lunedì 29 giugno 2020

Come gli stati hanno distrutto il mercato del petrolio





di Daniel Lacalle


L'Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (OPEC) ed i suoi partner hanno tagliato la produzione di petrolio da settembre 2016. Tra settembre e novembre 2016 l'hanno tagliata di oltre 1,7 milioni di barili al giorno, un taglio storico che è stato erroneamente prolungato durante la fase espansiva dell'economia globale. Nel dicembre 2018 hanno nuovamente tagliato la produzione.

L'OPEC stava cercando di gonfiare artificialmente il prezzo del petrolio, ma nessun Paese produttore di petrolio ha guadagnato ai prezzi del 2016; l'unica cosa che non potevano permettersi era di pagare enormi sussidi, dipendenti pubblici e spese non petrolifere che molti membri dell'OPEC finanziano con i proventi delle esportazioni.

Questo errore strategico ha portato a due effetti negativi per i Paesi produttori: da un lato hanno accelerato la diversificazione dell'offerta e la sostituzione tecnologica; dall'altra parte la quota di mercato dell'OPEC è scesa ai minimi di un decennio a questa parte. I successivi effetti fiscali e monetari hanno trasformato un errore strategico in un disastro. La stragrande maggioranza di questi Paesi ha contratto deficit fiscali e commerciali significativi e, in assenza di una domanda locale e internazionale per la propria valuta, la stragrande maggioranza ha aumentato il debito in dollari USA. Con le esportazioni in calo e le entrate in dollari, ora si trovano ad affrontare una grave carenza di dollari nel mezzo di un crollo della domanda.

Suddetti tagli alla produzione, inoltre, hanno funzionato come una sovvenzione involontaria ai produttori degli Stati Uniti. L'aumento a breve termine del prezzo del petrolio a causa dei tagli dell'offerta ha comportato un'immissione di capitale senza precedenti per l'industria petrolifera nordamericana, la quale stava attraversando un periodo terribile. L'OPEC ha salvato lo scisto e ha perso quote di mercato. Ciò ha portato gli Stati Uniti a raggiungere un record di produzione di tutti i tempi, battendo l'Arabia Saudita e la Russia nella produzione quotidiana.

Inoltre tra il 2015 e il 2019 abbiamo assistito ad un'espansione del credito senza precedenti. Dalla Cina all'Unione Europea l'espansione del credito è stata incoraggiata in modo tale che gli investimenti di dubbia redditività fossero finanziati a tassi storicamente bassi, l'eccesso di capacità e gli investimenti petroliferi discutibili sono stati zombificati e le società che avrebbero dovuto fallire sono state mantenute in vita attraverso una costante rifinanziamento ed emissione di debito ad alto rischio a rendimenti sempre più bassi. Uno tsunami di capacità inattiva stava continuando a fluire malgrado i tagli di produzione precedentemente menzionati. Il nuovo debito emesso dal settore petrolifero per finanziare investimenti e operazioni ha raggiunto i $200 miliardi l'anno secondo il Wall Street Journal. E con rendimenti molto bassi.

L'industria petrolifera è diventata una delle principali aree di malinvestment negli anni di enorme liquidità e bassi rendimenti. Ciò ha perpetuato l'eccesso di capacità e ha mantenuto inutilmente in vita le aziende inefficienti. I tagli dell'OPEC hanno aggiunto un ulteriore livello di supporto che alla fine s'è rivoltato contro le nazioni produttrici.

Prima del COVID-19, c'erano già segni di un rallentamento nel mondo dell'energia. L'Agenzia internazionale dell'energia (AIE) aveva già ridotto le stime di crescita della domanda nel 2019 e aveva in guardia nei confronti del ritmo di indebolimento. A giugno 2019 la sua relazione sul mercato petrolifero ridimensionava le aspettative di crescita della domanda a 1,2 milioni di barili al giorno, un taglio delle stime che aveva fatto anche a maggio e aprile dello stesso anno. Le scorte globali di petrolio erano nella media dei cinque anni precedenti e il petrolio immagazzinato nel mare stava cominciando a crescere in modo preoccupante per un mondo che apparentemente stava crescendo costantemente.

I problemi di stoccaggio in America erano già evidenti anni prima della crisi COVID-19. Gli Stati Uniti hanno un problema storico con lo stoccaggio e l'evacuazione del petrolio. I problemi di stoccaggio erano già emersi nel 2007: un crollo dei prezzi sul West Texas Intermediate (WTI) quando una raffineria di Valero in Texas venne temporaneamente chiusa. Lo stoccaggio si riempì rapidamente e il prezzo di riferimento del greggio crollò. Gli Stati Uniti hanno 91 milioni di barili di petrolio greggio in Oklahoma, ma la maggior parte delle raffinerie sono a lunga distanza o in altri stati, e c'è un problema di evacuazione che non è stato risolto quando alcuni importanti progetti di gasdotti sono stati fermati da decisioni governative e giudiziarie.

Il mercato del petrolio stava mostrando una piccola curva di backwardation a metà del 2019, riflettendo un ambiente ragionevolmente positivo per il settore, ma la capacità inattiva e l'indebolimento della crescita della domanda erano già evidenti. Poi è arrivato il COVID-19 e con esso la chiusura forzata dell'economia.

Tutti questi fattori sono stati fondamentali per la tempesta perfetta, arrivata lo scorso aprile quando il prezzo del contratto del greggio WTI di maggio ha raggiunto un prezzo negativo. La capacità di stoccaggio è crollata a causa del calo della domanda, che a marzo e aprile è scesa negli Stati Uniti ai livelli più bassi osservati sin dal 1995. Secondo Bloomberg, la domanda di petrolio negli Stati Uniti sarebbe diminuita di oltre 9 milioni di barili al giorno lo scorso aprile, cancellando tutta la crescita dei consumi del decennio precedente. Il crollo del prezzo del greggio ha portato a "margin call" mostruose e vendite urgenti in un momento in cui nessuno voleva comprare e coloro che potevano soddisfare i contratti non avevano spazio per conservare il greggio.

Col Brent, il punto di riferimento internazionale, la situazione è simile ma non così drammatica. Il prezzo è crollato di oltre il 70% nel 2020.

Il greggio immagazzinato in cisterne è salito alle stelle nel 2020, a 3,2 miliardi di barili, a cui si aggiungono centinaia di navi che galleggiano nei mari del mondo cariche di greggio, almeno 160 milioni di barili nei porti da Singapore al Suffolk.

In tutto il mondo esiste una capacità inattiva di circa 1,4 miliardi di barili per lo stoccaggio di greggio. Ciò non dipende molto dalla velocità con cui viene distrutta la domanda, ed è stato raggiunto un punto in cui molti produttori devono continuare a consegnare i barili perché interrompere la produzione sarebbe più costoso che mantenerla attiva. Secondo l'AIE, la domanda potrebbe diminuire di 9,3 milioni di barili al giorno per tutto il 2020, con un crollo di 29 milioni di barili al giorno ad aprile.

Nel 2020 l'offerta sarà probabilmente ridotta di circa 12 milioni di barili al giorno, ma non è sufficiente per mitigare la distruzione della domanda o la mancanza di capacità di stoccaggio.

Molti palyer hanno torto quando pensano che i fallimenti nel settore petrolifero bilancino il mercato e limitino l'offerta. Quando una società fallisce, le attività vengono assorbite da un'altra più efficiente e senza debiti.

Gli stati di tutto il mondo salvano i cosiddetti settori strategici e il complesso energetico è in prima linea in queste azioni. Scommettere sulla distruzione creativa per frenare l'eccesso di capacità sarà un errore. Gli stati e le banche centrali salveranno l'abbuffata di investimenti improduttivi nell'ultimo decennio e, cosa ancora più importante, incentiveranno ancora più sovraccapacità attraverso massicci stimoli, iniezioni di liquidità e tassi negativi.

Il mercato petrolifero era già debole nel 2019, ora deve affrontare un cataclisma. I produttori dovranno adattarsi, come sempre, adeguando i costi. Tagliare la produzione nasconde il problema a breve termine e crea altri problemi in seguito, come spieghiamo in The Energy World Is Flat (Wiley).

Il motivo per cui il mercato petrolifero è rotto: non è un mercato libero. Ha beneficiato di sussidi diretti e indiretti per creare sovraccapacità ed eccesso di offerta, una conseguenza degli eccessi nelle politiche monetarie e fiscali. Il settore energetico è diventato l'esempio più chiaro di settore "troppo grande per fallire". Sfortunatamente i malinvestment saranno ancora una volta salvati e il mercato petrolifero rimarrà inefficiente come quello del carbone e dell'alluminio.

Ci sarà volatilità. Rimarrà tuttavia la distruzione di valore a lungo termine del settore, sia da parte di enti statali che privati.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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