venerdì 6 dicembre 2019

Uno spunto per riflettere sulla teoria Austriaca: Doctor Sleep





di Francesco Simoncelli


È fuor di dubbio che di recente il mondo cinematografico statunitense abbia ben poco da dire. Nell'ultimo anno, a parte la trasposizione originale su pellicola di Joker, il deserto creativo l'ha fatta da padrone. Poi, però, salta fuori un piccolo gioiello dove meno te lo aspetti, soprattutto considerando che i sequel erano il tormentone degli anni '90 e spesso andavano ad azzoppare o distruggere ciò che di bello era stato creato col capostipite. Questo non è il caso di Doctor Sleep dove sebbene non fosse necessario un seguito, il fatto che sia stato realizzato non pregiudica affatto l'eredità che si porta dietro. Guardando la pellicola emerge lampante come Mike Flanagan non abbia voluto superare Kubrick, bensì accostarsi ad esso e apprendere da buon allievo i trucchi del mestiere. Doctor Sleep, infatti, rappresenta un inchino di fronte ad un maestro e la voglia di ripartire da "dove avevamo lasciato". Le scene trasudano riverenza, umilmente ideate per dire allo spettatore come il regista si stia avvicinando tremolante al suo idolo. Gli stringe la mano e infine cerca di compiere i suoi passi, un processo in cui Flanagan cerca di uscirne migliorato e al contempo avere per le mani i mezzi per fare meglio.



UN OSSEQUIOSO OMAGGIO

Non intendo spoilerare l'intero film, quindi non seguirà una dissezione peculiare del film, ma dovrò fare affidamento ad alcune scene per far capire al lettore quanto questo film sia utile per capire meglio alcuni concetti teorici. Di conseguenza se volte prima vedere Doctor Sleep senza venire preventivamente a conoscenza di alcune scene, vi consiglio di saltare in blocco questa sezione.

Credo che l'iconico dualismo tra "bene" e "male" sia la prima cosa che salta all'occhio a coloro che vogliono godersi un film per distrarsi senza dover troppo tergiversare su temi ben più profondi, ma c'è qualcosa di più in realtà. Il simbolismo rappresentato dalle sfere d'azione di Danny Torrance (Ewan McGregor) e di Rose The Hat (Rebecca Ferguson) va ben oltre la semplice apparenza, poiché le azioni da essi compiute incarnano il vicendevole attrito tra pianificazione centrale e libero mercato. Non è mia intenzione introdurre la morale in questo discorso, mal e azioni come al solito parlano: Rose è a capo di un gruppo dedito al consumo, alla violenza. Sebbene sia la sopravvivenza il loro scopo, agiscono in base a quel principio hobbesiano secondo cui l'umanità è in perenne lotta contro sé stessa. Lo pseudo empirismo machiavellico de "il fine giustifica i mezzi" è una foglia di fico che la pianificazione centrale vuole indossare per giustificare la sua esistenza. Ma quest'ultima è contro natura.

Una scena emblematica è la morte della figura spirituale Grampa Flick (Carel Struycken): il gruppo guidato da Rose all'inizio prova dolore per la perdita, ma una volta che il corpo del vecchio si dissolve nell'aria, rilasciando vapore (una sostanza che persone speciali possiedono in quantità e che il gruppo di Rose ha bisogno di sopravvivere), si precipita vorace per aspirarne anche l'ultimo zampillo di essenza. Vampiri spirituali sullo schermo, vampiri sociali nella realtà. Non si fermano davanti a niente pur di soddisfare la loro fame secolare, non esistono legami di famiglia, non esistono rapporti sociali solidi, non esiste empatia; solo la volontà smodata di consumare senza alcun rispetto per il prossimo. La loro stessa esistenza è un'aberrazione, nonostante le suadenti parole che utilizzano per attirare le ignare vittime nella loro trappola mortale.

Non creano alcunché, ma consumano solamente, parassitando senza vergogna tutti coloro che possono fornire un giorno in più di sopravvivenza alla loro recalcitrante esistenza. Non utilizzano la violenza per difendersi, ma per offendere, bramosi di trovare quel pasto che gli conferirà forza e benessere. E questo è analogo alla figura dello stato: un gigantesco apparato di coercizione top-down che consuma solamente, consuma ricchezza e voracemente acquisisce risorse attraverso la violenza offensiva. Questo tipo di perversione della naturale indole umana genera contrasti, risentimento e lotte infinite. Perché? Perché la Rivoluzione Industriale è esplosa solo nel XIX secolo, quando i benefici della cooperazione sono stati meglio inquadrati dalla società. Un percorso iniziato nel 1600 in Olanda con la propaganda calvinista e il cui culmine è stato il 1800. Un rigetto dell'intromissione della pianificazione centrale e l'efficiente appoggio di liberi scambi tra gli individui, hanno permesso al processo cooperativo naturale di diffondere i benefici della violenza difensiva, del commercio e di una organizzazione sociale bottom-up.

Rose invece è la quintessenza degli svantaggi e della distruzione arrecati da una organizzazione sociale top-down. Tutti dipendono da lei, annichilendo volontariamente la loro volontà per agire in accordo con i desideri di un singolo. Per quanto paradossale possa sembrare si tratta pur sempre di un'azione volontaria e l'ossimoro evidente di questo fenomeno dà vita alla violenza offensiva.

In contrasto alla scena sopra descritta, c'è quella di Danny che, lavorando per un hospice, si siede accanto ad un moribondo e lo consola nel momento del trapasso. Danny intesse legami, condivide esperienze e crea valore grazie alla sua affinità con le persone che intorno a lui desiderano soddisfare i loro desideri. Danny prospera in questo ambiente, poiché fornendo un servizio prezioso, lenisce l'insoddisfazione di coloro che popolano il luogo di lavoro in cui opera. Commoventi e struggenti le scene in cui gli anziani vengono accompagnati verso il loro ultimo viaggio, brillantemente riprese e ideate da Flanagan. Viviamo intensamente quei momenti, proprio perché mentre empaticamente insiti nello scambio: non riceviamo senza dare.

L'empatia, la lealtà nei confronti degli altri e la giustezza morale della violenza difensiva è magistralmente espressa dal compagno fedele che segue Danny nel suo cammino, Dick Hallorann (Carl Lumbry), mostrando costantemente laddove egli possa peccare di presunzione. Non è lui il protagonista di questa storia, bensì gli attori che incontrerà lungo il suo cammino e che arricchiranno la sua esistenza. Scambiare con loro vita e tempo lo migliora, lo eleva, rispetto all'autarchia cui sembrava averlo costretto Jack (Jack Nicholson), il padre, nel primo capitolo di questa serie, The Shining. Evidenza questa che emerge quando Danny stringe amicizia con Billy Freeman (Cliff Curtis): non hanno affatto bisogno di sapere niente l'uno dell'altro, ma beneficiano dell'empatia dell'altro quando l'insoddisfazione incalza le loro menti.

Il mondo di Danny è un paesaggio corale, dove le varie figure che incontra lo arricchiscono, semina prosperità e vede nella pace l'unica forza motrice di questo etereo meccanismo. L'asimmetria informativa di tale processo, come nella realtà, incarna le basi del libero mercato, in contrasto col mondo metodico, fisso e granitico di Rose. Quest'ultima, dirigendo dall'alto i meccanismi della sua comunità, ritiene di poter avere a disposizione tutte le informazioni pertinenti l'ambiente che la circonda. Crede di poter consumare all'infinito, crede che il mondo sia solo un luogo in cui si possa ricevere senza mai dare. Può aggirarne temporaneamente i costi, ma non può violarli: non esistono pasti gratis. La sua presunzione di conoscenza la porta a cadere nella trappola ordita da Danny per fermarla: farla divorare dall'Overlook Hotel. Ignara di questo stratagemma, baldanzosa della sua presunta onniscienza, vuole sorvolare i costi della sua ignoranza. Prima della sua fine è importante sottolineare come Danny, fermo nelle sue convinzioni, persegua la strada della violenza difensiva: brandendo la stessa ascia che usò il padre nel precedente film, indietreggia davanti alla violenza aggressiva di Rose, aspettando che sia lei a fare la prima mossa.

Ma non crediate che l'apparente sconfitta di Danny sia qualcosa di cui temere, perché le forze ostili possono anche essere soverchianti quando ci dimeniamo in un mondo avverso, ma l'azione umana rimane quell'apriori inossidabile che impedisce ai socialismi di avere un controllo totale. Infatti l'essere posseduto dagli spiriti dell'hotel non distoglie la sua attenzione dalle priorità reali che ha in mente: salvare Abra (Kyliegh Curran), una giovane ragazza che Rose voleva a tutti i costi consumare. La volontà ferma, la volontà ferrea, che ci contraddistingue e che ci rende unità individuali impossibili da controllare, annienta la falsità di chi ritiene esista un apparato superiore che possa dirigere le azioni dei singoli individui. Danny ricaccia nell'oscurità quegli spiriti che volevano far del male, attraverso di lui, alla giovane Abra e con un ultimo gesto di meraviglioso sacrificio mostra la strada della libertà alla sua amica.

Ciò che rimane di Danny adesso è nella mente e nel cuore di Abra, che entusiasta di aver trovato la chiave di lettura del mondo che la circonda, trova conforto nelle lezioni che il suo mentore le ha lasciato. L'eredità che val la pena di lasciare ad ogni discendente: l'amore per la libertà e la ricerca dell'individualismo metodologico.



DIETRO LE QUINTE

Il film ovviamente ci parla da un punto di vista emozionale, aggiungendo anche diversi spunti filosofici sopra descritti, quindi è necessaria una disamina più accurata del suo messaggio. Teoria soggettiva, utilità marginale e conoscenza decentrata sono quegli aspetti che vengono presentati allo spettatore sotto forma di intrattenimento cinematografico ma le cui basi possono sfuggire se non propriamente approfonditi. Non è un caso, infatti, che spesso la prasseologia venga confusa con la psicologia, come se l'azione umana venisse esclusivamente dettata da stati d'animo o pulsioni esterne. L'azione umana rappresenta uno strumento d'indagine inconfutabile, perché radicato nell'essenza stessa dell'uomo: la sua noumenologia è sempre vera e la sua fenomenologia anche (sebbene quest'ultima possa essere sottoposta ad interpretazione). La categorizzazione del pensiero dell'essere umano nasce dal noumeno e da questo ne deriva il ranking delle sue priorità; l'esperienza poi ne amplia la portata e la diversifica. La manifestazione nel mondo fisico e reale di questo processo avviene attraverso il fenomeno: la scelta.

La purezza del pensiero logico e coerente è rappresentato dalla ragion pura, la quale è scevra da ogni giudizio empirico visto che la sua essenza è a malapena sondabile dall'essere umano. Tale purezza viene intorbidita dalla ragion pratica, che attraverso la scelta la perturba coi giudizi fenomenici. È possibile trovare una sintesi nel mondo fenomenico che si avvicini quanto più possibile a quello noumenico? Sì: l'applicazione di strumenti metodologici chiari e coerenti, che permettano un processo di scrematura certo e apodittico. Quali sono? Quelli forniti dall'individualismo metodologico alla cui base c'è la prasseologia, ovvero la scienza dell'azione umana. Quest'ultima è la connessione ottimale tra ragion pura e ragion pratica, e infatti attraverso di essa l'essere umano può raggiungere la ragion pratica-pura. In sostanza, quella visione chiara, logica e coerente che viene astratta dal mondo noumenico e può trovare manifestazione comprensibile nel mondo fenomenologico.

Questo background serve a capire perché la teoria Austriaca non affonda le sue radici nella psicologia, cerca invece di sondare il mondo mutevole intorno agli attori di mercato attraverso strumenti scientifici concreti e non sottoposti ad interpretazione. L'apoditticità della metodologia utilizzata ci garantisce senza ombra di dubbio la solidità delle tesi che porta avanti, sicuri di poter sempre fare affidamento su un deduttivismo logico che ci condurrà alla verità. Infatti con questo impianto teorico in mente, abbiamo a disposizione le fondamenta per iniziare il nostro percorso di scoperta dei vari principi basilari della Scuola Austriaca.

Carl Menger, il fondatore della stessa, partì dalle valutazioni di un individuo nella propria vita (le cui origini le abbiamo viste finora in questo saggio): un individuo assegna valori ai beni in base all'importanza di tali beni per il suo mantenimento della vita. I vari fini che un individuo trova importanti per il suo mantenimento della vita vengono quindi valutati di conseguenza in una classifica discendente. Nel Capitolo 3 di Principi di Economia Menger scrive:
Per quanto riguarda le differenze che hanno per noi le diverse soddisfazioni, è soprattutto un fatto dell'esperienza più comune che le soddisfazioni di maggiore importanza siano di solito quelle da cui dipende il mantenimento della vita e che altre soddisfazioni siano classificate con un grado di importanza inferiore in base alla durata e all'intensità del piacere che danno. Pertanto se gli uomini economizzatori devono scegliere tra la soddisfazione di un bisogno da cui dipende il mantenimento della propria vita e un altro da cui dipende semplicemente un grado maggiore o minore di benessere, preferiranno di solito la prima.

Facciamo un esempio con Tommaso il calzolaio che produce 4 paia di scarpe. Queste ultime rappresentano le sue risorse, o mezzi, che impiega per raggiungere vari scopi. Diciamo che la sua massima priorità, o il suo fine più alto, è di conservarne 1 per sé stesso. Tale consumo è della massima importanza per quanto riguarda la sua semplice sopravvivenza. Il secondo paio di scarpe lo scambia con 5 pagnotte di pane, garantendogli il suo secondo obiettivo più importante: migliorare la sua vita e il suo benessere. Poi Tommaso usa il terzo paio di scarpe per acquisire una maglietta, il suo terza fine più importante e infine donerà in beneficenza il quarto paio di scarpe.

Inoltre l'idoneità dei mezzi è ciò che conferisce loro valore rispetto ad un particolare "fine". Ad esempio, per entrare in possesso della maglietta Tommaso deve decidere se sarà una dedicata al tempo libero o una da lavoro. Dovrà scegliere tra le più adatte al suo fine specifico (diciamo una da lavoro). Essendo un calzolaio Tommaso può concludere che la maglietta deve essere di colore bianco e fatta di materiale sottile piuttosto che spesso, in modo da non intralciarlo quando indossa il grembiule.

La sua selezione non è arbitraria, ma basata sui fatti della realtà, ovvero, gli scopi lavorativi. In questo senso ogni oggetto con cui egli decide di scambiare le scarpe, migliora la sua vita e il suo benessere. Da ciò possiamo dedurre che anche il fine assegna una certa importanza alla risorsa impiegata: il primo paio di scarpe ha un'importanza molto più elevata del secondo paio a causa del fine più importante che tale risorsa garantisce.

Perché il fine meno importante funge da standard per la valutazione delle diverse paia di scarpe?

Immaginiamo che Tommaso usi il suo scopo più alto come standard per assegnare valore a ciascun paio di scarpe, ciò significa che valuterebbe di più il secondo, il terzo e il quarto paio di scarpe. Ma stando così le cose, che senso avrebbe cercare di scambiare qualcosa che è valutato di più con qualcosa che è valutato di meno?

Poiché il quarto paio di scarpe è l'ultima unità nella riserva totale di Tommaso, viene anche definita l'unità marginale. Quest'ultima standardizza il fine meno importante. In alternativa, possiamo anche dire che l'unità marginale offre il minor beneficio in termini di miglioramento della vita. Se Tommaso avesse solo tre paia di scarpe, ciò significherebbe che ognuna di essa sarebbe valutata in base al terzo fine: possedere una maglietta. Da ciò possiamo dedurre che quando l'offerta di scarpe diminuisce, aumenta la loro utilità marginale e ogni paio di scarpe sarà valutato molto di più. Al contrario, quando aumenta l'offerta di scarpe, la loro utilità marginale diminuisce poiché ogni unità aggiuntiva viene valutata di meno.

Inoltre i fini non sono stabiliti in modo arbitrario, ma classificati in base alla loro importanza nel migliorare la propria vita. Mentre è vero che le valutazioni sono soggettive, non vengono formate indipendentemente dai fatti della realtà. Non vengono formate meccanicamente mediante una scala di valutazione, ma consapevolmente e intenzionalmente. Se Tommaso, ad esempio, avesse classificato i suoi fini in modo arbitrario, avrebbe messo in pericolo la sua vita. Infatti se avesse assegnato la maggior parte delle sue risorse all'abbigliamento e alla carità, avrebbe corso il rischio di indebolire il suo corpo e ammalarsi gravemente visto che avrebbe mangiato poco e camminato scalzo.

Scegliendo un fine particolare, un individuo stabilisce anche uno standard di valutazione di vari mezzi: se il mio scopo è quello di fornire una buona istruzione a mio figlio, esplorerò varie istituzioni educative e le classificherò in base alle mie informazioni sulla qualità dell'istruzione che offrono. Il mio livello di classificazione di queste istituzioni è il mio fine.

L'utilità marginale non è un'aggiunta all'utilità totale, ma piuttosto l'utilità del fine al margine. L'utilità non riguarda le quantità, ma le priorità o il ranking che ciascun individuo stabilisce rispetto alla sua vita. Ovviamente non è possibile aggiungere priorità aritmetiche: dal momento che l'utilità totale non esiste in quanto tale, i vari modelli economici che si basano sull'esistenza di un simile totale sono fallaci. Scrive Rothbard in Man, Economy, and State:
Molti errori nelle discussioni sull'utilità derivano dal presupposto che si tratti di una sorta di quantità, misurabile almeno in linea di principio. Quando ci riferiamo alla "massimizzazione" dell'utilità di un consumatore, ad esempio, non ci riferiamo ad un determinato stock o quantità di qualcosa da massimizzare. Ci riferiamo alla posizione più alta nella scala del valore dell'individuo. Allo stesso modo, è il presupposto dell'infinitamente piccolo, aggiunto alla credenza nell'utilità come una quantità, che porta all'errore: trattare l'utilità marginale come la derivata matematica dell' "utilità totale" di diverse unità di un bene. In realtà non esiste una relazione del genere e non esiste una cosa come una "utilità totale"; solo l'utilità marginale di un'unità di dimensioni maggiori. La dimensione dell'unità dipende dalla sua rilevanza per l'azione particolare.

In conclusione, il valore non è determinato dallo stock totale di un bene o dal suo valore percepito nella società. Il valore è determinato dall'unità consumata in modo incrementale, una scelta alla volta. Classifichiamo le nostre preferenze da A ad infinito, ma in qualsiasi momento possiamo sceglierne solo una. Andiamo per A, ma se ciò non è possibile, spostiamo B su A, e se ciò non è ancora possibile, spostiamo C su A. Scegliamo al margine. Piccoli e grandi mali nel mondo sono venuti dall'assolutismo, la convinzione che esiste solo una via d'uscita e che se quella via non è ciò che si sceglie, allora siete dei nemici da abbattere. Gli stati "agiscono" in questo modo: non "pensano" al margine, un mondo di miliardi di persone che agiscono e pensano basandosi su un'utilità marginale è un'idea troppo complicata per loro. Quindi decidono di ignorare tutto e dividere il mondo tra noi e loro.

Il mondo in realtà viene costruito a piccoli passi, come un'estensione di un processo decisionale complesso che è in definitiva soggettivo. Attraverso l'obiettivo dell'utilità marginale vediamo la bellezza dell'ordine decentrato e spontaneo.



L'USO E L'ABUSO DELLA MATEMATICA

Il rigore di questa metodologia è data dal fatto che lo strumento applicato è vero a priori, di conseguenza la validità che scaturisce una volta che processiamo il mondo fenomenico attraverso la sua scrematura è sicuro che ci darà come risultato qualcosa di altrettanto vero e chiaro. In questo contesto la matematica, quindi, non è lo strumento primario con cui sondare una realtà mutabile, ma è uno strumento accessorio. La sua validità viene espressa ex post, a differenza dell'azione umana che invece è esprimibile ex ante. Non è un caso infatti che i primi economisti fossero filosofi che usavano la deduzione e logica per spiegare il mercato. John Locke contribuì alla libertà economica più di quanto avesse mai fatto un matematico. Allo stesso modo il filosofo David Hume spiegò l'impatto del libero scambio con la sua teoria del meccanismo price-specie flow, impiegando solo la logica. Anche il libro di John Stuart Mill, Saggio sulla libertà, sosteneva la causa del libero mercato senza usare la matematica.

Il primo abuso della matematica fu di Thomas Malthus. Nel 1798 predisse una carestia di massa a causa della crescita della popolazione, la cui crescita era esponenziale e superava la produzione agricola, che invece era aritmetica. Malthus aveva torto, dato che la densità della popolazione del Giappone supera quella dell'Africa sub-sahariana collettivista. Malthus non poteva quantificare lo stato di diritto e la potenza del libero mercato.

Principi di economia di Alfred Marshall (1890) fu il primo libro di testo ad utilizzare equazioni e grafici. Uno degli studenti di Marshall, John Maynard Keynes, promosse ulteriormente la causa della quantificazione dell'economia collegando matematicamente entrate e spese e in che modo la politica statale potesse incidere su questi aspetti. La Teoria Generale di Keynes (1936) servì da modello per la politica economica del XX secolo poiché più metodi scientifici di economia ottennero il favore nei decenni a venire. Ma per dare un senso ai dati dobbiamo avere una teoria che si regga da sola e che non abbia avuto origine dai dati stessi. Il cuore di tale teoria è che deve provenire da qualcosa di reale e che non può essere confutato: il fondamento che gli esseri umani agiscono consapevolmente e intenzionalmente.

Scrive Mises nel libro L'Azione umana:
Il fisico non sa cos'è l'elettricità. Conosce solo fenomeni attribuiti a qualcosa chiamata come elettricità. Ma l'economista sa cosa attua il processo di mercato. È solo grazie a questa conoscenza che è in grado di distinguere i fenomeni di mercato da altri fenomeni e di descriverne i processi.

Nella prefazione del libro Teoria e storia di Mises, Rothbard scrive:
Un esempio che a Mises piaceva usare nella sua classe per dimostrare la differenza tra due modi fondamentali di affrontare il comportamento umano era quello di osservare il comportamento della Grand Central Station nelle ore di punta. Il comportamentista "oggettivo" o "veramente scientifico" osserverebbe gli eventi empirici: ad esempio, le persone si precipitano avanti e indietro, senza meta in determinati momenti della giornata. E questo è tutto ciò che avrebbe saputo. Ma il vero studioso dell'azione umana sarebbe partito dal fatto che tutti i comportamenti umani sono propositivi, e vedrebbe che lo scopo è di andare da casa al treno per lavorare la mattina, l'opposto di notte, ecc. Si scoprirebbe e conoscerebbe meglio il comportamento umano, e quindi quale sarebbe il vero "scienziato".

Gli economisti sono sempre stati invidiosi delle scienze naturali a causa dei metodi statistici e matematici impiegati e quindi hanno pensato che l'introduzione di questi metodi in economia avrebbero portato ad una grande svolta nella comprensione dell'ambiente economico. Mentre lo scienziato naturale può isolare vari fattori, non conosce le leggi che li regolano. Tutto ciò che può fare è ipotizzare la "vera legge" che regola il comportamento delle particelle identificate. Per capire meglio, citiamo Rothbard da On Freedom and Free Enterprise: The Economics of Free Enterprise:
Le leggi possono essere solo ipotizzate. La loro validità può essere determinata solo deducendone logicamente le conseguenze, che possono essere verificate facendo appello ai fatti di laboratorio. Anche se le leggi spiegano i fatti e le loro inferenze sono coerenti con esse, le leggi della fisica non possono mai essere stabilite in assoluto. Questo perché una qualche altra legge può rivelarsi più elegante o in grado di spiegare una gamma più ampia di fatti. In fisica, quindi, le spiegazioni postulate devono essere ipotizzate in modo tale che possano essere testati empiricamente. Anche così, le leggi sono valide solo provvisoriamente piuttosto che in assoluto.

È impossibile quantificare l'azione umana. Sebbene esistano equazioni per valutare il comportamento umano, ad uno sguardo più attento risultano difettose. Come può un'equazione dire quando una persona non è più soddisfatta di un certo bene? Non ci possono essere formule simili a causa della complessità dei fenomeni economici. Misurare l'elasticità della domanda per un certo bene è nella migliore delle ipotesi un contributo alla storia economica. Tuttavia gli economisti che seguono questo approccio non lo fanno per aggiornare la storia economica, ma per permettere alla pianificazione centrale di microgestire l'economia. L'economia, tra le altre cose, è lo studio dell'allocazione delle risorse scarse. Se esiste un limite per un determinato bene, non è compito della pianificazione centrale utilizzare un'equazione per distribuirlo. Spetta agli attori di mercato di farlo in base alla domanda/offerta di mercato.

La politica monetaria, poi, è l'esempio più lampante di come l'approccio puramente matematico all'economia sia sbagliato. Oggi le banche centrali manipolano i tassi d'interesse per stimolare l'economia. Abbassando artificialmente i tassi d'interesse, le banche centrali stimolano invece l'emersione di investimenti improduttivi.

La matematica va bene per i bilanci e il servizio del debito, perché in luce di quanto spiegato finora capiamo che l'economia guidata dalla matematica è una deriva verso il caos pianificato.



LA CONOSCENZA È TANTO PREZIOSA QUANTO IL CAPITALE FISICO

Uno dei più grandi errori commessi dagli oppositori del libero mercato è quello di denigrare e attaccare l'idea del capitale. Senza di esso la produzione verrebbe incentrata solo sul consumo immediato e non ci sarebbe alcun riguardo nei confronti del futuro. Non è possibile avere un'economia complessa con tecnologia avanzata, aumento dei salari e molte fasi della produzione senza di capitale. Ecco perché anche oggi ci sono Paesi molto poveri in tutto il mondo. Le persone che ci vivono non sono pigre, poco intraprendenti, poco creative, o non ambiziose, ma lavorano più duramente e più a lungo rispetto alle persone nelle economie sviluppate. Ciò che manca è la sicurezza di poter accumulare capitale, destinato al consumo futuro. Se osservate attentamente, ciò che si scopre è che lo stato lo ruba prima che possa essere impiegato per usi sociali.

Per aumentare la prosperità è necessario di più. Bisogna anche avere l'avanzamento della conoscenza e l'opportunità di agire in base ad informazioni sempre migliori sul mondo. F. A. Hayek sostiene che questo aspetto poteva essere più importante del capitale fisico, a causa della natura speciale della conoscenza stessa.

Nel libro La società libera scrive:
La crescita della conoscenza è di particolare importanza perché, mentre le risorse materiali rimarranno sempre scarse e dovranno essere riservate a scopi limitati, gli usi delle nuove conoscenze (laddove non li rendiamo artificialmente scarsi coi brevetti di monopolio) sono illimitati .

La conoscenza, una volta raggiunta, diventa disponibile gratuitamente a beneficio di tutti. È attraverso questo dono gratuito della conoscenza acquisita dagli esperimenti di alcuni membri della società che sono possibili progressi generali, che i risultati di coloro che sono venuti prima facilitano l'avanzamento di coloro che vengono dopo [...].

Tutte le comodità di una casa confortevole, dei nostri mezzi di trasporto e comunicazione, di intrattenimento e divertimento, le abbiamo inizialmente prodotte solo in quantità limitata; ma è stato in questo modo che abbiamo gradualmente imparato a realizzare cose simili con un esborso di risorse molto più piccolo e quindi siamo stati in grado di fornirli alla grande maggioranza delle persone.

Gran parte della spesa dei ricchi, sebbene non destinata a tale scopo, serve quindi a sostenere il costo della sperimentazione con le nuove cose che, di conseguenza, possono essere successivamente rese disponibili ai poveri. Il punto importante non è che impariamo gradualmente a realizzare a buon mercato e su larga scala ciò che sappiamo già fare in modo costoso in piccole quantità, ma che solo da una posizione avanzata diventa visibile la prossima gamma di desideri e possibilità, in modo che la selezione di nuovi obiettivi e lo sforzo verso il loro raggiungimento inizierà molto prima che la maggioranza possa averli.

L'occhio attento di Hayek nei confronti della "proprietà intellettuale" centra il punto: copyright, brevetti e persino i marchi sono il prodotto della legislazione statale e sono progettati per arrestare i flussi di informazioni, penalizzando l'uso di conoscenze preziose. Per questo motivo ostacolano i progressi, com'è ovvio se osserviamo, ad esempio, gli usi dei brevetti software. Creano monopoli informativi applicati dallo stato. Al contrario, un libero mercato crea quello che Hayek definisce un "fondo di esperienza", un'analogia con la teoria del capitale nel mondo fisico. Con questo fondo il mondo e la storia possono trarre vantaggio dal successo di una singola azienda o di un innovatore.

Questo "dono gratuito" della conoscenza è quello che potrebbe essere definito il lato "socialista" del capitalismo. Ogni produttore privato, al fine di commercializzare i suoi prodotti, deve necessariamente "regalare" la sua cosa più preziosa: la prova del proprio successo. La conoscenza, la ricetta e la tecnica necessari a raggiungerlo, diventano parte dei "beni comuni" e in questo modo i concorrenti vengono spinti ad emularne il successo. Il produttore redditizio deve, a sua volta, continuare a percorrere la strada del cambiamento e del progresso, generando conoscenze sempre nuove e migliori.

Hayek ha praticamente anticipato la grande tendenza del nostro tempo, il costante ed inesorabile spostamento delle nostre vite dal regno dei beni scarsi al regno di quelli non scarsi: parole, immagini, film, oggetti con stampa 3D e ora anche il denaro con Bitcoin.

Attaccare il capitale fisico danneggia la prosperità ed i progressi futuri; allo stesso modo, limitare i flussi di informazioni e i loro usi con censura o monopoli intellettuali danneggia la prosperità ed i progressi futuri. Si tratta di scalabilità, malleabilità, indistruttibilità e immortalità delle idee come un bene non scarso. Le informazioni sono accessibili a beneficio di tutti, e questo è ovviamente ciò che il mercato "desidera": l'inclusione delle varie persone e delle risorse del mondo nel grande processo di miglioramento della nostra vita. La scarsità sarà sempre presente e dovremo affrontarla realisticamente (ed umanamente), superandola nella misura in cui ogni volta siamo in grado.



UNO DEI FENOMENI PIÙ IMPORTANTI DELL'AZIONE UMANA: I PREZZI

Prima di concludere questo saggio sulle basi della teoria Austriaca, è necessario parlare anche della formazione dei prezzi. Finora abbiamo visto come le idee e la conoscenza si originano nella mente degli attori di mercato, adesso osserviamo come questi vanno a modificare l'ambiente economico attraverso la determinazione dei prezzi. Inutile dire che questi ultimi sono semplicemente il fenomeno dell'azione umana. Possono essere truccati, ma non controllati; così come tutte le leggi dell'economia in fin dei conti, poiché questo saggio dimostra inconfutabilmente come esse possano essere aggirate temporaneamente ma non violate.

Il sistema dei prezzi è un caleidoscopio in continua evoluzione che fonde magnificamente la nostra immaginazione soggettiva con la realtà del mondo fisico. È la combinazione di mente e materia che produce un risultato, un semplice numero, che vi dice se state facendo cose sostenibili o insostenibili. Nessuna istituzione può competere con la sua efficienza, e tanto meno sostituire la sua utilità indispensabile in questo mondo.

Chi avrebbe potuto sapere cinque anni fa che i libri fisici sarebbero stati venduti a meno dei libri digitali con lo stesso titolo? Il bene fisico è una cosa reale che potete tenere e ha i suoi costi; i beni digitali devono essere fabbricati una sola volta e possono essere venduti miliardi di volte. Quindi qual è il trucco? Dipende dalla domanda dei consumatori. Ci piacciono molto gli e-book, la loro convenienza e velocità di consegna, e siamo disposti a pagare per tali servizi.

Il sistema dei prezzi decide anche quali società sono redditizie e quali no. Non si preoccupa delle dimensioni dell'azienda. Se le entrate sono inferiori alle spese, la bancarotta è assicurata; se invece avviene il contrario, la crescita sarà un risultato garantito. La vasta rete della determinazione dei prezzi alla fine si riduce a questo semplice calcolo che determina come vengono utilizzate tutte le risorse del mondo. Ogni azienda deve affrontare lo stesso vincolo e se queste decisioni sui prezzi siano o meno razionali ha molto a che fare con il destino del mondo.

Il punto è che è impossibile prevedere queste cose. Non importa quanto sia intelligente il team di esperti, quanto siano potenti e prestigiosi i regolatori dei prezzi, ci saranno sempre sorprese. Questo perché nessuno può prevedere appieno i valori prodotti dalla mente umana, né conoscere abbastanza il mondo da prevedere ogni possibile uso alternativo di una risorsa che entri nel processo di produzione. Quando gli economisti affermano che un qualcosa dovrebbe essere "lasciato al giudizio del mercato", stanno dicendo che solo gli attori di mercato dovrebbero avere il comando. Questo è l'unico modo per affrontare tutte le incertezze di questo mondo.

Non esiste un sostituto per il sistema dei prezzi ed è per questo che è enormemente pericoloso per qualsiasi società dare potere ad una banca centrale affinché il sistema dei prezzi. Le sue decisioni sull'offerta di moneta non possono fare a meno di essere irrazionali e in definitiva distruttive. Lo stesso si potrebbe dire per una serie di istituzioni statali che distorcono i prezzi (tetti ai salati o salario minimo, sussidi e sanzioni per determinate società, imposte e regolamenti che estraggono risorse e influenzano profondamente il calcolo del profitto e della perdita, ecc.). Tutti questi meccanismi artificiali interferiscono con il funzionamento del sistema dei prezzi, inficiandone l'efficienza e infine andando a sprecare risorse scarse.




CONCLUSIONE

In questo saggio ho voluto ricordare ai lettori in cosa consista la prasseologia, permettendo loro di osservare quali differenze ci siano tra il mondo emozionale/psicologico e quello razionale/filosofico/economico. Sondando l'intelletto umano abbiamo compreso come la pianificazione centrale (parassitismo) sia in contrasto col libero mercato (azione umana, conoscenza decentrata, asimmetria informativa), poiché ha un costo violare le leggi apodittiche che regolano l'esistenza umana. Ripercorrendo la struttura della teoria soggettiva del valore, dell'utilità marginale e del sistema dei prezzi, è stato possibile comprendere come utilizzare una metodologia chiara e coerente, la prasseologia, per avere una visione chiara e coerente del mondo che ci circonda (ragion pura-pratica). Nessun bisogno più di agenti al di sopra di noi per entrare nel merito delle cose e disquisirne.

Inutile dire come io mi riveda molto in Flanagan, capisco il peso di dover portare sulle spalle un'eredità ricca di aspettative. Le avversità sono tante e la loro forza aumenta quando cediamo ad esse. A tal proposito è emblematica una delle sene iniziali del film, quando Danny decide di affrontare uno spettro che continuava a dargli il tormento. Sebbene inizialmente ne fosse intimorito, una volta in possesso degli strumenti adeguati per affrontarlo (grazie alla saggezza di Dick), procede verso di esso con coraggio e solidità d'animo. Lo stesso alla fine del film fa Abra grazie alla saggezza assimilata da Danny.

Tu ne cede malis, sed contra audentior ito.


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