martedì 2 settembre 2025

La nuova economia di guerra europea: dal collasso verde al keynesismo militare

E come ogni economia di guerra che si rispetti, la censura è un'arma che viene impiegata per imporre conformismo e serrare i ranghi. Ormai è difficile che non venga notato ovunque, soprattutto perché i costi di questa campagna continuano a lievitare e senza una fonte di denaro facile con cui finanziarla l'UE crollerà sotto il peso delle sue contraddizioni. Il Digital Markets Act (DMA) è diventato il fulcro della disputa transatlantica. Donald Trump insiste per avere voce in capitolo nell'interpretazione delle norme che, come il DSA, colpiscono principalmente le piattaforme di comunicazione statunitensi dominanti (es. X e Meta). In sostanza, Bruxelles mira a far rispettare le sue linee di politica di censura proprio su quelle piattaforme che stanno diventando sempre più importanti per il dibattito pubblico. Mascherato nella formula “incitamento all'odio”, lo spazio della comunicazione digitale deve essere sottoposto al controllo della censura pubblica. Bruxelles ha notato che le contro-narrazioni che prendono di mira l'eco-autoritarismo si stanno formando principalmente su queste piattaforme e mettono sempre più a nudo il funzionamento e gli obiettivi dell'apparato di potere dell'UE. Per garantire la propria politica di censura, Ursula von der Leyen e il suo apparato burocratico a Bruxelles accettano di buon grado che, alla fine, siano le aziende e i consumatori europei a pagare il prezzo della mania di controllo dell'UE attraverso dazi più elevati. Gli Stati Uniti manterranno l'attuale regime tariffario fino a quando non verrà raggiunto un accordo sulla gestione della politica di censura europea. La posizione intransigente di Washington fa sperare che Bruxelles subirà un duro colpo nel suo tentativo di instaurare una dittatura digitale.

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da Zerohedge

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/la-nuova-economia-di-guerra-europea)

Mentre la pseudo-economia verde trascina l'economia in generale nel baratro, due terzi dei tedeschi si dichiarano soddisfatti delle energie rinnovabili o addirittura ne auspicano una più rapida espansione. Nel frattempo la costruzione di un'economia di guerra europea segna la fase successiva dell'attuale impoverimento dell'Europa.

La strategia economica più popolare e allo stesso tempo più distruttiva rimane l'interpretazione moderna del keynesismo. Con la sua visione semplicistica dell'attività economica, l'economista britannico John Maynard Keynes ha consegnato ai politici del dopoguerra una cassetta degli attrezzi che in seguito hanno distorto in una “soluzione” universale per ogni crisi economica. La versione condensata recita come segue: quasi ogni recessione deriva da un deficit di domanda da parte dei consumatori. Il compito dello stato, quindi, è quello di creare credito artificiale per colmare questo divario di domanda.


Ricetta per l'espansione burocratica

Tassi d'interesse più bassi, stampa di credito e, come dice la favoletta, l'economia decolla. In realtà ciò che rimane è una montagna di debito pubblico, una burocrazia in crescita, mercati finanziari distorti e una produttività in calo. Questi sono fatti economici, facilmente verificabili anche dai non economisti. La prosperità nasce da uno stock di capitale in crescita che soddisfa la domanda dei consumatori in modo efficiente e preciso con più beni e servizi.

La politica keynesiana si è rivelata disastrosa per l'Europa, perché offre ai politici una scusa permanente per espandere la propria influenza, costruire burocrazia e manipolare i mercati. Istituzioni politiche come la Commissione Europea, la maggior parte dei partiti europei e i governi degli stati membri operano quasi esclusivamente in questo modo.


Il Green Deal

È con questo spirito che è nato il Green Deal: una pseudo-economia mascherata da “trasformazione verde” e spacciata per un contributo alla salvezza del pianeta. In realtà si tratta di un congegno mostruoso, una risposta grottesca alla dipendenza energetica dell'Europa che ogni anno divora porzioni sempre più grandi dell'economia solo per mantenere in funzione la sua smisurata macchina dei sussidi.

Solo nel 2024 la Germania ha versato in questa macchina tra i €90 e i €100 miliardi. Il governo federale tedesco ha erogato €58 miliardi, mentre la Banca europea per gli investimenti ha aggiunto €8,6 miliardi in nuovi prestiti, il programma InvestEU €9,1 miliardi e i Fondi per l'innovazione e l'ambiente dell'UE circa €20 miliardi. Senza questo flusso costante di finanziamenti, l'economia zombie crollerebbe. A dimostrazione di ciò, il governo tedesco ha incanalato altri €100 miliardi di debito – mascherati da “fondo speciale” – nella macchina dei sussidi verdi, sempre più affamata.

Le pseudo-economie sopravvivono solo grazie a nuove iniezioni di capitale, andando continuamente contro la domanda del mercato. Le tensioni interne aumentano fino a rendere inevitabile il collasso. Il Green Deal ha intrappolato l'Europa proprio in questa spirale mortale.


Le ricadute

La Germania è ora al terzo anno di recessione e registra un numero record di fallimenti aziendali. Allo stesso tempo il governo ha creato mezzo milione di posti di lavoro nel settore pubblico in soli sei anni, mentre 1,2 milioni di posti di lavoro nel settore privato sono scomparsi. Combinato con l'immigrazione incontrollata, il risultato è una pressione estrema sul sistema di welfare tedesco.

La politica si è ritirata in una posizione puramente difensiva: lo Stato sociale funge da bacino di raccolta per centinaia di migliaia di persone che perdono i propri mezzi di sussistenza, mentre il settore privato crolla sotto il peso dei costi energetici e dei sussidi.

La diagnosi è chiara: il Green Deal è un vicolo cieco. Ogni euro speso esclude i mercati dei capitali privati, alloca male le risorse e incatena i lavoratori nei settori improduttivi. Il contrasto con l'Argentina è sorprendente: lì il presidente Milei ha tagliato la quota di PIL dello stato di sei punti percentuali e ha innescato un boom economico con una crescita del 7,7%.


La trasformazione richiede dolore

L'unica via d'uscita per l'Europa è accettare una dolorosa fase di trasformazione, ridimensionare lo stato e abbandonare le sue fantasie ecologiste. Una politica energetica razionale significa energia nucleare e reintegrazione delle forniture energetiche russe.

Eppure l'opinione pubblica racconta una storia diversa: il 64% dei tedeschi è soddisfatto delle energie rinnovabili, o ne vorrebbe di più. Anni di propaganda statale hanno cancellato il legame tra sussidi verdi e collasso economico. La narrazione del cambiamento climatico, moralizzata e trasformata in un'arma, si è radicata nella coscienza pubblica.

Le energie rinnovabili possono avere il loro posto, ma solo in mercati liberi, senza coercizioni o imposizioni. L'economia verde zombi non è mai riuscita a rilanciare la crescita dell'Europa. È tempo di affrontare la realtà e abbattere questa struttura prima che si possa costruire qualcosa di nuovo.


Il prossimo tentativo

Ma l'Europa non mostra segni di cambiamento di rotta. La burocrazia è diventata troppo grande per smantellarsi da sola. Da Berlino a Bruxelles, i leader trattano l'esodo industriale come una serie di sfortunati incidenti piuttosto che come il risultato diretto delle loro linee di politica. L'accogliente tavola rotonda “Made for Germany” tra Friedrich Merz e gli amministratori delegati del DAX ha confermato il sospetto di collusione tra aziende e statalismo.

Dopo aver fallito con il Green Deal, i politici europei stanno ora sperimentando una nuova pseudo-economia: un complesso militare-industriale alimentato dal debito. Secondo uno studio di Ernst & Young, le aziende tedesche del DAX hanno tagliato 30.000 posti di lavoro nella prima metà del 2025, ad eccezione delle aziende appaltatrici della difesa Rheinmetall e MTU Aero Engines, che hanno aumentato l'organico rispettivamente del 17% e del 7%.

Il piano dell'UE: entro il 2035, metà di tutti i beni di difesa europei – dall'artiglieria alla difesa informatica alle munizioni di precisione – saranno prodotti all'interno dell'Unione, creando fino a 660.000 posti di lavoro. Tutto ciò sarà finanziato non solo dall'aumento dei bilanci nazionali per la difesa, ma anche da programmi UE come ReARM Europe e SAFE, che genereranno centinaia di miliardi di nuovo debito.


Occhi ben chiusi

Bruxelles prevede di mobilitare ulteriori €800 miliardi in spese per la difesa entro il 2030. Eppure nessun settore è più lontano dalla domanda reale dei consumatori dell'industria bellica. Questa è la pseudo-economia keynesiana nella sua forma più estrema: guadagnare tempo con il debito, affamando al contempo i mercati dei capitali privati.

L'ascesa della lobby della difesa come nuova beniamina di Bruxelles alimenterà la corruzione, acuirà il divario tra le strutture parassitarie dell'UE e le forze produttive in contrazione, e consoliderà il clientelismo corporativo come sistema operativo dell'UE. Lo scandalo degli SMS con Pfizer della von der Leyen rimane il simbolo più calzante di questa macchina orrenda di Bruxelles.

In definitiva, l'economia europea non ha né le risorse né la tecnologia per realizzare il sogno di un'UE militarizzata. È una tragica replica del Green Deal: alimentata dalla propaganda, alimentata dal debito e destinata al collasso.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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