giovedì 6 ottobre 2016

È la psicologia del consumatore l'elemento motore dell'economia?





di Frank Shostak


La maggior parte degli esperti considera la predisposizione psicologica del consumatore, la forza trainante di un'economia. Se i consumatori sono ottimisti e felici, non ci sarà alcuna recessione. Almeno così si crede. Secondo il modo di pensare popolare, se i consumatori sono attivi, ciò rappresenterà un buon segno per la salute economica; se i consumatori non spendono abbastanza, allora questa viene considerata come una cattiva notizia. Infatti le indagini sull'attività imprenditoriale mostrano che durante una recessione, le aziende incolpano la mancanza di domanda dei consumatori come fattore principale dietro le loro scarse prestazioni.

Nel mondo reale, l'ottimismo dei consumatori è importante, ma di per sé non vale nulla. La produzione deve precedere il consumo. È necessario produrre beni utili che possano essere scambiati per altri beni. Quando un panettiere produce pane, egli non lo produce tutto per il proprio consumo. La maggior parte del pane che produce viene scambiato per beni e servizi di altri produttori, il che implica che attraverso la produzione di pane il fornaio esercita la sua domanda sugli altri beni.

Per dirla diversamente, la sua domanda è interamente coperta, cioè, finanziata dal pane che ha prodotto. Pertanto la domanda non può essere considerata unica ed indipendente; è limitata da una precedente produzione, che serve come mezzo per ottenere vari prodotti e servizi. Ciò che blocca la domanda degli individui per beni e servizi, è la disponibilità di mezzi per appropriarsi di tutti i beni e servizi che desiderano.

Questi mezzi non saltano fuori "dal nulla"; devono essere prodotti. La produzione di beni e servizi è vincolata al bacino della ricchezza reale: risorse economiche il cui compito è quello di fornire sostentamento al processo economico. Il bacino della ricchezza reale è la quantità di merci disponibili in un'economia per sostenere la produzione futura. Se c'è bisogno di un anno di lavoro affinché un uomo costruisca uno strumento, ma ha solo un numero di mele risparmiate da sostenerlo per un mese, allora lo strumento non sarà costruito e l'uomo non sarà in grado di aumentare la sua produttività.[1]

In un'economia di mercato, il denaro ha un solo ruolo – quello di mezzo di scambio. Il denaro permette al prodotto di uno specialista di essere scambiato per il prodotto di un altro specialista. Lo scambio di qualcosa per qualcosa significa anche che il consumo non precede la produzione, cioè, dobbiamo prima produrre un prodotto utile che possa essere scambiato per denaro e solo dopo potremmo scambiare i soldi per i beni che desideriamo. Il consumo è interamente finanziato dalla produzione precedente.

Molti economisti sono del parere che le iniezioni di denaro e le manipolazioni dei tassi d'interesse rappresentino le chiavi per traghettare l'economia verso la stabilità e la prosperità. Ma in un mercato libero e senza ostacoli, i tassi d'interesse sono il risultato della domanda e dell'offerta del risparmio. I tassi d'interesse rispecchiano le preferenze temporali dei consumatori, cioè, i loro desideri rispetto a quanto vogliono consumare nel presente e quanto nel futuro. In questa veste, guidano le aziende verso una ripartizione quanto più redditizia delle risorse economiche. Prestando attenzione ai tassi d'interesse, le imprese rispettano le istruzioni dei consumatori.

Tuttavia, in presenza di un pompaggio monetario artificiale assistiamo ad un abbassamento altrettanto artificiale dei tassi d'interesse sui mercati finanziari. Di conseguenza, i tassi d'interesse smettono di riflettere le preferenze temporali dei consumatori. Ciò a sua volta significa che gli imprenditori che incorporano i tassi d'interesse nel loro processo decisionale, sono destinati a commettere errori – prendendo decisioni d'investimento che andranno contro le necessità più urgenti dei consumatori.[2] Per dirla in modo diverso, gli imprenditori devieranno risorse economiche da attività generatrici di ricchezza ad attività che le sprecheranno.

Finché andrà avanti il pompaggio monetario artificiale e il conseguente abbassamento altrettanto artificiale dei tassi d'interesse, gli imprenditori non riusciranno mai a capire d'aver commesso errori. Al contrario, all'intensificarsi della politica monetaria, spunteranno profitti apparenti e un senso di benessere temporaneo. Più rimarrà in vigore la politica monetaria allentata, più gli errori economici si diffonderanno.

Tutto questo porta ad una situazione in cui gli imprenditori si impegnano a perseguire attività non redditizie, che in ultima analisi dovranno essere liquidate. È questa liquidazione che viene chiamata bust, o recessione. Di norma ciò che innesca questa liquidazione è l'inversione della politica monetaria allentata della banca centrale.

La gravità di una recessione è dettata dall'intensità del boom precedente causato dal pompaggio monetario artificiale e dall'abbassamento altrettanto artificiale dei tassi d'interesse, cioè, dalla percentuale di "false attività" rispetto alle attività totali. Più è grande la percentuale, più grave sarà la recessione, dal momento che avverranno più liquidazioni.

Secondo Mises:

È essenziale rendersi conto che ciò che fa emergere la crisi economica è il processo democratico del mercato. I consumatori disapprovano l'impiego dei fattori di produzione effettuato dagli imprenditori.[3]

La maggior parte degli esperti valuta la probabilità di una recessione o una depressione, guardando al tasso di crescita dell'indice dei prezzi al consumo. Se questo indice risulterà costante, allora verrà interpretato come un segno di salute economica.

Su questo Murray Rothbard scrisse:

Il fatto che i prezzi in generale fossero stati più o meno stabili durante gli anni '20, portò la maggior parte degli economisti a concludere che non vi fosse alcuna minaccia inflazionistica, e quindi gli eventi della grande depressione li colsero completamente alla sprovvista.[4]

I prezzi sono determinati da fattori reali e monetari. Di conseguenza può accadere che se i fattori reali stanno tirando le cose in direzione opposta ai fattori monetari, potrebbe non esserci alcun cambiamento visibile nei prezzi. Mentre la crescita del denaro è vivace, i prezzi potrebbero non aumentare. Il punto cruciale, pertanto, non è l'aumento dell'IPC, o gli aumenti relativi dell'offerta di moneta rispetto agli aumenti dei beni, ma il fatto che l'offerta di moneta sia in aumento. È questo aumento di denaro ciò che conta, perché è proprio questo aumento che mette in moto uno scambio di niente per qualcosa.

Allo stesso modo, anche trarre conclusioni dal PIL potrebbe produrre risultati errati. Il PIL rispecchia sostanzialmente il pompaggio monetario: più soldi vengono pompati, maggiore sarà il PIL. Quindi non è possibile accertare lo stato del bacino della ricchezza reale attraverso l'ispezione del PIL.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


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Note

[1] Richard von Strigl, Capital and Production, Mises Institute, p.8.

[2] Ludwig von Mises, Human Action, (Chicago: Contemporary Books, 1963), p.538-86.

[3] Ibid., p.505.

[4] Murray N.Rothbard, America’s Great Depression, Sheed and Ward, Inc. Universal Press Kansas City p.153.

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4 commenti:

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    1. Einstein scrisse che non tutto ciò che può essere contato conta davvero, e che non tutto ciò che non può essere contato non conta.

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  2. E' curioso come l'incipit di questo articolo riporti opinioni che paiono in conflitto con quanto Mises sostiene in "Socialismo" e ne "L'Azione Umana" (che ho comunque appena iniziato a leggere). Il motore dell'attività umana è individuato da Mises (correttamente per come la vedo io) nell'INSODDISFAZIONE e perchè una economia sia prospera questo stato di INSODDISFAZIONE ha grande importanza basti pensare al ruolo che lo stesso Mises attribuisce al LUSSO. Certamente occorre allo stesso tempo l'ottimismo di poter superare il proprio stato di insoddisfazione attraverso l'azione e/o il consumo ma resta il fatto che queste banalissime considerazioni aprono scenari contraddittori che mi pare Mises faccia finta di non vedere. Il libero mercato ha lo scopo di SODDISFARE al meglio i bisogni dell'uomo ma un'economia che giri alla grande ha necessità che i bisogni dell'uomo siano INSODDISFATTI. E non fa una piega, perchè se io sono soddisfatto del Tv che possiedo, per quale motivo dovrei comprarne un altro? Il circolo vizioso è evidente. Si badi bene, contraddizioni insolubili che fanno parte della VITA, contraddizioni in alcun modo capaci di illuderci che esistano altri "sistemi" in grado di eliminarle (anzi altri "sistemi" se ne portano dietro di molto più stridenti), ma non per questo dobbiamo nasconderle se vogliamo essere il più possibile oggettivi. Da un non esperto di economia e appassionato di filosofia.

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    1. Credo che "un'economia che giri alla grande" sia l'obiettivo dei teorici quantitativi dell'economia, dei politici dirigisti del deficit spending, dei banchieri centrali interventisti del QE, dei turbofinanzieri di Wall Street, degli imprenditori del consumismo tout court, che tutti insieme portano alla via verso la schiavitù, piuttosto che degli studiosi della Scuola Austriaca di economia che ricercano e spiegano la via della prosperità nella volontaria e non coercitiva cooperazione tra gli individui.
      Quindi, se Lei è personalmente soddisfatto del suo Tv, nessuno dovrebbe obbligarla a cambiarlo riscrivendo le leggi a favore di qualche produttore particolare. Vorrà dire che nuovi Tv faranno la soddisfazione di altri acquirenti.

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