martedì 22 dicembre 2015

La IPO del Giappone — Questo sì che è uno schema di Ponzi!

Siamo testimoni ancora una volta di come sul New Yorker non ci siano precursori, ma solo "seguitori". In questo caso, "seguitori" di teorie fuori dal mondo. Fino ad ora Heilbroner ha guidato il convoglio di quegli autori che nel tempo hanno dovuto pubblicare articoli rettificanti in toto il loro pensiero sconsclusionato. L'autore del suddetto articolo dovrà fare marcia indietro allo stesso modo. Il keynesismo pagherà dazio per ogni proposta inneggiante al suo credo. Dal punto di vista ideologico, non ha scampo. Infatti, nonostante l'ingente stampa di denaro messa in campo finora dalle varie banche centrali mondiali, l'unico risultato che hanno da mostrare è un continuo rallentamento del commercio mondiale preceduto da una breve fase euforica.
L'industria statunitense ha subito battute d'arresto in 8 degli ultimi 10 mesi, mentre le vendite reali declinano. A seguito della recessione in Brasile e del rallentamento cinese, la grande catena d'esportatori legata ai suzerain di Pechino sta finendo giù da una rupe (Australia, Canada, Germania, India, Sud Africa). L'ondata deflazionistica di quei prezzi gonfiati artificialmente nelle prime fasi del boom artificiale post-2008 sta abbattendo i costi delle commodity, e con essi i profitti delle aziende che li producono (acciaio, petrolio, ferro, rame, ecc.) La ZIRP delle banche centrali ha causato un boom artificiale, il quale ha indotto le industrie a sovrastimare la domanda prendendo in prestito denaro a tassi ridicoli. Ora che l'offerta ha sorpassato di gran lunga la domanda, i nodi vengono al pettine.
Queste stesse industrie hanno aggiunto ai loro bilanci più di $4,000 miliardi di nuovi debiti a causa dell'ingegneria finanziaria (principalmente stock buybacks), la quale è l'unica cosa che sta tenendo in piedi questi zombi economici e i loro investimenti improduttivi. Un misero aumento di 25 bps nei tassi d'interesse distruggerebbe parecchi di questi carry trade, mandando nell'oblio tutte quelle attività che finora hanno drenato ricchezza reale da quelle che la creavano. Quindi la geniale idea dell'articolista del New Yorker è quella di mandare avanti la festa con la stessa dose di politiche che finora hanno fallito e, peggio, hanno distrutto ricchezza reale.

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di David Stockman


Lo schema di Ponzi globale diventa sempre più folle ogni giorno che passa, e il più delle volte gli uomini che gestiscono il Giappone sono in testa al gruppo. Ma con la IPO di Japan Post Holdings, il primo ministro del Giappone, Shinzo Abe, ha superato sé stesso.

Dopo un'apparente mania patriottica che l'ha portata ad essere tradata circa il 25% in su rispetto al prezzo d'offerta, la holding e le sue due controllate sono state valutate $140 miliardi. Inutile dire che la valutazione non era dovuta ad una crescita improvvisa dei risparmi postali del Giappone.

In realtà le entrate sono in calo da anni, e l'utile netto non è stato affatto entusiasmante. Infatti l'aspettativa d'utile netto per la Japan Post Holdings prevede un calo del 23%, a ¥370 miliardi, fino al prossimo 31 marzo.

Detto in altro modo, Abe & Co. hanno imposto alla popolazione del Giappone, che ha comprato circa il 75% delle azioni questa settimana, titoli azionari enormemente gonfiati di una burocrazia pubblica morente che per sua stessa ammissione ora sta "guadagnando" il 33% in meno rispetto al 2013.




















E questa non sarebbe la prima volta. Al culmine della bolla dotcom, il governo giapponese vendette alla popolazione ¥2,100 miliardi ($18 miliardi) in azioni del fornitore di servizi di telecomunicazione giapponese, NTT DoCoMo. In prefigurazione di ciò che sarebbe accaduto dopo, l'allora tasso di capitalizzazione di mercato della società, pari a $220 miliardi, ora è solo di $78 miliardi. Vale a dire, alla cittadinanza giapponese è stata venduta aria fritta per l'ammontare di circa $140 miliardi.




Nonostante la sua folle sopravvalutazione, almeno DoCoMo era in un settore con un futuro. Per contro, l'asset principale di Post Holdings è la Japan Post Bank, la quale è una reliquia della Restaurazione Meiji creata nel 1875. Inutile dire che i suoi milioni di depositanti giapponesi sono quasi interamente oltre i 65 anni, e il suo presidente è un burocrate ex-BOJ di 79 anni.

Tuttavia, solo la Post Bank è stata valutata $60 miliardi alla fine del primo giorno di negoziazione, pari al 20X rispetto al suo utile netto di circa $3 miliardi l'anno. Ma qui non stiamo parlando né di una Goldman Sachs né di una Citigroup. Infatti, la dichiarazione finanziaria della Post Bank è un testamento alle depredazioni della ZIRP, così come è stata praticata in Giappone per quasi due decenni.

Vale a dire, quasi il 70% degli attivi di Post Bank ($1,800 miliardi) fatti registrare nel 2014 erano investimenti in debito pubblico giapponese — da cui ha guadagnato la grande somma di 93 punti base. Quindi come può una "banca" che non investe nemmeno in mutui per la casa — per non parlare di prestiti ad alto rendimento o trading in obbligazioni, valute e materie prime — guadagnare $3 miliardi sui titoli di stato giapponesi?

Semplice. Paga ai capifamiglia del Giappone 14 microscopici punti base d'interesse sui loro depositi da $1,500 miliardi in Post Bank e intasca la differenza. È una questione matematica se non ha prodotto un margine d'interesse netto invidiabile. Nel corso del 2014 Post Bank aveva proiettato $17 miliardi d'interessi attivi rispetto ai soli $3 miliardi d'interessi passivi.

Ma ecco l'ostacolo gigante. I geni keynesiani che gestiscono il Giappone stanno letteralmente spingendo il rendimento sull'enorme pila di debito pubblico verso lo zero assoluto. Con la sua massiccia campagna monetaria da $70 miliardi mensili, la BOJ sta fornendo un'offerta d'acquisto quasi infinita per i titoli di stato giapponesi, e ora ha spinto il rendimento del decennale a soli 31 punti base, il rendimento del quinquiennale a 5 punti base e il rendimento del biennale a zero!

Quindi era solo una questione di tempo prima che i guadagni della Post Bank sui suoi $1,100 miliardi di titoli di stato si riducessero in modo consistente. Di conseguenza il margine d'interesse netto scomparirebbe del tutto — anche se riducesse il tasso sui depositi a zero. E non finisce qui.

La popolazione giapponese sta invecchiando così rapidamente che la sua base di clienti è in modalità liquidazione. Cioè, prima che le famiglie anziane del Giappone tirino le cuoia, liquideranno la maggior parte dei $1,500 miliardi in depositi ora parcheggiati nella Post Bank.




Tutto questo secondo Wall Street sarebbe riconducibile ad un problema con il "modello di business". Cioè, la base dei depositi dei clienti si ridurrà e il margine netto d'interesse su quello che rimane arriverà a zero, mentre il portfolio composto da debito pubblico giapponese farà la stessa fine.

Inutile dire che questa non è affatto un'opportunità d'investimento. Ma i discepoli del professor Krugman in Giappone ragionano seguendo una logica economica completamente diversa.

In realtà il Giappone è una vecchia colonia di pensionati diretta verso la bancarotta. Dovrebbe avere grandi surplus di bilancio prima che la sua bomba ad orologeria demografica travolga completamente la sua capacità fiscale. Ma l'Abenomics presuppone che si possa raggiungere la salvezza economica attraverso la stampante monetaria e deficit da paura, e questa strategia non farà altro che condurre l'intero sistema verso un armaggedon finanziario.




Con il suo debito pubblico al 230% del PIL e il deficit di bilancio in rapporto al PIL ai livelli più alti nel mondo sviluppato, il Giappone non può permettersi di pagare gli interessi sui titoli di stato — anche se si tratta di numeri infimi e questo è un problema per le milioni di famiglie i cui risparmi sono intrappolati nella Post Bank.




Quindi, come ho detto all'inizio, il primo ministro Abe ha fatto ricorso ad un gioco di prestigio finanziario che avrebbe fatto impallidire anche Houdini.

I pensionati del Giappone necessitano di un ritorno migliore sui loro risparmi ammontanti a $1,500 miliardi? Nessun problema.

La BOJ necessita di più debito pubblico da acquistare per continuare la sua massiccia campagna stampa-soldi? Stessa soluzione.

Vale a dire, incoraggiare i risparmiatori del Giappone ad acquistare azioni dell'IPO di Post Bank. Quest'ultima ha pubblicizzato che pagherà un dividend yield del 3%, il quale rappresenta un bel guadagno rispetto ai 14 punti base di rendimento del risparmio postale.

Al tempo stesso, imporre a Post Bank di vendere i suoi titoli di stato alla BOJ e sostituirli con alternative a rendimenti più alti, tra cui debito estero e azioni estere.

Come afferma una relazione di ricerca:

Se la situazione lo giustifica, il fondo espanderebbe il proprio orizzonte di business e prenderebbe in considerazione i fondi comuni d'investimento immobiliare, il private equity e altri affari nel mondo della finanza. Attualmente la divisione investimenti della banca è composta da circa 100 persone.

"Dobbiamo perfezionare il nostro investimento", ha detto Nagato, il quale ha affisso il marchio "superglobale" alla nuova strategia di crescita della banca e ha iniziato una ricerca serrata di professionisti degli investimenti. Ha soprannominato la prima ondata di neo-assunti in tal campo — tra cui l'ex-vice presidente di Goldman Sachs Japan — i suoi "magnifici sette samurai". Nei prossimi mesi ha in programma d'espandere il loro numero a circa 30.

Ecco qui. I burocrati incompetenti che gestiscono le Poste del Giappone non vogliono far altro che affondare ancora di più le loro mani nei casinò di Wall Street, Londra e Tokyo. E proprio in tempo per lo scoppio della terza bolla finanziaria creata dalle banche centrali in questo secolo.

Inutile dire che le probabilità sono pressoché nulle che Japan Post Bank varrà $60 miliardi dopo il suo sbarco nel mondo degli "asset rischiosi". I risparmiatori giapponesi si stanno dirigendo verso l'ennesima tosatura.

Nel contempo, è praticamente certo che lo Yen non verrà scambiato al tasso corrente di 120 al dollaro, ma a 220, o anche meno, dopo che la BOJ acquisterà gli ultimi JGB disponibili, inclusi quelli attualmente di proprietà della Post Bank.

Vale a dire, la colonia di pensionati nell'arcipelago giapponese è totalmente dipendente dall'importazione di energia, materie prime industriali ed alimentari. Quindi il costo della vita salirà, soprattutto dopo che il risparmio previdenziale si esaurirà nel tempo e verrà sgonfiato dall'improduttività degli investimenti in "asset rischiosi".

Peggio ancora, Shinzo Abe e la sua allegra banda di pazzi stanno spacciando tutto questo come una della "riforme" contenute nel loro triplice programma di ripresa economica.

Solo in un mondo impazzito è possibile sostenere che cedere i risparmi di una nazione a gente del calibro di Goldman Sachs possa definirsi una "riforma"; o che l'acquisto di debito pubblico da parte della banca centrale possa definirsi un percorso di recupero e crescita; e, soprattutto, che spingere i risparmiatori del Giappone ad investire in azioni massicciamente gonfiate di una burocrazia pubblica morente non sia affatto un atto criminale.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


3 commenti:

  1. Potete traslare la situazione trattata in questo articolo sulle Poste giapponesi a quelle italiane. Sono essenzialmente la stessa cosa: Poste Italiane: e la chiamano “privatizzazione”.

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  2. Oggi ho saputo da un amico che si occupa di automazione industriale che un grande gruppo friulano dell'acciaio è in seri problemi.
    Motivo ?
    Il mercato è invaso da acciaio cinese che viene venduto sotto-sottocosto.
    Praticamente un semilavorato è fornito al prezzo dei rottami.
    Ma invadere il mercato di Yuan non provocherà un'inflazione esplosiva ?
    A quando il crack globale ?

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  3. Decisamente oltre la follia: la BOJ sta pianificando di comprare asset che addirittura non esistono. Il Giappone è solo il paziente zero della pazzia della ZIRP e del QE. Si sta diffondendo lentamente al resto del mondo. Soprattutto in Svezia, dove la NIRP sta costringendo le banche a scaricare quanto più denaro possibile per non ritrovarsi in bilancio un asset richiedente interessi negativi.

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