mercoledì 10 dicembre 2025

Perché le teorie economiche di Keynes hanno fallito all'atto pratico

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di Lance Roberts

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/perche-le-teorie-economiche-di-keynes)

Un recente post di Daniel Lacalle, intitolato I keynesiani si sono sbagliati sull'economia statunitense... di nuovo, ha evidenziato il crescente divario tra la teoria economica di John Maynard Keynes e la realtà. Nonostante le previsioni fiduciose dei principali economisti keynesiani, l'economia statunitense nel 2025 continua a sfidare le aspettative. Il ciclo di tightening della Federal Reserve non ha innescato il tanto sbandierato  “atterraggio duro” e la crescita si è dimostrata più resiliente. Allo stesso tempo l'inflazione rimane piuttosto rigida, ma comunque in calo, e l'economia si rifiuta di seguire i percorsi lineari e ordinati suggeriti dai modelli dei libri di testo.

Quest'ultimo imbarazzo per l'ortodossia di Keynes è parte di una storia molto più ampia. I fallimenti non sono isolati errori di calcolo, ma il risultato prevedibile di un quadro imperfetto a cui i policymaker si sono aggrappati per decenni. L'economia keynesiana non solo ha “sbagliato” nell'inquadrare il 2025, ma ha ripetutamente fallito nel mantenere le sue promesse per oltre quarant'anni. E le conseguenze stanno diventando impossibili da ignorare.

In sostanza, l'economia keynesiana è ingannevolmente semplice: quando la domanda del settore privato diminuisce, lo stato dovrebbe indebitarsi e spendere per colmare il divario. L'idea è che iniezioni temporanee di stimoli fiscali possano attenuare i cicli economici, ridurre la disoccupazione e riportare rapidamente l'economia alla piena capacità.

Ma la parola chiave qui è “temporaneo”. John Maynard Keynes era chiaro: gli stati dovrebbero avere deficit durante le recessioni e surplus durante le espansioni. Il debito contratto per salvare l'economia dovrebbe essere ripagato una volta che le condizioni si saranno normalizzate.

Tuttavia, nella pratica, questa disciplina non si è mai concretizzata. I politici hanno scoperto che gli elettori apprezzavano gli stimoli ma detestavano l'austerità. Dagli anni '70 i deficit sono diventati una caratteristica permanente della politica fiscale statunitense, indipendentemente dal ciclo economico. I risultati sono preoccupanti: il debito pubblico statunitense supera ora il 120% del PIL, i programmi di welfare sono strutturalmente sottofinanziati e ogni crisi richiede interventi più ampi con benefici economici decrescenti.

La pandemia di COVID-19 è stata l'esperimento keynesiano per eccellenza. Tra il 2020 e il 2022 il governo federale ha iniettato oltre $5.000 miliardi in stimoli fiscali nell'economia, integrati dalla Federal Reserve che ha tagliato i tassi di interesse a zero e ha ampliato il proprio bilancio di $120 miliardi al mese. Secondo il modello keynesiano, questo stimolo monetario e fiscale senza precedenti avrebbe dovuto inaugurare un boom economico duraturo.


Il fallimento della crescita artificiale

Tuttavia, come abbiamo osservato nel pezzo MMT Was Tried And Failed, l’enorme flusso di stimoli ha temporaneamente stimolato la crescita economica “portando nel presente” la domanda futura, ma ha anche creato diversi problemi.

Il problema più evidente è stato l'impatto di una domanda in forte aumento su un'economia colpita nell'offerta. Con l'economia “ferma” a causa delle restrizioni imposte dallo stato, l'ondata degli stimoli ha portato a un aumento della domanda. Dato il principio economico di base della differenza tra domanda e offerta, i prezzi sono aumentati. Come previsto, ciò ha portato a un'impennata massiccia dell'inflazione (dato che la maggior parte degli americani ha pagamenti fissi per l'assistenza sanitaria e gli immobili, la terza misura nel grafico qui sotto mostra qual è il costo della vita per la maggior parte ogni mese.)

Fondamentalmente l'inflazione, escludendo i settori immobiliare e sanitario, è salita a quasi il 12% durante l'ondata di spesa alimentata dagli stimoli fiscali. Tuttavia, oggi, con il rallentamento dell'economia e il progressivo indebolimento di tali stimoli, il tasso di inflazione è sceso ad appena l'1,61%.

In secondo luogo il “boom economico” creato dallo stimolo della domanda continua a svanire, mentre l'economia si normalizza lentamente tornando a circa $3,50 di debito per generare $1 di attività economica. Dopo i lockdown l'economia ha raggiunto livelli senza precedenti, avvicinandosi al 17,5% di crescita nominale. In un'economia bloccata il sottoprodotto di tutta quella domanda è stato un'impennata dell'inflazione ai massimi degli ultimi 40 anni, con un picco superiore al 9% nel 2022. Cinque anni dopo l'inflazione continua a scendere verso l'obiettivo del 2% della FED, ma rimane stabile poiché i residui degli stimoli monetari e fiscali continuano a fluire attraverso il sistema.


La trasmissione interrotta della politica monetaria

Un ulteriore fallimento della politica keynesiana moderna è la sua eccessiva dipendenza dalle banche centrali. Attraverso tagli dei tassi e allentamento quantitativo (QE), lo stimolo monetario è diventato la soluzione ideale per qualsiasi rallentamento economico. Ciononostante il meccanismo di trasmissione tra politica monetaria e attività economica reale si è rotto. Gli interventi artificiali e la MMT non hanno funzionato nella realtà perché il sistema di trasmissione sottostante non funzionava.

La promessa di qualcosa in cambio di niente non perderà mai il suo fascino, quindi la MMT dovrebbe essere vista come una forma di propaganda politica piuttosto che come una vera linea di politica economica o pubblica. E come ogni propaganda, dobbiamo combatterla con appelli alla realtà. La MMT, dove i deficit non contano, è un luogo irreale.

Nel frattempo la velocità della moneta, ovvero il ritmo al quale il denaro passa di mano nell'economia, pur riprendendosi in parte dalla crisi economica, continua a mostrare un andamento decrescente. In altre parole la FED può iniettare liquidità, ma non riesce a farla circolare in modo produttivo. L'andamento della velocità non offre prospettive incoraggianti per la crescita del PIL.

Se prendiamo in considerazione l'indebolimento dei tassi di crescita economica e il conseguente calo dell'inflazione, riflesso diretto dell'indebolimento della domanda dei consumatori, le banche hanno pochi incentivi ad ampliare i prestiti ai tassi attuali, soprattutto in un contesto di normative più severe e scarsa qualità del credito.

Un problema fondamentale è che i modelli keynesiani presuppongono una relazione lineare di causa-effetto tra spesa pubblica e produzione economica. Si concentrano quasi esclusivamente sulla domanda aggregata, trascurando dinamiche critiche come la saturazione del debito, le fragilità delle catene di approvvigionamento e i circuiti di feedback dei mercati dei capitali globali.

Nell'economia odierna, altamente finanziarizzata, la spesa pubblica non circola in modo efficiente. Come già notato, gran parte di essa rimane intrappolata nei mercati finanziari, gonfiando i prezzi degli asset anziché stimolare gli investimenti produttivi. I tassi di interesse estremamente bassi, un altro segno distintivo della politica keynesiana, scoraggiano il risparmio e incoraggiano la speculazione alimentata dal debito. Ciò distorce l'allocazione del capitale, causando investimenti impropri in asset improduttivi come azioni meme, immobili speculativi e iniziative tecnologiche non redditizie. La maggior parte dei benefici rimane intrappolata nel 10% più ricco dell'economia, il quale detiene circa l'88% degli asset finanziari al netto dell'inflazione.

In altre parole i ricchi trattengono le iniezioni monetarie, mentre l'inflazione tassa i poveri.

Lacalle ha evidenziato questa discrepanza tra le teorie di Keynes e la realtà economica: molti economisti mainstream hanno ripetutamente previsto una recessione nel 2023-2024 che non si è mai verificata, hanno sottovalutato la persistenza dell'inflazione e hanno interpretato male l'impatto della stretta fiscale. Questi errori di previsione mettono in luce difetti più profondi nel modo in cui i keynesiani modellano l'economia moderna.


Gli avvertimenti di Hayek si sono rivelati profetici

La Scuola economica Austriaca, in particolare le idee di Friedrich Hayek, contrastano nettamente con il pensiero keynesiano. Gli economisti Austriaci ritengono che un periodo prolungato di  bassi tassi di interesse e di eccessiva creazione di credito crei un pericoloso squilibrio tra risparmio e investimento.  In altre parole i bassi tassi di interesse tendono a stimolare l'indebitamento presso il sistema bancario, il che porta, come ci si aspetterebbe, all'espansione del credito. Questa espansione del credito, a sua volta, aumenta l'offerta di moneta.

Pertanto, come ci si aspetterebbe in ultima analisi, il boom generato dal credito artificiale diventa insostenibile, poiché l'indebitamento stimolato artificialmente cerca opportunità di investimento in diminuzione. Infine il boom generato dal credito artificiale si traduce in investimenti improduttivi. Quando la creazione esponenziale di credito artificiale non è più sostenibile, si verifica una “contrazione del credito”, che in ultima analisi riduce l'offerta di moneta. I mercati alla fine “si svuotano”, il che determina una riallocazione delle risorse verso impieghi più efficienti.

I politici moderni si rifiutano di consentire questo processo naturale. Ogni recessione si traduce in stimoli più aggressivi, i quali non fanno altro che ritardare le necessarie correzioni. Il risultato è stato un inarrestabile accumulo di squilibri economici. Le imprese inefficienti sopravvivono grazie al debito a basso costo, le aziende zombi proliferano e l'innovazione ne risente. Ogni espansione economica è più debole della precedente e ogni ripresa dipende da interventi più incisivi per restare in atto.

Forse il più grande equivoco perpetuato dagli economisti keynesiani è che gli stimoli finanziati dal debito siano un pasto gratis. In realtà il servizio del debito e l'aumento dei costi di servizio del debito diventano un significativo ostacolo economico. Il Congressional Budget Office prevede che il pagamento degli interessi negli Stati Uniti supererà la spesa per la difesa nazionale nei prossimi anni e si avvicinerà a $1.500 miliardi all'anno entro il 2030. Naturalmente questo presuppone che i tassi rimangano ai livelli attuali. La prossima crisi, che è diventata più comune dall'inizio del secolo, abbasserà significativamente i tassi. Come già mostrato, una riduzione dei tassi dell'1% avrebbe un impatto significativo sulle passività future.

Non si tratta solo di una questione fiscale, ma di un freno macroeconomico. Spendere dollari per pagare gli interessi li devia da infrastrutture, istruzione, o investimenti produttivi. Peggio ancora, l'aumento del debito spiazza gli investimenti privati, distorce i mercati dei capitali e riduce la flessibilità necessaria per rispondere a crisi future.


Conclusione: la teoria economica di Keynes ha fallito

Negli ultimi 40 anni ciascuna amministrazione e la Federal Reserve hanno continuato ad operare secondo le politiche monetarie e fiscali di Keynes, convinti che il modello funzionasse. La realtà, tuttavia, è che la maggior parte della crescita aggregata dell'economia è finanziata dalla spesa in deficit, dall'espansione del credito e dalla riduzione del risparmio. 

Ciò ha ridotto gli investimenti produttivi e ha rallentato la produzione economica. Con il rallentamento dell'economia e la diminuzione dei salari, i consumatori hanno contratto maggiore indebitamento, riducendo i risparmi. Il risultato dell'aumento dell'indebitamento ha richiesto un reddito maggiore per onorare i debiti, anziché alimentare un aumento dei consumi.

In secondo luogo, la maggior parte dei programmi di spesa pubblica ridistribuisce il reddito dai lavoratori ai disoccupati. Gli economisti keynesiani sostengono che ciò aumenta il benessere di molti colpiti dalla recessione, ma i loro modelli ignorano che la riduzione della produttività genera uno spostamento di risorse verso la redistribuzione e lontano dagli investimenti produttivi.

Tutti questi problemi hanno pesato sulla prosperità complessiva dell'economia. Ciò che è più significativo è l'incapacità degli attuali economisti, che ancora sostengono le politiche monetarie e fiscali sopraccitate, di rendersi conto del guaio quando cercano di  “risolvere un problema di debito con altro debito”.

Ecco perché le politiche economiche di Keynes hanno fallito, dal “Cash for clunkers” al “Quantitative easing”. Ogni intervento ha portato nel presente i consumi futuri o stimolato i mercati finanziari. Promuovere i consumi futuri lascia un “vuoto” nel futuro che deve essere continuamente colmato. Tuttavia creare un effetto ricchezza artificiale riduce i risparmi, che invece potrebbero essere utilizzati per investimenti produttivi.

È tempo di svegliarci e di renderci conto che siamo sulla stessa barca.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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