lunedì 7 ottobre 2019

Non tutti i PIIGS sono uguali: un confronto tra Portogallo e Irlanda





di Luka Nikolic


La crisi dell'eurozona è stata evidenziata da cinque Paesi: Portogallo, Irlanda, Italia, Spagna e Grecia. Queste nazioni sono state ritenute le principali colpevoli della crisi della zona Euro a causa della loro spesa pubblica eccessiva. Vale a dire, disavanzi eccessivi associati a livelli di debito elevati. Sono stati soprannominati dai media come "PIIGS".

Tuttavia mettere tutti e cinque questi Paesi nello stesso calderone non ci permette di vedere i veri colpevoli della crisi della zona Euro. Ci sono Irlanda e Spagna che non avevano importanti problemi di irresponsabilità fiscale, i cui livelli di debito sono aumentati a causa dei salvataggi e della crisi. Poi ci sono l'Italia, il Portogallo e la Grecia: questi Paesi hanno visto crescere la spesa pubblica sin dagli anni '60 e non ci si poteva aspettare che cambiassero in base a qualche restrizione dell'UE sui livelli di deficit e debito; soprattutto quando il sentimento politico in tali Paesi non è a favore dei mercati liberi. Mettere tutti e cinque i Paesi nello stesso calderone non ci permette di vedere chi perseguisse veramente politiche fiscali irresponsabili.

Tabella: indice della libertà economica



Portogallo

Il Portogallo ha sempre avuto uno stato sociale gravoso, unito ad un'economia basata sull'intervento statale. Nel 1962 fu avviata la Riforma del welfare, creando un sistema unificato di welfare. Questa riforma ha esacerbato la spesa per il welfare, che ha raggiunto il 4% del PIL nel 1969. All'epoca sembrava un aumento trascurabile, tuttavia l'incremento è stato ancora maggiore dal 1969 al 1974. L'aumento durante questo periodo di cinque anni era dovuto principalmente ad una copertura aggiuntiva fornita a gruppi fino a quel momento non protetti, oltre a fornire prestazioni come pensioni e sussidi alle famiglie. Come risultato, tra il 1971 e il 1974 la spesa per il welfare è salita ad un ritmo di circa il 36% all'anno. Circa il 64% di questo aumento ha rappresentato un aumento della spesa per le pensioni. Anche con tutte queste nuove tendenze, prima della rivoluzione del 1974, le spese per il welfare in percentuale del PIL in Portogallo non hanno mai superato il 6%. Tuttavia le cose hanno iniziato a cambiare in seguito alla caduta del regime di Estado Novo. La spesa per il welfare ha superato il 10% negli anni '80 e nel 1995 era del 15% circa. Alla fine ha superato il 20% dopo il nuovo millennio.

L'aumento delle spese per il welfare non indica che i tempi prima della rivoluzione fossero migliori. Il dittatore portoghese António de Oliveira Salazar era un dittatore fascista che governò il Paese per decenni. Il regime autoritario di Estado Novo di Salazar era basato su un sistema economico corporativo che intendeva sostituire la competizione individuale con la collaborazione dei più importanti gruppi sociali del processo produttivo. Con la caduta di Estado Novo nel 1974, i rivoluzionari si trovarono di fronte ad una miriade di compagnie statali, governate da amici intimi del dittatore e dell'élite commerciale. Tuttavia, invece di aprire l'economia e consentire alle imprese estere di entrare nel mercato e smantellare le inefficienze economiche, i rivoluzionari nazionalizzarono le aziende nei settori chiave. Inoltre, nella costituzione del 1976, il preambolo affermava la necessità di direzionare la società verso un orizzonte socialista. Vennero approvate leggi che hanno reso arduo licenziare i dipendenti a tempo pieno, alle persone sono stati concessi "diritti" per quanto riguarda lavoro, casa, istruzione, cultura, salute e una miriade di altre cose. Questi "diritti" di solito si traducono in spese e tasse più elevate. Prima della rivoluzione, il Portogallo spendeva il 20% del PIL in beni di prima necessità come spese militari e magistratura; tuttavia tale numero è aumentato al 46% dopo la rivoluzione. Inoltre il Portogallo ha fatto registrare un deficit fiscale ogni anno sin dalla rivoluzione del 1974.

Queste politiche non competitive hanno avuto un impatto economico significativo sul Portogallo, il cui PIL pro-capite era il 66% della media europea negli anni successivi alla rivoluzione del 1974; tuttavia questo numero è presto sceso al 60% nel 2000. Negli anni '80 sono state apportate modifiche alla costituzione per favorire la privatizzazione e l'adesione del Portogallo all'UE ha portato cambiamenti positivi, tuttavia la sua economia era un enorme stato sociale costruito su un terreno instabile e sponsorizzato dallo stato.

Figura: spesa per il welfare in % del PIL in Portogallo



Irlanda

L'Irlanda è forse l'economia più liberale di tutti i Paesi periferici e tra le più libere nell'UE. Per questo motivo è difficile capire perché è stata fatta rientrare nella stessa categoria degli altri quattro Paesi, le cui economie non sono così liberali. L'economia irlandese era, in una certa misura, troppo competitiva. Allora aveva l'aliquota d'imposta sulle società più bassa nella zona Euro, al 12,5%, il che ha attratto molte attività sull'isola. Inoltre le banche hanno avuto accesso a credito a basso costo grazie ai tassi d'interesse bassi e al sostegno implicito all'euro da parte della comunità politica. Ciò ha significato essenzialmente che le banche potevano prestare grandi somme, sapendo che lo stato le avrebbe salvate. Pertanto è abbastanza difficile parlare dell'Irlanda sotto la stessa luce di tutti gli altri Paesi. Sebbene l'Irlanda abbia sicuramente avuto certe politiche che non erano ideali in un'economia laissez-faire, l'economia nel suo insieme si basava su una base abbastanza solida. Vale a dire, c'è stato un intervento statale nel settore dell'edilizia abitativa attraverso varie agevolazioni fiscali che hanno alimentato la bolla immobiliare. Concedere agevolazioni fiscali solo per un certo bene, va a distorcere il mercato facendo apparire più costosi altri investimenti che altrimenti sarebbero stati più redditizi. Tuttavia, anche questo fatto non è di gran conto, poiché le agevolazioni fiscali per le abitazioni esistono quasi ovunque.

L'euro ha svolto un ruolo importante nella bolla irlandese. La crescita annuale dell'offerta di moneta è salita passando da un -6,7% nel 2003 al 22% nel 2006. Il suo tasso di riferimento principale era di circa il 13% prima dell'introduzione dell'euro alla fine degli anni '90, mentre il tasso di rifinanziamento principale della BCE era appena il 2% nel 2003. La crescita delle attività bancarie irlandesi è passata dal 7,4% nel 2002 al 31% nel 2005. Il debito pubblico lordo in percentuale del PIL era del 38,7% all'inizio del millennio, riducendosi costantemente fino al 27,7% nel 2007. Pertanto è evidente che la politica fiscale del governo non era il problema, ma è diventata un problema solo dopo la crisi. Il debito pubblico lordo in percentuale del PIL è quasi raddoppiato nel 2008, al 47,5%, e alla fine del decennio era dell'83,5%. Il debito pubblico lordo è aumentato solo quando l'Irlanda ha deciso di salvare il suo sistema bancario.



Conclusione

L'etichetta "PIIGS" non permette di vedere bene l'intero quadro dei colpevoli della crisi dell'Eurozona. Inoltre la dicotomia macroeconomica tra Portogallo e Irlanda (e molti altri Paesi della zona Euro) mette in discussione l'intero progetto dell'euro. Senza l'euro i problemi del Portogallo sarebbero limitati al Portogallo, e lo stesso dicasi per Grecia ed Italia. Al limite si potrebbe accettare un'area monetaria comune con Paesi i cui livelli di sviluppo sono simili, tuttavia unire un Paese che si basa sulla spesa pubblica con uno che si basa sul laissez-faire è un suicidio. Ciò crea una situazione in cui la banca centrale avvantaggia i Paesi meno sviluppati e consente al loro comportamento irresponsabile di essere sostenuto da quei Paesi che invece seguono le regole.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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