abbassata dall'iniezione di tale potere. Sarà tanto grande quanto clienti e venditori vorranno che sia grande. Senza l'interferenza politica può essere mondiale.

La cosa migliore che il potere politico può fare nelle premesse è di impedire il furto (inclusa la violazione del contratto) e può farlo soltanto punendo il ladro dopo che l'atto è stato commesso, con la speranza che tale punizione scoreggerà la ripetizione o l'emulazione. Anche in questa funzione è meno efficace delle sanzioni sociali; bandire dal mercato una comunità che è incapace di mantenere la sua casa in ordine, o un individuo che si fa una reputazione come disonesto, è un castigo sufficiente.

Se è nell'interesse economico di qualsiasi unità politica mantenere relazioni di vigilanza con altre comunità, possono essere stabiliti legami mediante dei rappresentanti, ma i poteri e le funzioni di questi rappresentatni devono essere sostenuti nell'ambito dei loro datori di lavoro, il meeting locale del comune. Il potere politico può essere messo e sarà messo in pratiche antisociali solo quando coloro a cui è affidato agiscono come direttori, e non come agenti.

Il mezzo con cui la persona politica — il "diritto divino" del re o il funzionario eletto — raggiunge una levatura indipendente è il potere di appropriarsi della proprietà. Senza appropriazione non ci può essere uno Stato ed il potere dello Stato è in diretta proporzione alla quantità di proprietà di cui si appropria.

Al contrario il potere sociale è misurabile dall'ammontare di proprietà che il produttore individuale è in grado di conservare e disporre come più ritiene giusto. Lo Stato prospera sulla tassazione, la Società ne soffre. La differenza tra una Società libera ed una dominata è nella percentuale di proprietà su cui mette le sue mani lo Stato.

Tutte le tasse sono estorsioni obbligate — la "tassazione volontaria" è una contraddizione in termini — ed il problema che la Società deve affrontare, se vuole conservare la sua libertà, è se vorrà mantenere il potere di obbligare nelle sue mani, sotto stretta sorveglianza, oppure trasferirlo ai suoi agenti politici. Il trasferimento porta con se la cessione del potere sociale e l'allargamento del potere politico, o il deterioramento del Governo negativo in Stato positivo.

Di conseguenza la tutela della "buona società", o il mezzo con cui può essere raggiunta, è il costante, rigoroso e vigile controllo di ogni richiesta tributaria e l'attenta supervisione dell'esborso delle imposte. Soprattutto il politico non deve mai avere un'autorità in bianco per imporre tasse; ogni proposta tributaria deve essere considerata nei suoi meriti, come un'imposta temporanea intesa per uno scopo specifico, anche se l'individuo gestisce la sua stessa economia.

Così se deve essere costruita una strada, il costo dovrebbe essere affrontato da una tassa che termina quando la strada è completata; se una guerra viene forzata su una popolazione, il potere di tassare dovrebbe essere autorizzato solo per la sua durata. L'ideale di una "buona società" è l'abolizione di tutte le tasse, ma ciò presuppone l'esistenza di un "uomo" perfetto ed una comprensione generale di come la spesa pubblica può essere soddisfatta senza tassare la produzione; fino a che non arriverà quel giorno, la cosa migliore che può fare la Società per proteggere se stessa è mantenere un atteggiamento sospetto sulla tassazione.

La proposta di mantenere il potere politico così decentralizzato affinché non possa scappare dalla vigilanza del potere sociale pone le sue motivazioni sull'affermazione che il più alto valore nella gerarchia dell'uomo sia la libertà. E' posta al di sopra di tutti gli altri desideri? Anche di soddisfazioni materiali? Se si, cosa si intende per libertà? La definizione che viene subito alla mente è "assenza di vincoli".

L'abitante solitario di una zona di confine aveva questo tipo di libertà in abbondanza e anelava ad essa; era però disposto a rinunciare ad una parte di essa in cambio di salari più alti che derivavano dalla cooperazione con gli altri. Ma la cooperazione implica un obbligo, quello di modificare il proprio atteggiamento secondo i desideri degli altri, di tenere in considerazione l'opinione pubblica sia nella propria occupazione sia nella propria condotta.

Quindi, la libertà in una Società non è assenza di vincoli, ma la gestione di affari propri con un codice di auto-governo. Il prezzo dei benefici della cooperazione è la moderazione.

In particolare l'obbligo imposto dalla libertà nella Società è il rispetto per la proprietà privata. Quando l'abitante di confine lavorava per se stesso, direttamente, si preoccupava della proprietà solo quando un animale predatorio o un uomo che vagabondava minacciava la sua proprietà. Aveva un forte interesse nel possedere le cose che produceva — visto che il suo lavoro era il suo investimento — e teneva il suo fucile pronto per assicurarsi il possesso.

Ma il concetto dei diritti di proprietà assunse un significato determinante quando attraverso il meccanismo di mercato comparvero le abbondanze e gli accumuli. E' a questo punto che l'auto-governo è messo alla prova. Perché? Perché l'uomo cerca di soddisfare i suoi desideri con il minimo sforzo.

Aveva questa stessa esigenza quando lavorava da solo, ma la cosa migliore che poteva fare era ideare alcune rudimentali scorciatoie o strumenti che gli facevano risparmiare lavoro. Quando l'organismo sociale cooperativo cresce intorno a lui ed appare l'abbondanza, gli viene in mente che forse la soddisfazione dei desideri senza spendere lavoro è uno scopo raggiungibile. L'impulso del "qualcosa in cambio di niente" che è insito nel suo carattere a volte va oltre i limiti della moderazione.

A questo punto, o in attesa che avvenga, la preoccupazione comune per la proprietà fa sorgere un accordo tra i membri della Società; sono costituiti vincoli esterni al desiderio interno. Il governo è un'ammissione che "l'assenza di vincoli" è incoerente con la libertà.

Si potrebbe affermare che la ragione dovrebbe dire all'individuo che non esiste una cosa come "qualcosa in cambio di niente", che qualcuno deve lavorare per fornire soddisfazioni, che la condizione necessaria per l'abbondanza generale è la sicurezza del possesso. Infatti la ragione potrebbe metterlo sulla via di un principio: che la produzione può far aumentare il livello dei salari, mentre l'espropriazione tende ad abbassarli.

Ma, in linea di massima, l'uomo non sempre agisce su questo principio; più spesso agisce su considerazioni di immediato profitto e convenienza. La ragione non sembra essere una guida per il comportamento umano rispetto al desiderio. La sua storia fornisce un abbondante sostegno a questa opinione. Anche nella più piccola e più ristretta unità sociale, la famiglia, l'impulso predatorio trova espressione nell'inganno ereditario di Giacobbe-Esaù; l'uso della frode o della forza per acquisire la proprietà senza lavorare per essa è il motivo principale della saga sociale.

Se non fosse per questo elemento dominante nel carattere umano, la conquista non sarebbe mai stata praticata, la schiavitù non sarebbe mai stata conosciuta, le classi privilegiate non sarebbero mai comparse, i monopoli mai istituiti ed il "welfare state" mai immaginato. Non ci sarebbe stato uno Stato, che è solamente l'organizzazione della forza per il trasferimento della proprietà da "una tasca ad un'altra".

La libertà non è il più alto dei valori nella gerarchia dell'uomo. Potrebbe parlarne in termini molto laudatori, ma il suo comportamento smentisce le sue proteste. Sebbene a volte, quando la moltiplicazione dei vincoli esterni rende l'esistenza insopportabile, egli impieghi un grande sforzo per liberarsi da alcune delle sue catene, la sua biografia generale indica una passione irresistibile per "qualcosa in cambio di niente" ed una prontezza a sottomettersi ai vincoli sotto la promessa di bottino.

Il "welfare state" moderno è il più esemplificativo; è dichiaratamente e presuntuosamente l'organizzazione della forza della confisca e della distribuzione della proprietà. E' la completa antitesi di quella "assenza di vincoli" che è la sostanza della libertà.

Nonostante questo fatto essenziale, acquisisce una reputazione umanitaria e riceve la benedizione di tutti coloro che prosperano a spese della produzione degli altri come anche di coloro che ci sperano: il banchiere e l'industriale che traggono profitto dalle tasse che raccolgono, l'agricoltore che è pagato per non coltivare, la madre con i "pasti gratis", la moltitudine di supplicanti di privilegi speciali. E' la libertà quella che vogliono? Difficilmente. Le responsabilità della libertà sono in conflitto con la legge della parsimonia.

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Un'ultima parola, per gli americani che hanno una propensione per il lungo termine e la speranza "di fare qualcosa". Sostenitori con la speranza che una Società che ha gestito i propri affari con un minimo di moderazione esterna sia ancora viva nella memoria. Anche se lo Stato Americano è andato molto lontano nello stabilire il suo dominio sulla Società Americana, è ancora in lotta col folklore della libertà che potrebbe essere in grado di ostacolare il progresso dello Stato invocando questa tradizione.

Dopo tutto, questo è un paese giovane; la documentazione dei suoi inizi è ancora viva, infatti gli uomini in vita possono richiamare le lotte dello Stato per raggiungere la sua attuale posizione. Se l'entusiasmo originale per la libertà può essere ravvivato, potrebbe essere possibile a limitare il potere politico prima che divori completamente il potere sociale. Vale la pena provare.

Nella tradizione, per iniziare, c'è la dottrina dei diritti dello Stato. E' una dottrina decentralizzante, intesa a mantenere il potere politico contenuto e sbilanciato. Sebbene sia stata solo raramente invocata sin dalla formazione dell'Unione, e solo per alcuni scopi temporanei e fallaci, la sua idea originale di mantenere il potere politico sotto stretta sorveglianza e supervisione ha efficacia.

E' negli interessi degli establishment politici dei diversi stati impedire la loro fagocitazione da parte dell'autorità centrale, anche se ai vecchi tempi i leader locali tenevano un occhio vigile sul potere crescente del re. Se questa preoccupazione per l'autonomia locale può essere ravvivata, la tesi per la libertà non sarà compeltamente perduta.

Il direzionamento verso la centralizzazione iniziò molto tempo prima che lo Stato Americano acquisisse il potere di tassare i guadagni, ma questo strumento fornì il mezzo per ridurre gli Stati a mere suddivisioni amministrative; poiché si davano all'autorità centrale i mezzi finanziari per comprare il servilismo delle autorità locali. Di conseguenza non può essere fatto nulla per ripristinare l'equilibrio tra i due, a meno che non venga abrogato il Sedicesimo Emendamento della Costituzione.

Ma, mentre questo scopo politico richiede l'abrogazione dell'emendamento, esiste una ragione ben più fondamentale. E' che il potere di tassare i guadagni viola il diritto di proprietà, che sottolinea i sacri diritti di "libertà, vita e ricerca della felicità".

E' sciocco parlare di libertà fintanto che lo Stato può mettere le sue mani sui guadagni del produttore; a meno che l'individuo abbia la prerogativa del possesso, del diletto e dell'allocazione di tutta la sua produzione, senza ostruzioni, il suo status è inferiore a quello di un uomo libero; più gli viene preso, più si avvicina allo status di schiavo. E' interessante notare che l'emendamento non pone limiti all'ammontare che lo Stato può confiscare.

Pertanto, se il progresso dello Stato americano verso il soggiogamento della Società Americana debba essere fermato, il suo potere di tassare i guadagni deve essere abolito. Ma ciò può essere fatto solo se "l'assenza di vincoli" prende il sopravvento sul "qualcosa in cambio di niente" nella scala dei valori umani. La volontà per la libertà viene prima della libertà stessa.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


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Note

[1] Nella tradizione economica classica era sempre la classe debitrice che invocava denaro "a basso costo". Ora scopriamo che l'industriale e, a volte, la folla finanziaria guardano con favore all'inflazione "controllata". Vale la pena esplorare questo fenomeno.

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