giovedì 30 luglio 2015

I costi dell'isteria

Forse Murphy non c'ha fatto tanto caso, ma l'isteria sta anche dilagando per quanto riguarda l'approvazione del TPP. Soprattutto perché è una normativa che viene falsamente affiancata al libero mercato. Nulla di tutto ciò è vero. Il libero mercato ha a che fare con la decentralizzazione, non con accordi centrali stipulati da stati che fanno le loro scelte al di fuori della sfera di mercato, ovvero, ignorando le scelte individuali dei vari attori di mercato. Questi ultimi, infatti, non hanno bisogno del NAFTA, del TPP o di qualsiasi altro accordo partorito da una ristretta cerchia d'individui. Ognuno degli attori di mercato sa quello che vuole e perseguirà quegli obiettivi che ai suoi occhi necessiteranno una soddisfazione più urgente. Non ha alcun interesse a controllare ciò che scambieranno gli altri, non influenza le sue decisioni. Si preoccupa solamente di staccare il miglior accordo al minor prezzo possibile. Gli accordi protezionistici, come il TPP invece, costringono gli individui a conformarsi con standard imposti tenendo artificialmente alti i prezzi. Il TPP, infatti, non è altro che l'ennesimo progetto di controllo degli individui attraverso il monopolio della violenza dello stato. Prima è stata la volta dell'Unione Europea, poi è arrivato il NAFTA e infine il TPP. L'agenda del NWO è piena di programmi per ingessare il mercato e favorire una ristretta cerchia di privilegiati, e il TPP non rappresenta altro che il pinnacolo di questi programmi. Rappresentano una maggiorazione del potere burocratico. Rappresentano un attacco alla libertà. Questo non è libero mercato, questo è protezionismo. E' qualcosa da cui siamo stati messi in guardia più e più volte nel corso della storia.
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di Robert P. Murphy


Supponiamo che il consenso scientifico sul cambiamento climatico abbia ragione. Supponiamo anche, per amor di discussione, che le proiezioni delle Nazioni Unite e del governo degli Stati Uniti siano corrette, e che gli economisti siano in grado di tradurre i dati in proiezioni significative sui costi e sui benefici futuri per le persone.

Nonostante quello che è stato dato in pasto alle persone, la situazione non è affatto triste — e di certo non richiede un intervento statale per evitare gravi danni all'ambiente. In realtà, l'attuazione della politica sbagliata può causare molti più danni di quanti ne possa impedire.

E' comprensibile che le persone non abbiano la minima idea di come stiano realmente le cose per quanto riguarda la politica sui cambiamenti climatici, anche perché gli stessi economisti utilizzano una retorica del tutto fuorviante in questo campo. Per farvi capire cosa intendo, vediamo di parlare di un recente articolo di Noah Smith su Bloomberg, il quale esorta i liberal di sinistra a sostenere l'accordo commerciale Trans-Pacific Partnership (TPP):

Una delle questioni economiche più discusse in questo momento è il Trans-Pacific Partnership (TPP), l'accordo commerciale multilaterale che include la maggior parte dei paesi della regione Asia-Pacifico e gli Stati Uniti. Molte persone, sia qui che all'estero, nutrono un certo sospetto per gli accordi commerciali, mentre di solito gli economisti li supportano. Questa volta, però, la dinamica è un po' diversa — il TPP viene un po' osteggiato da economisti di sinistra come Paul Krugman.

Dato che il mercato americano è già abbastanza liberalizzato, sostiene Krugman [...] un'ulteriore liberalizzazione avrà un effetto esiguo [...]. Di solito io sono più scettico dell'economista medio [...] ma in questo caso sono fortemente pro-TPP. Ci sono troppi buoni argomenti a favore.

L'economista Brad DeLong dell'università di Berkeley ci fornisce alcuni rapidi calcoli, e stima che il TPP aumenterebbe la ricchezza del mondo per un totale di $3,000 miliardi. Anche se questo non rappresenta un grosso ammontare nel grande schema delle cose, è una delle migliori riforme partorite dall'attuale situazione politica. (Enfasi aggiunta)

Per riassumere la discussione di Smith, egli pensa che il TPP sia "una delle questioni economiche più grandi" di oggi e che possa rappresentare una manna da $3,000 miliardi per l'umanità, quindi, se realizzabile, vale la pena metterlo in pratica. Krugman non è d'accordo con la valutazione di Smith, ma le differenze sono meramente sui numeri; Smith non pensa che Krugman sia un "negazionista di Ricardo", né lo accusa di odiare i poveri asiatici opponendosi a questo accordo commerciale.

Il tono cambia totalmente se invece leggiamo Smith quando parla di cambiamenti climatici. Ad esempio, nel giugno dell'anno scorso Smith ha scritto un pezzo su Bloomberg in cui elencava i cinque modi per combattere il riscaldamento globale. Per motivi di brevità, permettetemi di citare il paragrafo conclusivo di Smith:

Se facciamo queste cinque cose, gli Stati Uniti saranno ancora in tempo per salvare il mondo dal riscaldamento globale, anche se non rappresentano più la causa principale del problema. E i costi di breve periodo per la nostra economia saranno molto moderati. Salvare il mondo ad un prezzo basso mi sembra proprio una buona idea. (Enfasi aggiunta)

C'è una voragine nella retorica di Smith tra i due pezzi pubblicati su Bloomberg. Quando si parla del TPP, si tratta di un onesto disaccordo tra esperti su un accordo commerciale che Smith ritiene sicuramente utile, ma nel grande schema delle cose non è un granché. Invece le politiche governative in materia di cambiamenti climatici riguardano letteralmente il destino del pianeta.

A questo punto la maggior parte dei lettori si starà chiedendo quale sia il problema. Dopo tutto, il cambiamento climatico non è di origine antropica? Perché Smith non dovrebbe utilizzare molta più retorica d'impatto quando ne parla?

Sto facendo questo confronto perché secondo uno dei pionieri dell'economia del cambiamento climatico, William Nordhaus, anche se tutti i governi del mondo implementassero una carbon tax da manuale, il guadagno netto per l'umanità sarebbe di... rullo di tamburi per favore... $3,000 miliardi. In altre parole, uno dei maggiori esperti mondiali dell'economia del cambiamento climatico stima che la differenza per l'umanità tra (a) l'implementazione di una carbon-tax e (b) non fare assolutamente nulla, è lo stesso risultato che DeLong ha stimato per quanto riguarda il TPP.

Per essere più precisi, i $3,000 miliardi stimati da Nordhaus provengono dalla taratura del suo modello noto come Dynamic Integrated Climate-Economy (DICE). (I numeri sono aumentati sin dal 2008, ma ho studiato la sua calibrazione nel dettaglio.) Si noti che questa non è una simulazione "negazionista" e rifiutata dagli scienziati seri. Al contrario, il modello DICE di Nordhaus è stato uno dei tre scelti dall'amministrazione Obama quando ha istituito un gruppo di lavoro per valutare i danni monetari causati dalle emissioni d'anidride carbonica. Per aiutare il lettore a comprendere i compromessi che si trova ad affrontare l'umanità quando si parla di cambiamento climatico, permettetemi di riportare la tabella 4 dal mio articolo sull'Indipendent Review:




La tabella mostra le stime di Nordhaus (effettuate nel 2008 sulla base delle valutazioni scientifiche dell'epoca) sui benefici netti dei vari approcci politici possibili riguardo il clima. La prima riga mostra cosa succede se i governi non fanno nulla. Ci saranno $22,550 miliardi di danni ambientali, ma nessun costo economico nel conformarsi alle normative, per un danno totale di $22,590 miliardi.

Al contrario, se i governi di tutto il mondo implementassero la carbon tax raccomandata da Nordhaus, il mondo si risparmierebbe circa $5,000 miliardi in danni ambientali futuri, mentre la produzione economica futura sarebbe inferiore di $2,200 miliardi a causa della carbon tax. Tirando le somme, l'umanità subirebbe danni totali per $19,520 miliardi, il che significa che il mondo sarebbe più ricco di $3,070 miliardi con la carbon tax mondiale (perché $22,590 - $19,520 = $3,070).

Il concetto di compromesso è cruciale nel modo di pensare economico. Ogni possibile politica — tra cui quella di non fare nulla — porta con sé dei costi. Ma il pubblico tende ad interessarsi solo ad una serie di costi, non alla gamma completa. Ad esempio, come mostra la tabella precedente, la politica climatica sbagliata può essere molto, molto peggio del non fare nulla. Nordhaus ha valutato il suggerimento di Al Gore di ridurre le emissioni del 90%, e ha stimato che l'umanità sarebbe più povera di $21,000 miliardi rispetto al non fare niente — un danno netto sette volte maggiore rispetto ai benefici netti dell'approccio da manuale.

Il mio punto qui non è quello di elogiare i numeri di Nordhaus. (Il mio articolo sull'Indipendent Review era una critica del suo modello.) Voglio semplicemente sottolineare che anche uno dei modelli alla base del cosiddetto consenso sul cambiamento climatico, dimostra che questa non è affatto una crisi planetaria, come invece suggerirebbe la retorica di Smith e di altri. I numeri reali sono simmetrici a quelli degli accordi commerciali — e nessuno pensa che il destino del pianeta penda dall'approvazione di un accordo commerciale.

Più in generale, quello che la maggior parte degli economisti non sono riusciti a trasmettere al pubblico è che le politiche sul cambiamento climatico influenzeranno (al meglio) le cose al margine. La tabella di Nordhaus lo illustra molto bene. La carbon tax non elimina i danni dei cambiamenti climatici predetti dalle sue simulazioni al computer. Al contrario, la carbon tax li riduce da circa $23,000 miliardi a $17,000 miliardi. Il motivo per cui non ha senso emanare una carbon tax più aggressiva è che il danno (marginale) per l'economia supererebbe il beneficio (marginale) per l'ambiente. Ci sono diverse politiche nella tabella che possono ridurre i danni ambientali sotto la soglia dei $17,000 miliardi, ma danneggerebbero a tal punto l'economia che possiamo considerarli approcci scartabili.

E' comprensibile che i "non economisti" non riescano ad impiegare analisi marginali e si lascino trasportare da una retorica esagerata quando hanno di fronte qualcosa di così controverso come la politica sui cambiamenti climatici. Tuttavia, anche troppi economisti professionisti hanno ceduto a questa cattiva abitudine, tra cui non solo Smith, ma anche Krugman e molti altri.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


3 commenti:

  1. Ciao Francesco,
    La tua introduzione e' nettamente migliore del pezzo di Murphy. Ed i tuoi articoli sono molto piu convincenti ed argomentati. Le contraddizioni di Krugman dimostrano che non capisce assolutamente nulla di cio' di cui si dice esperto. Perfetto per fungere da puppet delle elites massoniche che stanno imponendo al mondo occidentale i loro mirabolanti progetti e programmi autoritari... per il bene dell'umanita'. Che modestia!

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  2. Buongiorno,
    non posso far altro che essere d'accordo con lei sull'aspetto economico della questione. Converrà con me che oltre ai cosiddetti costi diretti ed espliciti sarebbe opportuno considerare anche aspetti difficilmente quantificabili...come la salute delle persone e in generale la necessità di assicurare una prospettiva di lungo periodo al pianete.
    Saluti

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    1. Ciao Anonimo.

      Qui ci spostiamo, però, da un discorso prettamente economico, ad uno filosofico/libertario. Ovviamente io non sono come Ronald Coase, il quale in una situazioen del genere darebbe ragione, ad esempio, ai fumi delle ciminiere delle fabbriche poiché al suo interno si produce progresso e benessere. Da questo punto di vista preferisco il pensiero di Hoppe, o più in generale quello di Rothbard, il quale afferma che se determinate entità danneggiano la proprietà privata degli individui (in questo caso il loro corpo), essi hanno tutto il diritto di trascinare il "criminale" in questione in tribunale. Nella nostra epoca, dove le risorse naturali come laghi, fiumi, montagne, ecc. sono in possesso dello stato, assistiamo allo scempio più bieco della natura con relativa noncuranza da parte degli attori di mercato. Qual è la soluzione? La proprietà privata e scacciare via lo stato da tali possessi. Solo i diritti di proprietà privata garantiranno la fine dell’inquinamento e dell’invasione delle risorse. Dato che, ad esempio, i fiumi sono "senza proprietario", non vi è nessuno che si ribelli e difenda la sua preziosa risorsa dagli attacchi. Se, al contrario, chiunque scaricasse immondiziai in un lago di proprietà privata, non gli sarebbe consentito di farlo per molto tempo e il proprietario ruggirebbe in sua difesa.

      Lo stesso vale per l'aria.

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