domenica 8 gennaio 2012

Cosa Rende Diverse le Idee?

"La ragione è caratteristica e particolare dell'uomo. [...] Tutti gli oggetti che formano il subconscio della sensazione, della percezione, e dell'osservazione umane si presentano anche ai sensi degli animali. Ma l'uomo soltanto è capace di trasformare gli stimoli sensori in esperienza ed osservazione. [...] L'azione è preceduta dal pensiero. Pensare è deliberare in anticipo sopra l'azione futura e riflettere successivamente sopra l'azione passata. Pensiero ed azione sono inseparabili. Ogni azione è sempre basata su un'idea definita circa le relazioni causali. [...] Azione senza pensiero e pratica senza teoria sono inimagginabili. [...] E' sempre l'individuo che pensa. La società non pensa più di quanto mangi o beva. L'evoluzione della ragione umana, dal pensare ingenuo dell'uomo primitivo al pensare raffinato della scienza moderna, si è affermata entro la società. Tuttavia il pensiero è sempre una conquista degli individui." -- Ludwig von Mises, Azione Umana
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di Leonard Read


[To Free or Freeze (1972)]


Il dizionario definisce il plagio: "prendere qualcosa e farlo passare per proprio (idee, scritti, ecc. di un altro)."

A prima vista, il plagiatore sembra essere una spregevole mascalzone — nient'altro che un ladro. Ma forse questo è un giudizio troppo frettoloso.

Ciò che rende il plagio un vizio è far passare consapevolmente come proprie le idee e gli scritti di un altro, cioè, farsi passare per un bugiardo. Poiché è facilmente dimostrabile che praticamente ogni idea che sposiamo e facciamo passare per nostra è inconsapevolmente presa da altri. Infatti, qualora non fosse questo il caso, cioè, se dovessimo far circolare esclusivamente le nostre idee originali edi nostri scritti — idee mai pensate prima da nessun altro — la comunicazione arriverebbe quasi a fermarsi. Un paio di osservazioni su questo punto:

  • L'originalità non è altro che imitazione giudiziosa. Gli scrittori più originali hanno preso in prestito l'uno dall'altro. L'istruzione che troviamo nei libri è come il fuoco. Lo prendiamo dai nostri vicini, lo accendiamo a casa, lo comunichiamo agli altri, e diventa proprietà di tutti.
  • Non si può portare avanti una vita confortevole senza un po' di cecità sul fatto che tutto quello che è stato detto, è stato detto meglio di come lo potremmo dire noi.
  • La gente parla sempre di originalità; ma cosa significa? Non appena nasciamo il mondo inizia a lavorare su di noi; e ciò va avanti fino alla fine. E, dopo tutto, cosa possiamo considerare di nostra proprietà, eccetto l'energia, la forza e la volontà? Se dovessi rendere conto di tutto ciò che devo a grandi predecessori e contemporanei, non ci sarebbe altro che un piccolo bilancio a mio favore.
  • L'originalità è semplicemente un paio di occhi nuovi.
  • Se siamo in grado di avanzare proposizioni vere e nuove, queste sono le nostre per diritto di scoperta; e se possiamo ripetere ciò che è vecchio, più brevemente e brillantemente rispetto ad altri, anche questo diventa nostro, per diritto di conquista.
  • E' quasi impossibile per chiunque legga molto, ed è un buon affare, avere la probabilità, in ogni occasione, di determinare se un pensiero è stato di un altro, o il suo. Ho più volte citato frasi nei miei scritti, in aiuto ai miei argomenti, in una conversazione, pensando che le stessi sostenendo con una sorta di migliore autorità!
  • Quegli scrittori che sono alla ricerca di novità possono avere poche speranze di grandezza; perché le grandi cose non possono essere sfuggite alle osservazioni precedenti.
  • Non è strano che le idee ricordate traggano spesso vantaggio dalla folla di pensieri e vengano contrabbandate come originali. I pensatori onesti rubano sempre inconsciamente gli uni dagli altri. Le nostre menti sono piene di trovate ed idee isolate che riteniamo siano nostre. Il plagio innocente spunta un po' ovunque. La letteratura è piena di coincidenze. Nell'aria ci sono sempre pensieri, perciò ci vuole più intelligneza per evitarli che per sbatterci contro.
  • I plagiatori hanno, come minimo, il merito della conservazione.

Lo sfondo di queste nove osservazioni ha una lezione interessante per noi. Al momento di decidere di esplorare questo argomento, mi rivolsi al Dizionario del Pensiero, selezionando le citazioni che più o meno quadravano con il mio pensiero sull'originalità e sul plagio, opinioni che ho creduto siano più o meno le mie. Prima non avevo mai letto nessuna di queste osservazioni di cui sono a conoscenza. Ora, se non avessi scoperto quello che altri avevano scritto ed avendo messo questi stessi pensieri nel mio fraseggio, l'avrei inconsapevolmente preso da altri. Non c'è nulla di sbagliato in questo — niente, assolutamente; ma avrebbe avuto "come minimo il merito della conservazione." D'altra parte, supponiamo che dopo aver scoperto queste osservazioni avessi usato il fraseggio preciso e lo avessi reclamto come mio! Che bugiardo! Una tattica simile non avrebbe arrecato alcun danno a quegli autori che vivono solo nella nostra memoria e nessuna offesa ai miei lettori. Solo autolesionismo!

Trovare l'originale di una determinata idea, probabilmente non è possibile. Per esempio, nell'Ottobre del 1970 fu pubblicato un mio libro intitolato Talking to Myself. Alcuni mesi dopo, fu annunciato il celeberrimo Talking to Myself di Pearl Bailey. Si tratta di una ragionevole certezza che nessuno di noi due abbia preso il titolo dall'altro; si è semplicemente verificato ad entrambi la stessa cosa nello stesso momento. Tale è la natura sincronica delle idee che si palesano contemporaneamente in menti diverse. La documentazione è costellata di esempi. Lo psichiatra svizzero, Carl Jung, scrisse un libro su questo fenomeno: Synchronicity.

Altrettanto fenomenale è il modo in cui le idee si sviluppano. Sentiamo o leggiamo di un'idea nuova per noi. E si insinua nel subconscio o in qualche antro della mente, passa attraverso un periodo di gestazione per giorni, settimane o anni e, se non muore quando ancora è un embrione, emerge come un'idea propria — "originale". Sono stato in grado di identificare tali "originali" nella mia esperienza, i periodi di gestazione vanno dai sei mesi ai trent'anni.

Non vi è, infatti, alcun modo per rivendicare la proprietà di un'idea, la quale è spirituale, come facciamo con le cose materiali — le leggi sul copyright e il gergo legale. Tanto vale cercare di disegnare le linee di proprietà intorno ad una nuvola o ad un desiderio o ad un sogno o alla Creazione. Le idee sono sempre in uno stato di fusione e/o di flusso, e sfidano ogni precisa demarcazione.

Si potrebbe concludere che questa valutazione è in contrasto con il modo di vivere del libero mercato e della proprietà privata che, ovviamente, pongono l'accento sul profitto — aggiungerei anche, giustamente. Ciò, tuttavia, sorvola il fatto che ci sono due tipi di profitto: psichico e monetario, il primo non riduce l'incentivo ad una azione creativa rispetto al secondo. E non è meno gratificante!

Robert Louis Stevenson ci ha dato questo aforisma: "Io prendo il mio latte da molte mucche, ma faccio il mio stesso burro." E io faccio esattamente la stessa cosa, il mio "burro" è una filosofia non-prescrittiva: nessuna restrizione architettata dall'uomo contro il rilascio di energia creativa.

Mi offende il prelievo e l'utilizzo delle mie idee da parte altri? Al contrario, più gli altri le adottano maggiore è la mia soddisfazione: il profitto psichico. Supponiamo che le mie idee sulla libertà fossero talmente accettate dagli altri che la libertà avrebbe prevalso come nostro modo di vivere. Io la preferirei a tutti i dollari della Cristianità. E per quanto riguarda il credito, non me ne potrebbe importare di meno. La fama personale è qualcosa di poco conto rispetto alla libertà individuale e alle pari opportunità per tutti, anche dal punto di vista del puro interesse personale. Preferisco passarmela bene proprio perché lo fanno anche gli altri.

E a proposito di bel tempo, uno dei miei hobby è cucinare. Ho preso il mio latte da molte mucche — artisti culinari — ora ed allora "ad libitum", aggiungendo una spezia o un'erba o un tocco di questo e quello, creo novità gastronomiche. Quando un ospite riconoscente esprime di voler conoscere la ricetta, gliela consegno con grande piacere; non la trattengo mai come un mio monopolio. In primo luogo, vi è un profitto psichico in questa donazione. E, in secondo luogo, posso cenare al tavolo di un'altra persona, poiché mi sarà servita una cena deliziosa..

Lo stesso principio di scambio e condivisione eleva le idee proprio come migliora la qualità del cibo. Più condivido idee con gli altri, più migliorano le mie, e quelle offerte a me saranno di migliore qualità. Questo è il processo dell'iniziare col piede giusto.

Non sappiamo da dove vengono le idee; sono di natura spirituale. Quando le riceviamo e le capiamo diventano nostre o, forse, sarebbe più esatto dire che noi apparteniamo ad esse. In ogni caso, le buone idee non devono essere messe in deposito, ma devono essere condivise — date e ricevute liberamente.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


6 commenti:

  1. Ciao Johnny, buona domenica.
    Questo commento non c'entra niente con il post odierno ma nasce dalla lettura, ancora parziale dell'interessante libretto di Henry Hazlitt- Economia in una lezione.
    A un certo punto mi sono imbattuto in una frase:
    "Ciò che le macchine fanno, per ripetere, e di portare ad un aumento della produzione e ad un aumento dello standard di vita".
    Di questo sono certamente convinto, non sono certo un luddista. Però, però... mi è venuto un pensiero.
    E' chiaro ed evidente che l'economia moderna ha portato ad un aumento della produzione, in termini di quantità e qualità. Ma un qualche problema ci sta pure, se siamo in crisi. E allora mi sono messo a ragionare sull'isola di Dovestan.
    Su quest'isola, un tempo, i 100 abitanti erano in grado di produrre 50 piccoli panini al giorno: ce n'era mezzo per ciascuno tutti, tranne i prepotenti che se ne accaparravano due o tre, facevano la fame.
    A un certo punto parte la rivoluzione industriale e, miracolo, riescono a produrre 110 piatti di spaghetti all'olio al giorno, così che si possono sfamare tutti. I 10 imprenditori che hanno messo su la fabbrica di spaghetti ne ricevono 2 piatti al giorno, come giusto compenso della loro capacità di iniziativa.
    A un certo punto a qualcuno salta in mente di convertire la produzione in fettuccine al tartufo, bene certamente più pregiato, perché di maggior gusto, rispetto agli spaghetti all'olio.
    C'è un però: se ne possono produrre solo 100 al giorno, e tra l'altro per fare ciò basta il lavoro di 90 persone, non di tutti e 100.
    A questo punto i 10 imprenditori se ne prendono sempre due piatti al giorno, e fanno 20 piatti, per cui ne restano 80. Poichè sono 80 persone a lavorare, se ne prendono un piatto al giorno e gli altri 10 restano senza niente. Ma ovviamente a questi non va di morire di fame per cui vanno dai 10 imprenditori e gli dicono: assumete noi al posto di altre 10 persone che vogliono 1 piatto al giorno, noi ci accontentiamo di mezzo piatto al giorno ciascuno, e pertanto a voi rimarranno 5 piatti in più. Chiudono l'accordo e gli imprenditori iniziano a pensare che che a questo punto, oltre a mandare via 10 persone che prendevano 1 piatto algiorno, possono anche dire ai rimanenti che si devono accontentare anche loro, come i 10 operai appena ssunti, di mezzo piatto al giorno. E quelli saranno costretti ad accettare perché, a quel punto, i 10 appena mandati via saranno certamente disposti a tornare a lavorare per avere mezzo piatto al giorno. In conclusione, i loro 80 lavoratori riceverranno in totale 40 piatti e loro se ne terranno 60. Poiché non li mangeranno certo tutti, li potranno certamente vendere agli abitanti dell'isola vicina che in cambio gli forniranno del buon vino.
    E poi la storia potrà ricominciare perché i nuovo 10 disoccupati ora accetteranno di lavorare per 14 di piatto etc. etc.
    Morale della storia: aumentare quantitativamente e qualitativamente la produzione è importante ma altreattanto importante è come la produzione viene distribuita. Mi potrai sempre replicare che qualcuno dei lavoratori alla fine si stuferà e costruirà una barca da pesca. E questo porterà ultreiore aumento della produzione. Ma ci vuole tempo, e nel frattempo si può sempre finire in disgrazia.
    Un saluto,
    Vincenzo

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  2. Di nuovo buona domenica Johnny.
    Aggiungo un'altra riflessione a quanto scritto prima, quast'ultima molto più basata su sensazioni personali che derivano dal mio lavoro.
    E' del tutto vero che la nuova ricchezza si crea dal risparmio e quindi dall'investimento.
    Questo significa, dal punto di vista pratico, in un sistema che funziona, che su 100 persone che lavorano, ce ne sono mettiamo 80 impegnate a produrre beni di immediato consumo (cibo, sapone, benzina o cos'altro ci venga in mente) e 20 impegnate a progettare/produrre beni strumentali (trattori, trivelle, torni, capannoni ecc.) con cui i primi 80 possono oggi svolgere la loro attività e nel futuro aumentare ancora di più la produzione a beneficio di tutti.
    I primi 80 scambiano una parte dei beni di consumo da loro prodotti con i beni strumentali prodotti dai secondi 20.
    E' abbastanza tipico della natura umana che i primi 80, a un certo punto pensino: "Ma perché mai noi dobbiamo produrre 100 e tenercene 80 in cambio di qualche cosa che ora come ora non ci serve? Ci possiamo tenere tutte le 100 cose che produciamo". E questo è tanto più vero qunto più i beni strumentali in uso al momento hanno una maggiore durata e una maggiore efficacia rispetto a quelli che venivano usati qualche anno fa. Detto in altre parole, se io so che il mio tornio durerà 10 anni e non 3, sono meno portato a pensare al fatto che prima o poi dovrò sostituirlo e quindi trascuro l'importanza del lavoro delle altre 20 persone.
    Naturalmente l'effetto di questo modo di pensare è che quelle 20 persone rimangono progressivamente disoccupate e poi, una volta che il tornio si è rotto, rimangono disoccupate anche le altre 80 e la produzione cala.
    Bene, il problema, a questo punto, è: come fare sì che questo modo di pensare devastantenon alligni tra la gente?
    Se ci pensi bene è poi lo stesso modo di pensare dei CEO che tagliano posti di lavoro per potersi aumentare a livelli stratosferici gli stipendi confidando nel fatto che nessuna azienda fallisce di punto in bianco perché il 10 % dei lavoratori è stato mandato a casa. Ma, bastano 2 o 3 anni perché quelli rimasti non ce la facciano più, sia perché più di tanto nessuno riesce a lavorare, sia perché si sono perse competenze importanti. A quel punto ripetono il gioco eternalizzando alcune attività ai call-center o simili, dove lavora gente mal pagata con nessuna competenza e motivazione. Altri due o tre anni di profitti gonfiati e super-bonus, poi arriva il crac.
    Se mai c'è qualcosa che è giusto tassare con aliquote del 90 % sono proprio i super-stipendi dei CEO, che alla fin fine sono dipendenti dell'azienda come i fattorini.
    Se ci pensi bene nei periodi migliori dell'economia occidentale gli stipendi dei CEO erano 50-60 volte quelli medi dei lavoratori senza particolari qualifiche, cosa che, con un pochino di calcoli applicando Pareto, risulta anche giustificata. Il sistema di tassazione, all'epoca, era tale che era praticamente impossibile eccedere questo limite. Oggi siamo a stipendi dell'ordine di 500-600 volte.
    Non ti viene in mente ogni tanto che l'iperespansione dello Stato non sia stata la causa, bensì la conseguenza dell'avidità di certe persone? Di persone che, senza alcuno scupolo, favorite dal mantra "abbassiamo le aliquote" hanno trovato lo spazio per mettere in atto quelle politiche aziendali folli che ho citato prima? Tanto, se anche venivano cacciate a calci nel sedere per avere ridotto male le aziende a loro affidate, si erano comunque assicurati agi per loro e per i loro figli e nipoti.

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  3. Hai appena descritto un ciclo boom & bust, sai Vincenzo? :)

    La perturbazione di un equilibrio iniziale deve sempre condurre ad un nuovo equilibrio sostenibile, altrimenti si rischia di creare lavori fondati sul nulla e che nel lungo periodo finiranno per sconquassare l'intera economia e creare un disastro nello standard di vita delle persone.

    Una volta perturbato, l'equilibrio, necessita di tempo per riassestare la situazione; la probabilità, quindi, di alta disoccupazione è inesorabile. Il tutto a ricordare che se i beni di consumo sono importanti, lo so anche i beni d'invesitmento.

    Per capire meglio, ed in termini più semplici, quello che sto cercando di dire, ti invito a leggere questo articolo di R. Murphy. Puoi benissimo iniziare da "Un modello sushi del consumo di capitale".

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  4. >"E' abbastanza tipico della natura umana che i primi 80, a un certo punto pensino: "Ma perché mai noi dobbiamo produrre 100 e tenercene 80 in cambio di qualche cosa che ora come ora non ci serve? Ci possiamo tenere tutte le 100 cose che produciamo"."

    Immaginiamo di essere in grado di costruire il bene X in un anno di lavoro e sappiamo che viene venduto a €1300. Un capitalista si offre di pagarci €100 al mese per 12 mesi se produciamo il bene X. Alla fine dell'anno il capitalista vende a €1300. Ci ha sfruttati? Non proprio.

    Se avessimo prodotto da soli il bene X avremmo dovuto stare senza denaro per un anno (venivamo pagati €1300, ma solo alla fine). Così invece qualcuno ci ha anticipato il denaro durante la fase di produzione. Perché non ci ha pagato tutti i €1300? Perché ovviamente il capitalista ha una preferenza per il presente (ovvero preferisce avere €1300 oggi rispetto ad averli solo tra un anno) e quindi si è privato di quel denaro ma solo per un interesse.

    Il ruolo del capitalista è quello di anticipare agli imprenditori (quando le due figure non coincidono) e lavoratori il reddito futuro del loro lavoro, e questo è un compito fondamentale.


    >"Non ti viene in mente ogni tanto che l'iperespansione dello Stato non sia stata la causa, bensì la conseguenza dell'avidità di certe persone?"

    In un certo senso hai ragione. Perché il cuore pulsante che dà linfa vitale allo stato, è la sua caratteristica principale: l'espansione del lato oscuro dell'indole umana.

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  5. Ciao Johnny,
    avevo già letto l'economia del sushi e concordo pienamente con il contenuto. Tra l'altro un'osservazione contenuta in quell'articolo, ovvero la fase di riduzione della manutenzione, coincide perfettamente con quanto ho modo di osservare nel mio lavoro ogni giorno (ti ho già detto che mi occupo di roba tipo prodotti per prevenire la corrosione). Moltissime aziende ormai trascurano il mantenimento in buono stato degli impianti e la formazione del personale nell'illusoria speranza di gonfiare i profitti a breve.
    Credo che il caso Thyssen-Krupp sia stato esemplare da questo punto, il guaio è che è costato sette vite umane.
    Ed è proprio questo il punto su cui non mi trovo del tutto d'accordo con la politica del lasseiz-faire. Se è assolutamente vero che lo Stato non deve assolutamente essere attore economico, allo stesso tempo lo Stato, inteso come comunità dei cittadini, deve essere stringente nel fissare le regole. E tra le regole, la prima che farei sarebbe quella che proibisce le stock-options ai CEO. In fondo un CEO già riceve un signor stipendio solo per il fatto di essere CEO, non ha bisogno di bonus, che al limite è più necessario per incentivare il lavoratore di basso livello a migliorarsi. In un certo senso ci vuole più Parlamento e meno Governo (tutto il contrario di ciò che diceva B) ma anche più Parlamento e meno partiti.
    Buona giornata, Vincenzo

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  6. Vedi Vincenzo, il libero mercato permette ad ogni attore economico di esprimere il proprio parere su determinate questioni, l'insieme dei quali premia o punisce quelle aziende che vengno poste sotto la lente d'ingrandimento. Ovvero, al di là di un'aula di tribunale, il consumatore è il giudice supremo della sua vita e delle sue scelte, e la conformazione a tale decisioni è d'obbligo per l'impreditore di turno che vuole avere successo e vivere col profitto della sua impresa.

    Non solo lui, ogni commerciante presente sul mercato deve essere in grado di soddisfare la richeista del consumatore (sempiternamente "volatile") altrimenti sarà costretto ad andare in rovina. Non solo, se l'imprenditore in questione vuole avere successo deve anche prestare particolare attenzione ai suoi dipendenti; il capitalismo, difatti, è soddisfazione non solo dei clienti ma anche dei dipendenti. Il prodotto ne guadagna. E di conseguenze i salari degli occupati.

    Uno scandalo in un mercato libero significherebbe una pubblicità negativa senza eguali, perché non ci sarebbe nessuno che potrebbe salvare la ditta che è immersa in suddetto scandalo. Le regole sarebbero auto-applicate perché il mercato (possiamo dirlo) siamo noi: ad esempio, come la storia del McDonald in Bolivia. E senza ingerenza alcuna da parte di altri soggetti, nelle decisioni delle persone. La pianificazione dei molti.

    La pianificazione dei pochi invece è ed opera dello stato. Perché, diversamente dal mercato, lo stato sono "loro". Con questa "rete di salvataggio", c'è sempre la possibilità che i filibustieri la facciano franca dato che basterebbe oliare semplicemente gli ingranaggi o portare avanti la scusa dei disoccupati. Non c'è il rischio di gravi sanzioni da parte del mercato, perché esiste un ente che interferisce coi processi di mercato per il proprio tornaconto (es. la perpetrazione stessa della sua esistenza). Anche se ci sono delle regole (la Costituzione...grasse risate!) queste vengono aggirate in un modo o nell'altro per avvantaggiare i pochi sui molti. E' per questo che bisogna rigettare in toto l'idea che uno stato possa esercitare un qualche tipo di vigilanza sulle imprese; non lo fa. Non lo farà mai.

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