giovedì 11 aprile 2019

La tesi di “libero mercato” contro la Brexit è un inganno

Chissà se i "riformatori (illusi) dell'UE" si siano posti la questione che tutto questo ritardo riguardo la Brexit non sia dovuto altro che alla selva burocratica ed opprimente messa in piedi dal baraccone europeo... ma al di là di ciò esiste un altro motivo denominato "The Return of Reciprotarians": la credenza che la liberalizzazione del commercio sia benefica se anche gli altri Paesi adottano lo stesso livello di liberalizzazione, altrimenti i Paesi che rimangono protezionisti guadagneranno un vantaggio a spese dei Paesi che hanno aperto i loro confini commerciali. il WTO ha fatto tutto quanto in suo potere per rafforzare questa fallacia. Nei suoi obiettivi e principi parole come "reciproco", "non discriminante", "stabile" o "equo" qualificano le relazioni commerciali, mentre la parola "libero" è inesistente o è sostituita dall'eufemismo "più aperto". Ogni regola del WTO si concentra sulla promozione di questo stereotipo del commercio: un vantaggio è tale solo se reciproco. E questo ha funzionato bene da un punto di vista burocratico, perché le parti coinvolte in questi negoziati non vogliono in realtà il libero scambio, ma più controllo sul commercio. Infatti diverse ricerche dimostrano che i negoziati multilaterali del WTO hanno portato alla proliferazione di accordi commerciali preferenziali tra i Paesi membri al fine di "ottenere un potere contrattuale all'interno di un sistema multilaterale" (Mansfield e Reinhardt, 2003). Altri studi hanno confermato il punto di vista di Mises (2010, 250) sui vantaggi dell'unilateralismo e sulla fallacia della reciprocità, mostrando non solo che quasi il 70% della liberalizzazione globale degli scambi a partire dagli anni '80 è stata unilaterale (Sally 2008, 151), ma che la riduzione unilaterale delle barriere commerciali ha generato una reciproca liberalizzazione in misura molto maggiore dei negoziati multilaterali o bilaterali (Bhagwati, 2002). Come procedere lungo una liberalizzazione unilaterale? Una buona guida la ritroviamo nelle parole di Richard Cobden (1919, 41), la cui richiesta di un libero scambio unilaterale contribuì a convincere il primo ministro britannico Robert Peel ad abrogare le Corn Laws nel 1846. Non esiste una misura migliore nel commercio di una liberalizzazione unilaterale: ridurre i dazi senza aspettarsi concessioni reciproche da altri Paesi. I partner commerciali potrebbero quindi essere più propensi a ricambiare se vedono un vero impegno nei confronti del libero scambio piuttosto che con il protezionismo.
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di John Phelan


In vista del referendum britannico sulla sua adesione o meno all'Unione Europea nel giugno 2016, i sostenitori di un libero mercato erano divisi.

C'era chi vedeva la Brexit come un'opportunità per sfuggire ad un vasto blocco protezionista, una sorta di Festung Europa economico, che rappresenta una quota sempre minore delle esportazioni britanniche e dell'economia globale. Le norme UE non richiedono solo che i pallet provenienti da stati non membri vengano sottoposti a trattamento termico o puliti per prevenire la contaminazione, ma anche avere marcature specifiche per confermare che soddisfino determinati standard. Se la Gran Bretagna lasciasse l'UE senza un accordo, sarebbe illegale, sempre in base alle norme dell'UE, acquistare un panino al prosciutto a Derry che si intende mangiare sette miglia lungo la strada a Bridge End. Tanti saluti alla grande liberalizzazione del commercio.

Ma c'erano altri, persone intelligenti tra l'altro, che hanno raggiunto la conclusione opposta. Una delle loro tesi è che l'UE rappresenta un baluardo contro le politiche economiche stataliste che sarebbero state imposte dal parlamento di Westminster. Che l'UE impedisca ai governi democraticamente eletti di perseguire tali politiche è una buona cosa, perché la libertà è più importante della democrazia. Purtroppo per loro, l'UE sta distruggendo le loro argomentazioni.



Aumentare le tasse irlandesi

Nel 2008 l'Irlanda ha votato per respingere la Costituzione Europea, in parte per proteggere le loro politiche di successo incentrate su una bassa tassazione. Ma nell'ottica dell'Unione Europea votare non rappresenta un'opportunità affinché gli elettori prendano decisioni, invece rappresenta l'imposizione di decisioni già adottate dai leader dell'UE. Gli irlandesi avevano dato la risposta sbagliata, come avevano fatto quando hanno votato "No" al Trattato di Nizza nel 2001, quindi, come con il Trattato di Nizza, sono stati costretti a votare di nuovo. Hanno ricevuto assicurazioni sul fatto che il nuovo Trattato di Lisbona, la cosiddetta costituzione ribattezzata, avrebbe, tra le altre cose, salvaguardato le loro politiche fiscali. Nel 2009 hanno diligentemente votato "Sì".

Ma l'UE non abbandona mai un'idea, la rimanda solo nel tempo: adesso infatti sta ancora una volta attaccando le tasse basse dell'Irlanda. Attualmente alcune decisioni sulla politica fiscale devono essere prese all'unanimità, dando a Paesi come l'Irlanda un veto. Ma la Commissione Europea, l'organo esecutivo non eletto dell'UE, vuole porre fine a tutto ciò. È improbabile che le tasse basse, sulle quali si basa il miracolo economico dell'Irlanda, sopravvivono a lungo a tale unanimità.

Gli altri stati membri dell'UE avrebbero potuto guardare al successo irlandese e pensare: "Ecco qualcosa da emulare". Invece la vedono come qualcosa da fermare e l'UE ha i mezzi per farlo. A rafforzare questo teatro dell'assurdo, c'ha pensato la recente approvazione da parte del Parlamento Europeo della nuova direttiva sul diritto d'autore. Come ci spiega l'Economist, si tratta semplicemente di protezionismo e barriere all'ingresso su vasta scala. I sostenitori dell''UE non hanno nemici più dannosi e pericolosi della stessa UE. I cosiddetti "Remainer" sono solo gli ultimi a scoprirlo.



Nel frattempo, in Gran Bretagna...

Non c'è dubbio, però, che i "Leave" non abbiano molto di cui rallegrarsi nel comportamento delle parti a Westminster. Il Partito laburista di Jeremy Corbyn è sempre più socialista: le sue politiche di punta comprendono la rinazionalizzazione delle ferrovie, delle compagnie idriche ed energetiche, e della Royal Mail. Il più deprimente di tutti è lo stato attuale del partito conservatore. Una volta guidato da Margaret Thatcher, che aveva sulla sua scrivania una copia della Società Libera di Hayek e diceva fiera "Questo è ciò in cui crediamo", con Theresa May è tornato ad una sorta di paternalismo dirigista.

Anche così, a quasi tre anni di distanza, la tesi del libero mercato è migliore di quello dei cosiddetti "Remainer" o "riformatori (illusi) dell'UE". La Brexit potrebbe benissimo imporre alcune politiche economiche cattive, ma le imporrebbe solo sulla Gran Bretagna. L'UE, al contrario, consente a Francia e Germania (che la gestiscono praticamente) di imporre cattive politiche a tutti i 28 Paesi membri, come dimostra la spinta ad aumentare le tasse dell'Irlanda. La tesi dei cosiddetti "Remainer", secondo cui potevano acquistare maggiore libertà economica nell'UE, va in frantumi quando l'UE finisce per disprezzare la libertà economica ed abbraccia lo statalismo di Emmanuel Macron. Perché il suo protezionismo dovrebbe essere meno nocivo di quello di Theresa May o di Jeremy Corbyn?

I sostenitori di un libero mercato hanno più possibilità di invertire una cattiva politica imposta da un Parlamento locale rispetto ad una cattiva politica imposta da una burocrazia sovranazionale. È importante che il potere sia diffuso e decentralizzato. Questa è una lezione chiave del liberalismo che i "riformatori (illusi) dell'UE" hanno completamente ignorato. Con le sue azioni, l'UE gliela sta ricordando.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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