giovedì 12 maggio 2016

Lo squilibrio mentale di Draghi





di David Stockman


Sì, Draghi è totalmente andato fuori di testa e così anche l'intero apparato politico della zona Euro. Come gran parte della burocrazia statale in altre parti del mondo, la BCE sta cercando di combattere la bassa crescita e la bassa inflazione con nitroglicerina monetaria. È solo una questione di tempo prima che faccia esplodere l'intera casa finanziaria.

La bassa crescita del PIL reale nella zona Euro non ha assolutamente nulla a che fare con la differenza tra il -0.3% sul tasso dei depositi presso la BCE rispetto al nuovo tasso del -0.4% annunciato questa mattina; né gli acquisti di obbligazioni da €80 miliardi al mese, rispetto ai precedenti €60 miliardi, hanno qualcosa a che fare con tutto ciò. L'unico scopo di questa intrusione finanziaria è quello di rendere più conveniente il prestito a famiglie e imprese.

Ma ecco quello che lo zio Mario non riesce a capire. Il settore privato europeo non vuole sprofondare ancora di più nel debito; ne ha già contratto abbastanza.

Il problema della crescita in Europa è dovuto al troppo welfare socialista e all'eccessiva tassazione e regolamentazione statalista, e non al poco debito privato. Si tratta di questioni di politica fiscale e politici eletti, non di burocrati nelle banche centrali.

Come mostrato nel grafico qui sotto, il settore privato della zona Euro ha avuto la sua bella dose d'indebitamento dall'inizio del secolo fino al 2008; i debiti sono cresciuti al ritmo insostenibile del 7.5% annuo. Ma sin da allora il settore privato della zona Euro s'è palesemente arenato lungo le secche del Picco del Debito.

I prestiti sono rimasti lungo la linea piatta negli ultimi otto anni — nonostante la repressione dei tassi d'interesse da parte della BCE abbia portato i tassi del mercato monetario negli inferi del sotto zero.




Né gli acquisti di obbligazioni sin dall'inizio del QE lo scorso marzo, hanno fatto un minimo di differenza. I finanziamenti bancari totali al settore privato erano di €10,240 miliardi a fine gennaio, o esattamente dove si trovavano a marzo 2015, quando Draghi e la sua allegra banda di stampatori di denaro si sono giocati il tutto per tutto.




Per lo stesso motivo, è dannatamente evidente che una bassa inflazione non è un problema e che non è causata dalla mancanza di stampa denaro o da un'insufficiente repressione dei tassi d'interesse da parte della BCE. La tregua nella zona Euro dal suo normale 1-2% di dose annuale d'inflazione, è interamente dovuta alla marea globale di petrolio, materie prime, acciaio e altri beni industriali.

Questa marea di deflazione importata, a sua volta, sta migliorando i termini del commercio nella zona Euro e sta innalzando gli standard di vita dei consumatori; e non è assolutamente collegata a qualsiasi cosa la BCE abbia fatto o non fatto nel corso dell'ultimo anno o addirittura quattro anni.

Invece la deflazione globale è una conseguenza dei giganteschi investimenti improduttivi nel settore minerario, energetico, industriale, dei trasporti e della distribuzione, e tale risultato è dovuto alla baldoria globale del credito facile alimentata dal convoglio mondiale delle banche centrali. Il debito da $185,000 miliardi, o quasi quattro volte la crescita del PIL durante suddetto periodo, ha schiacciato la capacità mondiale per quanto riguarda investimenti e produzione.




Lo sbalzo di capacità in eccesso in tutto il pianeta sta anche comprimendo i prezzi e i profitti, ma l'impatto principale è nello Schema Rosso di Ponzi e nella sua catena di approvvigionamento nei mercati emergenti; e l'impatto secondario è sugli esportatori di macchinari d'alta ingegneria e beni di lusso, tra cui la Germania e le altre roccaforti dell'export nella zona Euro.

È ovvio che il nuovo round di ciarlataneria monetaria da parte della BCE non avrà alcun impatto sulla domanda di esportazioni dalla Cina e dai mercati emergenti. Non solo Draghi non riuscirà ad abbassare l'euro, ma non sarebbe un problema in ogni caso. La barriera non è il mercato FX; il problema è la saturazione di investimenti nei mercati esteri che sono a corto di capacità d'indebitamento.

In ogni caso, la deflazione globale è in realtà un vantaggio per i lavoratori della zona Euro e i consumatori, perché l'Europa è un importatore di energia e materiali.





Che importa se questo colpo di fortuna per gli standard di vita nel continente europeo faccia sì che gli indici d'inflazione siano temporaneamente piatti?

I pazzi keynesiani presso la BCE pensano davvero che i cento milioni o giù di lì di famiglie nella zona Euro, che vivono essenzialmente con salari stagnanti e a carico del welfare state, smetteranno di comprare cibo, vestiario, case, scarpe, biglietti per il cinema, mobili e attrezzi da giardino perché aspetteranno che i prezzi scendano ulteriormente?

In un mondo che ha raggiunto il Picco del Debito e i cui salari sono stagnanti, l'idea di uno sciopero dei compratori è semplicemente ridicola.




La verità è che tutta la retorica anti-deflazione della banca centrale, si basa sulla fallacia dell'uomo di paglia. Vale a dire, l'idea del tutto falsa che l'inflazione al 2.00% sia l'elisir magico per ottenere risultati economici positivi. Eppure non c'è uno straccio di prova a sostegno; è diventata una norma esclusivamente perché viene ripetuta fino all'ossessione.

Infatti il target dell'inflazione è degenerato a tal punto che equivale ad una discussione sul sesso degli angeli. Ma se anche mettiamo da parte petrolio ed energia — che non sono prodotti entro i confini della zona Euro — otteniamo l'immagine mostrata qui sotto.

Vale a dire, sin dalla nascita della moneta unica nel 1999, l'indice armonizzato dei prezzi al consumo meno energia (e cibo) ha avanzato ad un tasso annuo dell'1.57%. Durante gli otto anni da quando è scoppiata la grande crisi finanziaria nel 2008, ha avanzato dell'1.21% annuo; e, assistito dal prezzo delle materie prime in calo e dalle altre importazioni non energetiche, l'indice è aumentato dell'1.01% durante l'anno terminato il gennaio scorso.

Quindi, siamo seri. È mai possibile che persone con un cervello presumibilmente funzionante possano pensare che 36 punti base, o 56 punti base di deviazione, siano sufficienti a far affondare l'economia della zona Euro da $13,000 miliardi in una sorta di buco nero macroeconomico? E uno talmente profondo che può essere colmato soltanto con un attacco criminale ai risparmiatori e con l'ennesima manna agli speculatori?




Possiamo dire che la BCE e le altre banche centrali sono scese così in profondità nella tana del bianconiglio che ormai hanno completamente perso il contatto con il senso comune. Sono preoccupate per due punti decimali microscopici di variazione nel tasso d'inflazione al consumo, del tutto irrilevanti per il benessere economico delle 19 nazioni che compongono la zona Euro.

L'unico benessere per cui sono preoccupate è quello dei giocatori d'azzardo finanziari che fanno front-running e che spiano i mercati finanziari di tutto il mondo in attesa del prossimo attacco di follia delle banche centrali. Pochi giorni fa, ad esempio, i fast money hanno fatto una strage quando il rendimento sul trentennale giapponese è finito a soli 47 punti base.

Come abbiamo sottolineato spesso, il Giappone sta precipitando verso il fallimento fiscale e demografico. Così l'unica spiegazione per questa insensatezza è che i front-runner stanno facendo incetta di JGB trentennali nel mercato repo a botte di leva finanziaria, sapendo che potranno intascare i loro guadagni grazie alla Gingantesca Offerta d'Acquisto della BOJ.

È qui che la nitroglicerina monetaria entra in gioco. Come ha sottolineato Zero Hedge questa mattina, anche questi azzardi morali hanno un limite. Quando le banche centrali, infine, rimarranno a corto di credibilità e non riusciranno più a gestire l'irrazionalità economica, come lo è sicuramente la NIRP, si estinguerà l'offerta d'acquisto per i bond comprati dai front-runner.

Poi, bisognerà solamente guardare di sotto. Già ieri c'è stato un accenno di questo esito nefasto per il mercato obbligazionario giapponese.

L'esperimento del Giappone coi tassi negativi ha trovato un nuovo mercato: i titoli di stato giapponesi. I tempi tempestosi probabilmente sono appena agli inizi.

I rendimenti dei JGB hanno oscillato selvaggiamente questa settimana, dopo aver fatto registrare inaspettatamente una forte domanda all'asta per le obbligazioni a 30 anni. La volatilità di questi titoli è salita al punto più alto (come minimo) sin dal 2000. La causa: i normali acquirenti di obbligazioni a lungo termine, ovvero, le imprese di assicurazione, si sono presi una pausa mentre sono entrate in scena le grandi banche commerciali giapponesi.

Le banche hanno un incentivo a possedere le obbligazioni a lunga scadenza: stanno diventando una merce scarsa — qualcosa che ha ancora rendimenti positivi, tuttavia infinitesimali. Le obbligazioni a più breve durata hanno rendimenti negativi. E a causa della nuova politica dei tassi negativi, quando le banche vendono suddette obbligazioni alla Banca del Giappone come parte del programma di quantitative easing, si ritrovano liquidità in un conto di riserva con tassi negativi. Hanno, quindi, un incentivo a tenersi strette le obbligazioni a scadenza trentennale.

Questa corsa ha anche generato una rapida crescita del capitale nelle obbligazioni. Alcuni investitori hanno chiaramente incassato profitti dopo che i rendimenti dei trentennali sono scesi di 0.25 punti percentuali allo 0.48%, un lieve movimento in questo angolo di mercato altrimenti sonnolento. I rendimenti sono rimbalzati mercoledì e giovedi.





Che la politica dei tassi negativi della BOJ riuscirà a stimolare l'economia, è una questione ancora aperta. Finora ha reso i titoli di stato del Giappone i migliori asset tra i mercati sviluppati, perlopiù per quanto riguarda l'apprezzamento del capitale. Sin dall'introduzione dei tassi d'interesse negativi alla fine di gennaio, la curva dei rendimenti del Giappone riguardo il decennale è finita sotto lo zero, il che significa che più dell'80% dello stock delle obbligazioni ha rendimenti negativi.

Saluti,


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


4 commenti:

  1. tanto i capitali nuovi, anche se immessi in italia, poi se ne vanno tutti fuori. non mi pare un grande vantaggio rimanere con il debito e senza soldi :)

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    1. Ciao Gdb.

      Sul fatto che possano uscire in qualche modo, è un problema a cui l'establishment si sta dedicando attivamente: Università di Foggia, una giornata dedicata all’educazione civica e alle “Belle Tasse”.

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  2. Segnalo due articoli sul TELEGRAPH che mi sembrano (il condizionale è d'obbligo)
    in controtendenza :
    1)Questo ce l'ha con i banchieri (finalmente!)
    http://www.telegraph.co.uk/business/2016/05/12/its-time-to-put-a-stop-to-all-the-banker-bashing/
    2) Questo ce l'ha con i governi italiani
    http://www.telegraph.co.uk/business/2016/05/11/italy-must-chose-between-the-euro-and-its-own-economic-survival/

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  3. http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=121931

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