La traduzione in italiano dell'opera scritta da Wendy McElroy esplora Bitcoin a 360°, un compendio della sua storia fino ad adesso e la direzione che molto probabilmente prenderà la sua evoluzione nel futuro prossimo. Si parte dalla teoria, soprattutto quella libertaria e Austriaca, e si sonda come essa interagisce con la realtà. Niente utopie, solo la logica esposizione di una tecnologia che si sviluppa insieme alle azioni degli esseri umani. Per questo motivo vengono inserite nell'analisi diversi punti di vista: sociologico, economico, giudiziario, filosofico, politico, psicologico e altri. Una visione e trattazione di Bitcoin come non l'avete mai vista finora, per un asset che non solo promette di rinnovare l'ambito monetario ma che, soprattutto, apre alla possibilità concreta di avere, per la prima volta nella storia umana, una società profondamente e completamente modificabile dal basso verso l'alto.
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(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/la-prigione-delle-certezze)
Nel saggio, La società degli algoritmi, ho esplorato come l'ordinamento algoritmico e la manipolazione delle informazioni abbiano creato realtà frammentate in cui non condividiamo più una comprensione comune dei fatti. Oggi approfondirò il rovescio della medaglia: perché le nostre menti si aggrappano alle convinzioni nonostante le prove di manipolazione.
Un detto, attribuito a Mark Twain, recita: “È più facile ingannare le persone che convincerle di essere state ingannate”. Vero o no, racchiude in sé una realtà psicologica: una volta che ci siamo affezionati a una convinzione, abbandonarla può sembrare quasi impossibile.
Nei miei lavori precedenti ho esplorato come il nostro panorama informativo sia sistematicamente progettato attraverso la divisione algoritmica (Ingegnerizzare la realtà), le narrazioni istituzionali (Leggere tra le bugie) e il rifiuto sistematico del riconoscimento degli schemi (Non può essere vero). Comprendere questi sistemi esterni è solo la prima metà dell'equazione, l'altra è dentro di noi: i meccanismi psicologici che ci rendono restii a cambiare idea anche di fronte a prove schiaccianti.
Perché sbagliare fa male
Di recente parlavo con un amico di eventi storici che non tornano. Quando gli ho suggerito di prendere in considerazione alcune prove che mettessero in dubbio la narrazione ufficiale sull'11 settembre, si è subito zittito, non perché sia poco intelligente o poco curioso, ma perché “ha perso un amico quel giorno”. Il suo legame emotivo con l'evento ha creato una fortezza psicologica che nessuna prova può penetrare. Allo stesso modo molti di coloro che hanno difeso con zelo le politiche anti-COVID ora riconoscono che “sono stati commessi degli errori”, ma insistono sul fatto che “gli esperti avevano buone intenzioni”. Questa non è una resa dei conti; è una razionalizzazione.
Un articolo dell'Atlantic che ho appena letto, intitolato Perché il giudizio sul COVID è così unilaterale (versione non a pagamento), illustra perfettamente questa resistenza psicologica al cambiamento di convinzioni. Jonathan Chait, l'autore, critica i conservatori, dimostrando al contempo la stessa cecità cognitiva che sto descrivendo: liquidando gli “errori” dei progressisti come semplici errori in buona fede piuttosto che come fallimenti sistematici che hanno devastato vite umane. Da nessuna parte riconosce la censura che ha schiacciato il dissenso.
Questo si collega direttamente a quanto ho scritto sulle realtà parallele. La mia esperienza personale illustra questa divisione: quando mi sono espresso contro gli obblighi di vaccinazione, molti nella mia cerchia personale e professionale non sono riusciti a difendere le proprie posizioni con la scienza o la logica. Invece di impegnarsi hanno smesso di comunicare con me. Ora viviamo in linee temporali separate che ho descritto nel saggio citato all'inizio di questo pezzo. Non sono amareggiato, solo confuso dalla facilità con cui i legami umani si sono fratturati quando le convinzioni sono state messe in discussione. Provo compassione nel cuore, ma non dimenticherò la rapidità con cui le persone hanno rivelato le loro vere priorità quando il conformismo sociale è entrato in conflitto con l'indagine aperta.
Queste reazioni rivelano qualcosa di profondo sulla psicologia umana: ammettere di essere stati manipolati non è semplicemente una questione di elaborazione di nuove informazioni. Richiede di affrontare la possibilità che la nostra comprensione della realtà – e forse la nostra stessa identità – sia stata costruita sulla falsità.
Il costo dell'ammissione
Si pensi ai vaccini a mRNA. Per i genitori che si sono precipitati a far vaccinare i propri figli, o per i medici che li hanno promossi con entusiasmo ai pazienti, riconoscere i potenziali danni non significa semplicemente aggiornare la propria valutazione del rischio; significherebbe affrontare l'insopportabile possibilità di aver danneggiato le persone che più amavano.
Gli operatori sanitari hanno avuto la priorità nella vaccinazione, coinvolgendoli fin da subito nella narrazione. Una volta somministrata l'iniezione e imposto il vaccino ai pazienti, la vostra identità – giudizio professionale, etica, immagine di voi stessi come medico – dipende dalla sua certezza. Il costo dell'ammissione di un errore diventa psicologicamente proibitivo.
Il costo diventa di gran lunga personale. Diversi amici ora portano i loro figli dai cardiologi per problemi sviluppati dopo la vaccinazione. Solo uno ha confidato in privato di credere che quelle iniezioni abbiano causato la condizione di suo figlio. Per gli altri, riconoscere questa possibilità significherebbe affrontare un senso di colpa insopportabile: quello di aver potuto danneggiare il proprio figlio seguendo quello che ritenevano essere un consiglio medico presumibilmente responsabile.
Questo spiega perché alcuni dei più convinti sostenitori di questi interventi siano spesso gli operatori sanitari che li hanno somministrati. Come hanno dimostrato lo psicologo Leon Festinger e i suoi colleghi nel loro studio del 1957, When Prophecy Fails, quando le prove contraddicono una convinzione fondamentale, molte persone non abbandonano la convinzione, ma la rafforzano, ignorando le prove.
La trappola dell'identità
Gli stessi meccanismi psicologici operano nel dibattito sui giovani transgender. I genitori che hanno supportato la transizione medica dei propri figli si trovano ad affrontare un ostacolo psicologico insormontabile al riconsiderare la propria decisione, indipendentemente dalle prove emergenti sui rischi o sui tassi di rimpianto.
Osservando gli amici che affrontano questo terreno con i propri figli, sono colpito dai parallelismi con altre forme di radicamento delle proprie convinzioni. I genitori che hanno dato il via libera alla transizione dei propri figli si trovano nella stessa trappola: riconsiderare il percorso rischia di comportare l'ammissione di una potenziale catastrofe.
Più pubblico è il loro sostegno, più alta è la posta in gioco. Una volta che avete annunciato con orgoglio la transizione di vostro figlio sui social, testimoniato davanti ai consigli scolastici sull'importanza dell'assistenza che conferma il genere, o siete stati celebrati come un “genitore modello”, la trappola dell'identità si chiude. Cambiare idea non significa semplicemente adattarsi a nuove informazioni: è una forma di suicidio sociale e psicologico.
L'aspetto del contagio sociale è impressionante. Un'amica mi ha di recente raccontato che nella classe di terza media di sua figlia, in un'esclusiva scuola privata di New York, quasi il 50% delle ragazze si identifica ora in qualcosa di diverso dal genere femminile. Ai miei tempi molte di quelle ragazze si sarebbero semplicemente laccate le unghie di nero e avrebbero detto di essere goth.
Prendendo le distanze dalla narrazione attuale, credo che ciò a cui stiamo assistendo sia una moda passeggera piuttosto che una rivelazione sulla natura umana, rimasta in qualche modo nascosta nel corso della storia fino ad oggi. Questa prospettiva non nega l'esperienza di nessuno, ma la colloca semplicemente nel contesto di come gli adolescenti hanno sempre navigato nelle acque turbolente della scoperta di sé.
Ciò che mi spezza il cuore è vedere questi ragazzi affrontare l'adolescenza, già di per sé difficile, con autentico dolore e confusione. Le loro difficoltà meritano di essere prese sul serio, ma temo che, invece di aiutarli a esplorare l'identità in modi che preservino le opzioni future, ci siamo affrettati a medicalizzare quelle che potrebbero essere fasi di sviluppo normali, spesso portando a interventi irreversibili prima che abbiano pienamente sviluppato il loro senso di sé.
Naturalmente la disforia di genere esiste, e chi ne soffre merita non solo compassione e dignità, ma anche il nostro incrollabile sostegno. La mia preoccupazione non riguarda l'affermazione delle identità, ma la tempistica e la permanenza delle decisioni mediche. Non permettiamo ai ragazzini di farsi tatuaggi, di arruolarsi nell'esercito, o di fare altre scelte che cambiano la vita proprio perché comprendiamo la psicologia dello sviluppo. Eppure, in questo ambito, la cautela ponderata viene etichettata come odio, rendendo quasi impossibili conversazioni significative.
Quando l'autorità acceca
Oltre all'identità, c'è anche la nostra fiducia nell'autorità: si pensi agli esperimenti di Milgram a Yale negli anni '60, i quali rivelarono la preoccupante tendenza dell'umanità a obbedire all'autorità anche quando ciò viola la nostra bussola morale. I partecipanti a quegli esperimenti continuarono a somministrare quelle che ritenevano essere dolorose scosse elettriche perché un tizio in camice da laboratorio li aveva rassicurati che era necessario.
Il nostro parallelo moderno è sorprendente: professionisti istruiti hanno sospeso il loro giudizio e le loro preoccupazioni etiche perché i funzionari della sanità pubblica in posizioni di autorità li hanno rassicurati sulla necessità di misure senza precedenti. Quando gli esperti hanno raccomandato politiche senza precedenti storici, o prove a supporto, molte persone istruite hanno aderito istintivamente, non per attenta valutazione, ma per rispetto verso l'autorità.
“Fidatevi della Scienza™” è diventato l'equivalente moderno de “L'esperimento deve continuare” di Milgram: una frase che mette fine al pensiero, concepita per annullare il giudizio individuale. Questa deferenza non era un segno di comprensione scientifica, ma il suo opposto: la sostituzione dell'autorità alle prove.
Lo scudo dello status
Nel saggio, L'illusione degli esperti, ho esplorato come la nostra classe di professionisti spesso confonda le credenziali con la saggezza. Questa dinamica crea un altro ostacolo al cambiamento delle convinzioni: la protezione dello status.
Per molti professionisti istruiti, il loro status sociale dipende dall'essere percepiti come informati e razionali. Ammettere di essersi sbagliati su questioni importanti minaccia non solo le loro convinzioni, ma anche il loro status. Se avete costruito la vostra identità basandovi sulle “prove”, o sul “seguire la scienza”, riconoscere di essere stati fuorviati mette in discussione il vostro concetto di voi stessi.
Questo spiega la veemenza con cui molti hanno difeso le politiche relative al COVID sempre più incoerenti. Il loro forte attaccamento non era alle politiche in sé, ma alla loro immagine di seguaci razionali di una guida esperta. Cambiare posizione non è stato semplicemente un aggiornamento dei fatti: ha significato perdere la faccia.
Come il nostro cervello combatte la verità
La ricerca in neuroscienze cognitive suggerisce un'intuizione intrigante: il nostro cervello elabora le sfide riguardo le nostre convinzioni fondamentali in modo simile a come elabora le minacce. Quando ci vengono presentate prove che contraddicono opinioni profondamente radicate, le persone spesso sperimentano una risposta fisiologica allo stress, non solo un disaccordo intellettuale. I nostri circuiti neurali sono progettati per proteggere la nostra visione del mondo con la stessa vigilanza della nostra sicurezza fisica.
Questo spiega perché presentare i fatti raramente cambia l'opinione pubblica su questioni cariche di emotività. Quando qualcuno risponde a prove contrarie con rabbia o rifiuto, non è testardo, ma sta vivendo una risposta neurologica di minaccia.
Il nostro cervello si è evoluto per dare priorità all'accettazione sociale rispetto alla verità oggettiva – un vantaggio per la sopravvivenza in contesti tribali, dove il rifiuto poteva significare la morte. Questo crea una vulnerabilità critica: siamo programmati per conformarci alle credenze del nostro gruppo sociale anche quando le prove suggeriscono che sono sbagliate.
Come possiamo quindi superare questo problema primordiale di cablaggio?
Spezzare l'incantesimo
Se la psicologia umana crea una resistenza così forte al cambiamento delle convinzioni, come possiamo sperare di superarle? Il primo passo è la compassione: capire che questi meccanismi non sono segno di stupidità, ma di umanità.
Quando qualcuno si rifiuta di riconoscere anche prove schiaccianti che contraddicono le sue convinzioni, non è necessariamente disonesto o irrazionale. Si sta proteggendo da un danno psicologico che sembra reale quanto un pericolo fisico.
Per superare queste barriere è necessario:
Creare spazi sicuri per il dubbio: le persone hanno bisogno di ambienti in cui mettere in discussione non significhi un rifiuto immediato. Quanto più è socialmente costoso esprimere dubbi, tanto più le convinzioni diventano radicate.
Preservare la dignità: il cambiamento diventa possibile quando le persone riescono a salvare la faccia. Ciò significa concentrarsi sui sistemi piuttosto che sui fallimenti personali, consentendo alle persone di aggiornare le proprie convinzioni senza sentirsi stupide.
Costruire fiducia attraverso valori condivisi: prima di mettere in discussione le convinzioni di qualcuno, stabilite un terreno comune. Le persone sono più ricettive alle verità difficili provenienti da coloro che percepiscono che possano condividere i loro valori fondamentali.
Pazienza nel processo: il cambiamento di convinzione avviene in genere gradualmente, non con conversioni drastiche. Una persona potrebbe porsi domande in privato molto prima di cambiare posizione pubblicamente.
Iniziare con domande, non con affermazioni: il metodo socratico rimane il più efficace. Le domande che stimolano la riflessione spesso hanno successo laddove le sfide dirette falliscono.
Cosa c'è in gioco
Non si tratta solo di vincere le discussioni politiche o di avere ragione. I meccanismi psicologici che ci impediscono di aggiornare le false credenze creano vulnerabilità che si estendono a ogni aspetto della società.
Una popolazione incapace di riconoscere la manipolazione diventa sempre più suscettibile. Quando non riusciamo ad ammettere di aver sbagliato sulle armi di distruzione di massa dell'Iraq, siamo vulnerabili alla prossima narrazione sulla guerra. Quando non riusciamo a riconsiderare i danni del lockdown, siamo pronti per la prossima risposta alle emergenze. Quando non riusciamo a mettere in discussione l'influenza dell'industria farmaceutica, siamo indifesi contro il prossimo intervento a loro vantaggio.
Come ho esplorato nel saggio, Gesti vuoti, questa resistenza psicologica è all'origine di alcuni dei nostri momenti più bui, periodi in cui persone altrimenti buone partecipano alla persecuzione, perché riconoscere la verità significherebbe confrontarsi con la propria complicità.
La mente compartimentata
L'ostacolo più profondo al cambiamento delle convinzioni potrebbe essere quello che ho descritto come la frammentazione della mente, ovvero la nostra capacità di compartimentare le informazioni in modo così efficace che le contraddizioni possono coesistere senza creare la dissonanza che potrebbe indurre a riconsiderare le cose.
La vera crescita richiede quella che ho definito “mente integra”: la capacità di gestire la complessità senza rifugiarsi in narrazioni semplicistiche, di riconoscere schemi senza soccombere alla paranoia, di mantenere i principi senza demonizzare chi non è d'accordo.
Questa integrità non è solo intellettuale, ma anche emotiva: imparare a tollerare il disagio dell'incertezza e il dolore di ammettere un errore. È una forma di maturità psicologica che il nostro attuale contesto informativo scoraggia attivamente.
Il coraggio di riconsiderare le cose
La questione non è se voi o io siamo stati manipolati: lo siamo stati tutti, in vari modi. Ho sicuramente creduto a narrazioni che poi si sono rivelate false e ho dovuto affrontare lo scomodo processo di riconsiderare posizioni profondamente radicate. La differenza non sta nella nostra immunità all'inganno, ma nella nostra volontà di riconoscerlo quando emergono le prove. Un segno di vera intelligenza non sono le credenziali che si possiedono, o la conoscenza che si possiede, ma la volontà di riconsiderare i propri punti di vista quando nuove informazioni vengono alla luce.
Coloro che sembrano più restii a cambiare idea sono spesso quelli che hanno investito di più nello status quo, sia a livello professionale, sociale, o psicologico. La loro resistenza non è prova di un'intelligenza inferiore, ma di un più profondo investimento nei sistemi che hanno plasmato il loro successo.
Nel frattempo coloro che hanno meno da perdere dal cambiamento del sistema – la classe operaia, gli emarginati, coloro che hanno assistito in prima persona al fallimento del sistema – spesso mostrano uno scetticismo più radicato nei confronti delle narrazioni istituzionali.
Comprendere queste barriere psicologiche non significa abbandonare la ricerca della verità; significa piuttosto avvicinarsi ad essa con maggiore compassione, riconoscendo che dietro ogni strenua difesa di una falsa narrazione si cela una paura profondamente umana di ciò che potrebbe costare cambiare idea.
Siamo stati tutti manipolati: è universale. La differenza sta nel saperci fare i conti. Una società che non ci riesce diventa sempre più vulnerabile. La verità richiede non solo sistemi migliori, ma anche consapevolezza di sé, rendendo la riconsiderazione delle cose un atto di coraggio, non di sconfitta.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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