lunedì 24 novembre 2025

La Spagna brucia

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di Nicolàs Sànchez

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/la-spagna-brucia)

Alcune leggi spengono gli incendi; altre li accendono. In Spagna, un Paese che ha padroneggiato l'arte di legiferare contro la realtà, abbiamo un numero sempre maggiore di leggi del secondo tipo. Ogni volta che la proprietà privata viene violata e la responsabilità individuale viene sostituita dall'imposizione statale, i problemi si moltiplicano. Lo stato tende a coprire una legge cattiva con una legge ben peggiore, come cercare di spegnere un incendio con la benzina.

Per decenni la Legge boschiva del 1957 ha imposto rigidi limiti alla gestione privata dei boschi.

Possedere un bosco non significava decidere come utilizzarlo: le attività erano rigidamente regolamentate e gli usi erano soggetti a supervisione amministrativa. La legge intendeva mantenere il territorio come “bosco” in modo permanente, escludendo qualsiasi utilizzo alternativo.

Il risultato fu una proprietà svuotata di contenuto, i cui proprietari sopportavano gli oneri ma godevano di pochi benefici legittimi.

Gran parte degli incendi boschivi in Spagna sono di origine dolosa. La legge del 1957 non impediva automaticamente che i terreni bruciati venissero riclassificati o destinati ad altri usi. Molto dipendeva dalla discrezionalità della pianificazione urbanistica e dalle successive decisioni amministrative. Nella pratica questo apriva la porta al sospetto di incendi intenzionali, poiché una volta bruciati, i terreni potevano perdere il loro valore boschivo e acquisire interesse urbano o agricolo. Ogni estate, mentre le fiamme si diffondevano sulle colline, si sentivano voci che dietro di esse si nascondessero interessi urbani. Il caso più tristemente noto fu Terra Mítica, dove un incendio precedette la riclassificazione del terreno per la costruzione del parco a tema.

Non c'era bisogno di prove concrete affinché l'idea attecchisse nell'opinione pubblica: il fuoco poteva essere il primo passo verso un'attività imprenditoriale. Il guaio è che, sia per l'opinione pubblica che per i legislatori, la soluzione non è mai stata affrontare la radice del problema o dare ai proprietari terrieri la libertà di gestire i propri boschi senza doverli bruciare. Invece di eliminare gli incentivi perversi e lasciare che ogni proprietario si prendesse cura e traesse profitto dalla propria terra, i legislatori hanno scelto la strada che conoscono meglio: l'ennesimo ostacolo legale.

La Legge boschiva del 2003 fu introdotta come la grande modernizzazione del sistema giuridico riguardo i boschi. In realtà non risolse il problema alla radice, poiché le restrizioni al libero uso della proprietà furono mantenute e persino ampliate. I proprietari terrieri non potevano ancora gestire i loro appezzamenti senza l'autorizzazione amministrativa. Il grande cambiamento fu la “regola dei trent'anni”: se un bosco brucia, non può essere riclassificato o destinato a un uso diverso per tre decenni. La logica era che se non ci fosse stato alcun profitto dopo un incendio, l'incentivo a provocarne uno sarebbe venuto meno. Tuttavia questa misura non fece altro che spostarli, gli incentivi. Nessuno avrebbe più appiccato un incendio per far riclassificare un terreno (cosa che, in realtà, non è mai stata chiaramente dimostrata), ma aprì una nuova possibilità: il sabotaggio. Immaginate un appezzamento di terreno in fase di riclassificazione. Se un concorrente avesse voluto bloccarlo, sarebbe bastato dargli fuoco. Se le fiamme si fossero sviluppate prima che le pratiche burocratiche fossero state completate, il progetto sarebbe rimasto bloccato per trent'anni.

Gli incentivi distorti a provocare incendi sono solo una parte del problema. L'altra importante conseguenza delle leggi boschive spagnole non risiede nel motivo per cui gli incendi divampano, ma nel motivo per cui si diffondono con tale violenza: decenni di restrizioni legali hanno trasformato le foreste in enormi depositi di combustibile. Ciò che rende questi incendi delle catastrofi nazionali non è solo il fatto che a volte siano dolosi, ma anche il fatto che una volta iniziati – naturali o intenzionali – divampano incontrollati in boschi abbandonati deliberatamente.

Un incendio non nasce solo da una scintilla; ha bisogno di combustibile. Biomassa secca, rami caduti e sterpaglia infiammabile sono i veri motori del disastro. Questo accumulo non è casuale, ma il risultato di un quadro giuridico che per decenni ha incoraggiato l'abbandono. La legge del 2003, lungi dal risolvere il problema, ha mantenuto restrizioni alla gestione del territorio e addirittura le ha ampliate. Ha limitato gli usi consentiti (articolo 36) e ha imposto che ogni azione fosse sottoposta a piani tecnici e autorizzazioni (articolo 37). Allo stesso tempo, ha imposto ai proprietari l'obbligo di prevenire gli incendi e mantenere i propri terreni in buone condizioni (articolo 48), rendendo reato tagliare, sradicare o persino raccogliere legna da ardere senza autorizzazione (articolo 67, sezioni c e j).

Si tratta di un cumulo di contraddizioni: ai proprietari viene detto di prevenire gli incendi, ma vengono privati ​​degli incentivi per farlo, mentre si trovano ad affrontare costi, burocrazia e potenziali multe. Un bene che genera spese ma non entrate è un bene destinato all'abbandono. Per secoli tale pulizia non è mai dipesa da burocrati o sussidi, ma da pratiche spontanee che sono andate a beneficio sia della gente del posto che dei proprietari. I pastori portavano le loro mandrie, i boscaioli raccoglievano rami e i vicini raccoglievano combustibile per le loro case. Tutto ciò riduceva la biomassa pur garantendone un uso legittimo. Oggi queste pratiche vengono punite o sepolte sotto infinite autorizzazioni.

Anche tralasciando gli incentivi perversi che la legge crea per provocare incendi e l'abbandono che incoraggia, rimane un problema più grande: cosa succede dopo che il bosco è già bruciato? Una volta che l'incendio si è propagato, la legge del 2003 aggiunge un ulteriore ostacolo: imponendo la regola dei trent'anni, qualsiasi terreno bruciato veniva bloccato e ogni incentivo a ripristinare ciò che era stato distrutto veniva meno. La legge non faceva distinzione tra incendio naturale, incidente, o doloso: tutti erano ugualmente condannati. Quale proprietario avrebbe investito nel recupero di un bosco che, per legge, doveva rimanere sterile per trent'anni? Invece di incoraggiare la rigenerazione, la legge produceva l'effetto opposto: spingeva ad abbandonarlo il bosco e ne perpetuava così la devastazione.

Paradossalmente, in nome della tutela dell'ambiente, coloro che avevano il maggiore interesse a conservare il territorio sono stati espulsi.

Il risultato è un bosco che di fatto non appartiene a nessuno: né ai proprietari, che non possono gestirlo; né agli utilizzatori tradizionali, che non ne traggono più beneficio; né allo stato, che non ha i mezzi per prendersene cura. Questo è il vero problema.

Così ogni estate il rituale si ripete: elicotteri che volano sopra le nostre teste, drammatiche riprese televisive, fiamme inarrestabili, vigili del fuoco esausti e politici in posa tra le ceneri. La scena si ripete anno dopo anno, sempre con le stesse promesse di riforme e nuove commissioni di studio.

Nel frattempo il sottobosco continua a crescere, secco e pronto, in attesa della prossima scintilla. Gli incendi non aspettano e la legge non li fermerà.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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