venerdì 16 settembre 2016

No Trump, non è una “guerra mondiale”





di David Stockman


Nel 1991 la terra si mosse...

La guerra fredda si concluse e svanì la spada di Damocle della minaccia nucleare. Scomparve la minaccia totalitaria dell'Unione Sovietica e il suo vasto establishment militare venne smobilitato.

Per Washington era il momento di fare lo stesso. Cioè, sciogliere la NATO — la cui unica giustificazione era il contenimento di una minaccia sovietica sul fronte dell'Europa centrale — e smobilitare la sua macchina da guerra sparsa in tutto il globo.

Ma ciò da cui il generale Eisenhower aveva messo in guardia esattamente 30 anni prima — il complesso militare-industriale-congressuale — non aveva intenzione di lasciare che trionfasse la pace nel mondo. Invece lanciò due manovre nel 1991 per perpetuare sé stesso e rinnovare la sua ragion d'essere.

Una direttiva segreta di sicurezza nazionale redatta dal Segretario alla Difesa Dick Cheney e dai suoi tirapiedi neo-conservatori, dichiarava che l'Iran era il nuovo nemico globale. Questo atto d'accusa era del tutto ingiustificato anche allora, e nel corso dei 25 anni successivi s'è metastatizzato in un tessuto di bugie circa le armi nucleari e le ambizioni terroristiche iraniane.

Ancora più importante, Washington dichiarava la sua ostilità verso l'unica forza nella regione opposta all'estremismo sunnita — quello cosiddetto sciita. Questo interessava l'Iran fino al sud dell'Iraq, inglobando anche il regime alawita (sciita) di Assad in Siria e le province del Libano controllate da Hezbollah. Era sostanzialmente l'acerrimo nemico dell'estremismo sunnita.

Infatti i neocon che presero il potere a Washington sotto Bush senior, tagliarono le gambe a qualsiasi focolaio religioso guidato dell'espansionismo sunnita.

Allo stesso tempo, Bush venne spinto in un intervento militare tra i due potentati locali in lotta per i diritti di perforazione petrolifera, operazione mascherata sotto una falsa dottrina della messa in sicurezza del petrolio.

Se non fosse stato per quelle due manovre profondamente sbagliate e distruttive, al-Qaeda e lo Stato islamico non sarebbero mai esistiti. E il terrorismo jihadista sarebbe stato solo l'ombra di quello odierno.

Inutile dire che le implicazioni sono molte. Centinaia di milioni di persone innocenti in Medio Oriente, Europa e Stati Uniti sono ora spaventate e in pericolo. Ma è soprattutto a causa delle malefatte gravi dei nostri governanti nel Partito della Guerra con sede a Washington.

Cominciamo con ciò che la storia ha ormai dimostrato per quanto riguarda la scusa fasulla della sicurezza energetica...

La cura per prezzi elevati del petrolio è il mercato globale, non la 5° flotta statunitense di stanza in Bahrain. Il prezzo reale del petrolio è più basso di quanto non fosse nel 1990, quando Bush affermò che la presunta aggressione di Saddam "non poteva essere tollerata". Eppure questo esito non ha nulla a che fare con le migliaia di bombe che abbiamo lasciato cadere sin da allora, o dei milioni di morti e mutilati, o delle migliaia di miliardi di dollari sprecati per le sue molteplici guerre e per la presenza militare in tutto il globo.

Da un lato, la tecnologia e le imprese hanno generato importanti alternative al petrolio del Golfo Persico. Dall'altro lato, è un fatto storico incontestabile che qualsiasi regime che controlla le riserve di petrolio sotto le sabbie del Medio Oriente lo produrrà anche, perché ogni regime in quella regione ha bisogno di maggiore denaro.

Saddam ne produceva tutto quello che poteva produrre e lo esportava per quanto gli veniva permesso dall'Occidente. Così faceva anche Gheddafi in Libia. Così fanno anche i curdi a nord del vecchio Iraq e il governo sciita di Baghdad. Anche lo Stato Islamico sfrutta ogni pozzo di petrolio che non abbiamo ancora bombardato. E una volta che le sanzioni sono state revocate, gli iraniani "che odiano l'America" hanno aumentato la produzione nel corso dell'ultimo anno.

In breve, ogni singola intrusione militare intrapresa da Washington dopo l'invasione del Kuwait nel febbraio 1991, non ha nulla a che fare con l'economia del petrolio. Né ha migliorato la sicurezza del flusso della benzina e le forniture di petrolio per il riscaldamento a Lincoln, NE e Springfield, MA.

Infatti lo sporco segreto di questa questione è che anche se la spregevole Casa di Saud dovesse cadere, i 10 milioni di barili al giorno dell'Arabia Saudita finirebbero lo stesso sul mercato mondiale — a prescindere da qualsiasi perturbazione di breve termine.

Questo perché le province orientali dell'Arabia Saudita, dove si trovano tutti i giacimenti petroliferi, sono principalmente sciiti. I loro cugini iraniani accorrerebbero in loro soccorso, e sarebbero più che felici di condividere i $150 miliardi l'anno di proventi petroliferi ai prezzi di oggi. Il petrolio ha rappresentato il dominio sui mercati.

Ma a Washington interessa perpetuare l'esaltazione della sua indole bellica. È quest'ultima, non la protezione della generosità della natura sotto le sabbie arabe, che ha portato l'Impero Americano nel Golfo Persico e che genera le rappresaglie jihadiste di oggi nella regione e nel resto del mondo.

Sono state le 500,000 truppe americane nella penisola arabica e nei due luoghi santi islamici che nel 1991 hanno cambiato tutto.

Fino ad allora, i mujahidin sunniti in Afghanistan erano terroristi mercenari al soldo di Washington. Washington li aveva reclutati, trasportati, addestrati, armati e pagati per tutti gli anni '80 in modo che portassero avanti la sua lotta anti-sovietica.

L'Unione Sovietica stava già morendo a causa del regime asfissiante del socialismo, della burocrazia statale e del governo totalitario. Ma il direttore della CIA, Bill Casey, era stato ipnotizzato dalla nostalgia dei suoi giorni durante la seconda guerra mondiale, ed i suoi alleati neocon erano ex-trotzkisti e statalisti che non capivano neanche lontanamente che i mercati e la libertà economica sono fenomeni spontanei.

Dopo che aveva creato i mujaheddin, il Partito della Guerra a Washington li trasformò in mostri dopo la prima guerra del Golfo e la successiva campagna contro Saddam Hussein. Ciò naturalmente finì per aprire le porte alla seconda guerra del Golfo.

Così sotto la scusa della "messa in sicurezza del petrolio", Washington avviò la macchina da guerra americana nella politica e nelle fessure religiose del Golfo Persico, e si lanciò per distruggere le uniche istituzioni che avevano tenuto a bada l'estremismo sunnita. Vale a dire, i regimi baathisti di Saddam Hussein in Iraq e il clan di Assad in Siria.

A dire il vero, questi regimi erano un vasto amalgama sgradevole di socialismo, nazionalismo, autoritarismo e corruzione. Ma non tolleravano alcuna minaccia armata contro il loro dominio, e comprendevano che lo stato dovesse essere laico se i vari antichi scismi dell'Islam e di altre minoranze religiose all'interno dei loro confini, tra cui i cristiani, i drusi e gli ebrei, dovessero coesistere pacificamente.

A parte la falsa questione della messa in sicurezza del petrolio, il conflitto tra Iraq e Kuwait, che provocò l'intervento di Bush, non aveva alcuna incidenza sulla sicurezza dei cittadini americani. Come l'ambasciatore americano Glaspie disse giustamente a Saddam Hussein alla vigilia dell'invasione del Kuwait, l'America non aveva nulla da guadagnarci

Il Kuwait non era nemmeno un paese; si trattava di un conto corrente bancario seduto su una fascia di giacimenti petroliferi che circondavano un'antica città commerciale che era stata abbandonata da Ibn Saud nei primi anni del XX secolo. Non importava chi controllasse la punta meridionale del campo di Rumaila — il brutale dittatore di Baghdad o l'opulento emiro del Kuwait. Né il prezzo del petrolio, né la pace d'America, né la sicurezza dell'Europa, né il futuro dell'Asia dipendevano da esso.

Ma Bush senior fu convinto dai protetti di Henry Kissinger al Consiglio Nazionale di Sicurezza e dal suo Segretario di Stato, James Baker, che era in gioco "la sicurezza del petrolio" e che dovevano essere dispiegate 500,000 truppe americane nelle sabbie d'Arabia.

Fu un errore catastrofico. L'arrivo dei soldati crociati sul suolo presumibilmente sacro dell'Arabia offese e riattivò i mujahedeen addestrati dalla CIA in Afghanistan, i quali erano diventati disoccupati dopo il crollo dell'Unione Sovietica.

A tempo debito questo intervento inetto permise ai neocon di perseguire la loro dottrina deplorevole dei cambi di regime fino al suo logico esito: la distruzione dello stato iraqeno e la conseguente nascita dell'ISIS.

Bin Laden avrebbe amputato la testa laicista di Saddam se Washington non l'avesse preceduto, ed è proprio questo il punto: il tentativo di cambio di regime del marzo 2003 fu uno degli atti più folli nella storia americana.

I consiglieri neocon di Bush junior non avevano la minima idea delle animosità settarie e dei rancori storici che Hussein aveva imbottigliato mediante il suo monopolio sul petrolio e la sua mano pesante sotto la bandiera del nazionalismo baathista. Ma la campagna militare americana non fece altro che aprire il vaso di Pandora. Sappiamo tutti ciò che ne seguì dopo e i suoi effetti si faranno sentire nei decenni a venire.

Il cambio di regime e la costruzione di una nuova nazione sono obiettivi che nel XXI secolo non possono essere realizzati con la violenza delle forze armate. E questi obiettivi sono ancora più assurdi nel contesto di un territorio con animosità religiose sin dal XIII secolo.

Se i bombardamenti funzionassero veramente, lo Stato Islamico sarebbe già polvere ormai. In realtà le cose sono molto più complicate di così, e ciò rappresenta una lezione importante.

Le città impoverite e i villaggi lungo i margini del fiume Eufrate e nella provincia di Anbar, non attirano migliaia di aspiranti jihadisti dagli stati falliti del Medio Oriente e musulmani alienati dalle città d'Europa, perché il califfato offre prosperità, salvezza, o un futuro a tutti.

Ciò che li spinge a prendere le armi è l'indignazione per le bombe sganciate sulle comunità sunnite da parte dell'Air Force statunitense e per i missili cruise lanciati dal Mediterraneo che fanno a pezzi case, negozi, uffici e moschee al cui interno c'è un gran numero di civili innocenti oltre ai terroristi dell'ISIS.




La verità è che lo Stato Islamico era destinato ad una breve vita: era contenuto dai curdi a nord e ad est dalla Turchia. Ed era circondato dalla popolazione sciita in Siria e Iraq.

Senza la campagna militare illegittima di Washington per spodestare Assad a Damasco e demonizzare il suo alleato iraniano, non ci sarebbe stato alcun posto per i fanatici assassini che hanno la loro base di fortuna a Raqqa. Sarebbero rimasti a corto di soldi, reclute, slancio militare e sostegno pubblico.

Ma con l'Air Force statunitense che ha ricoperto il ruolo di braccio di reclutamento indiretto e la politica estera francese anti-Assad che ha contribuito a fomentare il caos in Siria, sono state spalancate le porte dell'inferno. Ciò che è stato vomitato fuori non è stata una guerra organizzata alla civiltà occidentale, come i politici occidentali à la Hollande si sforzano di proclamare istericamente in risposta ad ogni nuovo incidente.

È solo la rappresaglia compiuta da piccoli gruppi di giovani mentalmente instabili che possono essere persuasi ad indossare una cintura esplosiva.

Inutile dire che i bombardamenti non li fermeranno; ne faranno spuntare di più.

Ironia della sorte, ciò che li può fermare è il governo di Assad e le forze di terra dei suoi alleati di Hezbollah e della Guardia Repubblicana iraniana. È tempo che siano loro a sedare un'antica lite che non avrebbe mai dovuto interessare gli Stati Uniti.

Ma Washington crede talmente tanto ai suoi miti, alle sue bugie e alla sua stupidità egemonica che non riesce a vedere l'ovvio: dopo decenni nella regione ha sbagliato tutto quello che poteva sbagliare. Ha distrutto gli stati baathisti che tenevano il fanatismo religioso sotto controllo; ha alienato le forze sciite che non hanno mai sostenuto o sferrato attacchi terroristici in Occidente.

E si è alleato con poche migliaia di principi tirannici in Arabia Saudita e nel resto dei petro-stati del Golfo. È il regime wahhabita saudita la culla del fanatismo religioso, il quale ha reclutato, addestrato, motivato e mandato più terroristi jihadisti rispetto agli iraniani.

E questo ci porta al cuore del perché non esiste alcuna "guerra mondiale" tra l'Islam e l'Occidente. Le nazioni islamiche sono in guerra con sé stesse e lo sono state per secoli, non con noi.

Per fermare le incursioni episodiche del terrorismo jihadista — organizzato o "ispirato" — in Occidente, Washington non deve bombardare a tappeto tutta la valle dell'Eufrate superiore. Deve lasciare la regione e invitare gli iraniani e i loro alleati sciiti a finire il lavoro.

Il califfato finirebbe nella pattumiera della storia in pochissimo tempo. Quindi scomparirebbero il reclutamento, la formazione e la radicalizzazione degli alienati giovani musulmani d'Europa per portare morte e caos.

Scomparirebbero i combattenti jihadisti e i martiri "eroici" scampati alle bombe dell'Air Force degli Stati Uniti, i quali "ispirano" atti di violenza in patria e diffondono video sui social media facenti appello agli alienati responsabili della maggior parte dei recenti episodi di "terrorismo" negli Stati Uniti.

Ma affinché ci sia una risoluzione pacifica della cosa, le grandi bugie di Washington devono essere smentite, vale a dire, che il regime iraniano abbia cercato d'ottenere armi nucleari e che sia il primo esportatore di terrorismo in Medio Oriente.

Sebbene le sue opinioni religiose siano oscurantiste e medievali, la teocrazia che governa l'Iran non è costituita da guerrafondai dementi. Nel calore della battaglia, erano disposti a sacrificare le proprie forze piuttosto che violare i loro scrupoli religiosi per contrastare le armi chimiche di Saddam durante la guerra tra Iran ed Iraq.

La verità è che l'Iran non è migliore o peggiore di una qualsiasi delle altre grandi potenze nel Medio Oriente. In molti modi, è molto meno di una minaccia alla pace e alla stabilità regionale rispetto ai macellai militari che ora gestiscono l'Egitto con $1.5 miliardi l'anno di aiuti degli Stati Uniti.

E sicuramente non è peggio dei tiranni che sperperano le massicce risorse petrolifere in Arabia Saudita alle spalle dei 27 milioni di cittadini, che molto probabilmente un giorno potrebbero raggiungere il punto di rivolta. E quando parliamo del supporto al terrorismo, i sauditi hanno finanziato più jihadisti e terroristi in tutta la regione rispetto all'Iran.

Sì, gli iraniani sostengono il governo di Assad in Siria, ma questa è un'alleanza di lunga data che risale all'era del padre e affonda le sue radici nella politica storica del mondo islamico.

Il regime di Assad è alawita, un ramo di quello sciita, e nonostante la brutalità del regime, è stato un baluardo di protezione nei confronti di tutte le minoranze religiose della Siria, tra cui i cristiani, contro una pulizia etnica a maggioranza sunnita. Tale pulizia etnica si sarebbe sicuramente palesata se i ribelli sostenuti dall'Arabia, e guidati dall'ISIS, avessero preso il potere.

Alla fine, la grande macchina da guerra di Washington e dei suoi stati clienti non sarebbe dovuta affatto trovarsi in Medio Oriente. La terribile violenza che ha inflitto alla regione ha generato molti più terroristi di tutti i sermoni e della propaganda sui social media messi insieme.

Quindi se Trump vuole davvero fermare la rappresaglia, eliminare i fanatici e i lupi solitari, e ridurre le paure ingiustificate ma palpabili del terrorismo tra gli elettori americani, deve solo fare ciò che Eisenhower fece nel 1952.

Vale a dire, andare a Teheran, stringere un patto e quindi riportare a casa l'insostenibile e distruttiva macchina da guerra di Washington.

Saluti,


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


1 commento:

  1. Mah sembra scritto da rosa luxemburg... bush jr era isolazionista per esempio... il fatto è che se fossimo in guerra con i cinesi mica si farebbero saltare in mezzo alla gente...

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