lunedì 17 dicembre 2018

Un euro fragile potrebbe non sopravvivere alla prossima crisi

Secondo le stime di Bloomberg, la Banca d'Italia ha comprato, a nome ovviamente della BCE, circa €360 miliardi di titoli di stato pluriennali italiani sin dall'inizio del QE nel marzo 2015. Problema: Draghi continua a ribadire che a dicembre il sostegno incondizionato ai malati d'Europa terminerà. (Molto probabilmente avvierà una sorta di Operation Twist per non agitare troppo le acque.) Infatti la BCE è praticamente il solo compratore rimasto del pattume obbligazionario italiano e con una emissione di €275 miliardi in programma l'anno prossimo e il più recente "BTP day" andato quasi deserto da parte dei privati, chi si farà avanti per sobbarcarsi questo onere? Sin da maggio gli investitori esteri sono risultati venditori netti di pattume obbligazionario italiano e le banche commerciali italiane non possono più correre tali rischi (vista la politica fiscale/economica dell'attuale governo) poiché le loro spalle non sono più coperte dalla BCE ed i loro bilanci sono disastrati. Chi rimane? Nessuno. Senza contare che i rendimenti obbligazionari sono destinati ad aumentare e la maggior parte di questa spazzatura è nei bilanci delle banche commerciali italiane (oltreché nei portafogli di risparmiatori "ignari"). Carige, per esempio, una delle tante banche italiane sull'orlo del baratro, ha ricevuto un aiuto di €400 milioni dal cosiddetto Fondo di Garanzia Interbancario... ma da chi è costituito questo Fondo? Dalle grandi banche commerciali italiane, anch'esse nell'occhio del ciclone. Quando si dice, due zoppi che si tengono ad una sola stampella... Attenzione, però, perché non si tratta solo della spazzatura obbligazionaria italiana, ma di quella europea nel complesso che è appesa ad un filo. Infatti la BCE negli ultimi 3 anni ha speso €512 miliardi per i bond tedeschi, €416 miliardi per i bond francesi, €256 miliardi per i bond spagnoli, €114 per i bond olandesi, €72 miliardi per i bond belgi, €57 miliardi per i bond austriaci e €36 miliardi per i bond portoghesi. Inutile dire come i Paesi della zona Euro abbiano goduto di costi di finanziamento bassi. Sono anche stati in grado di emettere somme record di debito a lungo termine per attenuare i loro profili di debito. Il QE ha contribuito a sostenere l'illusione che il debito pubblico delle economie dell'Eurozona abbia pesi di rischio approssimativamente simili. Una volta che il QE giungerà a termine, tale illusione scomparirà con esso.
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di Brendan Brown


Un big bang d'inflazione monetaria statunitense ha portato alla nascita dell'euro. Ecco una previsione: la sua morte si verificherà in risposta ad un diverso tipo di big bang monetario americano: l'improvvisa comparsa di un "interludio deflazionistico". E questo potrebbe arrivare prima di quanto molti si aspettino.

Tutto inizia con l'abbandono da parte di Paul Volcker di una politica monetaria solida nel 1985/6. Il momento critico arrivò quando l'allora capo della FED si unì al nuovo Segretario al Tesoro del Presidente Reagan, James Baker, in una campagna per svalutare il dollaro. Il cosiddetto "Accordo del Plaza" del 1985 suonò la carica.

Volcker, il noto guerriero della svalutazione nell'Amministrazione Nixon (come sottosegretario al Tesoro), non cambiò mai i suoi punti di vista, considerando pericolosi i grandi deficit commerciali degli Stati Uniti. La diagnosi alternativa, che fossero solo una contropartita transitoria dell'aumento del dinamismo economico degli Stati Uniti e di una domanda mondiale di dollari, non balenò per niente nella mente di Volcker.

Da qui l'opportunità di ripristinare il sound money, ma questo è qualcosa che accade molto raramente nella storia, solo dove l'alta inflazione induce una repulsione politica generale (come ad esempio dopo la guerra civile). Nel contesto europeo ciò significava la fine della breve era del marco forte e la nascita dell'euro debole.

La corsa del marco nel 1985-7 rispetto ad altre valute europee, provocata dal rilancio statunitense dell'inflazione monetaria, rovesciò l'equilibrio del potere politico all'interno della Germania a favore del progetto dell'Unione Monetaria Europea (UEM). Le grandi società esportatrici, la spina dorsale dell'Unione Democratica Cristiana (CDU) sotto il Cancelliere Kohl, ebbero la meglio. Il marco forte, un'evidente minaccia per i loro profitti, doveva scomparire.

In tutto il mondo ci fu l'inevitabile corsa dell'inflazione all'indomani dell'Accordo del Plaza e della capitolazione di Volcker, dato che molti Paesi (in particolare il Giappone) cercarono di limitare il calo del dollaro nei confronti delle proprie valute. L'inflazione era evidente nei mercati degli asset e nei mercati dei beni. Da quel caos monetario venne inaugurato anche l'esperimento di stabilizzazione su entrambe le sponde dell'Atlantico: il "target dell'inflazione al 2%".

Nella pubblicità pre-lancio del suo nuovo libro, Keeping At It: The Quest for Sound Money e Good Government, Volcker ora critica la Federal Reserve e le principali banche centrali estere per il perseguimento di un target dell'inflazione al 2%. Mi chiedo dove sia stato negli ultimi 20 anni. Da buon burocrate sembra seguire la regola senza tempo di incolpare gli altri e mai sé stesso per l'emergere di problemi, in questo caso quelli legati ad un target dell'inflazione al 2%.

Sì, il vero genio del male dietro questo target potrebbe essere stato Stanley Fischer, il leader intellettuale dell'assalto neo-keynesiano al monetarismo, ma Volcker ha pur sempre fornito l'opportunità.



Nascita della BCE

La Banca Centrale Europea (BCE), che ha aperto i battenti alla fine del 1998, ha visto come primo presidente l'ex-funzionario della Bundesbank, il professor Otmar Issing, affinché guidasse l'Europa verso l'adozione del nuovo standard d'inflazione al 2%. L'eccezionalismo monetario tedesco sarebbe giunto al termine; o qualcuno direbbe che la Germania abbia abdicato come faro del sound money in Europa. Sotto il suo governo monetario, gran parte dell'Europa occidentale aveva goduto di una considerevole indipendenza monetaria dagli Stati Uniti, almeno durante la metà degli anni '70, quando Arthur Burns aveva intrapreso l'ennesima grande campagna d'inflazione monetaria.

Al contrario, sotto il target del 2% la zona Euro, inclusa la Germania, si è allineata al ciclo monetario statunitense, condividendo tutti gli alti e bassi dell'inflazione USA. E nel contesto europeo, l'inflazione degli asset ha comportato enormi investimenti improduttivi, andando a distruggere l'economia un tempo dinamica dell'Italia ed a far crescere in modo abnorme il settore dell'export del Nord Europa (cosa che riflette un euro svalutato).



Un test per l'euro

In queste due distorsioni troviamo la vulnerabilità esistenziale dell'euro e il prossimo shock monetario statunitense presenterà il test più severo. Molto probabilmente lo shock assumerà la forma di una improvvisa "parentesi deflazionistica" che successivamente si trasformerà in una lunga inflazione.

Man mano che l'inflazione dei prezzi degli asset procede verso la fase finale del ciclo economico mondiale (come sempre alimentato dalla Federal Reserve) e quindi verso lo sgonfiamento (recessione), ci sarà un periodo di contrazione del credito. Ciò si rifletterà molto probabilmente anche negli aggregati monetari più ampi. Prezzi e salari potrebbero subire alcune pressioni al ribasso, sebbene questo non rappresenti di per sé una prova della deflazione monetaria.

In questa fase di deflazione dei prezzi degli asset, accompagnata dal rallentamento o dalla recessione globale, l'Europa si troverà in una situazione particolarmente pericolosa. I settori dell'export del Nord Europa sono vulnerabili, non da ultimo per la bolla del credito dei mercati emergenti che sta scoppiando. Le banche ed i titoli sovrani deboli in tutta Europa finiranno entrambi nel regno dell'insolvenza. L'indebolimento dell'euro e misure per sostenere gli esportatori del Nord Europa potrebbero attrarre l'ira di Trump.

A Washington ci sarebbe tolleranza zero per il radicalismo monetario in Europa. Se questo è ciò che servirà per tenere in piedi l'euro, il che significa una debolezza perpetua della valuta, allora è meglio che imploda.



Una zona Euro nuova e più piccola?

Quindi le grandi aziende esportatrici tedesche dovrebbero affrontare un brusco risveglio. L'asse che unisce la Cancelleria di Berlino alla BCE (attualmente l'asse Merkel-Draghi) non sarebbe più in grado di sostenerli (tramite un euro svalutato). In queste circostanze, l'euro che cade a pezzi potrebbe essere la strada più promettente per il successo futuro. Sì, un nuovo marco farebbe pressione sui margini di profitto degli esportatori; ma si ridurrebbe la minaccia di una guerra commerciale USA-Germania o USA-UE.

Il CDU potrebbe avere un nuovo margine di manovra per spostarsi verso destra e lontano dall'euro-centrismo prevalente dell'era Merkel, in modo da riconquistare gli elettori volati all'estrema destra e ottenere anche un sostegno da parte dei risparmiatori a lungo insoddisfatti dall'euro e dai tassi d'interesse negativi. Verrebbe di conseguenza scongiurata la temuta discesa della Germania nel caos politico di Weimar, cosa che potrebbe accadere se il CDU restasse congelato nell'euro-centrismo (unendosi eventualmente con i Verdi e in tal modo espandendo il supporto per le parti estremiste).

Sì, l'Italia uscirebbe dall'Eurozona. Il potenziale per una sana rinascita del denaro in Europa, possibilmente con Francia, Olanda e Germania riuniti in una nuova unione monetaria, diverrebbe realtà. Il futuro monetario dell'Europa non sarebbe più legato a doppio filo a quello degli Stati Uniti. Questa possibile finestra di opportunità potrebbe essere breve, dato il potenziale pericolo di una tempesta inflazionistica statunitense, derivante da finanze pubbliche devastanti.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://francescosimoncelli.com/


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