lunedì 2 settembre 2019

Siamo tutti manipolatori di valute adesso





di David Stockman


Chiamatelo pure teatro monetario dell'assurdo. Dopotutto ecco cosa ha fatto un certo manipolatore di valute tra il settembre 2002 e luglio 2008: ha pompato circa $200 miliardi nel sistema finanziario mondiale, ampliando così il bilancio della FED del 26%. Chiaramente i trader mondiali ed i partner commerciali statunitensi non hanno accolto con favore tale ondata di valuta fiat perché nello stesso periodo il tasso di cambio ponderato del dollaro è precipitato del 25%.

Inoltre ci sono pochi dubbi sul fatto che il crollo del dollaro mostrato di seguito sia stata un'azione deliberata. Durante suddetto periodo, la FED ha condotto una campagna aggressiva per abbassare i tassi d'interesse, aumentare la crescita interna e aumentare il tasso d'inflazione. Quest'ultimo era l'obbiettivo di Ben Bernanke, il quale mise in guardia riguardo i pericoli di un'imminente "deflazione" che non c'è mai stata.

Inutile dire che la politica di soppressione dei tassi d'interesse e di ricerca dell'inflazione sta rovinando la valuta. A parità di condizioni, gli stranieri alleggeriranno le loro posizioni in dollari quando le autorità promettono di ridurre il suo potere d'acquisto e di abbassare i rendimenti rispetto alle alternative all'estero.

La verità è che la Federal Reserve è il campione di manipolazione della valuta e lo è stato da quando Nixon ha reciso il legame del dollaro con l'oro nell'agosto 1971.

Questo perché in un mondo di valute fiat, la politica monetaria interna non è altro che manipolazione della valuta: i cambiamenti della politica della FED (o quelli di qualsiasi altra banca centrale) vengono trasmessi istantaneamente al Forex e ai relativi mercati finanziari globali, una volta che viene rimosso un tasso di cambio fisso.

L'ultima frase in grassetto è il nocciolo della questione. Sotto Bretton Woods e precedenti sistemi di cambio fissi basati sull'oro, la politica monetaria interna non modificava il valore di una valuta sul Forex, né immediatamente né nel tempo.

Naturalmente aveva effetti esterni, ma questi venivano trasmessi attraverso l'afflusso/deflusso di oro a seconda che la politica monetaria interna causasse la contrazione o l'espansione del credito interno.

Con il gold standard, quindi, i Paesi potevano stupidamente provare a tagliare i tassi d'interesse al fine di stimolare il credito interno e l'inflazione in uno sforzo inutile per dare inizio alla prosperità, ma il feedback negativo era rapido e doloroso.

Vale a dire, il conseguente deflusso di oro o altri asset di riserva prosciugava i sistemi bancari interni del denaro reale e faceva risalire i tassi d'interesse, il che, a sua volta, rendeva i prestiti più scarsi e faceva rallentare l'attività economica.

Detto in altro modo, con il gold standard non era necessario alcun Segretario del Tesoro come Steve Mnuchin o uno statista pazzo nell'Ufficio Ovale come Donald per fermare i "manipolatori di valute". Il mercato internazionale dell'oro svolgeva tale lavoro con efficienza, senza compromessi e su condizioni di parità. Questo perché alla fine della fiera tutte le valute coperte dall'oro, che avevano i loro tassi di cambio fissi, erano lo stesso tipo di denaro solo che erano stampate in colori e lingue diverse ed erano caratterizzate da immagini di vari sovrani, vivi e morti.

A dire il vero, come qualsiasi altra istituzione umana, il gold standard internazionale non era un sistema perfetto. Durante gli anni 1920, ad esempio, quando i principali Paesi vollero riprendere la convertibilità dopo la pausa della prima guerra mondiale, i banchieri centrali (guidati dalla Banca d'Inghilterra e dalla FED) cospirarono per scavalcare le forze di mercato e alla fine spianarono la strada al crash di mercato quando l'Inghilterra sospese la convertibilità nel settembre 1931.

Allo stesso modo, Bretton Woods era inferiore al gold standard del 1920 e quest'ultimo era esso stesso inferiore al gold coin standard dell'era prebellica.

Questo perché Bretton Woods relegava il braccio disciplinare del libero mercato (attraverso l'oro) in una gabbia che Stati Uniti, FMI e altri funzionari nazionali potevano chiudere qualora ne avessero sentito il bisogno. Ciò è stato particolarmente vero per la valuta americana, perché il dollaro si era auto-consacrato come "valuta di riserva" (cioè, sostituto dell'oro) alla conferenza del 1944 da cui nacque il sistema di Bretton Woods.

Ciononostante nessuno si poteva svegliare la mattina e scoprire che il tasso di cambio dello Yuan aveva improvvisamente sorpassato la cosiddetta linea 7,00/USD come è successo di recente, né ci sarebbe stata una minaccia istantanea di punizione da parte di Donald.

Invece le modifiche alle parità dollaro/oro arrivavano dai negoziati internazionali, che quasi sempre richiedevano molto tempo e di solito le informazioni trapelavano molto prima dell'evento. Anche allora, il risultato era sempre descritto come un ripristino della parità, non un esercizio unilaterale di nefasta "manipolazione della valuta".

Inutile dire che allora era allora. Dopo l'abominio di Camp David dell'agosto 1971, i tassi di cambio sono stati in costante movimento, a volte movimenti febbrili su base 24/7, e hanno dato origine ad un mercato di trading da $5.000 miliardi al giorno.

Di conseguenza la "manipolazione della valuta" è endemica, cronica e totalmente soggettiva. Esiste solo negli occhi di chi la guarda, quando i politici sono alla ricerca del proverbiale capro espiatorio straniero. E poiché questo è il modus operandi di Donald, il fantasma delle manipolazioni delle valute è improvvisamente tornato al centro della narrativa finanziaria.

Gli statuti statunitensi, la legge del 1988 e la legge del 2015, autorizzano il Ministero del Tesoro ad etichettare come "manipolatori di valute" qualsiasi Paese straniero, il che si riduce ad una assurdità e ad un invito ad interferire nel commercio globale.

Infatti lo statuto usato lunedì pomeriggio (legge del 1988) lascia ben poco all'immaginazione. Autorizza il Segretario del Tesoro a marchiare gli stranieri come manipolatori di valute cattivi ogni volta che può leggere le menti dei banchieri centrali e dei funzionari finanziari stranieri e determinare che i loro tassi di cambio sono oscillati da un punto arbitrario all'altro non per validi motivi economici, ma perché la loro motivazione secondo il suo giudizio era ingiustificata.

Cioè, la manipolazione della valuta è un peccato intenzionale, non un'infrazione quantitativa misurabile. Uno come Steve Mnuchin come potrebbe conoscere la differenza tra fluttuazioni dei tassi permesse e inaccettabili? O come avrebbero potuto saperlo i presunti geni che in precedenza occupavano il suo posto (Larry Summers, Bob Rubin, Hank Paulson, ecc.)?

Infatti la legge del 1988 fu il prodotto della pura stupidità legislativa di un Congresso che non riuscì a capire che Nixon aveva spodestato il denaro basato sull'oro e il sistema di cambi fissi a livello internazionale. Dopo l'agosto del 1971 la verità è stata questa: "Ora siamo tutti manipolatori di valute".

Di fronte al grafico qui sotto, perché gli Stati Uniti non sarebbero stati i primi ad essere manipolatori di valute?

L'assurdità dietro questa idea è forse il motivo per cui centinaia di milioni sono stati sprecati dalle indagini del Tesoro USA sui "manipolatori di valute", in particolare la Cina, senza fare una scoperta significativa in più di due decenni.


Il grande comandante in capo si è praticamente arrabbiato perché pensava (giustamente) che i cinesi avevano permesso allo Yen di scendere in risposta al suo attacco commerciale della scorsa settimana. La chiave per capire questa cosa la ritroviamo proprio nella prima frase dell'annuncio, in cui il Segretario del Tesoro ha detto: "Donald me l'ha fatto fare!"

L'accusa di manipolatori di valute contro Pechino è stata solo l'ennesimo segno di escalation della guerra commerciale di Donald. Fornirà semplicemente una scusa per nuove sanzioni contro le imprese americane che potrebbero voler importare merci dalla Cina; o "punizione" della Cina sotto forma di un dazio persino superiore al 10% già promesso su scarpe, camicie, valigie, giocattoli, tricicli, laptop e iPhone, ecc.

Infatti la legge del 1988 rispolverata dall'amministrazione Trump è molto simile a quelle del 1962 e del 1974 di cui Donald ha abusato. In tal modo si è sostanzialmente affermato come Zar del Commercio Globale e dittatore delle catene di approvvigionamento globali (vale a dire, per qualche ragione vuole che gli importatori si riforniscano in Vietnam piuttosto che in Cina, sebbene il primo sia altrettanto uno stato comunista che abusa di un cosiddetto "commercio libero" come la Cina).

Ora Trump condurrà le sue guerre commerciali con una Spada di Damocle in testa: consentirà alle compagnie private di intentare causa per i dazi, o altri risarcimenti in seguito alla pretesa di essere state danneggiate dalla "manipolazione della valuta" della Cina.

Se pensate che i tipi di Wall Street siano cattivi, aspettate quindi che la Camera di Commercio e la NAM mobilitino le loro lobby di K-street per portare i vari casi della sezione 3004 ai sensi della legge del 1988. Il commercio globale sarà ulteriormente tempestato da distorsioni e interventi politici sempre più arbitrari.

Inutile dire che questo caos è semplicemente dovuto al protezionismo in stile trumpiano, perché non vi è praticamente nessun caso in cui la Cina abbia "manipolato" la sua valuta fiat nel corso degli anni... non più del Giappone, della BCE, degli Stati Uniti, o di tutti gli altri piccoli avannotti nel mezzo; e non esiste che negli ultimi giorni o settimane le pratiche della Cina siano in qualche modo peggiorate e ora meritano una etichetta di "manipolatori di valute".

È vero l'opposto: nel contesto attuale la Cina viene etichettata come manipolatore di valuta per non aver manipolato abbastanza la sua valuta!

Proprio così. Da quando Donald ha lanciato una nuova offensiva a maggio, allontanandosi dall'accordo in corso e incrementando i dazi esistenti su $200 miliardi di beni cinesi, i cinesi sono intervenuti nei mercati monetari per sostenere lo Yuan e impedirgli di affondare ulteriormente di fronte ai dazi statunitensi.

Infatti praticamente tutti i trader sui mercati FX che conoscono la guerra commerciale di Trump spingeranno i loro affari fuori dalla Cina, schiacceranno i profitti di quei fornitori cinesi che scelgono di consumare i dazi e in generale indeboliranno la stabilità e la capacità di crescita dello Schema Rosso di Ponzi.

Quindi hanno intensificato le loro vendite di Yuan offshore, spingendo i pianificatori centrali di Pechino a scegliere di sostenere il tasso FX acquistando Yuan e vendendo dollari. E questo è esattamente l'opposto di far scivolare la valuta per compensare i dazi dannosi di Donald. In realtà stavano aiutando a renderli efficaci!

Ovviamente quando Pechino è stata colpita, apparentemente senza preavviso, dai dazi di Donald su altri $300 miliardi di importazioni cinesi dopo che i suoi negoziatori sono tornati da Shanghai a mani vuote, hanno praticamente deciso che quando è troppo è troppo.

Sono stati colti da una strana forma di Friedmanite e hanno lasciato che il libero mercato agisse indisturbato per qualche ora lunedì, il che ha prontamente indotto lo Yuan offshore a superare la linea dei 7.00.

Nel mondo bizzarro di Donald Trump, non è stato tollerato che il libero mercato agisse indisturbato sugli scambi delle valute cinesi. Nel mondo reale odierno fatto di valute fiat e monetizzazione di debiti pubblici/privati ​​da parte delle banche centrali, ogni nazione manipola la propria valuta; e tale manipolazione viene definita come "buona" o "cattiva" sotto il primitivo sistema di punteggio dei conti commerciali di Donald (vale a dire, è buona se altri paesi rafforzano il loro FX ed è cattiva se lo indeboliscono) a seconda di quale punto iniziale e finale sia indicato arbitrariamente.

Il grafico seguente illustra proprio questo punto rispetto alla Cina, ma potreste fare lo stesso con qualsiasi altra coppia di valute.

Inutile dire che la vera "manipolazione" del FX cinese, se si desidera chiamarla così, è avvenuta anni fa, come dimostrato dalla storia moderna del tasso di cambio Cina/dollaro USA sin dal 1989.

Prima di tutto, se riuscite ad individuare la presunta "manipolazione" degli ultimi giorni o mesi che ha portato alla dichiarazione di lunedì, avete occhi migliori di chi trova il proverbiale ago in un pagliaio.

Non potete trovarla nelle ultime settimane o mesi perché il modesto indebolimento e rafforzamento dello Yuan in tale lasso di tempo equivale ad un granello di sabbia nel contesto degli ultimi tre decenni.

Come mostrato nel grafico, la manipolazione veramente palese, almeno in teoria, avvenne nei primi anni '90, quando la Cina iniziò la strategia di esportazione di Deng e svalutò drasticamente lo Yuan da 3,71 al dollaro ad un massimo di 8,76/USD dopo la svalutazione nel settembre 1993 (aumento verticale).

Ciò equivaleva ad una riduzione di quasi il 60% del valore di cambio dello Yuan, in gran parte nel giorno della massima svalutazione. Eppure anche questo dato non è del tutto chiaro, perché il tasso di cambio nel 1989 rappresentava essenzialmente un punto di vista statistico arbitrario di un'economia maoista autarchica che aveva solo una minima interazione con i mercati mondiali. Lo scambio bilaterale con gli Stati Uniti in quell'anno, infatti, ammontava a soli $4 miliardi.

In ogni caso, una volta che il nuovo regime mercantilista della Cina aveva stabilizzato il suo tasso FX a 8,32/USD nel giugno 1995, i "manipolatori" di Pechino mantennero il tasso FX assolutamente stabile a quel livello per un intero decennio, fino al giugno 2005.

Ovviamente si è trattato di "manipolazione", poiché nello stesso periodo il surplus commerciale della Cina è aumentato vertiginosamente e le sue riserve valutarie sono aumentate di 11 volte, passando da $65 miliardi a metà 1995 a $730 miliardi a giugno 2005.

In un mondo di valute fiat, questa è una "manipolazione" perché di fronte ad un libero mercato in stile Milton Friedman, il tasso di cambio della Cina si sarebbe notevolmente rafforzato, non rimanendo piatto come una tavola.

Quindi le crescenti riserve monetarie di Pechino erano la pistola fumante: queste riserve erano state accumulate dalla PBOC comprando dollari (ed emettendo/vendendo Yuan) per evitare che il tasso FX cinese venisse spinto più in alto dal libero mercato e dalla meccanica delle sue enormi eccedenze nelle partite correnti.

Se Washington avesse davvero voluto accusare la Cina di qualcosa, avrebbe dovuto farlo due decenni fa. Ma Washington aveva altri motivi per tacere: la valuta debole della Cina è servita ad invadere la classe media americana con importazioni a basso costo che non avrebbero potuto permettersi dai produttori nazionali, anche al costo di spedire lentamente offshore gran parte della base industriale americana.

Poi la politica di Pechino ha iniziato a muoversi nella direzione opposta: tra giugno 2005 e giugno 2014 il valore di cambio dello Yuan si è rafforzato fino a 6,06/USD. Ciò equivaleva ad un apprezzamento di quasi il 40% dello Yuan.

Ma, ahimè, quei malvagi cinesi stavano ancora manipolando la loro valuta. La prova è che le riserve di valuta estera cinesi hanno continuato a crescere e crescere fino a raggiungere il livello assolutamente strano (rispetto a tutta la storia mondiale) di $4.000 miliardi nel maggio 2014. Quell'ulteriore crescita di $3.200 miliardi di riserve FX tra il 2005 e il 2014 è stata il frutto dell'intervento sul mercato valutario progettato per sostenere il dollaro e indebolire lo Yuan. Punto.

Infine, nei cinque anni a partire dal 2014, Pechino ha essenzialmente adottato un comportamento "buono", come dimostrato dal fatto che le sue riserve in valuta estera sono diminuite a circa $3.100 miliardi. Infatti ha scaricato dollari e altre riserve FX al fine di sostenere (rafforzare) lo Yuan, non indebolirlo; e lo ha fatto per ragioni comprensibili.

In parole povere, i suoi nuovi miliardari, gli imprenditori e le società globalizzate hanno potuto vedere che l'economia cinese non naviga in buone acque e non è una novità. È un monumentale Schema di Ponzi oppresso dal debito che un giorno crollerà, quindi le persone intelligenti in Cina hanno voluto schermare la loro ricchezza prima che fosse troppo tardi.

Pechino ha quindi speso quasi $1.000 miliardi di riserve FX negli ultimi cinque anni per combattere la fuga di capitali e l'indebolimento della sua valuta guidati dal mercato!

Anche così ha avuto successo solo parzialmente. Nonostante i massicci acquisti di Yuan tra giugno 2014 e le elezioni di Donald, il tasso FX cinese si è sostanzialmente ridotto a 6,94/USD a dicembre 2016. Nel caotico mondo delle manipolazioni delle valute, ciò ha comportato un deprezzamento del 13%.

In ogni caso, quando Donald ha prestato giuramento, Pechino ha avviato un'operazione di supporto alla valuta ancora più determinato e ha riportato il tasso FX a 6,28/USD entro il 16 aprile 2018.
Ciò equivaleva ad un apprezzamento del 10% dello Yuan, ma dal punto di vista di Donald era un'azione inconcepibile!

Questo è esattamente il punto da cui ha lanciato la sua esplicita guerra commerciale contro la Cina e il resto è storia.

Oh, sì, e dopo che il tasso FX cinese lunedì sera ha raggiunto i 6,97/USD, il suo tasso di cambio era quasi esattamente dove era (6,94/USD) nei giorni immediatamente successivi all'improbabile vittoria di Donald. Ma a Washington una differenza dello 0,035% è abbastanza per lanciare strali.

Come abbiamo detto, la manipolazione delle valute è puramente negli occhi di chi guarda.


Per chi avesse ancora dubbi, di seguito è riportata la storia trentennale delle riserve monetarie e del tasso di cambio cinesi.

L'unica cosa che prova davvero è che le valute fiat sono sempre manipolate e che la FED sta guidando l'intero convoglio di banchieri centrali globali che lo fanno.


Se consideriamo la Cina un manipolatore di valute, che dire degli altri 729 tagli dei tassi negli ultimi 10 anni? Che dire della nostra banca centrale che porta i tassi allo 0% per 8 anni e stampa $4-5.000 miliardi?

La Cina è davvero un manipolatore di valute e lo sono anche tutti gli altri.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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