lunedì 19 settembre 2016

Perché l'output gap rappresenta un'inutile astrazione





di Frank Shostak


Secondo il modo di pensare popolare la causa chiave dietro l'inflazione o la deflazione è la differenza, o il divario, tra ciò che l'economia sta producendo e la sua produzione potenziale. La produzione potenziale è la quantità massima di beni e servizi che un'economia può sfornare quando è a pieno regime.

Un output gap positivo si verifica quando la produzione effettiva è superiore alla capacità di produzione piena. Si ritiene che un output gap positivo metta in moto una pressione al rialzo sui prezzi dei beni e dei servizi in generale, a causa del fatto che la domanda è in eccesso rispetto all'offerta.

Un output gap negativo si verifica quando la produzione effettiva è inferiore a quella che l'economia potrebbe sfornare se fosse a piena capacità. Il pensiero popolare considera un gap negativo come fiacchezza economica, a causa di una domanda debole. Di conseguenza questo potrebbe portare ad un calo generale dei prezzi di beni e servizi.

I banchieri centrali e la maggior parte dei commentatori economici considerano l'output gap un fattore determinante dietro le pressioni inflazionistiche o deflazionistiche. Quindi la maggior parte dei commentatori economici e dei banchieri centrali considera i dati concernenti l'output gap un contributo importante che li aiuta a mantenere l'economia su un sentiero di crescita economica stabile con un'inflazione stabile.

Per mezzo della statistica, gli statistici dello stato generano una stima periodica del prodotto interno lordo e del prodotto interno lordo potenziale.

Con un output gap positivo, i banchieri centrali possono quindi sottoporre l'economia ad una politica monetaria più stretta, cioè, alzare i tassi d'interesse e ridurre il pompaggio monetario al fine di ridurre la domanda complessiva di beni e servizi e portare la domanda in linea con il prodotto potenziale. Questo, a sua volta, dovrebbe eliminare la pressione inflazionistica.

Al contrario, se l'output gap è negativo, vale a dire, quando la domanda è al di sotto della produzione potenziale, i banchieri centrali possono mirare a sollevare la domanda complessiva portandola in linea con il prodotto potenziale mediante l'abbassamento dei tassi d'interesse e aumentando il pompaggio monetario. Una volta che viene raggiunto l'equilibrio tra domanda e offerta, questo dovrebbe arrestare il calo dei prezzi di beni e servizi, cioè le pressioni deflazionistiche, o almeno così si sostiene.



L'output gap e le variazioni dei prezzi

A livello superficiale sembra logico che un output gap positivo, vale a dire, una domanda superiore a quello che l'economia può produrre, debba provocare una pressione al rialzo sui prezzi. Non è tuttavia sufficiente dire che un eccesso della domanda rappresenta la causa di un aumento generale dei prezzi. Prima di procedere a determinarne la causa, dobbiamo in primo luogo iniziare col definire correttamente ciò che è un prezzo.

Un prezzo di un bene è la quantità di denaro pagato per entrarne in possesso. Quindi nell'analisi dei prezzi bisogna prestare attenzione – oltre alla quantità di beni nell'economia – anche alla quantità di denaro.

Per una data quantità di beni e servizi, un aumento generale dei prezzi si verifica quando c'è un aumento dell'offerta di moneta. Al contrario, per una data quantità di beni e servizi un calo dell'offerta di moneta si tradurrà in un calo generale dei prezzi di beni e servizi.

Il fattore chiave dell'espansione monetaria è costituito dalle politiche delle banche centrali, le quali hanno lo scopo di contrastare le recessioni, cioè un output gap negativo – in cui la domanda di un'economia è inferiore al prodotto potenziale.

(Per mezzo di politiche monetarie allentate e mediante la riserva frazionaria, i banchieri centrali possono aumentare il tasso di crescita dell'offerta di moneta).

Abbiamo più volte suggerito che la politica monetaria allentata è responsabile dell'indebolimento del processo di formazione della ricchezza reale e dell'indebolimento del bacino della ricchezza reale.

È questo esito che porta ad un calo dei prestiti a livello delle banche commerciali, e questo a sua volta conduce ad una riduzione dell'offerta di denaro. Questo a sua volta, dopo un intervallo di tempo, si traduce in un calo generale dei prezzi di beni e servizi.

Ogni volta che la banca centrale reagisce ad una crisi economica, la quale viene etichettata come un output gap negativo – dove la produzione è inferiore alla produzione potenziale – facendo ricorso ad una politica monetaria allentata, ciò infligge ulteriori danni al processo di formazione della ricchezza reale. Nel corso del tempo, è probabile che questo indebolirà la cosiddetta produzione potenziale e anche la produzione effettiva.

Potrebbe emergere una situazione in cui, a causa del ritardo tra l'evoluzione dell'offerta di moneta e il suo effetto sui prezzi e la produzione, i prezzi aumenteranno mentre l'economia rimarrà in una grave crisi. Questa situazione è comunemente etichettata come stagflazione. Si noti che la presenza di stagflazione è in contraddizione con il concetto di output gap. Sempre secondo questa concezione, un aumento generale dei prezzi non può verificarsi mentre l'economia è in recessione.



Ma ha senso l'output gap?

Abbiamo visto che, al fine di capire come se la sta passando un'economia, i banchieri centrali e gli economisti si basano sul Prodotto Interno Lordo (PIL). Il PIL esamina il valore dei beni e servizi prodotti in un determinato intervallo di tempo, di solito un trimestre o un anno. Questa statistica è costruita in conformità con la tesi che ciò che spinge l'economia non è la produzione di ricchezza, ma piuttosto il suo consumo. Ciò che conta qui è la domanda di beni e servizi finali. Dal momento che le spese dei consumatori ricoprono la maggior parte della domanda totale, si ritiene comunemente che la domanda dei consumatori metta in moto la crescita economica.

Focalizzando l'attenzione esclusivamente sui beni e servizi finali, si finisce in un mondo di fantasia in cui le merci vengono prodotte solo perché la gente esprime un desiderio. Ciò è in totale disaccordo con la realtà (vale a dire, la questione se questi desideri possano essere soddisfatti). Tutto ciò che conta secondo questo punto di vista è la domanda di beni, che a sua volta darà vita quasi immediatamente alla loro offerta.

Nel mondo reale, non è sufficiente avere la domanda di beni – bisogna avere i mezzi per soddisfare i desideri della gente. I mezzi – vari beni intermedi che sono necessari per la produzione di beni finali – non sono disponibili nell'immediato; devono essere prodotti. Al fine di produrre una macchina, vi è la necessità di carbone che verrà impiegato nella produzione di acciaio, che a sua volta verrà impiegato per fabbricare una serie di strumenti. Questi a loro volta vengono utilizzati per produrre altri strumenti e macchinari e così via, fino a raggiungere la fase finale della produzione della macchina. L'interazione armoniosa delle varie fasi della produzione partorisce il prodotto finale.

Il PIL dà l'impressione che non siano le attività degli individui a produrre beni e servizi, ma qualcos'altro al di fuori di queste attività definito "economia". Tuttavia, in nessuna fase la cosiddetta "economia" ha una sua vita propria indipendente dai singoli individui. La cosiddetta economia è una metafora – non esiste.

Raggruppando i valori dei beni e servizi finali, gli statistici statali concretizzano la finzione di un'economia analizzabile attraverso il PIL. L'idea del PIL e dell'output gap dà l'impressione che la produzione di beni e servizi venga portata avanti da un certo collettivo, il quale è supervisionato da un comandante supremo (banca centrale).

L'economia è guidata da suddetto comandante supremo affinché rimanga sul sentiero della crescita prevista dallo stesso comandante. Ogni deviazione da questa strada richiede un intervento da parte del comandante, in termini di politica monetaria e altre politiche. Nel mondo reale ogni uomo d'affari prende le proprie decisioni per quanto riguarda la produzione di beni e servizi.

In aggiunta a tutti questi problemi, ci sono quelli riguardanti il calcolo del PIL. Per calcolarlo devono essere sommate diverse cose, ma affinché possano essere sommate devono avere qualcosa in comune. Non è possibile sommare frigoriferi ad automobili ed ottenere l'unità totale dei beni finali. Poiché la produzione reale totale non può essere definita in alcun modo, non può essere neanche quantificata.

Per risolvere questo problema, gli economisti utilizzano la spesa monetaria complessiva per beni e la dividono con un prezzo medio di tali prodotti. Vi è, tuttavia, un problema serio con questo approccio e che può essere illustrato col seguente esempio.

Supponiamo che vengano condotte due operazioni. Nella prima operazione un televisore viene scambiato per $1,000. Nella seconda operazione una camicia viene scambiata per $40. Il prezzo o il tasso di cambio nella prima operazione è di $1,000/TV. Il prezzo nella seconda operazione è di $40/camicia. Al fine di calcolare il prezzo medio, dobbiamo sommare questi due rapporti e dividerli per 2. Tuttavia $1,000/TV non è possibile sommarlo a $40/camicia, il che implica che non è possibile stabilire un prezzo medio.

L'impiego di vari metodi sofisticati per calcolare il livello di prezzo medio, non può ignorare la questione essenziale: non è possibile stabilire un prezzo medio per vari beni e servizi. Di conseguenza i vari indici dei prezzi calcolati dagli statistici statali, sono semplicemente numeri arbitrari. Se i deflatori dei prezzi sono senza senso, lo stesso vale per il PIL.

Allora cosa dobbiamo farci con le dichiarazioni soventi secondo cui l'economia, come illustrato dal PIL reale, è cresciuta di una particolare percentuale? Tutto quello che possiamo dire è che questa percentuale non ha nulla a che fare con la crescita economica reale e che molto probabilmente rispecchia il ritmo del pompaggio monetario. Possiamo trarre la stessa conclusione per quanto riguarda l'output gap.

Più denaro viene creato dalla banca centrale e dal settore bancario commerciale, maggiore sarà la spesa monetaria. Questo a sua volta significa che il tasso di crescita di quella che viene etichettata come economia reale, rispecchierà gli aumenti nell'offerta di moneta.

Quindi non c'è da stupirsi se la maggior parte degli economisti crede che la banca centrale possa generare una crescita economica reale. Molta della cosiddetta ricerca economica produce "supporto scientifico" per i punti di vista popolari, tra i quali c'è la credenza che per mezzo del pompaggio monetario la banca centrale possa far crescere l'economia. Tutti questi studi escludono qualsiasi altra conclusione, soprattutto una volta che ci si rende conto che il PIL è un parente stretto dello stock di moneta.

Si è anche tentati di chiedersi il perché sia necessario conoscere se la cosiddetta "economia" sia in crescita e a che ritmo. A cosa può servire questo tipo d'informazione? In un'economia libera e senza ostacoli, questo tipo d'informazione sarebbe di scarsa utilità per gli imprenditori. L'indicatore principale su cui si basa ogni imprenditore è rappresentato dal rapporto profitti/perdite. Come può aiutare un imprenditore a fare profitto l'informazione che la cosiddetta "economia" è cresciuta del 4% in un particolare lasso di tempo?

Quello di cui ha bisogno un imprenditore non è una serie di informazioni di carattere generale, ma piuttosto informazioni specifiche per quanto riguarda la domanda per il suo specifico prodotto. L'imprenditore deve stabilire la sua rete di informazioni relative ad un particolare rischio.

Le cose sono molto diverse, tuttavia, quando lo stato e la banca centrale manomettono gli indicatori utili alle imprese. In queste condizioni nessun imprenditore può ignorare il PIL, poiché lo stato e la banca centrale reagiscono in base a questa statistica utilizzando politiche fiscali e monetarie. Allo stesso modo, i partecipanti ai mercati finanziari seguono da vicino il PIL al fine di valutare le probabili reazioni della banca centrale.

Se l'effetto della manomissione fosse limitato solo al PIL, allora sarebbe innocuo. Tuttavia queste politiche inficiano le attività dei produttori di ricchezza e quindi vanno ad indebolire il benessere delle persone. Per mezzo del pompaggio monetario e della manipolazione dei tassi d'interesse, la banca centrale non aiuta a generare più ricchezza reale ma piuttosto pensa a dare "più forza al PIL", e quindi mette in modo la minaccia del ciclo boom/bust — ovvero, impoverimento economico.

Possiamo quindi concludere che il PIL e l'output gap sono astrazioni prive di qualsiasi legame col mondo reale. Il PIL e l'output gap sono tenuti in alta considerazione da stati e banche centrali, poiché forniscono una cornice illusoria di riferimento che si presume possa valutare le prestazioni dei funzionari statali.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


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