Il sistema finanziario mondiale moderno si basa su un unico principio: i beni statali detenuti in giurisdizioni straniere sono legalmente immuni da confisca politica. Questo principio copre le valute di riserva, il sistema bancario, i mercati del debito sovrano e gli investimenti transfrontalieri. È il motivo per cui banche centrali come quella russa (un tempo) accettavano euro invece di lingotti d'oro. È il motivo per cui sistemi di saldo come Euroclear esistono. Una volta infranta questa regola, il capitale non discute: rivaluta istantaneamente il rischio e se ne va. La confisca invia un messaggio a tutti i Paesi al di fuori dell'orbita politica occidentale: i vostri risparmi sono al sicuro solo finché rimanete politicamente conformi. Questo non è un “ordine basato sulle regole”, è uno in cui esse vengono applicate selettivamente, e cambiano nel momento in cui emerge uno scopo politico diverso. Ciò che abbiamo è un cartello di conformità che applica la legge verso l'alto e le pene verso il basso, a seconda di chi obbedisce e chi resiste. Il timore del Belgio non è giuridico, è attuariale. Ospitare Euroclear significa ospitare un rischio sistemico. Se la Russia o qualsiasi altro futuro obiettivo riuscisse a contestare il sequestro, il Belgio potrebbe essere esposto a richieste di risarcimento che faranno impallidire le somme in discussione. Il Belgio ha quindi ragione a essere scettico sulla promessa dell'Europa di assumersi un rischio così colossale, data la credibilità ormai in frantumi dell'UE. Nessun attore finanziario serio considererebbe affidabili tali garanzie. L'esitazione dell'Italia non è ideologica, è matematica. Con uno dei più pesanti debiti d'Europa, Roma capisce cosa succede quando i mercati iniziano a mettere in discussione la neutralità delle valute di riserva e dei depositari. Nessuno dei due Paesi ha improvvisamente sviluppato simpatia per Mosca: hanno semplicemente fatto i calcoli prima degli slogan. Parigi e Londra, nel frattempo, tuonano pubblicamente mentre isolano di nascosto l'esposizione delle proprie banche commerciali agli asset sovrani russi, un'esposizione misurata non con la retorica, ma in decine di miliardi di euro. Le sole istituzioni finanziarie francesi detengono circa €15-20 miliardi, mentre le banche e le strutture di custodia collegate al Regno Unito rappresentano circa £20-25 miliardi, gran parte delle quali transitano attraverso l'ecosistema di compensazione e custodia di Londra anziché depositarsi nei bilanci governativi. Questa ipocrisia e codardia non sono casuali. Parigi e Londra sono al centro del sistema bancario di custodia globale, della compensazione dei derivati e del saldo dei cambi, nodi profondamente radicati nel sistema idraulico della finanza mondiale. Sequestri di ritorsione o fughe di capitali non sarebbero simbolici per loro; sarebbero catastrofici. Quindi l'onere viene spostato all'esterno. Ci si aspetta che gli stati più piccoli assorbano il rischio sistemico, mentre i centri finanziari principali mantengano la possibilità di negare, si ergano a difensori dello Stato di diritto, facciano il doppio gioco e si spaccino per virtuosi. Questa è tutt'altro che “solidarietà europea”: è difesa di privilegi acquisiti con la frode e il furto.
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di Thomas Kolbe
(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/neofeudalesimo-europeo-come-le-tasse)
Sempre più persone stanno voltando le spalle all'Unione Europea. Con esse anche gli stati stanno perdendo sostanza economica. Le tasse di espatrio vengono utilizzate per contrastare questo fenomeno.
Gli stati dell'Unione Europea stanno vivendo un vero e proprio esodo: circa 1,4 milioni di cittadini dell'UE hanno lasciato i loro Paesi d'origine nel 2023, tra cui 265.000 tedeschi. Tra le destinazioni preferite ci sono, oltre a Svizzera e Stati Uniti, regioni in forte espansione come il Qatar o Dubai.
Buone ragioni
L'elenco dei Paesi di destinazione è dirompente dal punto di vista politico, perché rivela molto sui retroscena di questo movimento migratorio. Un numero crescente di lavoratori di successo cerca di sfuggire a livelli di tassazione che in molti luoghi sono predatori. Inoltre accademici, ricercatori, liberi professionisti come i cosiddetti “nomadi digitali” e imprenditori trovano migliori prospettive economiche altrove rispetto all'Europa, economicamente depressa.
Non di rado i cittadini dell'UE vengono schiacciati da un carico fiscale del 45%. Lo sappiamo dalla Germania: non è nemmeno necessario essere tra i redditi più alti in assoluto per dover cedere quasi la metà del proprio reddito al fisco. In sostanza si tratta di uno scandalo, di cui non si parla più apertamente.
A Dubai, ad esempio, non esiste alcuna imposta sul reddito. Negli Stati Uniti il governo federale grava i suoi cittadini con circa il 27% del peso fiscale. Chiunque sappia calcolare, sia istruito e abbia una buona mobilità, ne trae le conseguenze. Oltre al carico fiscale entrano sempre più in gioco le crisi sociali: migrazioni incontrollate, il degrado delle grandi città e il clima visibilmente ostile di burocrazie in continua espansione. Per molte persone ambiziose, la vita nell'Europa dell'UE è semplicemente troppo costosa e l'essenza della burocrazia troppo opprimente.
Emigrazione costosa
Ogni emigrante lascia dietro di sé un vuoto economico nella sua patria. Quando un tedesco con un reddito elevato lascia il Paese, lo stato non perde solo un contribuente, ma anche il suo capitale e il suo know-how. Nel corso della vita di un accademico circa €1,5 milioni tra tasse e contributi sociali sfuggono alle casse dello stato. A ciò si aggiunge l'enorme perdita di capitale. Le stime presuppongono che la ricchezza media pro capite dei tedeschi sia di €106.000. Con l'emigrazione di 265.000 tedeschi e il ritorno di 191.000 persone – dove per semplicità ipotizziamo lo stesso livello di ricchezza – circa €7,8 miliardi in capitali fluiscono all'estero.
L'economista Bernd Raffelhüschen calcola la perdita fiscale annuale dovuta all'emigrazione scontando la differenza tra i futuri pagamenti di imposte, i contributi sociali e i trasferimenti statali di un accademico medio al suo valore attuale. Arriva a una perdita di circa €30.000 per ogni accademico emigrato.
La fuga di persone altamente performanti funziona come un'erosione economica in tempo reale. Persone altamente qualificate lasciano il Paese. Persone che, con maggiore probabilità, avrebbero spostato capitali di rischio e fondato aziende stanno aprendo un divario fiscale. Circa il 56% delle entrate fiscali è fornito dal 10% dei contribuenti più ricchi: la classe politica farebbe bene a stendere il tappeto rosso per queste persone invece di imbrigliarle al carro dei loro ambiziosi progetti sociali.
Il feudalesimo come risposta
La risposta dell'Unione Europea alla fuga dei ricchi e degli ambiziosi in termini economici è di stampo neofeudale. Attraverso tasse punitive, i costi della fuga dall'esattore delle tasse e dallo stato sempre più invadente devono essere aumentati a tal punto da soffocare l'impulso a emigrare. Formulata in modo alquanto esagerato, questa linea di politica richiama le antiche condizioni feudali europee che un tempo portarono alla migrazione di massa degli europei verso il Nord America.
Oltre a Francia, Spagna, Italia e Paesi Bassi, anche la Repubblica Federale di Germania ha introdotto una tassa di espatrio.
Chiunque, in qualità di imprenditore, detenga almeno l'1% di una società di capitali (incluso il capitale azionario) e abbandoni la Germania, è soggetto a tassazione di espatrio, anche se non è stato realizzato alcun ricavato dalla vendita. In questo caso lo stato presume una vendita fittizia delle azioni e tassa la plusvalenza teorica. Determinante è la differenza tra il prezzo di acquisto originale e il valore di mercato attuale. Il 60% di questa plusvalenza viene aggiunto al reddito imponibile e tassato fino al 45%, a seconda dell'aliquota IRPEF. A ciò si aggiungono il contributo di solidarietà e un'eventuale imposta ecclesiastica.
Questa norma si applica se l'interessato è stato soggetto a tassazione illimitata in Germania per almeno sette degli ultimi dodici anni, e si applica anche in caso di emigrazione in Paesi terzi o di trasferimento all'interno dell'UE. Dal 2022 i trasferimenti all'interno dell'UE non sono più automaticamente privilegiati ai fini fiscali: chi desidera andarsene deve pagare, a meno che non richieda un differimento di sette anni e fornisca garanzie. La soglia di €150.000, spesso menzionata, non è una franchigia fiscale, ma un indicatore di valutazione.
In sintesi, ciò equivale a garantire l'accesso dello stato ai guadagni futuri, vincolando gli imprenditori alla loro patria e, tramite legacci fiscali, rendere più difficile la loro partenza.
L'Europa farà affidamento sulle barriere di capitale
Finora la tassazione sull'espatrio si riferiva alle partecipazioni societarie e non copriva i privati che desideravano emigrare con i propri capitali. Tuttavia, alla luce dell'emergenza fiscale di numerosi stati membri dell'UE, dobbiamo presumere che la situazione cambierà a medio termine e che anche altri gruppi di persone saranno inclusi nell'ambito di applicazione della tassazione di espatrio.
Il fatto che gli stati dell'UE con ogni probabilità ricorreranno a barriere alla mobilità anziché riformare il loro costoso apparato statale dimostra la portata dell'intero problema. Le persone stanno letteralmente votando con i piedi contro il burocratismo e il super stato tentacolare.
La risposta è rappresentata da ulteriori barriere al capitale, come il previsto euro digitale. Ciò rappresenterebbe una barriera al capitale quasi insormontabile. E allo stesso tempo invierebbe il segnale al capitale mondiale di tenersi alla larga dall'Eurozona.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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