venerdì 18 gennaio 2019

Riguadagnare il paradiso economico: recensione del libro “Riscoprire la Scuola Austriaca d'Economia”





di Francesco Simoncelli


Riscoprire la Scuola Austriaca d'Economia è un libro che trasmette al lettore quelle chiavi di lettura essenziali per apprendere gli strumenti basilari con cui sondare la realtà mutevole che lo circonda con un approccio solido e coerente. Piombini e Gagliano fanno un ottimo lavoro nello strutturare il manoscritto in diverse sezioni che introducono gradualmente chi legge ad un percorso di apprendimento mirato ad ottenere un singolo risultato: disintorpidire la mente degli individui affinché tornino a ricercare con spasmodica necessità la via verso la libertà individuale e la responsabilità individuale. In questi tempi in cui la richiesta di un maggiore statalismo ed interventismo nell'economia sembrano litanie costanti all'interno della maggior parte delle persone, Riscoprire la Scuola Austriaca ha come corollario la riscoperta di un liberalismo classico altamente necessario oggi. È quantomeno fondamentale che si torni a studiare i principi del liberalismo classico, solo così potranno essere gettate basi adamantine sui cui erigere la società del futuro. Egregio è lo sforzo di Gagliano e Piombini nel pavimentare quella strada che permette a lettore il modo in cui, nel corso del tempo, ha perso quella libertà che tanto lo contraddistingue nel mondo attuale, spiegando di conseguenza l'imbarbarimento dei nostri giorni nei comportamenti della maggior parte delle persone. Infatti è decisamente molto azzeccata la strategia di condurre il lettore a comprendere quali sono i principi cardine del liberalismo classico, con i relativi vantaggi, all'inizio del libro e successivamente ad elencare tutte quelle scelte che hanno portato ad un suo annichilimento pezzo dopo pezzo. Non è una caso, infatti, che il libro si apra con il pensiero liberale dell'epigone della Scuola Austriaca, Ludwig von Mises. Viaggiando a ritroso lungo il fiume della conoscenza passata attraverso giganti del pensiero liberale come Hume e Smith, Mises ci condensa in un unico libro, Liberalism, tutto ciò che un individuo deve sapere riguardo la storia del liberalismo classico, infondendo nei concetti che ci trasmette semplicità e al tempo stesso profondità. Gagliano è abile quindi a presentare al lettore un sunto essenziale di ciò che Mises ha prodotto attraverso i suoi lavori.

Se dovessi fare un parallelo letterale, paragonerei Riscoprire la Scuola Austriaca d'Economia ai capolavori della letteratura inglese Paradise Lost e Paradise Regained di John Milton. Gagliano e Piombini, a modesto parare dello scrittore che state leggendo, hanno tratto ispirazione da questa metodologia efficace di presentazione per invogliare ulteriormente i curiosi ed i neofiti ad assimilare con successo quei concetti che col tempo sembravano essere andati persi. Il primo saggio che incontriamo, quindi, è l'incarnazione del Paradise Lost, il paradiso perduto della dottrina liberale classica che attraverso le sue teorie aveva caratterizzato uno dei periodi più floridi dal punto di vista culturale, sociale e tecnologico della storia umana: il XIX secolo. Fu la teorizzazione dei concetti già emergenti nel XVI secolo che diedero vita ad un corpus letterale che forniva agli individui il vademecum alla base del successo umano durante i decenni della Rivoluzione Industriale. Mises, attraverso la diffusione dei suoi manoscritti sulle teorie liberali classiche, non fece altro che aggiornarle ai tempi correnti, fornendo a coloro che non avevano sperimentato il passaggio quella fondamentale memoria storica che tanto serve a ricordarci di non commettere errori già commessi in passato. Uno i questi errori è l'autarchia e Gagliano fa un ottimo lavoro quando ci ricorda questo passaggio cruciale a pagina 37 quando ci parla della "Politica liberale estera". Gli individui hanno sempre tratto vantaggio dalla cooperazione sociale per sopravvivere alle avversità della vita e del mondo in generale, mentre invece l'autarchia ha rappresentato la morte e la regressione. Un monito per i nostri giorni, soprattutto se guardiamo alle politiche estere protezioniste supportate dall'amministrazione Trump. L'introduzione, quindi, di figure presumibilmente illuminate in grado di discernere cosa sia bene e cosa sia male per la stragrande maggioranza degli individui, avallando fantascienze come la telepatie praticamente, ha rappresentato quel disastro che ha condotto l'umanità verso i socialismi estremi (destra e sinistra) del XX secolo. Ancora una volta Gagliano dimostra di essere padrone della materia scegliendo accuratamente di parlare del discepolo di Mises, Friedrich Hayek, mostrando al lettore il passaggio esatto in cui si è perso il paradiso del liberalismo classico: La via verso la schiavitù, capolavoro di Hayek del 1944.

“All'origine della nascita dei regimi totalitari, secondo von Hayek, vi è il progressivo allontanamento dalle idee sulle quali è stata edificata la civiltà occidentale. Da una prospettiva storica di lungo corso, un filo rosso lega questa esperienza, fondata dalla cultura greca e romana e che è cresciuta nel rinascimento e nel liberalismo del XIX secolo. Quelle idee sono condensate nel concetto di individualismo che, a dispetto elle opinioni prevalenti, non significa affatto egoismo, attaccamento ai soli propri interessi. I tratti essenziali dell'individualismo sono dunque il rispetto dell'uomo singolo in quanto uomo, cioè il riconoscimento che le sue idee ed i suoi gusti sono supremi nella sua propria sfera per quanto strettamente questa possa essere limitata, e la credenza che è desiderabile che gli uomini sviluppino i loro talenti e le loro inclinazioni individuali.” (p. 51)

È una necessità biologica che svuota il punto di vista di lungo termine della realtà e facilita le operazioni dello Stato. La necessità di vivere piega la volontà di vivere alle condizioni in base alle quali è possibile vivere; proprio come un uomo modella la propria vita intorno a condizioni primitive nelle lande selvagge, allo stesso modo si adatta a regole, regolamenti, controlli, confische ed interventi imposti dal potere politico. Se queste limitazioni sulle sue aspirazioni vengono rese legali, in modo che il suo "stile di vita" raggiunga una parvenza di stabilità, ben presto perderà coscienza di tali limitazioni; ciò di cui poteva risentirsi all'inizio, non solo viene accettato ma addirittura difeso. Tale è la composizione dell'essere umano che il suo adattamento all'ambiente non solo è confinato alla sfera fisica; deve includere un'accettazione consapevole, una giustificazione, un supporto morale. Non può vivere tranquillamente senza dare la sua benedizione alle condizioni sotto le quali vive. La sua competenza con le parole aiuta il processo di adattamento; con le parole egli sviluppa un'ideologia che soddisfa la sua mente riguardo la correttezza e la rettitudine del suo "modo di vivere". Questo è l'alleato segreto del socialismo: l'inclinazione dell'essere umano ad adorare condizioni che gli sono state imposte e sotto le quali ha trovato un comodo adattamento. La macchina socialista della propaganda, mediante una continua reiterazione, trasforma la frase ideologica in una liturgia; la burocrazia, che rende legale il tanto amato "modo di vivere", acquisisce la gloria di un sacerdozio; le infrastrutture statali, anche le prigioni, vengono ricoperte con un'aura divina; il formalismo statale diventa un rituale, le sue affermazioni un oracolo. Solo il teorico, l'economista e lo storico si preoccupa delle conseguenze di lungo termine riguardanti gli interventi dello stato. Nel frattempo uno deve vivere, e nel frattempo "lunga vita al re." E nelle sezioni 2, 3, 4, del Capitolo 2 apprendiamo come la semantica abbia fatto il suo corso per rendere plausibili delle pseudo-verità che hanno indotto in errore gli individui. Prestate molta attenzione a questo capitolo poiché in esso vengono evidenziati in modo netto i passi falsi che hanno condotto le persone a credere che il socialismo non foss'altro che l'inevitabilità del modello capitalista e Gagliano cattura oculatamente quei punti del capolavoro di Hayek per permetterci di individuare con precisione chirurgica quegli squilibri che hanno portato alla ribalta figure storiche come Marx e Keynes.

Qui la palla passa a Piombini, al quale tocca la descrizione del famoso "Better to serve in hell rather to be a serve in heaven", quando ci presenta i saggi sulle contraddizioni della teoria marxista e keynesiana. Queste due scuole "di pensiero" economico hanno tratto vantaggio dalla loro giustificazione dello pianificazione centrale attraverso lo stato per scavarsi una nicchia proficua all'interno della scala del potere. Assolutamente egregia è la sezione 4 del Capitolo 3 in cui si mostra quell'unico concetto in grado di creare un buco talmente grande nella teoria marxista da renderla assolutamente inutile a livello teorico e pratico. Ma come apprendiamo c'è chi è disposto a vendere il buon senso e la logica pur di acquisire un posto di prestigio all'apice della scala del potere. Lo stesso vale per il keynesismo. Entrambe queste scuole sono l'estensione dell'altra, perennemente alla ricerca di diventare un'appendice funzionale del potere statale e riferimento univoco delle sue scelte. Un posto invidiabile, un'ambizione deprecabile. E quest'ultimo aspetto è elaborato ampiamente nella sezione 7 del Capitolo 4, in cui apprendiamo la fonte da cui si sono diffusi tutti i mali economici negli Stati Uniti. Il New Deal aveva bisogno di essere promulgato e doveva essere metabolizzato dalla maggior parte delle persone, le quali venivano da un secolo in cui la libertà aveva caratterizzato un'incredibile crescita del benessere generale. Non la pianificazione centrale, ma la libertà di scambio e la volontarietà. L'individualismo ed il rispetto dei diritti di proprietà trasformarono una società al limite della sussistenza in un regno in cui le bellezze che un tempo erano solo ad appannaggio dei ricchi potevano essere godute anche dai poveri. Il capitalismo aveva consegnato alle masse quei sogni paradisiaci che i poveri potevano solo immaginare prima della Rivoluzione Industriale. Il New Deal doveva stravolgere questa visione radicata della vita, ma non bastava una legge per far sì che accadesse. Nel 1936, infatti, il keynesismo divenne una religione. Se il marxismo era una religione della rivoluzione politica, il keynesismo sarebbe diventata una religione della rivoluzione economica. Entrambi condividevano un controllo capillare della società da parte di una cerchia ristretta di "profeti" in grado di condurre per mano il loro gregge. Il marxismo aveva fallito perché si concentrò eccessivamente sulla politica, mentre il keynesismo avrebbe imparato da questo errore concentrando il suo fuoco sull'economia. O per meglio dire, il keynesismo sarebbe diventato il vangelo economico grazie alla diffusione delle sue teorie da parte dei governi, necessitanti una scusa ragionevole per intromettersi pesantemente nella vita degli individui.

Qual è una delle pulsioni più ancestrali dell'individuo? Vivere al massimo facendo il minimo. Attraverso i progressi tecnologici può riuscirci, ma ci vuole tempo. Un altro modo è fare in modo che altri lavorino per lui senza che egli debba sforzarsi minimamente. Un gruppo ristretto di persone che si suppone detenga la possibilità di migliorare la vita di miliardi di altri, venditori di fumo, è la scusa migliore per raggiungere questo obiettivo. Ma serve una giustificazione plausibile. Questa venne ricercata attraverso il keynesismo, il quale venne eretto a religione di stato. Al contempo, però, questa scelta rese ciechi di fronte alla realtà e quando accade non si presta attenzione a dove si va a finire; e questo Piombini lo fa notare dettagliatamente nella sezione 10 del Capitolo 4. Una discesa totale all'inferno.

Come riguadagnare il paradiso? Il Capitolo 5 del libro è dedicato interamente a questo compito. Un viaggio tutto da scoprire che permetterà al lettore di guardare al futuro con quell'ottimismo che contraddistingue una scuola di pensiero economico che non è cupa come molti pensano, bensì permette di guardare alla realtà per quello che è. Nessuna illusione, nessuna verità plausibile. Solo l'obiettività di ciò che accade e la responsabilità di affrontare le conseguenze di eventuali errori. L'ottimismo scaturisce dal fatto che potendo vedere chiaramente le cose che circondano il mondo economico, ovvero, conoscendo in modo chiaro e netto le cause dei fenomeni economici, possiamo prevederne gli effetti.  In questo modo non ci si concentrerebbe sugli effetti per correggere i malanni dell'economia, non facendo altro che perpetrarli ed acuirli, ma si andrebbe direttamente alla radice di suddetti problemi e si potrebbero risolvere facilmente. Questo ovviamente significherebbe liberarsi di un apparato parassitario e farraginoso che non ha fatto altro che spacciare un'illusione: che esso fosse l'unico modo per risolvere i problemi della società, di qualsiasi natura fossero. Liberarsene significherebbe tornare in quel punto in cui abbiamo lasciato il nostro sviluppo sociale. Lo stato non è l'apice della società; è un tappo allo sviluppo ulteriore della stessa. Ecco perché alcuni credono, o fanno credere, che l'umanità abbia raggiunto il picco massimo dell'evoluzione: non riescono a vedere oltre a causa della pianificazione centrale. Riscoprire la Scuola Austriaca d'Economia è un libro che rimuove questo tappo e permette alle persone di vedere oltre la cortina di fumo della pianificazione centrale. Permette loro di riguadagnare il paradiso.


1 commento:

  1. The woman who nailed 2018 stock-market volatility blowup now warns of ‘bubbliciouness’ in loans

    Eppure gli Austriaci è già da molto tempo che lo dicono, compreso il sottoscritto. Ignorantemente additati come Cassandre, i critici non comprendono come sia la struttura dei tassi d'interesse, e a sua volta le preferenze individuali degli individui, ad essere un ottimo anticipatore di cosa accadrà. Non riescono a capire le distorsioni all'interno della struttura del capitale perché non l'hanno mai considerata come eterogenea. Peggio, non hanno affatto una teoria del capitale. Ma al di là di ciò, basta solamente uno sguardo al passato per capire come la masnada di prestiti a leva non siano altro che la progenie deforme di un'era di eccessi monetari artificiali ed ingerenza pesante delle banche centrali nel tessuto economico.

    La crisi dei risparmi e dei prestiti degli anni '80 e '90 (comunemente soprannominata crisi S&L) fu costituita dal fallimento di 1.043 delle 3.234 associazioni di risparmio e prestito negli Stati Uniti. Se torniamo indietro nel tempo prima dell'inizio della crisi, troviamo un ambiente in cui la Federal Reserve aveva drasticamente soppresso i tassi d'interesse per stimolare un maggior numero di prestiti e "ravvivare" l'attività economica dopo le recessioni della fine degli anni '70. ed inizio '80.

    Quando qualcosa cala di prezzo, la sua domanda aumenta. E infatti all'aumentare della domanda di prestiti per automobili, abitazioni, imprese, ecc., i banchieri escogitarono modi per continuare ad estendere il credito al fine di massimizzare la redditività. Come sempre, l'avidità superò la prudenza e molti banchieri allentarono i protocolli di gestione del rischio che alla fine sarebbero costati loro il posto di lavoro e in molti casi la banca.

    Nel 1979, quando la Federal Reserve lasciò che i tassi salissero dal 9,5% al ​​12%, rallentò anche l'economia. Poiché le società S&L avevano emesso prestiti a lungo termine a tassi fissi inferiori al tasso (più alto) al quale potevano prendere in prestito, il rialzo dei tassi combinato con l'aumento delle insolvenze portarono al fallimento. L'esempio più famoso fu quello di Charles Keating e Michael Milken.

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