mercoledì 13 marzo 2019

Perché l'allentamento monetario fallirà





di Alasdair Macleod


Le principali economie mondiali hanno improvvisamente rallentato negli ultimi due o tre mesi, provocando un cambio di rotta nelle politiche monetarie delle banche centrali. Stanno per essere ricacciate le stesse vecchie e stancanti risposte inflazionistiche, nonostante le prove che l'allentamento monetario non abbia mai impedito una crisi del credito. Questo articolo dimostra perché la politica monetaria è condannata ed espone tre motivi. C'è l'evidenza empirica che il denaro e il credito continuano a crescere indipendentemente dai cambiamenti dei tassi d'interesse, la prova del Paradosso di Gibson e la diffusa ignoranza negli ambienti macroeconomici riguardo il ruolo delle preferenze temporali.



Lo stato attuale delle cose

Lo stop della FED sulla stretta monetaria ha salvato l'economia mondiale dalla prossima crisi del credito, o almeno questo è il messaggio che viene sfornato dai broker e dai media generalisti. Mi viene in mente l'osservazione cinica del dottor Johnson sul secondo matrimonio: il trionfo della speranza sull'esperienza.

Gli inflazionisti insistono sul fatto che una maggiore inflazione sia la cura per tutti i mali economici. In questo caso, le crescenti preoccupazioni per la fine della fase di crescita del ciclo del credito sono i mali sopraccitati, ma anziché l'aforisma del dottor Johnson qui ne abbiamo un altro: la follia dei banchieri centrali che ripetono le stesse politiche in ogni crisi del credito. Ma se si ha un solo strumento per risolvere i problemi economici di una nazione, in questo caso l'autorità di regolare il denaro della nazione, probabilmente si finisce per credere nella sua efficacia escludendo tutto il resto.

Questa è la posizione in cui si trova Jay Powell, il presidente della FED. Ha ritenuto che il matrimonio della FED con i mercati fosse destinato a passare attraverso l'ennesimo momento critico e la FED avrebbe dovuto prepararsi. Sfortunatamente il momento critico si è materializzato prima che potesse organizzare il bilancio per poi utilizzare il bazooka monetario.

L'intero processo di pianificazione monetaria è stato sospeso ed è stato progettato un mini-salvataggio dell'economia. Questa volta sono stati i dazi di Washington contro la Cina e l'alienazione dell'UE attraverso il protezionismo commerciale che hanno interrotto i piani della FED piuttosto che i suoi stessi errori. Ma con un'azione tempestiva, la speranza è che la FED possa continuare a sostenere la fiducia per un altro anno o due. Potrebbe funzionare, ma avrà bisogno di un approccio molto più costruttivo nei confronti del commercio globale per avere una possibilità di successo.

Tuttavia stampare denaro per fermare una crisi non rappresenta una soluzione. Il problema è il troppo debito. Tuttavia gli inflazionisti non riescono a collegare il crescente debito con l'espansione monetaria. L'obiettivo della FED è quello di incoraggiare le banche commerciali ad espandere ancora il credito. Cosa significa questo se non creare più debito?

Powell ne è sicuramente consapevole e deve sentirsi intrappolato. Tuttavia, quali siano i suoi sentimenti è ininfluente; il suo obbligo contrattuale è quello di mandare avanti la baracca, monitorando le statistiche fuorvianti di occupazione ed inflazione dei prezzi. Terrà le dita incrociate sperando che si verifichi un miracolo.

È troppo presto per prevedere se la FED riuscirà a rimandare solo per un po' la certezza che gli squilibri monetari dell'economia finiranno per esplodere. Questo non è lo scopo di questo articolo, che invece è quello di evidenziare perché l'assunto sottostante, cioè che i tassi d'interesse sono il costo del denaro e possono essere manipolati senza conseguenze, sia chiaramente sbagliato. Se la domanda di moneta e credito può essere regolata dai tassi d'interesse, allora dovrebbe esserci una correlazione negativa tra i tassi d'interesse ufficiali e la quantità di denaro e credito in circolazione. È chiaro dal seguente grafico che le cose non stanno affatto così.


Questo grafico copre i movimenti violenti dei tassi d'interesse, diretti dalla FED, dopo la crisi dell'inflazione dei prezzi negli anni '70. Nonostante la FED abbia rialzato il FFR dal 4,6% nel gennaio 1977 al 19,3% nell'aprile 1980, M3 ha continuato a salire con poche variazioni nel suo ritmo. Gli abbassamenti del FFR progettati per stimolare l'economia e prevenire la recessione sono stati altrettanto inefficaci, in quanto M3 ha continuato lungo il suo percorso dopo il 1980 senza variazioni significative, e lo sta ancora facendo oggi. Non c'è alcuna correlazione tra le variazioni dei tassi d'interesse, la quantità di denaro e quindi le conseguenze inflazionistiche.



Il Paradosso di Gibson smentisce l'efficacia della politica monetaria

Dal grafico qui sopra è chiaro che il principio centrale della politica monetaria, ovvero che la quantità di denaro può essere regolata gestendo i tassi d' interesse, non è confermata dai risultati e quindi il ruolo dei tassi d'interesse non è quello di regolare la domanda di credito come comunemente supposto. Ciò è confermato dal Paradosso di Gibson, che dimostrò che esisteva una correlazione positiva di lungo periodo tra i tassi di prestito ed i prezzi, esattamente l'opposto di quello presupposto dagli economisti moderni. Questo è mostrato nel nostro secondo grafico, che copre oltre due secoli di statistiche britanniche.


Gli economisti hanno respinto la contraddizione presentata dal Paradosso di Gibson, perché in conflitto con la loro visione d'insieme: i tassi d'interesse regolano la domanda di moneta e quindi i prezzi. Viene quindi ignorato, ma le prove sono chiare. Storicamente i tassi d'interesse hanno seguito il livello generale dei prezzi, non il tasso d'inflazione annuale. Come mezzi di gestione della politica monetaria, i tassi d'interesse e quindi i costi di finanziamento, sono inefficaci come confermato dal terzo grafico qui sotto.


L'unica correlazione apparente tra i costi di finanziamento e l'inflazione dei prezzi si è verificata negli anni '70, quando l'inflazione dei prezzi s'impennò ed i mercati obbligazionari e monetari si risvegliarono di fronte al collasso del potere d'acquisto della valuta.

La spiegazione del Paradosso di Gibson è semplice. È ovvio che se cambia il livello generale dei prezzi, in generale gli imprenditori lo terranno in conto nei loro calcoli, soprattutto quando si tratta di valutare il livello dell'interesse che sono disposti a pagare e realizzare un profitto. Se un imprenditore si aspetta prezzi più alti, si aspetterà un tasso di rendimento più elevato e quindi sarà disposto a pagare un tasso d'interesse più alto. E se i prezzi sono più bassi, può permettersi solo di pagare un tasso corrispondentemente inferiore. Ciò vale quando il capitale, sotto forma di risparmi, è limitato dalla volontà delle persone (intenzionate a risparmiare) e le imprese devono competere per entrare in possesso di suddetti risparmi.

Oggi il Paradosso di Gibson non sembra più applicarsi, in parte perché il capitale non è più scarso (grazie alle banche centrali) e in parte perché l'abbandono dell'accordo di Bretton Woods ha portato ad un aumento costante degli indici del livello generale dei prezzi. A questi fattori si deve aggiungere una falsa rappresentazione intenzionale dell'inflazione dei prezzi nelle statistiche ufficiali, un inganno che quasi certamente finirà per destabilizzare i tentativi di gestione dell'economia.

Nonostante questi punti, viene lo stesso smentita la convinzione che i tassi d'interesse siano un prezzo che regola la domanda di denaro. L'errore è ignorare la dimensione umana delle preferenze temporali e presupporre che non vi sia alcuna ragione per una differenza nei valori intertemporali, il valore di qualcosa oggi rispetto a domani. Per capire perché il degrado del valore nel corso del tempo diventa un elemento necessario di compensazione nei contratti di prestito, dobbiamo esaminare più in dettaglio i tassi d'interesse. Solo così possiamo comprendere appieno il motivo per cui non sono correlati ai cambiamenti nel livello generale dei prezzi e alla crescita del credito, che costituisce il grosso di M3 nel primo grafico.



Il ruolo della preferenza temporale

In tutti gli accordi di prestito, l'interesse rappresenta una serie di fattori. Esiste un elemento che rappresenta un premio per il rischio, a seconda del rating di credito del mutuatario, del rischio imprenditoriale e dello scopo per cui è stato acceso il prestito. Esiste anche un tasso di base generalmente concordato che in un'economia di mercato riflette la preferenza temporale, indicata dagli economisti Austriaci come il tasso originario. La preferenza temporale è la differenza nel valore di un'azione destinata a soddisfare una desiderio subito rispetto al valore posto sulla stessa soddisfazione raggiunta in un secondo momento.

I macroeconomisti mainstream negano l'esistenza delle preferenze temporali, sostenendo che l'interesse rappresenta il prezzo del denaro. Se questo è ciò che rappresenta l'interesse, allora può essere ridotto al beneficio ottenuto da produttori e consumatori, e al di là della perdita dei risparmiatori, non devono verificarsi altre conseguenze. Inoltre la negazione di un elemento umano soggettivo è sempre necessaria affinché sia credibile un approccio matematico ai prezzi.

Nonostante sia fuori moda, dobbiamo riassumere brevemente la teoria della preferenza temporale. La preferenza temporale è sempre presente, perché il tempo per ogni attore economico è finito e quindi ha valore. Quanto più rapidamente un'azione raggiunge una soddisfazione, tanto più preziosa sarà rispetto ad un'azione che porta a ritardare nel tempo tale soddisfazione. È noto che un uccello in mano vale più di due su un albero.

La chiave per capire l'importanza della preferenza temporale è rendersi conto che è una caratteristica umana, e non qualcosa che si sviluppa dalle proprietà dei singoli beni e servizi. Le differenze intertemporali nei prezzi possono variare notevolmente tra i vari prodotti, principalmente a causa delle loro caratteristiche individuali di offerta e domanda. Poiché la preferenza temporale è un determinante sottostante all'azione umana, la regola generale è che maggiore è la differenza di tempo tra decidere un corso di azione ed il raggiungimento della soddisfazione, minore sarà il valore attuale di quell'azione futura. Dalle nostre esperienze individuali, sappiamo tutti che questo è vero.

La preferenza temporale è quindi il valore intertemporale generale posto su beni e servizi da parte dei consumatori. Non è sotto il controllo del produttore, o di una banca centrale. È il consumatore, il compratore finale, che conferma il livello di sconto sui valori futuri, perché i consumatori sono gli umani che agiscono con le loro preferenze umane.

Al fine di ottenere capitale monetario per un qualsiasi motivo, coloro che lo vogliono utilizzare devono persuadere i relativi proprietari a separarsene temporaneamente, in cambio di un compenso correlato alla loro preferenza temporale generale. Questo perché gli viene chiesto di differire il loro consumo, risultato rappresentato dal denaro preso in prestito. Per comodità e per convenzione, la compensazione per la perdita della disponibilità di denaro per le spese immediate è espressa come tasso d'interesse annuale. Pertanto le variazioni della preferenza temporale dei consumatori sull'intera gamma di beni e servizi si manifesteranno sotto forma di tasso d'interesse di base, o originario, sul denaro.

Questa fondamentale classificazione umana dei valori è importante per gli imprenditori, perché più tempo ci vuole per produrre un bene di consumo, meno il valore di tale bene potrà essere previsto, espresso nel denaro di oggi. Nell'assemblare le loro risorse di capitale, tengono conto di questa spesa legata al tempo.

Pertanto, al fine di ridurre la perdita di valore dovuta alle preferenze temporali, gli imprenditori preferiranno sempre il percorso più efficiente per la produzione finale. Se, come sempre accade oggi, una banca centrale impone una riduzione dello sconto sui beni futuri attraverso la politica dei tassi d'interesse, gli imprenditori non saranno più disciplinati a preferire la strada più efficiente per la produzione. Lo sconto intertemporale rimane, ma la soppressione dei tassi d'interesse da parte di una banca centrale che impone un tasso inferiore a quello di mercato, crea un'opportunità non correlata all'obiettivo di soddisfare il consumatore.

Questo è il motivo per cui la soppressione dei tassi d'interesse porta ad investimenti improduttivi, esposti quando i tassi d'interesse salgono in seguito. Questo è il motivo per cui l'economia americana è in fase di stallo.

È chiaro che, a prescindere dalla politica monetaria, il tasso d'interesse originario è impostato da individui nel loro ruolo di attori economici. Ciò non significa che nel prendere le loro decisioni non siano influenzati dai tassi d'interesse ufficiali, ma esiste un limite stretto a tale influenza. Invece gli individui coglieranno le opportunità presentate dalla differenza tra il loro tasso d'interesse originario e quello stabilito dalle autorità monetarie. Un esempio ovvio è il settore immobiliare, in cui i tassi d'interesse soppressi convincono le persone a prendere in prestito denaro a basso costo per acquistare case, semplicemente perché l'interesse da pagare è inferiore a quello suggerito dalle preferenze temporali personali. Lo stesso vale per il finanziamento degli acquisti di asset finanziari, ed è anche una delle ragioni principali dietro l'espansione del credito al consumo.

La soppressione dei tassi d'interesse a livelli inferiori a quelli stabiliti collettivamente dai consumatori secondo le loro preferenze temporali, è la fonte di inflazioni, boom, bolle e bust.

In sostanza, le politiche delle banche centrali riguardo i tassi d'interesse distorcono i mercati, ma non possono modificare in modo significativo il tasso d'interesse originario. Quest'ultimo viene impostato semi-consapevolmente dai consumatori. Le relazioni tra prestatori e mutuatari sono ulteriormente distorte dalla tassazione, perché gli stati considerano il reddito da interessi come una "quasi usura" e quindi un obiettivo per ridurre l'ineguaglianza implicita di alcuni individui in possesso di significativi livelli di risparmio rispetto ad altri.

La tassazione sugli interessi interferisce con la preferenza temporale. Inutile dire che una riduzione netta della tassazione è salutare, come dimostrato dalle due economie di maggior successo nel dopoguerra, Giappone e Germania. In Giappone i conti di risparmio postali esenti da tasse erano molto popolari ed erano sfruttati come mezzo per guadagnare interessi senza essere tassati; in Germania il Federal Central Tax Office non si preoccupò molto di riscuotere la ritenuta d'acconto sugli interessi obbligazionari, almeno fino agli anni '80, perché altrimenti il denaro sarebbe uscito dalla Germania e sarebbe finito in conti di risparmio in Lussemburgo e in Svizzera. I consumatori sia in Giappone che in Germania conservano ancora un'abitudine al risparmio, la quale contribuisce ad un livello relativamente stabile della preferenza temporale, caratteristiche che sono state fondamentali per il loro successo economico.

Gli esempi di Germania e Giappone sono in contrasto con altre economie in cui il risparmio è stato scoraggiato attraverso la discriminazione fiscale. La sostituzione dei risparmi negli Stati Uniti e nel Regno Unito con il credito bancario e il denaro della banca centrale è stato un triste fallimento in confronto.

Finora abbiamo solo parlato di preferenze temporali in assenza di cambiamenti nel potere d'acquisto del denaro. Se come accade oggi il potere d'acquisto del denaro è in continua diminuzione, si allarga ulteriormente il divario tra i tassi d'interesse ufficiali e le preferenze temporali. E se i risparmiatori comprendono la misura in cui la valuta in cui sono denominati i loro risparmi sta perdendo potere d'acquisto, invece di credere alle statistiche statali ufficiali, potrebbero aumentare drasticamente la loro preferenza temporale per il presente rispetto al futuro.

Questo spiega perché, quando le autorità rispondono all'aumento dell'inflazione dei prezzi rialzando i tassi d'interesse, tutto quello che stanno facendo è tentare di restringere un divario già crescente tra la loro versione di dove dovrebbero essere i tassi d'interesse e l'aumento del tasso originario del mercato. L'espansione del credito bancario non rallenta, perché il divario è ancora lì ed aumenta invece.

Lo abbiamo visto negli anni '70, quando il rialzo dei tassi d'interesse non rallentò la domanda di credito, la quale continuò a salire a prescindere. Anche il tasso d'inflazione dei prezzi stava aumentando, persuadendo i mutuatari che il potere d'acquisto della moneta stava scendendo ad un ritmo accelerato, facendo salire così le loro preferenze temporali più rapidamente di quanto compensato dai tassi d'interesse ufficiali.

Ciò si concluse all'inizio degli anni '80, quando le aspettative di aumento dei prezzi furono infine interrotte da un 20%+ nei tassi di riferimento. Negli anni '80 la domanda di credito continuava ad aumentare, nonostante il calo dei tassi d'interesse, a causa della liberalizzazione finanziaria e bancaria che compensò i fallimenti associati ai mal investimenti. Le misure monetarie più ampie continuarono a crescere con variazioni minime come se non fosse successo nulla, proprio come accade ancora oggi.

La Banca Centrale Europea dovrebbe prestare attenzione anche ai suoi fallimenti: l'introduzione di tassi di deposito negativi, in barba alle preferenze temporali, non è riuscita a stimolare la produzione e il consumo (a parte la spesa pubblica). Certo, i tassi negativi non sono stati trasferiti alle imprese e ai consumatori, spesso per ragioni strutturali. Invece i tassi d'interesse negativi della BCE hanno avvantaggiato gli stati spendaccioni dell'Eurozona, consentendo loro di tassare i depositi dei risparmiatori. Dovrebbe essere chiaro che i tassi d'interesse negativi non possono essere giustificati fintanto che l'umanità apprezza più una soddisfazione presente che la stessa soddisfazione in una data futura.



Le implicazioni per l'economia odierna

Mentre l'evidenza è che le politiche riguardo i tassi d'interesse non riescono a regolare il ritmo dell'inflazione monetaria, i semi della crisi economica sono stati seminati dalla precedente soppressione dei tassi d'interesse. Poiché la soppressione dei tassi d'interesse al di sotto del tasso originario impostato dalla preferenza temporale della popolazione sfocia sempre in investimenti improduttivi, i successivi rialzi dei tassi d'interesse fanno emergere platealmente l'improduttività di suddetti investimenti. La risposta delle aziende è sempre la stessa: correzione dei mal investimenti.

Le banche percepiscono il cambiamento dell'umore nei loro clienti e il conseguente aumento del rischio di prestito. Chiudono le loro linee di credito a quelli che ritengono vulnerabili, di solito le medie e le piccole imprese che costituiscono l'80% dell'economia. L'ambiente economico, poi, si sfracella con una rapidità che sorprende tutti: le carenze di manodopera scompaiono, seguite da licenziamenti; si innesta un processo inarrestabile di correzione dei precedenti investimenti improduttivi.

Questo è il punto nel ciclo del credito dove sembra che siamo arrivati ​​oggi. Se solo i banchieri centrali avessero preso sul serio le prove delle proprie statistiche, se solo avessero prestato attenzione al messaggio del Paradosso di Gibson e se avessero notato la follia di fare sempre la stessa cosa senza che funzionasse mai una volta, saremmo stati benedetti da un grado molto maggiore di stabilità economica invece che da una crescente certezza di un'altra crisi finanziaria e sistemica.

Per quanto riguarda la speranza che tagliare i tassi d'interesse porti in qualche modo ad un'espansione del credito bancario, non trattenete il respiro. L'altra lezione che tutti dovremmo apprendere è che l'offerta di moneta continua ad aumentare, se non sotto forma di credito bancario, sotto forma di base monetaria della banca centrale. Questo perché l'alternativa ai fallimenti diffusi è sempre sgradita allo stato.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


1 commento:

  1. If Central Banks Are the Only Game in Town, We’ve Lost

    Le recessioni non hanno nulla a che fare con la forza di un'economia, una migliore produttività o una gestione più efficiente degli inventari da parte delle aziende (come la pensa quell'analfabeta economico di Roubini). E pare che ormai lo stiano capendo anche le testate giornalistiche mainstream. La banca centrale è il fattore chiave dietro la ricorrenza dei cicli di boom-bust. Le policy delle banche centrali, che mirano a correggere le conseguenze "non intenzionali" derivanti dai tentativi precedenti di stabilizzare l'economia, sono le cause dei cicli economici.

    A causa del lag temporale tra cambiamenti nell'offerta di denaro, variazioni dei prezzi e dati reali dell'attività economica, i banchieri centrali devono confrontarsi con dati economici che potrebbero essere in conflitto con i loro obiettivi. Il lag temporale tra variazioni nell'offerta di denaro e cambiamenti nell'inflazione dei prezzi tende ad essere molto più lungo del lasso di tempo tra le variazioni nell'offerta di denaro e le variazioni nell'attività economica reale. Ad esempio, a seguito della precedente politica monetaria allentata, l'inflazione dei prezzi inizia a rafforzarsi. Per contrastare questo rafforzamento la banca centrale decide di tirare il freno a mano sulla sua politica allentata. Tuttavia, a causa delle differenze nel lag temporale, è probabile che l'economia reale si indebolisca piuttosto rapidamente in risposta alla politica monetaria più ristretta, mentre l'inflazione dei prezzi continua a salire a causa degli effetti negativi più lunghi delle politiche monetarie allentate precedenti. Per contrastare l'aumento dell'inflazione dei prezzi, la banca centrale adotta una posizione ancor più ristretta. In sostanza, è una situazione in cui i banchieri centrali rispondono agli effetti delle loro precedenti politiche monetarie.

    I banchieri centrali si considerano l'entità responsabile a portare la cosiddetta economia sul sentiero della crescita economica e di un'inflazione dei prezzi stabile. Di conseguenza qualsiasi deviazione dai loro standard auto-imposti innescherà la loro risposta. Queste risposte agli effetti delle precedenti politiche sui dati economici danno luogo alle fluttuazioni del tasso di crescita dell'offerta di moneta e, a sua volta, ai cicli ricorrenti di boom/bust. Ciò che determinerà la gravità della crisi è lo stato del bacino della ricchezza reale e le prolungate politiche monetarie e fiscali allentate ne hanno (con molta probabilità) indebolito gravemente la creazione (se non arrestata del tutto).

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