mercoledì 10 settembre 2025

L'UE è una zona di libero scambio?

Quello che più fa arrabbiare eurocrati e sodali/sicofanti al seguito, e causa travasi di bile senza senso sulle piattaforme pubbliche di ogni sorta, è il tappeto dei finanziamenti che è stato tolto da sotto i loro piedi. Con Biden era tutto impostato sul pilota automatico: la proliferazione della legislazione europea è stata accelerata spudoratamente in tale arco presidenziale, un “laissez-faire” in ottica predazione del potenziale industriale-tecnologico americano. Dopo Powell, che nel 2022 ha rappresentato uno spartiacque a livello finanziario, Trump lo ha rappresentato a livello fiscale/politico. E come quando lo “zio ricco” chiude i rubinetti dei soldi ai “nipoti nullafacenti”, questi ultimi si agitano sputando veleno nel piatto in cui mangiavano piuttosto che darsi da fare. Peggio, usano ogni mezzo a loro disposizione per tornare a godere di quel flusso di liquidità che faceva fare loro la “bella vita”. In questo contesto si inseriscono tutte le multe imposte alle Big Tech americane, l'uso a tutto campo del DSA/DMA, la retorica guerrafondaia dell'UE e, in ultima battuta, l'uso dello SWIFT come un'arma. Ecco quest'ultima è più subdola come ci ricorda “The Epoch Times”, visto che può rappresentare un terreno di disturbo alla pace che gli USA stanno perseguendo con sommo interesse da quando Trump ha preso la carica. Ma l'UE, nonostante la sua boria accumulata dopo 2+ decenni di vita seguendo la massima “vivere al massimo col minimo sforzo”, è obsoleta e sorpassata. Nel caso particolare lo SWIFT è sorpassato, soprattutto in ottica GUNIUS Act e Big Beaufitul Bill, leggi in sincronia che aprono le porte a innovazioni talmente “disrputive” a livello mondiale da passare (paradossalmente) inosservate. Oro, Tether, Bitcoin e, in minore battuta, Ripple (è un fatto che sia stata “benedetta” dall'attuale amministrazione americana) sono i cavalieri dell'apocalisse per i desideri di sopravvivenza della burocrazia europea. È un lento soffocare le prospettive di galleggiamento di una struttura farraginosa che non può far altro che affondare nel mare magnum della storia. D'altronde, lo “zio ricco” non è diventato tale per caso...

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di John Phelan

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/lue-e-una-zona-di-libero-scambio)

Il 1° gennaio 1993 nacque il Mercato Unico Europeo. L'ottobre dell'anno precedente il Primo Ministro britannico, John Major, aveva auspicato “un mercato unico europeo di 330 milioni di persone [...]. Un mercato per i computer britannici, le automobili britanniche, le televisioni britanniche, i tessuti britannici, i servizi britannici, le competenze britanniche. La più grande area di libero scambio del mondo”.

Eliminando le barriere commerciali all'interno della Comunità Economica Europea, il Mercato Unico avrebbe stimolato il commercio, la crescita economica e, forse, l'integrazione politica. Queste speranze non si sono mai concretizzate.

Un rapporto del Fondo Monetario Internazionale di ottobre dell'anno scorso ha rilevato che, mentre il commercio intra-UE di beni è aumentato dall'11% al 24% del Prodotto interno lordo dell'Unione Europea tra il 1993 e il 2023, rispetto all'8%-15% del commercio extra-UE, il commercio intra-UE di servizi – che rappresenta il 72% del PIL dell'UE – è cresciuto esattamente allo stesso ritmo del commercio extra-UE. Infatti il commercio tra i Paesi dell'UE è meno della metà di quello tra gli Stati Uniti.

Come si spiega tutto questo? Come osserva Luis Garicano, ex-membro del Parlamento europeo nell'articolo Il mito del mercato unico: “L'FMI stima il costo nascosto degli scambi di beni all'interno dell'UE in un dazio del 45%. Per i servizi la cifra sale al 110%, superiore ai dazi imposti da Trump sulle importazioni cinesi nel ‘giorno della Liberazione’”.

“Il mercato unico che tutti pensavamo di avere è in gran parte un mito”, conclude Garicano, il quale fornisce tre ragioni per questo fallimento.

In primo luogo il principio del “riconoscimento reciproco”, il quale “afferma che tutto ciò che può essere venduto legalmente in un Paese dell'UE può essere venduto in tutti gli altri”, però “fallisce nella pratica”. Il principio “non è mai stato assoluto” e prosegue:

I trattati dell'UE [...] consentono ai Paesi di bloccare prodotti per motivi legittimi come la salute pubblica, la sicurezza, o la tutela dell'ambiente. Ma queste eccezioni avrebbero dovuto essere solo questo: eccezioni, non la regola. Il problema è il costo dell'applicazione della regola quando un Paese rivendica un'eccezione.

Tra i vari esempi:

Ogni prodotto venduto ai consumatori francesi deve recare il logo nazionale di riciclaggio “Triman” e istruzioni dettagliate per la raccolta differenziata specifiche per la Francia. Le lattine di vernice di AkzoNobel soddisfano pienamente le normative UE in materia di sostanze chimiche e di contatto con gli alimenti, ma una singola lattina di vernice deve comunque recare il logo di riciclaggio Triman francese, il “Punto Verde” spagnolo e il codice alfanumerico del materiale italiano. Lo spazio su una lattina da 1 litro è così limitato che l'azienda ora detiene scorte separate per Francia, Spagna e Italia.

In secondo luogo “le direttive UE non armonizzano la legislazione UE”.

“Ci sono due problemi”, scrive Garicano:

[...] in primo luogo, anziché sostituire le normative nazionali, le norme dell'UE si sovrappongono a esse. In secondo luogo, gli stati membri spesso adottano il cosiddetto “gold plating”, ovvero aggiungono ulteriori requisiti nazionali nell'attuazione delle direttive UE.

Il risultato è che, anche quando l'UE crea norme comuni (direttive o regolamenti volti ad armonizzare), spesso il risultato non è un vero mercato unico. Le nuove norme dell'UE spesso non sostituiscono quelle nazionali, ma creano invece ulteriori livelli di regolamentazione.

A titolo di esempio, propone il Regolamento generale sulla protezione dei dati:

[...] il che (nonostante si tratti di un regolamento) significa che abbiamo ancora autorità di regolamentazione a livello UE, nazionale e regionale. Nel gennaio 2022 l'autorità austriaca per la protezione dei dati ha stabilito che l'utilizzo di Google Analytics da parte di NetDoktor violava il GDPR e ha ordinato al sito di disattivare lo strumento, pena sanzioni. Poche settimane dopo l'autorità francese per la protezione dei dati (CNIL) ha emesso decisioni parallele contro tre siti web francesi, dichiarando nuovamente Google Analytics illegale e intimando a ciascun operatore di passare a un'alternativa ospitata nell'UE. Nel giugno 2022 l'autorità italiana (Garante della privacy) ha imposto lo stesso divieto a Caffeina Media, minacciando di sospendere i suoi flussi di dati verso gli Stati Uniti a meno che non avesse riprogrammato il suo stack di analisi entro novanta giorni. Un editore che opera nell'UE deve ora mantenere configurazioni di analisi separate per Austria, Francia e Italia, mentre lo stesso strumento rimane legale altrove. Il rapporto Draghi rileva che ci sono circa 90 leggi incentrate sulla tecnologia e più di 270 autorità di regolamentazione attive nelle reti digitali in tutti i Paesi dell'UE. Tanti saluti al mercato unico!

Infine “la Commissione europea non sta facendo il suo lavoro nel far rispettare il mercato unico”. “[Esplicitamente] incaricata di garantire l’applicazione dei trattati”, scrive Garicano, “nei dodici mesi fino a dicembre 2024, la Commissione ha aperto solo 173 nuovi casi, ovvero solo un quarto del volume gestito un decennio fa”.

“C'è un'evoluzione paradossale nel ruolo della Commissione”, osserva, “man mano che ha assunto funzioni aggiuntive in settori come l'edilizia abitativa, la difesa e la geopolitica (la prima Commissione von der Leyen si definiva una “commissione geopolitica”), si è ritirata dal suo compito principale di controllo del mercato unico”.

Un ottimista potrebbe dedurre che il problema qui non sia l'eccesso di UE, ma la sua carenza: il Mercato Unico non ha mantenuto le sue promesse perché non è sufficientemente “unico”. Un pessimista potrebbe osservare che, se ciò non avviene da oltre trent'anni, è improbabile che inizi a breve. È improbabile che un altro rapporto o una revisione corposa possano far muovere la bilancia.

Questa è una cattiva notizia per il successore di John Major, Kier Starmer. Con il suo governo in difficoltà a meno di un anno dall'insediamento, ha cercato un nuovo accordo con l'UE per migliorare le condizioni di accesso della Gran Bretagna al Mercato Unico.

Ma i servizi rappresentano una quota relativamente alta per quanto riguarda il 54% delle esportazioni britanniche rispetto al 33% degli Stati Uniti e ad appena il 31% dell'UE, e questo è esattamente il settore in cui il Mercato Unico è una finzione. Questo probabilmente spiega l'ostinato rifiuto dell'economia britannica di crollare in seguito alla Brexit: qualsiasi piccolo vantaggio possa derivare dall'essere bloccati in un Mercato Unico con un gruppo di economie inerti si riduce ulteriormente quando ci sono elevate barriere alla vendita delle proprie esportazioni principali – barriere che non sembrano destinate a scomparire tanto presto.

Se Starmer spera che le sue nuove condizioni di accesso alla “più grande area di libero scambio del mondo” compenseranno il danno economico causato dalle disastrose politiche fiscali del suo governo, è probabile che si sbagli. È un mito.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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