martedì 13 febbraio 2024

Ripensare la teoria keynesiana: confutare i miti dei tassi d’interesse e dell’inflazione

 

 

di Frank Hollenbeck

Nel campo della macroeconomia una legione di dottorati in economia nelle banche centrali sostiene che i tassi d'interesse siano uno strumento fondamentale per la gestione dell’economia. Allo stesso tempo sostengono fermamente che l’indice dei prezzi al consumo (IPC) sia un indicatore accurato per misurare l’inflazione dei prezzi.

L’attuale stato teorico della macroeconomia è decisamente carente, quindi è necessaria una migliore comprensione della materia prima di approfondire il tema di oggi.

John Maynard Keynes è responsabile di suddetta carenza, da solo riportò la teoria macroeconomica all’età della pietra. Secondo lui i tassi d'interesse sono determinati dalla domanda e dall’offerta di liquidità (il suo teorema della preferenza per la liquidità).

In altre parole, i tassi d'interesse sono determinati dall’offerta di denaro e dal desiderio di accumularlo, o detenere contanti (riempire di soldi il materasso). Keynes suggerì che tassi d'interesse più bassi incoraggiano a detenere più liquidità, mentre tassi più alti riducono tale inclinazione a causa del costo di opportunità associato, scrivendo che si tratta di una “ricompensa” per “separarsene”.

Keynes credeva che l’ammontare detenuto tra il risparmio e i contanti per proteggersi da eventi imprevisti determinasse direttamente i tassi d'interesse. Il tasso di equilibrio era determinato dalla quantità di denaro disponibile, dall’offerta di denaro e dalla quantità di contanti detenuta dalle persone.

In altre parole, il risparmio e il desiderio di prendere in prestito non avevano alcuna influenza sui tassi d'interesse, sebbene il risparmio fosse l’altra faccia della medaglia del detenere contanti o dell’accumulo. È sorprendente che un qualsiasi intellettuale possa aver preso sul serio queste cose, ciononostante la prospettiva di Keynes ha rappresentato una forza dominante nel plasmare il pensiero macroeconomico per quasi un secolo.

Una difficoltà nel leggere La Teoria Generale dell'Occupazione, dell'Interesse e della Moneta è che viene usata la parola “risparmio” per definire due attività separate: trasferire crediti e detenere crediti. Keynes usa costantemente la stessa parola e alterna tra i due significati. È solo definendo chiaramente i termini che comprendiamo che il contributo di Keynes è stato in realtà quello di porre l'enfasi sull'accumulo – il possesso di contanti – quando invece già gli economisti classici si resero conto che, in realtà, non era importante!

I tassi d'interesse di equilibrio si ottengono dove l’offerta di denaro è uguale alla domanda e da ciò scaturisce la versione keynesiana della teoria quantitativa della moneta: l’equazione di Cambridge. In questo caso l’offerta è pari alla frazione del reddito nominale che si accumula o si detiene in contanti – in forma di equazione:  M = kPY, dove k è la frazione o proporzione e PY è il reddito nominale composto da P prezzi e Y reddito reale (la variabile k è spesso scritta come 1/ V, dove V è la velocità, da qui l’illusione che l’equazione di Cambridge sia solo l’ennesima versione della teoria quantitativa della moneta).

Gli economisti usano l’IPC come misura di P, i prezzi di ciò che costituisce il reddito reale, o beni e servizi reali. È qui che sgorga l’idea che l’inflazione possa essere rappresentata dall’indice dei prezzi al consumo.

Tuttavia la versione originaria della teoria quantitativa della moneta aveva una visione totalmente diversa dell’inflazione. Questa equazione si otteneva dal rovescio della medaglia di qualsiasi transazione: se spendo un dollaro, devo aver comprato qualcosa per un valore di un dollaro, in generale lo scambio di denaro con qualsiasi cosa esso possa comprare. Se uso un dollaro per comprare qualcosa, ho M ($1) x 1(V) = $1(P) x 1(Q), che alla fine risulta in MV = PQ, dove V è la velocità, Q è tutto ciò per cui può essere speso denaro e P è il prezzo di tutto ciò per cui si può spendere denaro.

NON è la stessa P nell’equazione keynesiana di Cambridge e riflette l’inflazione effettiva, l’aumento generale dei prezzi di quelle cose che il denaro può acquistare: il prezzo di case, azioni e oro. Attualmente riteniamo che se il prezzo delle case, delle azioni, o dell’oro aumenta, è una buona cosa, ma se il prezzo di una banana aumenta, è una cosa negativa.

La realtà è che il vostro dollaro può comprare meno di una casa, di un'azione, o di un'oncia d'oro, proprio come può comprare meno di una banana; questa è la misura corretta dell’inflazione e l’IPC è un parametro distorto e grossolanamente sottorappresentativo dell’inflazione reale sopportata dalla persona media. Molti oggi sono stati costretti a non potersi permettere una casa, ma secondo i politici questa non è inflazione. Ovviamente la banca centrale non vede la foresta tutt'intorno quando imposta un obiettivo IPC al 2%.

La stessa assurdità vale per i tassi d'interesse e per quanto poco gli economisti comprendano queste variabili. I tassi d'interesse non sono determinati dalla domanda e dall’offerta di liquidità o dal desiderio d'infilare soldi nei materassi: sono determinati dalla domanda e dall’offerta di fondi mutuabili.

Questi sono i numeri più importanti in un’economia e dato che fluttuano essi svolgono un ruolo fondamentale nell’allineare, nel tempo, la domanda e l’offerta di produzione. Armeggiando con questi numeri si ottiene lo stesso risultato di quando gli stati manipolano i prezzi dei beni. Una recessione o depressione è il modo in cui il capitalismo riesce a riallineare la domanda con l’offerta dopo l’interferenza e le manipolazioni dei prezzi da parte dello stato. Eppure oggi quasi nessun economista comprende questa realtà cruciale.

Abbiamo bisogno di una rivoluzione nella teoria economica, dobbiamo buttare via tutte queste sciocchezze keynesiane e restituire buon senso alla professione.

Un inizio nella giusta direzione sarebbe quello di porre fine alle banche centrali e tornare al denaro sano/onesto. Questo ci darebbe un mondo in cui la deflazione sarebbe la norma e i tassi d'interesse allineerebbero adeguatamente la produzione alla domanda, ponendo fine agli infiniti cicli di espansione e contrazione che continuiamo a sperimentare.

Purtroppo è difficile essere ottimisti: Keynes diede agli stati una giustificazione per interferire e, quindi, come ci si può aspettare che essi cedano volontariamente tale potere?


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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