venerdì 13 giugno 2025

Come gli inglesi hanno inventato il personaggio di George Soros

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Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Richard Poe

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/come-gli-inglesi-hanno-inventato-ba4)

Nel 1993 molti in Europa si sentirono traditi.

Alcuni si lamentarono di un “complotto anglosassone”.

La Gran Bretagna aveva respinto l'unione monetaria con l'Europa, affermando che avrebbe mantenuto la sterlina britannica.

Gli animi si infiammarono, le lingue si sciolsero, la retorica iniziava a farsi decisamente razzista.

“C'è una sorta di complotto”, disse il Ministro degli esteri belga, Willy Claes. “Nel mondo anglosassone esistono organizzazioni e personalità che preferiscono un'Europa divisa”.

“Le istituzioni finanziarie anglosassoni” stanno minando gli sforzi dell'Europa per unificare le valute, accusò Raymond Barré, ex-primo ministro francese.

Parlando davanti al Parlamento europeo, Jacques Delors, presidente della Commissione europea, si scagliò contro “gli anglosassoni”.

Da quando i corazzieri di Napoleone caricarono le linee britanniche a Waterloo, il mondo francofono non esplodeva con tanta furia contro la perfida Albione. Le tensioni stavano aumentando pericolosamente.

Ma niente paura.

I soccorsi stavano arrivando.


L'operazione psicologica di Soros

Nella breccia si inserì Roger Cohen, nato e cresciuto in Inghilterra, laureatosi a Oxford e in quel momento storico scrittore per il New York Times.

Cohen cambiò astutamente argomento.

Chiamò l'ufficio di Willy Claes e chiese al portavoce Ghislain D'Hoop di identificare i cospiratori “anglosassoni”.

Ce n'erano molti, rispose D'Hoop, ma uno era George Soros.

D'Hoop era caduto nella trappola.

Aveva dato a Cohen ciò che voleva.

In un articolo del 23 settembre 1993 sul New York Times, Cohen osservò ironicamente: “Ma il signor Soros non rientra certo nella definizione tradizionale di anglosassone. È un ebreo di origine ungherese che parla con un accento evidente”.

Cohen aveva abilmente cambiato argomento.

Invece di un “complotto anglosassone”, Cohen proponeva un complotto alla George Soros.

In un articolo di 900 parole che si proponeva di discutere la crisi monetaria europea, Cohen ne dedicò un terzo a Soros, riflettendo a lungo sull'ingiusto “disprezzo” che Soros aveva subito per aver venduto allo scoperto la sterlina inglese nel 1992 e il franco francese nel 1993.

Mentre Cohen fingeva di difendere Soros, il suo articolo ebbe l'effetto opposto.

Cohen attirò l'attenzione su Soros, rendendolo il fulcro di una storia che non lo riguardava affatto, o almeno non avrebbe dovuto esserlo.

Cohen aveva così schierato una delle armi più potenti nell'arsenale della guerra psicologica britannica.

Io la chiamo la “Soros Psyop”.


Fornire copertura

Nel mio precedente articolo, Come gli inglesi hanno inventato le rivoluzioni colorate, ho spiegato come gli agenti britannici esperti di guerra psicologica svilupparono colpi di stato incruenti e altre tecnologie comportamentali per manipolare i governi stranieri in modo silenzioso e discreto nell'era post-coloniale.

La strategia della Gran Bretagna dal 1945 è stata quella di fare finta di niente, nascondendosi e lasciando che fossero gli americani a fare il grosso del lavoro di polizia nel mondo.

Silenziosamente, sotto i radar, la Gran Bretagna è rimasta profondamente coinvolta negli intrighi imperiali.

Uno dei modi in cui la Gran Bretagna nasconde le sue operazioni è usare George Soros e altri come lui come copertura.


Cattivo designato

Quando gli agenti britannici si impegnano in interventi segreti come la destabilizzazione di governi o l'indebolimento delle valute, George Soros sembra sempre spuntare fuori come un pupazzo a molla, facendo smorfie per le telecamere, rilasciando dichiarazioni provocatorie e, in generale, facendo tutto il possibile per attirare l'attenzione su di sé.

È quella che i professionisti dell'intelligence chiamano un'operazione “rumorosa”.

Soros è il cattivo designato, il capro espiatorio.

Si assume deliberatamente la colpa di tutto, anche quando non ne ha.

È uno strano modo di guadagnarsi da vivere, ma sembra essere ben pagato.


“L'uomo che ha distrutto la Banca d'Inghilterra”

Fino al 1992 la maggior parte delle persone non aveva mai sentito parlare di Soros.

Poi i media britannici lo soprannominarono “L'uomo che ha distrutto la Banca d'Inghilterra”. Soros divenne una celebrità da un giorno all'altro.

Si racconta che abbia venduto allo scoperto la sterlina britannica, ne abbia forzato la svalutazione e se ne sia andato con un profitto di uno (o forse due) miliardi di dollari.

In realtà Soros fu solo uno dei tanti speculatori che scommisero contro la sterlina, forzandone una svalutazione del 20% il “Mercoledì Nero”, ovvero il 16 settembre 1992.

Alcune delle più grandi banche del mondo presero parte all'attacco, insieme a vari hedge fund e fondi pensione. Eppure i media britannici si concentrarono quasi esclusivamente su Soros, sostenendo che fosse stato lui a guidare l'attacco e a trarne i maggiori profitti.

In realtà queste affermazioni hanno ben poche basi, a parte le vanterie dello stesso Soros.


Soros diventa una celebrità

I trader di valute sono notoriamente reticenti, timorosi dell'indignazione pubblica e del controllo governativo.

Quasi sei settimane dopo il Mercoledì Nero, nessuno era veramente sicuro di chi avesse fatto crollare la sterlina britannica.

Poi accadde qualcosa di inaspettato.

Soros confessò!

Il 24 ottobre 1992 il Daily Mail britannico pubblicò un articolo in prima pagina con un Soros sorridente che teneva in mano un drink intitolato “Ho guadagnato un miliardo mentre la sterlina crollava”.

Il Mail era in qualche modo riuscito a ottenere un rendiconto trimestrale del Quantum Fund di Soros.

Quest'ultimo affermò di essere rimasto sorpreso e allarmato dalla fuga di notizie, ma aveva uno strano modo di dimostrarlo. Soros andò direttamente al Times di Londra e confermò quella versione della storia, vantandosi che fosse tutta vera.

Arrivò al punto di dire che “Noi [di Quantum] dovevamo essere il singolo fattore più importante del mercato [...]”.

E così la mattina del 26 ottobre 1992, un titolo di prima pagina del Times proclamò che Soros era “L'uomo che ha distrutto la Banca d'Inghilterra”.

Nei mesi successivi il Times avrebbe preso l'iniziativa e iniziò a promuovere la leggenda di Soros.


Protettori nascosti

In un articolo del 15 gennaio 1995 sul New Yorker, Connie Bruck ricordò lo stupore che travolse il mondo finanziario per la confessione pubblica di Soros: “I colleghi di Soros nella comunità finanziaria, inclusi alcuni amministratori e azionisti di Quantum, sono rimasti sbalorditi dalle sue rivelazioni pubbliche; ancora oggi molti esprimono sconcerto per la sua azione. Una persona nella comunità degli hedge fund mi ha detto: 'Perché portare luce su questo argomento? Perché attirare l'attenzione su di sé?'”.

Questi finanzieri non sono riusciti a cogliere il quadro generale. Non hanno capito che Soros giocava in un campionato diverso, stava giocando una partita diversa.

Non era solo uno speculatore.

Era un soldato in una guerra psicologica.


L'uomo che ha creato George Soros

L'uomo responsabile della promozione di Soros in quel periodo fu Lord William Rees-Mogg, un eminente giornalista e membro della Camera dei Lord.

Il Financial Times lo ha definito “uno dei nomi più grandi del giornalismo britannico”.

Lord Rees-Mogg è morto nel 2012.

Fu direttore del Times per 14 anni (1967-1981), poi vicepresidente della BBC.

Era amico e confidente della famiglia reale, amico intimo e socio in affari di Lord Jacob Rothschild e padre del politico britannico Jacob Rees-Mogg.

Più di chiunque altro, Lord Rees-Mogg è stato responsabile della trasformazione di George Soros in un'arma.


Soros, salvatore della Gran Bretagna

Quando il Daily Mail accusò Soros di aver fatto crollare la sterlina, il Times intervenne per spiegare che Soros era un eroe, che invece aveva effettivamente salvato la sovranità britannica.

In un articolo di prima pagina del 26 ottobre 1992, il Times spiegò che Soros aveva salvato il Paese dal collasso economico e dalla schiavitù dell'UE.

La svalutazione della sterlina aveva costretto la Gran Bretagna a ritirarsi dal Meccanismo Europeo di Cambio (SME), bloccando così i piani britannici di aderire all'unione monetaria europea, aggiunse il Times.

Lord William Rees-Mogg fu particolarmente esplicito nella difesa di Soros.

“La Gran Bretagna ha avuto la fortuna di essere costretta a uscire dallo SME”, scrisse Rees-Mogg nel suo articolo del 1° marzo 1993 sul Times. “La politica economica di George Soros, per un compenso modesto, ha corretto quella del [Primo Ministro] John Major”.

Negli articoli successivi Rees-Mogg si dimostrò sempre più entusiasta nel lodare Soros. Affermò che quest'ultimo aveva “salvato” il Regno Unito; che Soros era un “benefattore della Gran Bretagna”; anzi, che una sua statua avrebbe dovuto essere “eretta in Piazza del Parlamento, di fronte al Ministero del Tesoro”.


Agenda globalista

In realtà Rees-Mogg stava fuorviando i suoi lettori.

Non sosteneva la sovranità britannica. Rees-Mogg era un globalista, convinto che lo stato-nazione avesse esaurito la sua utilità.

Qualunque fossero le ragioni per opporsi all'unione monetaria con l'Europa, il patriottismo britannico non rientrava tra queste.

Rees-Mogg espresse le sue convinzioni globaliste in una serie di libri scritti a quattro mani con lo scrittore statunitense specializzato in investimenti James Dale Davidson.

In The Sovereign Individual (1997) gli autori profetizzarono che le “nazioni occidentali” si sarebbero presto “sgretolate come l'ex-Unione Sovietica, per essere sostituite da piccole giurisdizioni “simili a città-stato” che sarebbero “emerse dalle macerie delle nazioni”.

Gli autori prevedevano che “alcune di queste nuove entità, come i Cavalieri Templari e altri ordini religiosi e militari del Medioevo, avrebbero potuto controllare una considerevole ricchezza e un potere militare senza controllare alcun territorio fisso”.

Come ai tempi del “feudalesimo”, scrissero Rees-Mogg e Davidson, “le persone a basso reddito nei Paesi occidentali” sarebbero sopravvissute legandosi “alle famiglie benestanti come dipendenti”.

In altre parole, le classi inferiori sarebbero tornate alla servitù della gleba.

Tutto questo era per il meglio, scrissero gli autori, poiché avrebbe permesso alle “persone più abili” – ovvero il “cinque per cento più ricco” – di vivere dove volevano e fare ciò che volevano, libere da lealtà o obblighi verso una particolare nazione o governo.

“Mentre l'era dell'Individuo Sovrano prende forma”, conclusero gli autori, “molte delle persone più abili cesseranno di considerarsi parte di una nazione, come britanniche, americane o canadesi. Una nuova comprensione transnazionale o extranazionale del mondo, e un nuovo modo di identificare il proprio posto in esso, attendono di essere scoperti nel nuovo millennio”.

Queste non sono le parole di un patriota.


Il nuovo feudalesimo

Infatti non c'era nulla di nuovo nel “nuovo modo” promesso da Rees-Mogg nel suo libro.

Discendente da un'antica famiglia di proprietari terrieri, Rees-Mogg sapeva che il globalismo era sempre stato il credo delle classi abbienti, la cui unica vera lealtà era verso le proprie famiglie.

La saga di Harry Potter offre una metafora calzante per il mondo odierno, in cui le famiglie d'élite si muovono invisibili tra i “babbani” o la gente comune, gestendo silenziosamente le cose dietro le quinte, nascondendosi alla vista di tutti.

Negli anni '90 le famiglie privilegiate come quella di Rees-Mogg si erano stancate di nascondersi. Rimpiangevano i bei vecchi tempi, quando potevano vivere apertamente nei loro castelli e comandare i loro servi.

Il politologo di Oxford, Hedley Bull, si rivolse a questo pubblico quando nel suo libro del 1977, The Anarchical Society, predisse che “gli stati sovrani potrebbero scomparire ed essere sostituiti non da un governo mondiale, ma da un equivalente moderno e laico del... Medioevo”.

La previsione di Bull di un nuovo medioevo trovò eco nelle élite britanniche.

Con il crollo dell'Unione Sovietica, Rees-Mogg e altri della sua classe sociale iniziarono a celebrare apertamente la fine dello stato-nazione e l'ascesa di un nuovo feudalesimo.

Ripristinare l'ordine feudale è il vero obiettivo del globalismo.


A proposito di quel “complotto anglosassone”

Gli elogi esagerati di Rees-Mogg a George Soros suscitarono sospetti nel continente per un “complotto anglosassone”.

Ulteriori sospetti sorsero quando J. P. Morgan & Co. e la sua affiliata Morgan Stanley furono ritenute complici della rottura della sterlina.

Pur essendo nominalmente americane, queste banche avevano forti legami storici con la Gran Bretagna.

L'attività principale di J. P. Morgan era sempre stata quella di fungere da copertura per gli investitori britannici in America. Le ferrovie e altre industrie statunitensi si basavano in gran parte sul capitale britannico, erogato tramite le banche Morgan.

Junius S. Morgan, il padre di J. P., avviò l'azienda di famiglia nel 1854, trasferendosi negli uffici londinesi di Peabody, Morgan & Co. e rimanendo in Inghilterra per i successivi 23 anni.

I legami della famiglia Morgan con la Gran Bretagna sono profondi.

Nel periodo precedente al Mercoledì nero, J. P. Morgan & Co. vendette allo scoperto la sterlina britannica. Nel frattempo la sua banca gemella, Morgan Stanley, concesse ingenti prestiti a Soros, consentendogli di fare lo stesso.

Le accuse di un “complotto anglosassone” non sembrano inverosimili, alla luce di questi fatti.

È probabile che Soros e altri speculatori stranieri abbiano semplicemente fornito copertura a quella che era, di fatto, un'operazione di guerra economica britannica contro la propria banca centrale.


Come gli inglesi hanno reclutato Soros

Come sottolineò Roger Cohen sul New York Times, George Soros non è un “anglosassone”. Com'è finito coinvolto in quel complotto anglosassone?

Il giovane Soros era stato reclutato tramite la London School of Economics (LSE). Lì fu plasmato come arma del “soft power” britannico.

In un precedente articolo, Come gli inglesi hanno venduto il globalismo all'America, ho spiegato come la Gran Bretagna utilizzi il “soft power” (seduzione e cooptazione) per costruire reti di influenza in altri Paesi.

La Gran Bretagna si considera “il principale soft power al mondo”, secondo la Strategic Defence and Security Review del Regno Unito del 2015.

Gli inglesi devono il loro status di leader al loro incessante reclutamento di studenti stranieri nelle università del Regno Unito, un'iniziativa considerata una priorità per la sicurezza nazionale, supervisionata dal British Council, un'agenzia del Ministero degli esteri.

La Strategic Defence and Security Review del 2015 rilevava che “1,8 milioni di studenti stranieri ricevono un'istruzione britannica ogni anno” e che “più di un quarto degli attuali leader mondiali ha studiato nel Regno Unito”.

Dopo la laurea, questi ex-studenti britannici sono attentamente monitorati dal Ministero degli esteri britannico.

Secondo un documento del governo britannico del 2013, gli ex-studenti che sono destinati a posizioni di rilievo sono incoraggiati a cercare un “maggiore coinvolgimento” con i colleghi ex-studenti britannici, allo scopo di formare “una rete di persone in posizioni di influenza in tutto il mondo che possano promuovere gli obiettivi della politica estera britannica [...]”.


Modello di reclutamento

George Soros è un trionfo della strategia di soft power britannica.

Non solo ha raggiunto una “posizione di influenza” dopo la laurea, ma è rimasto vicino ai suoi mentori britannici e ne ha promosso gli insegnamenti.

In onore di Karl Popper, suo professore alla LSE, Soros diede alle sue ONG il nome di Open Society Foundation, la cui teoria della “società aperta” guida l'attivismo di Soros ancora oggi.

Il capolavoro di Popper del 1945, La società aperta e i suoi nemici, è una difesa filosofica dell'imperialismo, in particolare dell'imperialismo britannico, così come sostenuto dai fondatori della LSE.

I socialisti fabiani che fondarono la LSE credevano che l'espansione britannica fosse la più grande forza civilizzatrice in un mondo altrimenti barbaro.

Nel suo libro Popper difese espressamente la conquista imperiale come primo passo per cancellare le identità tribali e nazionali, per spianare la strada a un “Impero Universale dell'Uomo”.


“Pregiudizi britannici”

Soros arrivò a Londra nel 1947, rifugiato dall'Ungheria occupata dai sovietici.

Visse in Inghilterra per nove anni, dai 17 ai 27 anni (dall'agosto 1947 al settembre 1956).

Laureatosi alla LSE nel 1953, Soros ottenne il suo primo lavoro in ambito finanziario presso la Singer & Friedlander, una banca d'affari londinese.

Soros ammette di essersi trasferito negli Stati Uniti solo per fare soldi.

Progettò di rimanerci cinque anni, per poi tornare in Inghilterra.

“Non mi piacevano gli Stati Uniti”, raccontò al suo biografo Michael Kaufman nel libro, Soros: The Life and Times of a Messianic Billionaire. “Avevo acquisito alcuni pregiudizi britannici di base; sapete, gli Stati Uniti erano, beh, commerciali, volgari e così via”.


Società aperta & società chiusa

Il disprezzo per l'America non fu l'unico “pregiudizio britannico” che Soros acquisì alla LSE. Sviluppò anche una forte avversione per i concetti di tribù e nazione, seguendo l'esempio di Karl Popper.

Nel libro, La società aperta e i suoi nemici, Popper insegnava che la razza umana si stava evolvendo da una società “chiusa” a una società “aperta”.

Il catalizzatore di questa trasformazione era l'imperialismo.

Le società chiuse sono tribali, interessate solo a ciò che è meglio per la tribù, mentre una società “aperta” cerca il meglio per tutta l'umanità.

Popper ammetteva che le società tribali sembrano attraenti in superficie, sono strettamente legate da “parentela, convivenza, condivisione di sforzi comuni, pericoli comuni, gioie comuni e sofferenze comuni”.

Tuttavia i popoli tribali non sono mai veramente liberi, sosteneva Popper. Le loro vite sono governate da “magia” e “superstizione”, dalle “leggi”, “costumi” e “tabù” dei loro antenati.

Sono intrappolati in una routine da cui non possono sfuggire.

Al contrario, una società “aperta” non ha tabù né costumi, né tribù né nazioni. È composta solo da “individui”, liberi di fare o pensare come desiderano.


“Impero universale dell'uomo”

Popper sosteneva che tutte le società nascono “chiuse”, ma in seguito diventano “aperte” attraverso l'imperialismo.

Quando una tribù diventa abbastanza forte da conquistarne altre, le società “chiuse” sono costrette ad “aprirsi” al conquistatore, mentre il conquistatore diventa a sua volta “aperto” alle vie dei conquistati.

“Credo sia necessario che l'esclusivismo e l'autosufficienza tribale possano essere superati solo da una qualche forma di imperialismo”, concluse Popper.

Gli imperi rendono tribù e nazioni obsolete, disse Popper. Forniscono un governo unico, con un unico insieme di regole per tutti.

Popper sognava un “Impero universale dell'uomo” che avrebbe diffuso la “società aperta” in ogni angolo del mondo.


Frutto Proibito

Per molti versi l'Impero è più “tollerante” della tribù, sostiene Popper. I popoli detribalizzati scoprono di essere liberi di fare e dire molte cose che un tempo consideravano “tabù”.

Ma c'è una cosa che l'Impero non può tollerare: il tribalismo stesso.

Popper avvertì che l'umanità può solo progredire, non regredire. Paragonò la “società aperta” al mangiare dall'Albero della Conoscenza. Una volta assaggiato il frutto proibito, le porte del Paradiso si chiudono.

Non si può mai tornare alla tribù; chi ci prova diventerà fascista.

“Non potremo mai tornare all'innocenza e alla bellezza della società chiusa [...]”, scrisse Popper. “Più ci proviamo [...] più sicuramente arriviamo alla [...] Polizia segreta e al [...] gangsterismo romanticizzato [...]. Non si può tornare a uno stato di natura armonioso. Se torniamo indietro, allora dobbiamo percorrere tutta la strada: dobbiamo tornare alle bestie”.


Impero Socialista

Le idee di Popper non erano originali: stava semplicemente sposando la dottrina dell'imperialismo liberale a cui era dedicata la London School of Economics.

La LSE fu fondata nel 1895 da quattro membri della Fabian Society, tra cui Sidney e Beatrice Webb, George Bernard Shaw e Graham Wallas.

Tutti erano ferventi imperialisti, oltre che socialisti, e non vedevano alcun conflitto tra i due. Anzi i Fabiani consideravano l'Impero britannico un ottimo veicolo per diffondere l'internazionalismo socialista.

In un opuscolo del 1901 intitolato, Twentieth Century Politics: A Policy of National Efficiency, Sidney Webb invocava la fine dei “diritti astratti basati sulle 'nazionalità'”. Respingendo quella che definiva la “fervida propaganda dell'Home Rule” irlandese, Webb condannava qualsiasi movimento che spingesse per l'autogoverno basato sulla “obsoleta nozione tribale” di “autonomia razziale”.

Webb sosteneva invece che il mondo dovesse essere diviso in “unità amministrative” basate esclusivamente sulla geografia, “qualunque fosse la mescolanza razziale”, come esemplificato da “quel grande commonwealth di popoli chiamato Impero Britannico” che comprendeva “membri di tutte le razze, di tutti i colori umani e di quasi tutte le lingue e religioni”.

Così Webb espose l'essenza della “società aperta” imperiale quasi 50 anni prima di Popper.


Socialismo invisibile

Non si sa se George Orwell fosse un Fabiano, ma condivideva il sogno di un Impero Britannico socialista.

Nel suo libro del 1941, Il leone e l'unicorno: il socialismo e il genio inglese, Orwell predisse la nascita di un “movimento socialista specificamente inglese” il quale avrebbe conservato molti “anacronismi” del passato.

Questi “anacronismi” avrebbero calmato e rassicurato l'anima inglese, proprio mentre la società britannica veniva sconvolta.

Un tale “anacronismo” sarebbe stata la Monarchia, che Orwell riteneva degna di essere preservata. Un altro era l'Impero, che sarebbe stato ribattezzato “una federazione di stati socialisti [...]”.

Orwell predisse che un vero socialismo inglese avrebbe “mostrato una capacità di assimilazione del passato che avrebbe sconvolto gli osservatori stranieri e talvolta fatto dubitare che si fosse verificata una rivoluzione”.

Nonostante le apparenze, la Rivoluzione sarebbe stata reale, in ogni suo aspetto “essenziale”, promise Orwell.


“Come una mummia insepolta”

In una strana eco di Orwell, Lord William Rees-Mogg suggerì anche che il suo nuovo feudalesimo avrebbe mantenuto molti degli aspetti esteriori della normale vita inglese, anche mentre la nazione britannica si disgregava.

Nel loro libro del 1987, Blood in the Streets, Rees-Mogg e Davidson predissero che, anche dopo che gli stati-nazione avessero perso il loro potere e la loro sovranità, “le loro forme sarebbero rimaste, come in Libano, come del resto la forma dell'Impero Romano, ovvero come una mummia insepolta, per tutto il Medioevo".

Nonostante la sua cupa visione del futuro della Gran Bretagna, Rees-Mogg continuò a spacciarsi per patriota britannico fino alla fine. Forse era questo il suo modo di salvare le apparenze, di contribuire a preservare la “forma” della Gran Bretagna, “come una mummia insepolta”, al fine di calmare e rassicurare l'anima inglese.

Vediamo quindi che il socialismo “specificamente inglese” di Orwell – in cui persino la monarchia sarebbe sopravvissuta – ha una strana somiglianza con il nuovo feudalesimo di Rees-Mogg.

Potrebbe persino essere opportuno chiedersi se siano la stessa cosa.


Soros, l'imperiale

Nel 1995 Soros dichiarò al New Yorker: “Non credo che si possa mai superare l'antisemitismo comportandosi come una tribù [...]. L'unico modo per superarlo è rinunciare al tribalismo”.

Non fu né la prima né l'ultima volta che Soros suscitò scalpore condannando il tribalismo ebraico come fattore che contribuisce all'antisemitismo. Quando Soros fece un commento simile nel 2003, ricevette un rimprovero da Elan Steinberg del Congresso Ebraico Mondiale, che replicò: “L'antisemitismo non è causato dagli ebrei; è causato dagli antisemiti”.

Per essere onesti, Soros stava solo ripetendo ciò che aveva imparato alla London School of Economics.

Le sue fondazioni, Open Society, sono espressamente dedicate agli insegnamenti di Popper, che si oppongono a qualsiasi tipo di tribalismo. Rifiutando il tribalismo del suo stesso popolo ebraico, Soros si limitava a essere intellettualmente coerente.

A livello personale, non posso certo condannare Soros per la sua critica al tribalismo ebraico, visto che mio padre, ebreo, aveva opinioni simili.

Uno dei modi in cui mio padre espresse la sua ribellione fu sposando mia madre, una bellezza esotica, metà messicana, metà coreana e cattolica di fede.

Comprendo pienamente il difficile rapporto di Soros con la sua identità ebraica.

Tuttavia nelle parole di Soros percepisco un'eco inquietante dell'ideologia imperialista di Sidney Webb, un'influenza che pervade e definisce la rete Open Society a ogni livello.


Effetto pifferaio magico

Nei mesi successivi al Mercoledì Nero, i media britannici promossero Soros come una star del cinema, costruendo la sua leggenda come il più grande genio finanziario dell'epoca.

Lord William Rees-Mogg fu il capofila.

Rees-Mogg e i suoi soci sapevano che, se un numero sufficiente di piccoli investitori fosse stato indotto a credere alla leggenda di Soros, se un numero sufficiente fosse stato manipolato per imitarne le mosse, comprando e vendendo secondo i suoi consigli, allora Soros avrebbe comandato l'ondata.

Avrebbe potuto fare la differenza sui mercati, semplicemente parlando.

Nel suo articolo sul Times del 26 aprile 1993, Rees-Mogg gettò un'aura mistica su Soros, dipingendolo come un Nostradamus dei giorni nostri in grado di vedere attraverso le “illusioni pubbliche” la “realtà” sottostante.

Altri giornalisti si allinearono, ripetendo i punti di vista di Rees-Mogg come sonnambuli.

“Perché siamo così stregati da questo moderno Re Mida?”, chiese il Daily Mail, con il tono svenevole di un innamorato disperato.

Non tutti credettero al mito di Soros.

Leon Richardson, editorialista finanziario australiano, accusò Rees-Mogg di aver cercato di trasformare Soros in un pifferaio magico, per sviare gli investitori.

“Lord Rees-Mogg ha elogiato Soros, definendolo l'investitore più brillante del mondo”, affermò Richardson nella sua rubrica del 9 maggio 1993, “di conseguenza la gente ha iniziato a seguirlo e a fare quello che fa per fare soldi”.


La truffa dell'oro

Chi teneva d'occhio Soros dopo il Mercoledì Nero non dovette aspettare a lungo per il suo successivo consiglio di investimento.

“Soros ha rivolto la sua attenzione all'oro”, annunciò Rees-Mogg il 26 aprile 1993.

Newmont Mining era il più grande produttore di oro del Nord America. Soros aveva appena acquistato 10 milioni di azioni da Sir James Goldsmith e Lord Jacob Rothschild.

Se Soros stava comprando oro, forse dovremmo farlo anche noi, insinuò Rees-Mogg.

Non tutti accolsero con entusiasmo il suggerimento di Rees-Mogg. Alcuni commentatori notarono che, mentre Soros acquistava azioni Newmont, Goldsmith e Rothschild le stavano svendendo – un segnale di acquisto tutt'altro che chiaro.

“Normalmente quando un insider vende azioni della propria azienda cerca di non farsi notare”, commentò Leon Richardson. “Questo è stato uno strano caso in cui l'insider stava cercando di ottenere un'ampia copertura mediatica sulla sua vendita”.

Ciononostante l'effetto pifferaio magico funzionò: il 2 agosto il prezzo dell'oro era schizzato da $340 a $406 l'oncia, con un aumento del 19%.


“Un nuovo modo di fare soldi”

Molti nella stampa finanziaria mormorarono dell'insolito livello di coordinamento tra il Times, Soros, Goldsmith e Rothschild.

“Soros è un enigma [...]” scrisse il London Evening Standard. “Non ha mai parlato bene dell'oro, ma d'altronde non ce n'era bisogno. La stampa lo ha fatto per lui, con il sostenitore di Goldsmith, Lord Rees-Mogg, che ha lanciato l'appello sul Times”.

“Non si può che ammirare la tempistica di Goldsmith/Soros e l'aura ben orchestrata del loro spettacolo per l'oro”, commentò EuroBusiness Magazine nel settembre del 1993. “Avevano anche un cast di supporto impressionante: una stampa che ha suonato come un coro greco al loro canto da sirene per l'oro”.

David C. Roche, stratega londinese di Morgan Stanley, concluse: “È un nuovo modo di fare soldi, una combinazione di investimenti giudiziosi al minimo di un mercato e di un colpo di scena pubblicitario”.


Gioco di squadra

Nonostante tutto il clamore, la bolla dell'oro è scoppiata a settembre di quell'anno, facendo crollare i prezzi dell'oro.

Molti persero... tanto.

Ma Goldsmith e Rothschild fecero un sacco di soldi, vendendo al picco.

Alcuni sospettavano che lo scopo dell'operazione fosse quello di aiutare Goldsmith e Rothschild a realizzare un profitto sulle loro partecipazioni in Newmont, precedentemente stagnanti.

Soros, d'altra parte, subì un duro colpo: quando vendette le sue azioni Newmont, dovette farlo a un prezzo inferiore.

Perché lo fece? Perché Soros avrebbe dovuto guidare un piano di propaganda dell'oro che gli portò pochi o nessun profitto?

Alcuni sospettavano che Soros potesse aver subito un colpo per la squadra.

Forse non era poi così anticonformista, dopotutto.

Forse il pifferaio magico era solo uno che segue gli ordini...


Profeta o pedina?

Come minimo, la mossa dell'oro dimostrò che Soros lavorava di squadra.

La sua immagine di lupo solitario era solo un mito.

Quando i riflettori della celebrità si posarono per la prima volta su Soros, lo trovarono a lavorare con una ristretta cerchia di investitori britannici, tra cui alcuni dei nomi più famosi della finanza globale.

Gli investitori di quel livello non si limitano a “speculare” sui mercati, quanto piuttosto a controllarli.

La truffa dell'oro rivelò che Rees-Mogg, Soros, Goldsmith e Rothschild erano legati da una intricata rete di relazioni commerciali.

Goldsmith, ad esempio, era un direttore della St. James Place Capital di Rothschild. Un altro direttore della St. James Place, Nils Taube, era contemporaneamente direttore del Quantum Fund di Soros.

Lo stesso Rees-Mogg era un caro amico di Lord Rothschild, nonché membro del consiglio di amministrazione di J. Rothschild Investment Management e direttore di St. James Place Capital.

Nel frattempo il giornalista del Times, Ivan Fallon – che contribuì a far uscire la notizia dell'acquisto dell'oro da parte di Soros sul Sunday Times, co-autore della relazione originale del 25 aprile – era il biografo di Goldsmith, autore di Billionaire: The Life and Times of Sir James Goldsmith.

Era tutto molto intimo.


“Una banda di insider”

“Questo tipo di connessioni, questa impressione di una banda di insider, è ciò che fa sì che gli investitori più tradizionali a volte sollevino un sopracciglio quando si tratta di Soros”, brontolò The Observer con disapprovazione.

The Observer aveva ragione. Soros era un “insider” che lavorava con altri insider e non c'era alcuna indicazione che fosse minimamente vicino a essere un socio senior del gruppo.

Soros era un servitore, non un profeta; un seguace, non un leader.

Ecco perché gridò allo scandalo quando fu condannato per insider trading nel 2002, in relazione allo scandalo francese Société Générale.

“È bizzarro che io sia stato l'unico dichiarato colpevole quando era coinvolto l'intero establishment francese”, si lamentò Soros alla CNN.

Soros riteneva chiaramente che i francesi avessero infranto le regole.

Secondo lui, quando “l'intero [...] establishment” di un Paese cospira per manipolare i mercati, è ingiusto individuare un singolo cospiratore e sottoporlo a processo.

Dopotutto, Soros stava semplicemente facendo quello che facevano gli altri.


Rivoluzioni colorate

Mentre Rees-Mogg stava raffinando l'immagine di Soros come il più grande guru degli investimenti al mondo, ne promuoveva anche le attività politiche.

“Ammiro il modo in cui ha speso i suoi soldi”, affermò Rees-Mogg nella sua rubrica sul Times del 26 aprile 1993. “Niente è più importante della sopravvivenza economica degli ex-Paesi comunisti dell'Europa orientale”.

Rees-Mogg si riferiva al lavoro della fondazione di Soros negli ex-stati sovietici, dove divenne rapidamente famoso come finanziatore e organizzatore di colpi di stato incruenti noti come “rivoluzioni colorate”.

Come per le sue transazioni monetarie, Soros non agì da solo quando si impegnò in operazioni di cambio di governo. Faceva parte di una squadra.


Soros e gli “atlantisti”

In una serie di articoli su Revolver News, Darren Beattie ha smascherato una cricca di agenti della sicurezza nazionale statunitense specializzati nel rovesciare governi attraverso “rivoluzioni colorate”.

Operano attraverso una rete di ONG sponsorizzate dallo stato, tra cui il National Endowment for Democracy (NED) e le sue due filiali, l'International Republican Institute (IRI) e il National Democratic Institute (NDI).

Beattie accusa questi gruppi “pro-democrazia” di aver organizzato un ammutinamento contro il presidente Trump.

Secondo Beattie, questi agenti “pro-democrazia” hanno avuto un ruolo centrale nell'intralcio delle nostre elezioni nel 2020, e i loro piani sono culminati nella cosiddetta “insurrezione” del Campidoglio, che Revolver ha ora smascherato come un'operazione interna orchestrata da provocatori dell'FBI.

Beattie definisce i cospiratori “atlantisti”, un eufemismo comunemente applicato agli anglofili del Dipartimento di stato che antepongono gli interessi britannici a quelli americani.

Uno di questi cospiratori “atlantisti” era George Soros, secondo Beattie.


La bocca che ruggì

Normalmente quando Soros si impegna in operazioni di cambio di governo, fa di tutto per rivendicarne il merito, proprio come fece per il fallimento della Banca d'Inghilterra nel 1992.

Ad esempio, nel suo libro del 2003, La bolla della supremazia americana, Soros confessò apertamente: “Le mie fondamenta hanno contribuito al cambio di governo in Slovacchia nel 1998, in Croazia nel 1999 e in Jugoslavia nel 2000, mobilitando la società civile per sbarazzarsi rispettivamente di Vladimir Meciar, Franjo Tudjman e Slobodan Milosevic”.

Quello stesso anno, in una conferenza stampa a Mosca, Soros minacciò pubblicamente di deporre il presidente georgiano Eduard Shevardnadze, affermando: “Questo è ciò che abbiamo fatto in Slovacchia al tempo di Meciar, in Croazia al tempo di Tudjman e in Jugoslavia al tempo di Milosevic”.

Quando Shevardnadze fu successivamente rovesciato durante una rivolta del novembre 2003, Soros ne rivendicò pubblicamente il merito.

“Sono felicissimo di quanto accaduto in Georgia e sono molto orgoglioso di avervi contribuito”, si vantò Soros sul Los Angeles Times il 5 luglio 2004.


La rete del Regno Unito

Soros non si affrettò a rivendicare il merito della Rivoluzione arancione del 2004 in Ucraina, ma fu un suo collega, Michael McFaul, a farlo per lui.

“Gli americani si sono intromessi negli affari interni dell'Ucraina? Sì”, scrisse McFaul sul Washington Post del 21 dicembre 2004.

McFaul – che all'epoca era professore associato a Stanford, ma che in seguito fu ambasciatore in Russia sotto Obama – proseguì elencando vari “agenti d'influenza americani” che, a suo dire, avevano preso parte alla Rivoluzione arancione, tra cui l'International Renaissance Foundation, che McFaul descrisse in particolare come “finanziata da Soros”.

L'Ucraina è un Paese pericoloso e violento, dove gli agenti stranieri corrono rischi. È difficile capire perché McFaul abbia deliberatamente messo in pericolo Soros e una serie di agenti americani implicandoli pubblicamente in ingerenze elettorali, a meno che non stesse cercando di distogliere l'attenzione da altri partecipanti non americani.

Uno di questi partecipanti non americani era la Westminster Foundation for Democracy (WFD), un gruppo britannico “pro-democrazia” finanziato dal Ministero degli esteri britannico. La WFD ha avuto un ruolo cruciale nella Rivoluzione arancione.

McFaul ha forse messo a rischio i suoi connazionali americani per fornire copertura agli inglesi?

Come Rhodes Scholar e laureato a Oxford, McFaul è un ex-studente britannico che ha raggiunto una “posizione di influenza”, esattamente il tipo di persona a cui il Ministero degli esteri britannico si rivolge abitualmente per contribuire a promuovere “gli obiettivi della politica estera britannica”.


La mano nascosta della Gran Bretagna

Uno dei cosiddetti “agenti d'influenza americani” smascherati da McFaul sul Washington Post era Freedom House.

Come rivelato nel mio precedente articolo, Come gli inglesi hanno inventato le rivoluzioni colorate, Freedom House fu fondata nel 1941 come corpo di spionaggio britannico, il cui scopo era quello di spingere gli Stati Uniti a entrare nella Seconda guerra mondiale e di aiutare la Gran Bretagna a condurre operazioni segrete contro i pacifisti statunitensi.

Non c'è motivo di credere che Freedom House abbia cambiato schieramento da allora.

Descrivere Freedom House come un “agente d'influenza americano” mette un po' a dura prova il termine “americano”.

Freedom House esemplifica perfettamente quel tipo di fronte anglofilo che Darren Beattie definisce “atlantista”.


Dov'è Soros?

Sospetto che il vero ruolo di Soros tra gli operatori delle “rivoluzioni colorate” sia simile al suo ruolo nel mondo finanziario.

Distoglie l'attenzione dalle operazioni britanniche rivendicandone a gran voce il merito.

Allora, dov'è Soros adesso?

Perché non si vanta della figura decaduta del presidente Trump, come fece con Meciar, Tudjman, Milosevic, Shevardnadze e tanti altri?

Forse Soros ha ricevuto una chiamata da Londra.

Forse i suoi superiori lo hanno avvertito che la situazione si stava facendo un po' rischiosa con queste rivelazioni su Revolver.

Forse hanno detto a Soros di tenere la bocca chiusa.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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giovedì 12 giugno 2025

Bitcoin risucchia quell'energia in eccesso e bloccata

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Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Joakim Book

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/bitcoin-risucchia-quellenergia-in)

L'elettricità ha la difficile caratteristica di dover essere consumata quando viene prodotta. In altre parole: poiché ci aspettiamo che le luci si accendano ogni volta che premiamo un interruttore, l'elettricità deve essere prodotta ogni volta che i consumatori lo desiderano.

Per gran parte dei suoi 150 anni di storia, le reti elettriche hanno avuto un buon controllo sulla propria fornitura – alzando i quadranti, bruciando più carburante, azionando più turbine – ma hanno dovuto prevedere la domanda, anticipando e gestendo in dettaglio anche le più piccole variazioni di utilizzo. Oggi abbiamo sempre più produttori di energia rinnovabile sulla rete, il che ha reso la fornitura stessa più inaffidabile, dipendente non tanto dalle decisioni umane quanto dai capricci del meteo. Se si riempie il paesaggio di torri eoliche e parchi fotovoltaici che producono troppa elettricità quando non ne abbiamo bisogno e quasi nulla quando ne abbiamo davvero bisogno, si ottiene la tragica ricetta per reti instabili.

Ci aspettiamo sempre che la rete fornisca energia, quindi i gestori devono assicurarsi che ci sia sufficiente capacità extra pronta a soddisfare la domanda di picco, indipendentemente dalle condizioni meteorologiche. Ciò significa che alcune turbine funzionano senza carico e che molte altre sono pronte ad aumentarlo quando le previsioni del tempo indicano condizioni avverse.

Avere tutta questa capacità extra è costoso e dispendioso, intenzionalmente. Risultato? Funzionano in modo inefficiente, il termine tecnico è “sovradimensionato”, spesso di oltre il 50%, poiché ci aspettiamo che la rete copra non solo il consumo medio, ma anche i picchi estremi. Qualcuno deve sostenere il costo finanziario di tutta questa capacità e dello stoccaggio di combustibile, che, compresso dalle politiche energetiche locali, si riflette in tariffe che i consumatori pagano. È troppo tardi per iniziare a costruire parchi eolici, centrali a gas o progettare linee di trasmissione oggi se è previsto un picco di domanda di elettricità per il fine settimana.

Quando aggiungiamo grandi quantità di energia eolica e solare alla rete, inondandola occasionalmente con talmente tanta elettricità in abbondanza che i prezzi dell'energia diventano negativi, la somma totale diventa un'elettricità più costosa, non meno costosa, anche se i loro input ci vengono forniti gratuitamente dalla natura.

Ciò di cui abbiamo bisogno è un consumatore di elettricità, un consumatore di ultima istanza, in grado di recuperare l'elettricità in eccesso, disconnettersi all'istante e di ripristinare la produzione in caso di occasionali carenze o ondate di freddo. Un consumatore che possa co-localizzarsi con le centrali elettriche ed evitare così la presenza di ulteriori linee di trasmissione che si intersecano nel paesaggio per i suoi scopi di produzione su larga scala.

Bitcoin è una tecnologia monetaria straordinaria, che sta rivoluzionando il mondo del denaro, degli asset e del risparmio, un scettico alla volta. Sulla sua scia troviamo ogni sorta di effetti benefici di secondo ordine: il miglioramento della rete elettrica e il recupero dell'energia globale inutilizzata sono solo gli ultimi esempi. “I miner sono i consumatori di elettricità economicamente perfetti”, conclude Lee Bratcher su Bitcoin Magazine, “il loro consumo costante incentiva lo sviluppo di una generazione aggiuntiva”.

Durante la tempesta invernale Finn, più di un quarto dell'hashrate di Bitcoin è andato offline, poiché gran parte dell'hashpower globale risiede ora in Texas ed è coinvolto in vari programmi di riduzione del carico e di risposta alla domanda con l'operatore di rete ERCOT.

Prima di Bitcoin, i programmi di domanda-risposta erano piccole idee geniali che sembravano non funzionare mai. Come conclude Meredith Angwin nel suo libro, Shorting the Grid: “Si può offrire ai clienti di rinunciare all'elettricità nelle giornate molto fredde. Tuttavia pochissimi accetteranno la vostra offerta”. Il motivo per cui la rete è sotto sforzo durante un'ondata di freddo è lo stesso motivo per cui gli utenti di energia elettrica attribuiscono un valore molto elevato al loro consumo di elettricità. L'offerta viene compressa proprio nel momento in cui la domanda dei consumatori diventa anelastica al prezzo, con il riscaldamento e l'illuminazione delle case che diventano quasi infinitamente preziosi in situazioni difficili.

James McAvity di Cormint, un'azienda di mining basata sulle energie rinnovabili nel Texas occidentale, afferma: “Un carico di base che non contribuisce ai picchi è letteralmente il partecipante ideale al mercato di una rete elettrica. Questo è particolarmente vero per le reti con un'elevata penetrazione delle energie rinnovabili”.

L'hashing, il processo crittografico ad alto consumo di energia elettrica utilizzato dalle apparecchiature di mining per trovare e confermare nuovi blocchi Bitcoin, è un processo competitivo e casuale tra chi vuole indovinare il nonce. Ciò significa che l'accensione e lo spegnimento dei miner non danneggerà i loro progressi come farebbero tali spegnimenti improvvisi nei data center o in altri utenti su larga scala come la produzione manifatturiera ad alto consumo energetico. Una rete sovradimensionata con una generazione di elettricità di riserva può vendere l'eccesso ai miner di Bitcoin invece di ridurre la sovrapproduzione o lasciare gli impianti inattivi. I miner pagano gli impianti per l'elettricità che altrimenti andrebbe sprecata. In condizioni estreme, come un aumento del consumo di energia o ondate di freddo come quelle sperimentate in gran parte del sud degli Stati Uniti a gennaio, i miner possono facilmente spegnere e restituire alla rete la capacità di generazione di elettricità. Quando le condizioni si normalizzano, i miner possono riprendere l'hashing senza perdere nulla se non il tempo di manutenzione, per il quale i programmi di risposta alla domanda li rimborsano direttamente o si riflette nel prezzo negoziato tra miner e centrali elettriche.

I miner di Bitcoin ricavano i loro profitti dalle commissioni di transazione e dalle conferme dei blocchi su un mercato globale, completamente indipendente dalla domanda di elettricità locale a breve termine e dalle condizioni meteorologiche. Interrompere l'erogazione di energia – di fatto restituendola alla rete quando questa diventa temporaneamente più preziosa per altri usi altrove – è un processo semplice ed economicamente vantaggioso. Una situazione vincente per le reti, i consumatori, i miner e i sostenitori dell'energia verde.

Questi ricavi aggiuntivi potrebbero anche rendere la costruzione di centrali elettriche economicamente sostenibile, dove la sovraccapacità non rappresenta più una spesa pura e semplice dato che i miner, sparsi lungo tutta la rete, sono fortemente incentivati ​​a trovare la fonte di energia più economica e prontamente disponibile.

Con il mining di Bitcoin a supporto della rete elettrica, potremmo utilizzare meglio la capacità installata, sprecare meno risorse ed eliminare parte della necessità per i consumatori di sostenere spese in conto capitale costose, necessarie solo in caso di eventi estremi. Questo consumatore di ultima istanza potrebbe proteggere le reti elettriche e monetizzarne la resilienza.

Il mining di Bitcoin, lungi dall'essere un fattore superfluo nel cambiamento climatico, è il tassello mancante del puzzle che stabilizza l'energia verde volatile e rende le reti elettriche adatte al ventunesimo secolo.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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mercoledì 11 giugno 2025

La battaglia di Milei contro la trappola monetaria dell'Argentina

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di Skot Sheller

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/la-battaglia-di-milei-contro-la-trappola)

Immaginate uno scenario in cui il governo federale decretasse quanti dollari possono essere acquisiti. Le aziende straniere non saprebbero con certezza quando, o addirittura se, i loro profitti verrebbero rimpatriati. Le persone avrebbero bisogno di un'autorizzazione governativa speciale per investire all'estero o acquisire dollari. Gli investimenti esteri ristagnerebbero e i dollari verrebbero commerciati sul mercato nero a prezzi gonfiati.

Questo scenario orwelliano e distopico per qualsiasi cittadino americano è stata la realtà per gli argentini dal 2011, quando la presidente Cristina Fernández de Kirchner introdusse il controllo monetario noto come cepo cambiario. La misura fu una risposta alla crescente fuga di capitali, al forte calo delle riserve internazionali e alla pressione sul peso argentino. In pratica, si trattò di una restrizione all'accesso al dollaro e di una delle maggiori distorsioni del tasso di cambio nel mondo moderno.

In quel periodo il governo argentino fece ciò che è altamente probabile che facciano gli stati: creò un problema e poi ne creò uno ancora più grande per cercare di risolverlo. L'amministrazione Kirchner, profondamente interventista, avviò un ciclo di nazionalizzazioni, controlli sui prezzi e politiche che logicamente indebolirono qualsiasi potenziale di crescita. L'Argentina non offriva più un ambiente attraente per gli investimenti.

Anche la fiducia dei cittadini venne naturalmente meno; perfino istituzioni come l'Istituto nazionale di statistica e censimento (INDEC) sono state accusate di aver manipolato la verità sui dati sull'inflazione, in un tentativo di preservare la narrazione ufficiale del governo argentino.

Com'è naturale, gli argentini iniziarono a scambiare i loro pesos con dollari come forma di protezione, portando al crollo delle riserve in dollari della banca centrale. Questo fenomeno spinse il governo argentino a decidere di fissare il tasso di cambio, anziché lasciare che il peso fluttuasse rispetto al dollaro, una linea di politica che generò una pressione significativa sulle riserve. Disperato, il governo argentino introdusse il cepo, il quale prevedeva controlli burocratici sulle importazioni, sugli acquisti di valuta estera e sulla possibilità di rimpatriare i profitti.

Il cepo divenne una presenza fissa in Argentina, presente attraverso una presidenza dopo l'altra. Anche quando il presidente di centro-destra, Macri, lo abrogò temporaneamente, lo reintrodusse dopo tre anni, a causa del deterioramento delle riserve internazionali, dei deficit di bilancio, dell'aumento dell'inflazione e della perdita di fiducia da parte dei mercati, i quali esercitavano pressioni sul tasso di cambio e sul sistema bancario. Il suo successore, Alberto Fernández, rafforzò i controlli monetari, trasformando l'accesso personale al dollaro in un assurdo processo burocratico, ma soprattutto in un intollerabile attacco alla libertà economica, che in ultima analisi è inscindibile dalla libertà individuale.

In pratica, il cepo significava che la banca centrale vendeva dollari a un tasso ufficiale ben al di sotto del tasso di libero mercato. Fino a poco tempo fa vendeva dollari a 400 pesos, mentre il mercato parallelo, il “dollaro blu”, li vendeva a circa 1.000 pesos. Ciò creava una distorsione e un evidente incentivo all'arbitraggio.

Se la banca centrale avesse avuto riserve sufficienti a soddisfare tutta la domanda al tasso di cambio ufficiale, il mercato si sarebbe naturalmente adeguato, ma le riserve si sarebbero esaurite. In quella situazione lo stato argentino aveva solo due opzioni: svalutare il peso aumentando il tasso di cambio ufficiale o razionare i dollari, limitando chi poteva acquistare e quanto, mantenendo così il cepo.

Negli ultimi anni l'Argentina ha fatto entrambe le cose: svalutando la moneta e mantenendo i controlli sui cambi.

La vittoria di Milei ha rappresentato un cambiamento radicale e senza precedenti: da una società fortemente interventista a un approccio liberale classico. Naturalmente Javier Milei ha promesso di eliminare il cepo.

La sua abrogazione, tuttavia, non è stata così immediata come alcuni dei suoi sostenitori avrebbero auspicato. Personaggi come Gabriel Zanotti e Larry White, legati alla Scuola Austriaca, hanno criticato quello che considerano un eccesso di gradualismo.

Milei, tuttavia, aveva motivo di essere cauto. Temeva che le fragili finanze della banca centrale e l'elevata inflazione del peso potessero innescare una corsa agli sportelli. Di conseguenza ha mantenuto la maggior parte dei controlli del cepo, riconoscendo che il passaggio da un modello interventista a uno liberale doveva essere graduale.

Lunedì la lunga corsa di Milei si è conclusa con l'annuncio da parte dell'amministrazione dell'abrogazione del cepo. L'annuncio è arrivato subito dopo gli accordi che hanno visto l'Argentina rafforzare le riserve attraverso accordi con il Fondo monetario internazionale, la Cina (uno swap da $5 miliardi) e altre istituzioni internazionali, per un totale di circa $28 miliardi. Ciò ha permesso l'eliminazione del cepo per i privati ​​e l'attuazione di un sistema di cambio fluttuante, con una fascia di oscillazione tra 1.000 e 1.400 pesos per dollaro.

Con pazienza, Milei è sfuggito alla trappola monetaria dell'Argentina. Non è un'impresa da poco.

Milei ha ereditato una situazione macroeconomica di gran lunga peggiore di quella dei suoi predecessori, una situazione che richiedeva un approccio graduale nonostante la pressione ideologica. Prima di eliminare il cepo, Milei ha dovuto svalutare il peso, fissare il sistema di passività e di emissione monetaria della banca centrale, attuare deregolamentazioni e tagliare la spesa pubblica, altrimenti avrebbe avuto la stessa miserabile sorte dell'ex-presidente Macri. Solo una volta che le riserve fossero state sufficienti a impedire una corsa agli sportelli, i controlli sulla valuta avrebbero potuto essere revocati.

È anche importante tenere presente che Milei governa con una base parlamentare fragile e frammentata. Il Presidente argentino ha dovuto affrontare la sfida di bilanciare la coerenza ideologica con la responsabilità istituzionale e le dure, ma necessarie, realtà del negoziato politico.

Il successo di Milei ci ricorda che il gradualismo non è incompatibile con la responsabilità istituzionale. Da una gestione attenta di queste forze, la via verso la libertà economica emergerà non come un ideale retorico, ma come l'unica via credibile verso una prosperità e una stabilità durature.

La situazione difficile di Milei è necessaria solo dopo che il Paese, un tempo considerato uno dei più ricchi al mondo, è sprofondato in una profonda instabilità economica, povertà e decadenza, un monito per gli americani. La ricchezza si crea, non è garantita e può essere distrutta da cattive politiche economiche.

Una guerra commerciale derivante da protezionismo, spesa eccessiva e cattiva gestione della massa monetaria sono tutte strade che portano allo stesso destino precedente dell'Argentina.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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martedì 10 giugno 2025

Freedonia celebra 15 anni di buone letture

 

 

di Francesco Simoncelli

(Versione audio dell'articolo disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/freedonia-celebra-15-anni-di-buone)

Come ogni 10 giugno questo spazio divulgativo si ferma un attimo e parla di sé stesso. In particolar modo oggi, che sono passati esattamente 15 anni dalla sua nascita. Era il 10 giugno 2010 e Francesco Simoncelli's Freedonia ha una storia che per i tempi del web possiamo definire molto lunga, o perlomeno non so quante attività come la mia sono nate nel 2010 e sono sopravvissute fino a oggi... temo molto poche, pochissime. Il mio blog è uno di questi e oltre a essere sopravvissuto alla prova del tempo ha goduto anche di un relativo successo. Inutile dire che ha dovuto anche evolversi: nato come esercizio didattico e di semplificazione delle dinamiche economiche, ha integrato nella sua esposizione sempre più temi per offrire una panoramica più ampia degli accadimenti del mondo. L'esordio su carta stampata ha segnato questo passaggio, quando nel 2015 ho pubblicato il mio primo manoscritto: L'economia è un gioco da ragazzi. Ci sarebbero voluti altri 5 anni prima che pubblicassi il seguito di questo percorso incentrato sulla condensazione della teoria alla base delle pubblicazioni giornaliere del blog, ma infine avrebbe visto la luce con La fine delle fallacie economiche. Infine, quella che potremmo definire maturazione del progetto, è arrivata l'anno scorso quando ho pubblicato l'ultimo tassello di quella che è diventata a tutti gli effetti una trilogia: Il Grande Default. Nel mezzo, però, ci sono stati altri testi che hanno rispecchiato la caratteristica fondante della mia opera divulgativa: tradurre quegli articoli che tra di loro intessono un fil rouge e guidano il lettore lungo la via migliore per comprendere i fenomeni del mondo economico/geopolitico, eliminando quanto più possibile il rumore di fondo. Ed è così che hanno preso vita traduzioni di libri come L'economia cristiana in una lezione, Avanzamento e declino della società e La radice di tutti i mali economici.

Ma non mi sono fermato solo alla teoria, perché sapevo che con la crescita della mia esperienza “sul campo” e della consapevolezza acquisita potevo allargare la mia proposta di valore anche dal lato pratico. Ed è così che è nato il servizio di consulenza del blog, grazie al quale coloro che ne hanno usufruito hanno potuto accedere a una serie di consigli strategici in materia di asset allocation e diversificazione di portafoglio. Analizzando i mercati o i singoli asset, chi prenota una consulenza può accedere a informazioni aggiuntive con le quali migliorare il proprio processo decisionale nella navigazione di mercati volatili e, nel futuro prossimo, alquanto turbolenti. In fin dei conti è quanto ci suggeriva Hayek quando scrisse il suo meraviglioso saggio The Use of Knowledge in Society: il processo imprenditoriale aumenta la sua capacità di successo grazie a un maggiore accesso a input d'informazione di qualità, sta poi all'imprenditore (essere umano agente) ricostruire un mosaico coerente e chiaro in base al proprio set di valori ed esigenze. Infatti il vantaggio competitivo che una persona può avere su un'altra è esattamente questo: l'accesso a un bacino di informazioni di qualità superiore con cui migliorare il proprio benessere in anticipo sugli altri.

Infine, la novità più fresca che ha caratterizzato l'offerta di servizi del blog è rappresentata dai cosiddetti “Audioarticoli”. Dall'anno scorso, infatti, è possibile ascoltare le varie pubblicazioni giornaliere sottoscrivendo un abbonamento alla mia pagina su Substack e, di conseguenza, efficientare il proprio tempo. Oltre a una serie di privilegi per i 3 livelli di abbonamento proposti, il principio grazie al quale ho deciso di avviare questa attività collaterale è esattamente quello di far risparmiare tempo ai lettori. L'efficienza di quest'ultimo è uno dei cardini degli insegnamenti della Scuola Austriaca e comprenderne l'importanza come stock di capitale è un esercizio tanto facile (all'apparenza) quanto difficile (nella pratica). E non è un caso che la scuola non insegni niente del genere in merito al tempo. I benefici del risparmio sono imprescindibili nella costruzione di una società prospera e solida, al contempo il beneficio del risparmio del tempo è imprescindibile nella costruzione di un benessere individuale duraturo e proficuo. Ascoltando i suggerimenti che nel corso degli anni sono arrivati dai lettori, lo sviluppo della tecnologia ha permesso l'accesso a questo tipo di soluzione per tutti coloro che non hanno spazio nella loro vita per la lettura e vogliono ricorrere all'economia di scala se possono: ovvero, viaggiare e al contempo ascoltare un podcast ad esempio.

Una cosa ha sempre accompagnato Freedonia, che è rimasto un luogo, per quanto sia cambiato nel tempo, sempre e comunque fedele a sé stesso: esso è e sarà sempre il mio punto di vista sul mondo, con quello che io vedo nel mondo e come io lo vedo rispetto alla realtà circostante. Ed è stato questo, sostanzialmente, il motore che ha fatto e fa ancora girare la macchina Freedonia: finché quello che mi piace fare mi permette di avere un sufficiente numero di sostenitori, abbonati e filantropi da mandarlo avanti, io resterò ancora qui.

Se poi volete usare altri metodi per contribuire attivamente al sostegno di Freedonia, ecco altre soluzioni:

Paypal: paypal.me/FrancescoSimoncelli

• BTC:   3MEeiTcYNMxJJVCo1zNu5DCxWeSgDauA1D

• BCH:  3KkfrKTRqVSFUHJbz5MUNaPRsb1geWDAc7

• LTC:   MG4X6Qn3tFvBsrzangaiZBR9Rg7GqoxXqu 


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lunedì 9 giugno 2025

Il problema col globalismo forzato

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di Jeffrey Tucker

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/il-problema-col-globalismo-forzato)

Per anni ho continuato a usare il termine globalismo con approvazione, perché la cooperazione internazionale è una cosa positiva. Viaggiare è meraviglioso, così come lo è la libertà di commerciare e migrare. Come ha fatto la pratica della libertà, che si estende oltre i confini giuridici nazionali, a essere così detestata e denigrata?

Dietro c'è una storia complessa che parla di intrecci tra stati, industria, finanza, strutture governative sovranazionali e del controllo di un gruppo di persone sopra i sistemi.

L'esperienza del Covid ha rivelato tutto. La risposta è stata globale: quasi tutte le nazioni hanno adottato misure di lockdown allo stesso modo, più o meno nello stesso periodo, applicando gli stessi protocolli e adottando le stesse misure (più o meno).

L'Organizzazione mondiale della sanità sembrava dettare legge, con le agenzie sanitarie pubbliche nazionali che si sono disinteressate di ogni questione. Il virus stesso sembrava essere emerso dall'interno di una struttura di ricerca multilaterale sui patogeni e sulle possibili contromisure farmaceutiche.

Inoltre le banche centrali di tutto il mondo hanno collaborato per finanziare la risposta politica, stampando moneta come mai prima per fermare il collasso economico dovuto alle chiusure forzate. Nazioni come Svezia e Nicaragua, che hanno seguito la propria strada, sono state demonizzate dai media di tutto il mondo esattamente allo stesso modo.

I legislatori nazionali non hanno avuto alcun ruolo nei lockdown iniziali; sono stati esclusi dal processo decisionale. Ciò significa che anche i cittadini che li avevano eletti sono stati privati ​​del loro diritto di voto. Nessuno ha votato per la distanza di sicurezza, la chiusura delle attività commerciali e gli obblighi di vaccinazione. Sono stati imposti da editti amministrativi e i sistemi giudiziari non li hanno fermati.

La democrazia come idea, così come lo stato di diritto, sono morti in quei mesi e anni, rimettendosi sempre alle istituzioni globali e ai sistemi finanziari che hanno assunto di fatto il controllo del pianeta. È stata la più sorprendente dimostrazione di potere universale nella storia.

Visti i risultati, non sorprende affatto vedere la reazione negativa, che si è concentrata sulla riaffermazione dei diritti delle nazioni e dei loro cittadini.

Molti difensori della libertà (di destra e di sinistra) sono spesso a disagio con l'ethos di questa reazione e si chiedono se e in quale misura esista un valido precedente storico per rivendicare la sovranità in nome della libertà.

Sono qui per affermare che un tale precedente esiste, un episodio storico quasi completamente dimenticato.

È noto che l'accordo di Bretton Woods del 1944 includeva parti che riguardavano il saldo monetario internazionale (il gold exchange standard) e il sistema bancario (Fondo monetario internazionale e Banca mondiale). Molti conoscono anche l'Accordo generale sulle tariffe doganali e il commercio (1948).

Quello che non è noto è che il GATT era una posizione di ripiego. La bozza originale di Bretton Woods includeva un'Organizzazione internazionale per il commercio (OIC) che avrebbe dovuto essere autorizzata a gestire tutti i flussi commerciali globali. Fu redatto nel 1944 e codificato nella Carta dell'Avana del 1948. All'epoca i principali governi e le grandi aziende si impegnarono a ratificare questo accordo come trattato.

L'Organizzazione internazionale per il commercio avrebbe dovuto governare il mondo, con gli oligarchi che ne avrebbero preso il controllo in nome della globalizzazione.

Fu messo da parte... perché? Non a causa dell'opposizione di protezionisti e mercantilisti. I principali oppositori dell'Organizzazione internazionale per il commercio erano infatti liberisti e libertari. La campagna per smantellare il trattato fu guidata dall'economista franco-americano Philip Cortney e dal suo libro di grande successo intitolato The Economic Munich (1949).

“La Carta dell'Organizzazione internazionale per il commercio è un monumento alle illusioni”, scrisse, “un sogno burocratico che ignora la dura realtà delle economie nazionali. Promette il libero scambio ma impone vincoli, costringendo le nazioni a regole che non possono piegarsi alle tempeste dell'inflazione o della scarsità”.

Lui e altri nella sua orbita potevano individuare in quella Carta non la mano della libertà, bensì la pianificazione centralizzata, il corporativismo, l'inflazionismo, la pianificazione fiscale, la politica industriale e il commercio controllato – in breve, quello che oggi viene chiamato globalismo. Era fermamente contrario, proprio perché credeva che avrebbe fatto arretrare la legittima causa del libero scambio e avrebbe sommerso la sovranità nazionale sotto una palude burocratica.

Le obiezioni che aveva erano molte, ma tra queste c'erano quelle incentrate su questioni di saldo monetario. Le nazioni sarebbero state vincolate a un sistema tariffario senza alcuna flessibilità per adeguare i valori delle valute in base ai flussi commerciali. Credeva che l'Organizzazione internazionale per il commercio comportasse un rischio reale, che le nazioni non avessero la capacità di adattarsi alle variazioni dei tassi di cambio o ad altre specificità di tempo e luogo. Sebbene la Carta sembrasse promuovere il libero scambio, Cortney credeva che alla fine lo avrebbe indebolito.

Riteneva inoltre che se le nazioni avessero aperto le loro economie alla concorrenza internazionale da ogni angolo del mondo, ciò avrebbe dovuto essere fatto in modo coerente con la governance democratica e i plebisciti nazionali. Un governo globale dal pugno di ferro che imponesse un tale regime avrebbe contraddetto l'intera storia delle posizioni contrarie al mercantilismo e probabilmente sarebbe stato sfruttato dalle grandi aziende e dalla finanza per manipolare il sistema a proprio vantaggio.

Ciò che colpisce di questa argomentazione è che proveniva da un punto di vista liberale/libertario che favoriva i metodi tradizionali per ottenere il libero scambio, opponendosi a quelli che oggi verrebbero definiti mezzi globalisti per ottenerlo.

Infatti Ludwig von Mises disse di quel libro: “La sua brillante critica espone spietatamente le fallacie delle dottrine e delle politiche economiche ufficiali contemporanee. Le tesi principali nel suo saggio sono inconfutabili. Sopravviverà a quest'epoca di futilità politica e sarà letto e riletto come un classico della libertà economica, al pari delle opere di Cobden e Bastiat”.

Fu Cortney, insieme ai suoi compatrioti ideologici nel mondo degli affari e della scrittura editoriale, a silurare la Carta dell'Avana e a gettare l'Organizzazione internazionale per il commercio nel dimenticatoio della storia.

Per essere chiari, il rifiuto nei confronti di tale organizzazione non fu il risultato dell'attivismo di reazionari, socialisti, protezionisti o persino nazionalisti economici. Fu respinta da convinti sostenitori del liberalismo economico, del libero scambio e degli interessi commerciali dominati dalle piccole e medie imprese che temevano di essere inghiottite dal pantano globalista.

Queste persone diffidavano della burocrazia in generale e della burocrazia globale in particolare. Quella era una generazione di principi, e all'epoca erano ben consapevoli di come qualcosa potesse sembrare fantastico a parole ma essere orribile nella realtà. Non si fidavano della banda al potere in quei giorni affinché elaborasse un accordo commerciale sostenibile per il mondo.

Il rifiuto dell'Organizzazione internazionale per il commercio è il motivo per cui siamo arrivati ​​all'Accordo Generale sulle Tariffe e il Commercio. Era generale, nel senso che non era una legge consolidata; era un accordo, il che significava che nessuna nazione sarebbe stata costretta a violare i propri interessi; riguardava i dazi, ma non tentava una grande strategia per livellare tutte le valutazioni monetarie; era informale e non formale, decentralizzato e non centralizzato.

Il GATT prevalse fino al 1995, quando l'Organizzazione mondiale del commercio fu imposta sotto un'enorme pressione da parte dei media e delle grandi aziende. Fu una rinascita della vecchia Organizzazione internazionale per il commercio. A quel punto i sostenitori del libero mercato avevano perso la loro sofisticatezza e si erano schierati a favore della nuova agenzia globale. Quasi a confermare la previsione di Cortney, l'Organizzazione mondiale del commercio è ormai diventata obsoleta, capro espiatorio per la stagnazione economica, la deindustrializzazione, gli squilibri monetari e i conti esteri instabili, coperti da riserve estere di asset denominati in dollari.

Ora ci troviamo di fronte a una reazione violenta, sotto forma di politiche mercantiliste grossolane che si stanno abbattendo con furia. L'America è stata la destinazione di enormi quantità di prodotti provenienti dalla Cina, ora bloccate da dazi elevati. Con straordinaria ironia, il New York Times avverte che un dirottamento delle merci dagli Stati Uniti all'Europa potrebbe “portare a uno scenario rischioso per i Paesi europei: il dumping di prodotti artificialmente a basso costo che potrebbe minare le industrie locali”.

Immaginate un po'!

L'equilibrio tra sovranità nazionale e libertà stessa è delicato. Generazioni di intellettuali lo sapevano e si sono guardati bene dal rovesciare l'una per sostenere l'altra. Separare definitivamente le strutture di governo dal controllo dei cittadini, anche solo attraverso un plebiscito periodico, rischia il disastro persino su temi come il commercio, per non parlare della ricerca sulle malattie infettive e sui virus.

Così è arrivata la rivolta, esattamente come aveva previsto Philip Cortney.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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venerdì 6 giugno 2025

Ingegnerizzare la realtà (Parte #2)

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Joshua Stylman

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/ingegnerizzare-la-realta-parte-2)

Catturare la controcultura

Nella Prima parte abbiamo tracciato lo sviluppo delle strutture di controllo dai monopoli fisici di Edison alle operazioni psicologiche del Tavistock, assistendo a come interessi aziendali, bancari e agenzie di intelligence convergessero per plasmare la coscienza pubblica. Ora vedremo come questi metodi raggiunsero una nuova sofisticazione nella cultura popolare, a partire dalla British invasion degli anni '60, che dimostrò come movimenti musicali accuratamente orchestrati potessero rimodellare la società.

I Beatles e i Rolling Stones non erano solo delle band: come ha ampiamente documentato il ricercatore Mike Williams nella sua analisi della British invasion, la loro comparsa segnò l'inizio di una trasformazione culturale sistematica e profonda. Williams osserva che persino il termine stesso “British Invasion” era rivelatore: una metafora militare per quello che apparentemente era un fenomeno culturale, forse un modo per annunciare apertamente l'operazione del Tavistock. Quello che sembrava un giocoso linguaggio di marketing descriveva in realtà un'infiltrazione attentamente orchestrata nella cultura giovanile americana. Attraverso centinaia di ore di ricerca meticolosamente documentata, Williams costruisce una tesi schiacciante secondo cui i Beatles furono la punta di diamante di un programma più ampio che utilizzava album come Sgt. Pepper e Their Satanic Majesties Request dei Rolling Stones per allontanare deliberatamente la cultura giovanile dai valori tradizionali e dalle strutture familiari. Ciò che sembra insipido per gli standard odierni rappresentava un attacco calcolato alle norme sociali, dando inizio a una trasformazione culturale che si sarebbe accelerata nei decenni successivi.

La ricerca di Williams va oltre, presentando prove convincenti del fatto che i Beatles furono essenzialmente la prima “boy band” moderna: la loro immagine era attentamente costruita, la loro musica in gran parte scritta ed eseguita da altri. Questa rivelazione trasforma la nostra comprensione della British invasion: quello che sembrava un fenomeno culturale organico era in realtà un'operazione meticolosamente orchestrata, con musicisti e cantautori professionisti dietro le quinte, mentre i Beatles fungevano da attraenti frontmen per l'imponente progetto di ingegneria sociale.

Da appassionato di musica di lunga data e devoto dei Beatles, affrontare questa evidenza inizialmente mi è sembrato un sacrilegio. Ciononostante il modello diventa innegabile una volta che lo si vede per quello che è. Mentre il dibattito continua su dettagli specifici come il presunto coinvolgimento di Theodor Adorno, esponente della Scuola di Francoforte, nella creazione delle canzoni dei Beatles – un'affermazione che ha sia sostenitori che critici – ciò che è chiaro è che l'operazione portava tutti i tratti distintivi della metodologia di ingegneria sociale del Tavistock.

La deliberata creazione di una dialettica “bravi ragazzi/cattivi ragazzi” (Beatles/Rolling Stones) offriva scelte controllate e permetteva a “entrambe le parti” di promuovere esattamente gli stessi cambiamenti culturali desiderati. Andrew Loog Oldham costruì magistralmente l'immagine di “cattivi ragazzi” degli Stones utilizzando tecniche di pubbliche relazioni che ricordano i metodi di Edward Bernays (il “padre delle pubbliche relazioni”, pioniere della manipolazione psicologica di massa), creando desiderio attraverso l'intuizione psicologica e trasformando la ribellione culturale in una merce commerciabile. Come lo stesso Oldham riconobbe nella sua autobiografia, non vendeva solo musica, ma “ribellione, anarchia e sex appeal racchiusi in un unico pacchetto”, creando deliberatamente un mito in cui il pubblico potesse credere. La sua sofisticata comprensione del branding culturale e della psicologia di massa rifletteva i più ampi metodi di influenza che stavano rimodellando i media e l'opinione pubblica in quel periodo.

Dietro la personalità ribelle di Mick Jagger si celava una formazione alla London School of Economics, a suggerire un insider con una comprensione più profonda dei sistemi di potere. Questo assiduo sviluppo dell'immagine si estese alla cerchia ristretta degli artisti, in particolare alla fidanzata di Jagger, Marianne Faithfull, a sua volta cantante di successo e socialite, il cui padre era un agente dell'MI6 che interrogò Heinrich Himmler e il cui nonno materno aveva origini asburgiche. Le finanze degli Stones erano gestite dal principe Rupert Loewenstein, un aristocratico bavarese e banchiere privato la cui nobile discendenza e i cui circoli finanziari si intersecavano con la dinastia Rothschild – un altro esempio di figure dell'establishment dietro movimenti apparentemente anti-establishment.

Persino l'etichetta discografica stessa si adattava a questo schema: la EMI (Electric and Musical Industries), che firmò sia i Beatles che i Rolling Stones, nacque come azienda di elettronica militare. Durante la Seconda Guerra Mondiale la ricerca e lo sviluppo della EMI contribuirono in modo significativo al programma radar britannico e ad altre tecnologie militari. Questa fusione di interessi militare-industriali con la produzione culturale non fu una coincidenza: le competenze tecniche della EMI in elettronica e comunicazioni si sarebbero rivelate preziose sia in ambito bellico che nella distribuzione di massa di contenuti culturali.

Questi esperimenti britannici di controllo culturale, attentamente gestiti, avrebbero presto trovato il loro laboratorio perfetto in America, dove un'improbabile convergenza avrebbe rimodellato per sempre la cultura giovanile e l'unità della famiglia. La Gran Bretagna aveva sperimentato questi metodi di orchestrazione culturale attraverso la musica, integrando i legami dell'intelligence nella British Invasion, ma l'America avrebbe perfezionato e portato queste tecniche a livelli senza precedenti.


Il laboratorio di Laurel Canyon

Sulle colline sopra Hollywood, tra il 1965 e il 1975, come documentò per la prima volta il giornalista Dave McGowan, si verificò un fenomeno straordinario: l'emergere di una nuova scena musicale incentrata a Laurel Canyon, dove un'improbabile concentrazione di legami familiari tra militari e intelligence confluì per rimodellare la cultura giovanile americana. Questa convergenza non fu casuale: mentre il sentimento anti-guerra si rafforzava negli ambienti accademici, questo nesso tra militari e intelligence contribuì a reindirizzare la potenziale resistenza verso una controcultura satura di droga, incentrata sul “ritiro” piuttosto che sull'opposizione organizzata alla guerra.

I legami tra militari e intelligence all'interno di Laurel Canyon erano impressionanti.

• Il padre di Jim Morrison comandò la flotta durante l'incidente del Golfo del Tonchino che diede inizio alla guerra del Vietnam.

• Il padre di Frank Zappa era uno specialista di guerra chimica all'Edgewood Arsenal, un importante sito di ricerca sulla sperimentazione umana.

• David Crosby, rampollo dei Van Cortlandt e dei Van Rensselaer – membri della famiglia reale americana – discendeva da una stirpe di potere politico che includeva senatori, giudici della Corte Suprema e generali rivoluzionari.

• James Taylor, discendente dei coloni della Massachusetts Bay Colony, crebbe in una famiglia plasmata dal mondo accademico e dal servizio militare, incluso il ruolo del padre nell'Operazione Deep Freeze in Antartide.

• Sharon Tate, figlia del tenente colonnello Paul Tate, ufficiale dell'intelligence dell'esercito, frequentò questi ambienti prima di morire.

• Dennis Hopper, il cui padre era un agente dell'OSS, diresse Easy Rider con Peter Fonda, confezionando la ribellione della controcultura per il consumo mainstream.

La trasformazione fu sistematica: dall'ottimismo e dall'unità del dopoguerra incarnati dalla New Frontier di JFK alla frammentazione calcolata che seguì il suo assassinio. Questo trauma pubblico e di massa, perfettamente in linea con i metodi di ingegneria sociale del Tavistock basati sullo shock psicologico, segnò la fine del genuino ottimismo. I boomer, cresciuti in una prosperità senza precedenti e ispirati dalla visione di Kennedy di una Nuova frontiera, videro il loro potenziale per un'autentica trasformazione sociale e politica reindirizzato in movimenti culturali accuratamente elaborati che avrebbero plasmato le generazioni successive. Queste connessioni pervasive tra figure dell'intelligence militare e leader della controcultura – dall'ammiraglio padre di Morrison al genitore di Zappa, specialista in guerra chimica, alla dinastia politica di Crosby – rivelano uno schema chiaro: la sistematica cooptazione della cultura giovanile da parte dei poteri istituzionali.

Il momento in cui il Laurel Canyon emerse come centro della controcultura coincise con gli anni di massimo splendore del programma di controllo mentale MK-Ultra della CIA. Non fu una coincidenza. Le stesse organizzazioni che sperimentavano il controllo della coscienza attraverso metodi chimici, come l'LSD, si stavano contemporaneamente integrando negli sforzi di programmazione culturale. La convergenza di queste strategie a Laurel Canyon gettò le basi per quella che sarebbe presto diventata la fusione su vasta scala di musica e sostanze psichedeliche: uno sforzo calcolato per contrastare la resistenza politica che stava sorgendo spontaneamente, incanalandola in un movimento incentrato sulla trascendenza personale piuttosto che su un'azione collettiva efficace.


Programmare la rivoluzione

Basandosi sulle basi psicologiche e culturali stabilite a Laurel Canyon, la fusione di musica e sostanze psichedeliche segnò l'apice della manipolazione della coscienza. Questa fase di programmazione culturale di massa reindirizzò strategicamente la resistenza politica verso canali culturali gestiti artificialmente, allontanando il dissenso dai movimenti organizzati e indirizzandolo verso un'astinenza frammentata e alimentata dalla droga.

Persino i Grateful Dead, la quintessenza della controcultura californiana, che coltivarono un seguito devoto e che definì la ricerca di comunità e significato di una generazione, erano intrinsecamente legati a meccanismi di controllo sociale. Il loro manager, Alan Trist, non era solo il figlio del fondatore del Tavistock, Eric Trist, ma era anche presente all'incidente d'auto in cui perse la vita l'amico d'infanzia di Jerry Garcia, Paul Speegle, una tragedia che spinse Garcia a formare la band. Il legame militare di Garcia aggiunge un ulteriore livello di intrigo: dopo aver rubato l'auto della madre nel 1960, gli fu offerta la scelta tra il carcere e il servizio militare. Nonostante le ripetute assenze ingiustificate da Fort Ord e dal Presidio di San Francisco, Garcia ricevette solo un congedo generale, un esito insolitamente clemente che solleva interrogativi sui potenziali legami ufficiali. Nel frattempo il paroliere della band, Robert Hunter, partecipò a esperimenti con l'LSD finanziati dal governo federale, legati alla più ampia ricerca psichedelica dell'epoca. Come house band dei Merry Pranksters, anch'essi legati alla CIA, i Grateful Dead giocarono un ruolo chiave nel guidare il sentimento anti-guerra verso la ritirata psichedelica, allineando la controcultura a programmi sponsorizzati dallo stato in modi che meritano un esame più approfondito.

Questo allineamento tra interessi della controcultura e dell'establishment si dimostrò incredibilmente efficace. Mentre il sentimento pacifista si rafforzava nei circoli accademici – dove una vera resistenza poteva minacciare il potere costituito – l'emergere del movimento hippie reindirizzò l'opposizione verso una controcultura giovanile satura di droghe e focalizzata sull'evasione piuttosto che sulla resistenza organizzata. Con l'intensificarsi delle operazioni della macchina bellica in Vietnam, i giovani americani furono guidati verso la dissoluzione culturale – una formula perfetta per neutralizzare movimenti pacifisti significativi. Lo stesso complesso militare-intelligence che aveva guidato la guerra stava simultaneamente plasmando la cultura che avrebbe impedito un'efficace resistenza ad essa.

Il ruolo di Timothy Leary in questa trasformazione fu cruciale. Prima di diventare la voce più influente del movimento psichedelico, era stato un cadetto a West Point e in seguito avrebbe prestato servizio come informatore dell'FBI. La sua difesa delle sostanze psichedeliche emerse parallelamente all'esplorazione, da parte della CIA, di sostanze come l'LSD durante l'era MK-Ultra. John Lennon rifletté in seguito su questa confluenza con pungente ironia: “Dobbiamo sempre ricordare di ringraziare la CIA e l'Esercito per l'LSD. È questo che la gente dimentica... Hanno inventato l'LSD per controllare le persone e quello che hanno fatto è stato darci la libertà”. Questo apparente ritorno di fiamma del programma mascherò un successo più profondo: smantellare la potenziale resistenza attraverso la promozione del disimpegno chimico. Diffondendo il mantra “accendi, sintonizzati, abbandonati”, Leary portò avanti questo programma. Un tale riorientamento non solo frammentò l'opposizione giovanile, ma indebolì anche i loro legami con i sistemi di supporto tradizionali come la famiglia e la comunità – esattamente il tipo di atomizzazione sociale che avrebbe reso più facile il controllo futuro.

La sovrapposizione tra la ricerca sull'LSD finanziata dal governo federale e la scena musicale emergente era tutt'altro che casuale. Mentre MK-Ultra esplorava metodi chimici per il controllo della coscienza, l'industria musicale stava contemporaneamente perfezionando metodi culturali, con band come i Grateful Dead che collegavano entrambi i mondi attraverso i loro legami con gli esperimenti sull'LSD finanziati dal governo federale e la controcultura in rapida ascesa.


Reindirizzare la resistenza

I modelli di collegamento tra la leadership governativa e i movimenti musicali non si limitavano all'era psichedelica. Con l'evoluzione della musica popolare attraverso nuovi generi e decenni, le stesse relazioni di fondo continuano a esistere tra l'establishment e l'influenza culturale.

Nella scena hardcore punk figure come Ian MacKaye (Minor Threat, Fugazi), il cui padre faceva parte del White House Press Corps ed era presente all'assassinio di JFK, sarebbero diventate quelle più indipendenti, aprendo la strada all'etica del fai da te attraverso la sua etichetta Dischord Records. I suoi legami con l'establishment risalivano a molto prima: suo nonno Milton MacKaye era un giornalista e dirigente dell'Office of War Information. Il suo approccio autonomo sembrava resistere al sistema, eppure i suoi legami con l'establishment evidenziano un modello più ampio. Lo stesso nel rock alternativo: il padre di Dave Grohl fu assistente speciale del senatore Robert Taft Jr. durante l'amministrazione Reagan. Madonna, divenuta la pop star per eccellenza degli anni '80, è figlia di Tony Ciccone, un ingegnere che lavorava a progetti militari per Chrysler Defense e General Dynamics Land Systems.

Avere genitori coinvolti in attività governative, di difesa o di intelligence non implica necessariamente che questi artisti abbiano commesso illeciti; tuttavia questi esempi rappresentano solo una minima parte dei legami documentati tra figure della controcultura e strutture di potere. Il modello si estende attraverso decenni e generi, con centinaia di casi simili che suggeriscono non una coincidenza ma un disegno sistematico: dai musicisti jazz sostenuti da famiglie di banchieri ai punk rocker con legami con il governo, fino alle pop star provenienti da famiglie dell'industria della difesa. Questi legami pervasivi sollevano interrogativi sul rapporto tra potere della classe dirigente e influenza culturale.

Forse nessuna famiglia esemplifica meglio la fusione tra operazioni di intelligence e produzione culturale dei Copeland. Miles Copeland Jr., che contribuì a fondare la CIA e orchestrò colpi di stato in tutto il Medio Oriente, ha descritto nel dettaglio le strategie psicologiche alla base di questa integrazione nel suo libro The Game of Nations. In questo testo Copeland delineò esplicitamente la metodologia di manipolazione che avrebbe plasmato sia le operazioni di intelligence che la cultura popolare: “Nel mondo delle operazioni segrete, nulla è ciò che appare. La chiave non è solo controllare le azioni, ma controllare la percezione delle azioni”.

Suo figlio Miles Copeland III divenne una figura chiave nell'industria musicale, gestendo gruppi influenti come i Police (con il fratello Stewart come batterista) e fondando la I.R.S. Records. Attraverso quest'ultima, Copeland avrebbe plasmato l'ascesa della musica alternativa nel mainstream, gestendo gruppi come i R.E.M., guidati da Michael Stipe, un altro figlio di militari. I Copeland rappresentano un un ponte tra operazioni segrete e produzione culturale, cosa che dimostra come le metodologie di intelligence si siano evolute dall'intervento diretto all'influenza sottile attraverso l'intrattenimento. Il loro successo nel fondere il fascino della controcultura con la redditività commerciale è diventato un modello per la futura creazione di narrative ufficiali.

Questo modello di ingegneria culturale segue principi storicamente coerenti. Artisti e movimenti allineati con obiettivi di intelligence ricevono una promozione senza freni, mentre la vera resistenza subisce la soppressione o l'eliminazione. La tragica fine di personaggi come Phil Ochs e John Lennon, entrambi sotto la documentata sorveglianza dell'FBI per le loro minacce dirette al potere statale, contrasta notevolmente con le traiettorie di carriera di coloro che hanno presentato la ribellione entro limiti più convenzionali.


Ingegnerizzare il genere

Sebbene la musica si sia rivelata il laboratorio perfetto per testare il controllo della coscienza di massa, questi metodi si sarebbero presto estesi ben oltre l'intrattenimento. In nessun luogo ciò fu più evidente che nella deliberata riorganizzazione dei ruoli di genere e delle strutture familiari, con l'obiettivo di rimodellare gli aspetti intimi dell'identità e delle relazioni umane.

La calibrazione strategica delle narrazioni femministe emerse come un esempio particolarmente significativo, con le agenzie di intelligence che plasmavano attivamente le politiche di genere attraverso i media e l'attivismo organizzato. Gloria Steinem, che ha ammesso di aver lavorato con organizzazioni finanziate dalla CIA come l'Independent Research Service durante gli anni '50 e '60, esemplifica questa intersezione. La sua rivista Ms. Magazine, inaugurata nel 1972, fondeva ideali femministi con messaggi attentamente curati, mentre la Steinem in seguito ammise di aver partecipato a eventi finanziati dalla CIA volti a influenzare i movimenti femministi durante la Guerra Fredda.

L'ammissione di Nicholas Rockefeller all'amico Aaron Russo sottolineava come la liberazione femminile fosse strategicamente finanziata per espandere il controllo statale e corporativo, raddoppiando la base imponibile attraverso la partecipazione al mondo del lavoro, indebolendo i legami familiari attraverso l'aumento dei tassi di divorzio e aumentando l'influenza dello stato sui figli attraverso l'assistenza all'infanzia gestita sempre dallo stato.

In quello stesso periodo programmi influenti come That Girl e The Mary Tyler Moore Show contribuirono a normalizzare proprio questi cambiamenti, diffondendo l'archetipo della donna indipendente e concentrata sulla carriera in modi che si allineavano notevolmente con gli obiettivi sistemici.

Questa trasformazione fu capillare. Le riviste femminili passarono da contenuti prevalentemente nazionali a messaggi sempre più incentrati sulla carriera. L'evoluzione di Cosmopolitan sotto la direzione di Helen Gurley Brown negli anni '60 esemplificava questa trasformazione, normalizzando non solo la partecipazione delle donne al mondo del lavoro, ma anche promuovendo la liberazione sessuale al di fuori del matrimonio tradizionale: una duplice agenda che si allineava perfettamente con gli interessi aziendali nell'espansione sia del bacino di lavoro che della base di consumatori.

Questa deliberata definizione dei movimenti di genere si è estesa fino ai giorni nostri, con il Tavistock Institute che continua a plasmare le narrazioni moderne. Dallo spostamento delle riviste femminili verso messaggi di carriera negli anni '60 all'incessante promozione odierna di narrazioni sul genere, questi movimenti si allineano costantemente con obiettivi guidati da un'agenda ben precisa.


Mercificazione della resistenza

Le tecniche perfezionate a Laurel Canyon per trasformare la resistenza autentica in prodotti culturali redditizi si sarebbero evolute in quadri di controllo sempre più complessi. Dai pionieristici Grateful Dead nella cultura dei festival ai festival musicali moderni come Coachella, autentici spazi di controcultura sarebbero stati sistematicamente convertiti in imprese commerciali.

Entro gli anni '90 questi metodi si erano evoluti nella sistematica cooptazione della resistenza autentica. Mentre i baby boomer sperimentavano il passaggio dall'ottimismo alla disillusione, la generazione X si trovava di fronte a un meccanismo più raffinato che mercificava l'alienazione stessa. Il percorso di Kurt Cobain da autentica voce del malcontento generazionale a prodotto di MTV ha dimostrato come l'apparato di influenza si fosse evoluto, non più limitandosi a reindirizzare la resistenza, ma trasformandola in prodotti culturali redditizi. Questa mercificazione si è estesa oltre la musica: marchi come Nike hanno trasformato la cultura di strada anti-establishment in campagne di marketing globali attraverso figure come Michael Jordan e Charles Barkley. La cultura “alternativa” dell'epoca divenne talmente tanto commercializzata che emersero centri commerciali come Hot Topic per vendere “ribellione” preconfezionata agli adolescenti di periferia, trasformando i simboli della controcultura in offerte di vendita standardizzate.

Il completo dirottamento delle scene musicali underground dimostra quanto la struttura di potere avesse perfezionato la manipolazione culturale. Proprio come le agenzie di intelligence avevano reindirizzato la controcultura degli anni '60, le aziende svilupparono metodi avanzati per catturare e mercificare la dissidenza organica. Il Vans Warped Tour ha trasformato il punk rock, un tempo autentica espressione di ribellione giovanile, in una piattaforma di marketing aziendale itinerante, completa di palchi sponsorizzati e merchandising brandizzato. Il programma dell'accademia musicale di Red Bull è andato oltre, creando quello che equivale a un sistema di allerta precoce per movimenti culturali potenzialmente destabilizzanti. Identificando in anticipo generi e artisti underground emergenti, è stato possibile reindirizzare l'espressione culturale autentica verso canali commerciali prima che sviluppasse un autentico potenziale rivoluzionario.

Anche le scene più ferocemente indipendenti si sono dimostrate vulnerabili a questo sistema. Le major hanno creato false etichette indipendenti per mantenere la credibilità underground, controllando al contempo la distribuzione. Le compagnie del tabacco hanno preso di mira club e rave specifici, comprendendo che la credibilità subculturale potesse essere convertita in quote di mercato. Il modello stabilito a Laurel Canyon – quello di trasformare la resistenza autentica in prodotti redditizi – si è evoluto in una scienza di cattura culturale.

Proprio come le connessioni dei Grateful Dead col governo federale hanno contribuito a stabilire modelli per spazi culturali controllati, i festival musicali moderni fungono da punti di raccolta dati e laboratori comportamentali. L'evoluzione dagli Acid Tests alle lineup dei festival curate algoritmicamente dimostra quanto profondamente si sia digitalizzato il quadro dell'influenza.


La macchina delle celebrità

L'approccio perfezionato da Gloria Steinem – incanalare autentici movimenti sociali attraverso portavoce attentamente gestiti – si sarebbe evoluto nell'attuale modello meticolosamente elaborato di attivismo delle celebrità.

Questa gestione algoritmica si estende oltre i contenuti, fino al talento stesso, con le piattaforme che determinano sempre più non solo cosa ha successo, ma anche quali voci devono emergere. Il posizionamento strategico degli attivisti famosi dimostra quanto profondamente gli interessi istituzionali siano penetrati nell'intrattenimento. Il coinvolgimento di George Clooney nel Council on Foreign Relations, che prosegue un legame familiare multigenerazionale con il potere iniziato con il giornalismo del padre, Nick Clooney, durante la Guerra Fredda, esemplifica come questi legami tra l'intrattenimento e l'establishment spesso attraversino generazioni. L'evoluzione di Angelina Jolie da ribelle di Hollywood a Inviata Speciale dell'UNHCR esemplifica come l'attrattiva della controcultura possa essere reindirizzata verso obiettivi statali. Analogamente, l'impegno ambientale di Leonardo DiCaprio, promosso attraverso le piattaforme del WEF pur mantenendo uno stile di vita da jet privato, mostra come anche le preoccupazioni legittime vengano plasmate per allinearsi ai quadri elitari. Il modello di interventi in caso di crisi di alto profilo adottato da Sean Penn – dall'uragano Katrina ad Haiti, dal Venezuela di Hugo Chávez alla più recente Ucraina – solleva interrogativi sull'accesso selettivo alle piattaforme. Mentre le celebrità allineate all'establishment ricevono un'amplificazione senza fine, coloro che mettono in discussione le narrazioni ufficiali si ritrovano spesso emarginati o messi a tacere.

Come l'organizzazione femminista di Steinem, sostenuta dalla CIA, l'attivismo delle celebrità moderne spesso si allinea straordinariamente bene con gli obiettivi della classe dirigente. Il percorso da figura della controcultura a voce dell'establishment è diventato un modello replicabile.


Marketing della cultura moderna

Gli equivalenti moderni della programmazione controculturale dimostrano come questi sistemi rimangano altamente efficaci. Dall'industria dell'intrattenimento alle case di moda di lusso, gli ingegneri culturali di oggi creano narrazioni in linea con gli interessi delle élite, sotto la maschera del progresso.

Questo modello di ristrutturazione sociale coordinata si estende a molteplici settori e piattaforme. Il ruolo dell'industria della moda è diventato esplicito attraverso episodi come la controversa campagna del 2022 di Balenciaga, la quale mostrava bambini con immagini di bondage. Mentre l'indignazione pubblica si concentrava sulla controversia immediata, l'incidente ha rivelato come le case di moda spingano sempre più narrazioni su genere, sessualità e norme sociali.

Proprio come gli Stones e i Beatles hanno incanalato la ribellione in forme accettabili, gli architetti culturali di oggi creano una resistenza attentamente calibrata. I temi dell'alienazione di Billie Eilish offrono alla generazione Z uno sbocco commercialmente valido per il malcontento, mentre la sfida di Lizzo agli standard di bellezza convenzionali si allinea con gli interessi aziendali nella promozione di prodotti farmaceutici, prodotti per il benessere e beni di consumo su misura per un pubblico eterogeneo. Anche gli artisti di maggior successo riflettono questi legami con l'establishment: i legami familiari di Taylor Swift con le dinastie bancarie, incluso il ruolo del nonno nella Federal Reserve, dimostrano quanto queste relazioni siano ancora profondamente radicate. Come ha documentato il ricercatore Mike Benz, i materiali di formazione della NATO identificano la Swift come una figura chiave per l'amplificazione del messaggio, rivelando come l'influenza burocratica operi nell'era digitale.


Quando la salute diventa ideologia

La promozione di stili di vita non salutari persegue molteplici scopi sistemici. Una popolazione focalizzata sulla “body positivity” che lotta contro l'obesità e le malattie croniche diventa più redditizia per le aziende farmaceutiche e più dipendente dai sistemi istituzionali.

Questo programma si manifesta nel modo in cui la cattiva salute viene celebrata come progressista e inclusiva. Campagne pubblicitarie e media aziendali descrivono le corporature obese e gli stili di vita non salutari come comportamenti responsabilizzanti e normalizzati che, nella maggior parte dei casi, portano a una cattiva salute a lungo termine. Ad esempio, Cosmopolitan ha pubblicato una copertina a febbraio 2021 con lo slogan “This is Healthy!” accompagnato da immagini di corporature non convenzionali, mentre Nike ha introdotto manichini plus-size nei suoi negozi principali, generando un notevole interesse mediatico. Questi sforzi sono stati celebrati come pietre miliari dell'inclusività, consolidando il movimento della “body positivity” come pietra di paragone culturale.

Allo stesso tempo fitness e allenamento vengono sempre più inquadrati come simboli di estremismo. Articoli di giornale e articoli di opinione collegano la cultura dell'allenamento e la salute fisica a ideologie pericolose, dipingendo la disciplina personale come un indicatore di radicalizzazione politica. Questa narrazione palesemente assurda riformula sottilmente l'esercizio fisico non come benessere e disciplina personale, ma come simbolo di un estremismo di destra.

Questa deliberata inversione rispecchia la distopia di Orwell: la salute diventa dannosa, mentre la cattiva salute diventa virtuosa. Riformulando il benessere fisico e il miglioramento personale come forme di devianza, queste narrazioni distorcono i valori sociali, allineandoli all'autocompiacimento come ideale morale.

I semi di questo cambiamento sono stati piantati durante la pandemia, dove le politiche di sanità pubblica hanno ampiamente ignorato le pratiche di benessere fondamentali. Invece di promuovere il sole, l'esercizio fisico, una corretta alimentazione o la perdita di peso – nonostante l'obesità sia il fattore di rischio più elevato – i messaggi ufficiali enfatizzavano l'isolamento, l'uso delle mascherine e il rispetto delle regole.

Nell'era post-pandemica, questi temi si sono ulteriormente evoluti, riformulando la salute e la disciplina personale non solo come inutili, ma anche come politicamente pericolose.

Il modo in cui vengono trattati salute e fitness rivelano un'agenda calcolata atta a promuovere stili di vita non salutari e a demonizzare la disciplina fisica; il risultato è una popolazione più dipendente e controllabile. Non si tratta di contraddizione, ma di convergenza: entrambi gli approcci allontanano le persone dall'autosufficienza e le spingono verso la dipendenza istituzionale. Non si tratta di una contraddizione casuale, ma di un inganno calcolato: proprio come il Tavistock ha imparato a usare la vulnerabilità psicologica per rimodellare la coscienza, le organizzazioni moderne impiegano narrazioni sulla salute per creare nuove forme di controllo sociale.

Questa sistematica rimodellazione della coscienza sanitaria corre parallela a una trasformazione ancora più ampia: la ridefinizione della cittadinanza e dell'identità nazionale stessa. Proprio come l'attività fisica è stata riformulata come estremismo, le nozioni tradizionali di patriottismo e orgoglio nazionale sarebbero state attentamente ricostruite per servire le strutture di potere. L'industria dell'intrattenimento, avendo perfezionato tecniche per modificare le narrazioni sulla salute, avrebbe impiegato gli stessi metodi per rimodellare la comprensione pubblica della lealtà e dello scopo nazionale.


Dare forma al patriottismo

Dall'industria del fitness a Hollywood, le narrazioni sono elaborate per garantire il rispetto degli ideali sistemici, spesso riecheggiando tattiche sviluppate per la prima volta per rimodellare il sentimento pubblico durante l'era isolazionista di cui abbiamo parlato in precedenza. Proprio come l'acquisizione dei giornali da parte di J. P. Morgan nel 1917 contribuì a inquadrare la riluttante partecipazione dell'America ai conflitti globali come un imperativo morale, le serie televisive, gli show in streaming e i film plasmano la percezione pubblica dell'azione militare, esaltandone la necessità e l'eroismo.

Blockbuster moderni come Top Gun: Maverick dimostrano come gli studios debbano sottoporre le sceneggiature al Dipartimento della Difesa per l'approvazione, con modifiche imposte dalle forze armate necessarie per accedere alle attrezzature essenziali e alle location delle riprese. L'influenza del Pentagono si estende anche oltre, all'universo cinematografico Marvel ad esempio. Captain Marvel ha richiesto ampie revisioni della sceneggiatura per ottenere il supporto militare, trasformando la protagonista da pilota civile a ufficiale dell'aeronautica. Un'analoga supervisione militare ha plasmato Iron Man, con il Pentagono che ha richiesto l'approvazione della sceneggiatura in cambio dell'accesso alle basi e all'equipaggiamento. Non si tratta semplicemente di accordi di product placement: rappresentano un controllo narrativo sistematico al centro dell'intrattenimento moderno. Altri film, come Zero Dark Thirty e Argo, sono stati prodotti in collaborazione diretta con la CIA, promuovendo narrazioni allineate agli interessi militari.

La NFL offre un altro esempio lampante di come i campionati sportivi funzionino come estensioni della rete di intrattenimento, sfruttando narrazioni emozionali per plasmare il sentimento pubblico. Sorvoli militari, tributi dei giocatori ai soldati e pubblicità del Super Bowl sono spesso presentati come celebrazioni organiche dell'orgoglio nazionale. Tuttavia, questi momenti derivano spesso da partnership a pagamento con il Dipartimento della Difesa, confondendo i confini tra il patrimonio autentico e messaggi orchestrati. Proprio come i film di successo esaltano l'azione militare, le leghe sportive normalizzano il legame tra patriottismo e servizio militare, rafforzando narrazioni artificiali sotto le mentite spoglie dell'intrattenimento.

Se è vero che il patriottismo autentico e il rispetto per i militari riflettono autentici valori americani, l'attenta cura delle narrazioni militari da parte dell'industria dell'intrattenimento persegue uno scopo più profondo: normalizzare i perpetui interventi stranieri senza incoraggiare una comprensione più profonda di questi conflitti e delle loro terribili conseguenze. Confondendo il sostegno alle truppe con l'accettazione incondizionata dell'azione militare, questi prodotti culturali creano consenso per impegni che la maggior parte dei cittadini non comprende né discute. La trasformazione di complesse realtà geopolitiche in narrazioni eroiche semplificate contribuisce a garantire l'adesione del pubblico senza la necessaria comprensione.

Persino film apparentemente critici come The Bourne Films e La guerra di Charlie Wilson mescolano realtà e finzione in modi che glorificano sottilmente il lavoro dell'intelligence e delle politiche interventiste. Questa costruzione narrativa garantisce che lo scetticismo nei confronti di queste organizzazioni rimanga limitato, rafforzando un senso di patriottismo legato agli ideali e alle politiche statali.

Oltre a questi esempi cinematografici, l'industria dei videogiochi è diventata un potente strumento per strategie di influenza comportamentale. Franchise come Call of Duty hanno incorporato narrazioni pro-militari nel loro gameplay immersivo, fungendo da strumenti avanzati di reclutamento per le forze armate.

Mentre Hollywood e i videogiochi reclutano il pubblico per la macchina bellica, la musica contemporanea è stata trasformata in un'arma simile agli esempi della diplomazia jazz degli anni '50, della “British invasion” e dei musicisti di Laurel Canyon discussi in precedenza. Ciò è davvero eclatante nell'hip-hop, dove la trasformazione del genere da musica di protesta a “gangsta rap” mette in luce come i potenti si approprino di voci autentiche per allinearle agli stessi interessi aziendali e politici che lavorano attivamente per soggiogarli.


Il profitto delle prigioni

L'ascesa dell'hip-hop negli anni '80 coincise con l'epidemia di crack, un capitolo devastante della storia americana esacerbato dal coinvolgimento della CIA con i ribelli dei Contras in Nicaragua – un legame svelato dal giornalista Gary Webb nella sua rivoluzionaria inchiesta. Quello che era nato come un genere che documentava gli effetti dell'oppressione sistemica e del flagello della droga nelle comunità nere divenne presto mercificato. Le crude narrazioni di sopravvivenza e resistenza si trasformarono in rappresentazioni glamour della cultura della droga, allineandosi perfettamente con gli interessi guidati dall'autorità che perpetuano cicli redditizi di incarcerazione e controllo.

La vera agenda dell'industria musicale diventa esplicita attraverso figure come l'icona dell'hip-hop Ice Cube, che ha rivelato come le etichette discografiche e le carceri private abbiano deliberatamente allineato i loro interessi. “Sembra davvero sospetto”, ha osservato Cube, “che i dischi che escono siano orientati a spingere le persone verso quell'industria carceraria”. La sua affermazione secondo cui “le stesse persone che possiedono le [etichette discografiche] possiedono anche le carceri” ha messo in luce lo sviluppo strategico di contenuti per alimentare i sistemi carcerari.

Come ha spiegato Cube “molte delle canzoni più belle che piacciono alla gente sono realizzate da un gruppo di persone che dice ai rapper cosa dire”, sostituendo l'espressione artistica organica con narrazioni attentamente elaborate. Questo spostamento deliberato ha incanalato rabbia e malcontento in comportamenti autodistruttivi, perpetuando cicli di incarcerazione perfettamente allineati con gli interessi aziendali. Il complesso carcerario-industriale ha dimostrato come il controllo sistemico potesse fondere motivazioni di profitto con la programmazione sociale. Questa fusione di sorveglianza, modificazione comportamentale e coercizione economica sarebbe diventata il modello per il sistema di controllo digitale, in cui gli algoritmi tracciano il comportamento, plasmano le scelte e impongono il rispetto delle regole attraverso sanzioni economiche su scala globale.

Ciò che le etichette discografiche hanno realizzato nell'hip-hop – identificare, reindirizzare e mercificare l'espressione autentica – sarebbe diventato il modello per il controllo digitale. Proprio come i dirigenti hanno imparato a trasformare la cultura di strada in prodotti redditizi, gli algoritmi avrebbero presto automatizzato questo processo su scala globale. La trasformazione dalla protesta a profitto non si è limitata alla musica: è diventato il modello di come ogni forma di resistenza culturale sarebbe stata gestita nell'era digitale.

Nella terza parte vedremo come queste tecniche di controllo culturale siano state automatizzate e perfezionate attraverso i sistemi digitali. I metodi di controllo culturale si sono evoluti da fisici a psicologici, da locali a globali, da manuali ad automatizzati. Ciò che ebbe inizio con i monopoli hardware di Edison e raggiunse il suo apice analogico nella manipolazione della cultura popolare, avrebbe trovato la sua massima espressione nei sistemi digitali. La trasformazione dal controllo meccanico a quello algoritmico rappresenta non solo un'evoluzione tecnologica, ma un salto quantico nella capacità di plasmare la coscienza umana.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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👉 Qui il link alla Prima Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2025/01/ingegnerizzare-la-realta-parte-1.html

👉 Qui il link alla Terza Parte: