domenica 13 giugno 2010

Il Rwanda rialza la testa col libero mercato


Un buon esempio di come una nazione può essere salvata dal libero mercato e non dagli "aiuti solidali".

Questo articolo racconta la storia recente del Rwanda, dal bagno di sangue del 1994 alle continue lotte intestine susseguitesi in questi anni. Ora tenta di rialzare la testa verso un nuovo futuro e scongiura i paesi occidentali di smetterla con gli aiuti in denaro.


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di Carlo Lottieri

Le battaglie più complicate, certamente, sono le più entusiasmanti; e così si capisce che vi siano persone che trovano affascinante l’idea di fare tutto il possibile per convertire al mercato un Paese come l’Italia. Ma c’è perfino chi ha di fronte a sé una sfida anche più ardua: come nel caso del Ruanda.

Questa piccola nazione dell’Africa orientale non è soltanto una delle più povere del continente: si tratta anche di una regione che ha conosciuto conflitti etnici terribili, che hanno causato 800 mila morti solo tra l’aprile e il luglio del 1994, in uno dei peggiori genocidi della storia.

Ora la società ruandese appare più tranquilla, è impegnata a costruire una pace duratura e sta faticosamente cercando di costruirsi un futuro di serenità, concordia e sviluppo. Offre qualche speranza l’atteggiamento del presidente della Repubblica, Paul Kagame, che dopo aver guidato un proprio esercito nelle lotte interne contro i responsabili di violenze e massacri, intende guidare la battaglia contro i vincoli di ogni genere che impediscono la crescita.

Sul Wall Street Journal ieri è apparsa un’intervista, “A Supply-Sider in Est-Africa”, nella quale questo leader del Paese africano viene presentato come un autentico liberale (supply-sider), persuaso che l’unica via per la crescita consista nel liberare le forze imprenditoriali e nel farsi attraenti per gli investimenti. L’articolo sottolinea anche come tale società africana abbia compiuto, in un breve tempo, notevoli progressi sulla strada del mercato. Nel settembre scorso la Banca mondiale ha definito il Ruanda il Paese più determinato sulla via della liberalizzazione dell’attività economiche, tanto da passare in un solo anno dal 143mo al 67mo posto nella classifica che considera la facilità ad avviare iniziative. Tutti i settori sono aperti ad investitori stranieri e anche pagare le imposte sembra molto semplice (certo sarà assai più semplice che da noi…).

Per tutte queste ragioni dal 2004, almeno stando ai dati ufficiali, il Ruanda è cresciuto dell’8,8% all’anno.

Non bastasse questo, il presidente Kagame appare assai scettico in merito ai programmi di aiuti, che causano più danni che benefici. Non vuole insomma che gli Stati e le organizzazioni legate all’Onu inviino soldi sottratti ai contribuenti occidentali o riempiano le capitali del Terzo Mondo di burocrati pubblici. Preferisce che arrivino imprese private determinate a fare profitti, e ad entrare in un rapporto reciprocamente vantaggioso.

In fondo è una vecchia lezione liberale, ben nota a Constant e a Cobden, a Bastiat e a Spencer: la guerra è un tutt’uno con le logiche di Stato, mentre la pace cresce all’ombra dei mercati aperti. L’ex warlord del Ruanda pare aver compreso tutto ciò e per questo sembra impegnato a favorire la crescita delle forse imprenditoriali.

La lezione di Lord Peter Bauer, di cui IBL Libri ha pubblicato un bellissimo libro (Dalla sussistenza allo scambio), inizia insomma a fare proseliti. E il prossimo 10 maggio, a Milano, ci sarà Dambisa Moyo per un “Discorso Bruno Leoni” focalizzato esattamente sulla questione di un’Africa che rigetti l’assistenzialismo e si apra al mercato.

Talune battaglie in favore della libertà sono difficilissime, e chi sta in Italia lo sa bene. Ma bisogna sempre saper confidare nella forza delle buone idee.


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