martedì 12 marzo 2019

Riscaldamento globale: il piano dell'ONU ignora i costi reali della sua applicazione





di Ryan McMaken


L'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) delle Nazioni Unite ha pubblicato una nuova relazione intitolata "Riscaldamento globale di 1,5 °C".

La premessa di base della relazione è che se i governi del mondo fanno ciò che l'ONU dice loro di fare, l'aumento della temperatura globale sarà limitato a 1,5 °C.

La relazione è stata pubblicata sulla scia dell'accordo di Parigi, dove è stato delineato un obiettivo a lungo termine di limitare l'aumento della temperatura globale "ben al di sotto di 2 °C e di proseguire gli sforzi verso 1,5 °C".

Da allora il focus dei policymaker e del personale delle Nazioni Unite è stato quello di mettere a punto un'agenda politica incentrata sull'idea di utilizzare normative, tasse, regolamentazioni e sussidi statali per limitare l'aumento della temperatura globale al valore selezionato di 1,5 °C. I piani precedenti erano incentrati sulla limitazione del riscaldamento a 2 °C, quindi il nuovo piano rappresenta una spinta verso considerevoli tasse sulle emissioni di carbonio, sussidi per l'energia "rinnovabile" e altro ancora.

Per sottolineare la necessità di tutto questo, la relazione è quasi interamente dedicata alla stesura di un quadro di ciò che accadrà se le temperature salissero di 2 °C e se salissero di un "semplice" 1,5 °C. In entrambi i casi, afferma la relazione, le cose andranno molto peggio di adesso. Ma un aumento di 1,5 °C non sarà altrettanto grave.

La risposta nei media generalisti è stata considerevole e certamente acritica. Il New York Times conclude che la "relazione [...] dipinge un quadro più terribile di quanto si pensasse e afferma che evitare il danno richiede una trasformazione dell'economia mondiale ad una velocità che non ha precedenti".

The Guardian del Regno Unito presenta il seguente titolo: "Abbiamo 12 anni per limitare la catastrofe sui cambiamenti climatici".

The Guardian ha anche pubblicato un editoriale: "Il rapporto dell'IPCC è chiaro: potremmo non essere in grado di limitare il riscaldamento a 1,5 °C senza la necessità di rimuovere il biossido di carbonio dall'atmosfera; anche se possiamo farlo espandendo le foreste e altri tipi di vegetazione, dobbiamo anche esplorare altre opzioni, tra cui la cattura e lo stoccaggio del carbonio."

Questo è solo un piccolo campione della risposta molto favorevole dei media generalisti nei confronti della relazione. Ha avuto molto successo in quello che si proponeva di fare: l'attenzione era interamente sui modelli climatici e sulle previsioni, e si ignoravano tutti i dettagli di come i governi del mondo avrebbero potuto applicare e finanziare questi cambiamenti normativi.

Cosa manca in tutta questa inutile retorica e soluzioni fantasmagoriche? Ovviamente la discussione su come le "soluzioni" potrebbero essere pagate e quali sono i costi veri.

Sono stati fornite alcune cifre e come osserva la relazione: "Gli investimenti medi annuali per il periodo dal 2015 al 2050, in percorsi che limitano il riscaldamento a 1,5 °C, sono stimati a circa $900 miliardi (USD2015)".

Questa è solo una stima moderata. La gamma dei costi stimati va ben oltre i $3.000 miliardi. E $900 miliardi sono lo stesso un numero considerevole, dato che il PIL mondiale nel 2016 era di $75.000 miliardi.

Ma anche questi numeri fanno parte di una stima estremamente limitata e non coprono una miriade di altri costi. Lo stesso rapporto ammette che "la letteratura sui costi totali è limitata e non è stata valutata in questa relazione. Tali lacune riguardano la valutazione integrata dei costi/benefici lungo i percorsi che devono limitare il riscaldamento a 1,5 °C".



Una qualunque analisi che vuole essere attendibile deve considerare tutti i costi

La "letteratura", tuttavia, srotola una certa varietà di stime e molte suggeriscono che il piano di 1,5 °C costerà molto di più in termini di ricchezza persa rispetto ai benefici derivanti dai "disastri" evitati. Parte di questa letteratura dedicata a sottolineare i costi reali della politica climatica proviene da William Nordhaus, che ha vinto il premio Nobel per l'economia.

Come osserva Robert Murphy, Nordhaus è stato lodato come un sostenitore delle politiche climatiche promosse dall'IPCC. Ma quelli che stanno tessendo le lodi di Nordhaus come difensore del controllo climatico, non hanno capito che Nordhaus pensa che l'obiettivo di 1,5 °C sia una cattiva idea e totalmente irrealistica.

Murphy scrive:
Per i principianti [...] [il modello di Nordaus nel 2007 mostrava che] l'obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C era una politica orribile, la quale avrebbe reso più povera l'umanità di $14 miliardi (in termini di valore attuale in $ nel 2005) rispetto al non fare niente (si veda la Tabella 4 del mio articolo per vedere i dettagli.)

È vero che i numeri sono cambiati dal 2007 e che il modello di Nordhaus non avrebbe più dato una valutazione così pessimistica, ma nel 2013 Nordhaus ha sostenuto nel suo nuovo libro sui cambiamenti climatici che la politica ottimale (a seconda delle ipotesi sulla partecipazione tra i governi mondiali, ecc.) limiterebbe il riscaldamento globale da 2,3 °C a quasi 4 °C, come ammette Paul Krugman nella sua recensione del libro.

Per favore rileggete la mia ultima frase: dal 2013 William Nordhaus, premio Nobel per l'economia per il suo lavoro sui cambiamenti climatici, sta dicendo che il percorso ottimale del riscaldamento globale consentirebbe un aumento della temperatura di almeno 2,3 °C e possibilmente 4 °C. Eppure i media generalisti dicono al mondo che dovremmo tremare di paura per 1,5 °C di riscaldamento e mobilitarci per evitare la catastrofe, e che la differenza tra 1,5 °C e 2,0 °C è enorme.

Nordhaus, badate bene, favorisce una carbon tax. Ma, a differenza della maggior parte delle persone che scrivono articoli sui media generalisti su come il mondo finirà presto a causa di una catastrofe climatica mondiale, Nordhaus riconosce che tasse, sussidi e normative varie hanno pesanti costi alle spalle.

Ignorare totalmente questi costi è stato a lungo il modo di agire dei "riscaldatori globali", i quali evitano qualsiasi discussione sui costi/benefici reali della politica sul cambiamento climatico.

Chiunque contesti i loro piani politici viene denunciato come negazionista, ma questo non è altro che un tentativo deliberato di evitare di ammettere che il tema stesso del cambiamento climatico è separato da ciò che si dovrebbe fare al riguardo. Invece la strategia è qualcosa del genere:
Troppo spesso la risposta a domande come queste sono diatribe rabbiose su come dobbiamo agire ora. Ma, naturalmente, tale posizione è simile a quella di una persona che, vedendo che l'inverno si avvicina, chiede a tutti di costruire immediatamente un rifugio invernale. "Non capite che la gente sta sempre più morendo di freddo?" dice. "Se non costruiremo un rifugio come dico io, moriremo tutti congelati". Di fronte a domande se il suo rifugio sia davvero il modo migliore di procedere, o se un tipo diverso di rifugio potrebbe essere più conveniente, o se altri preferirebbero costruire il proprio rifugio, dichiara con rabbia "ai negazionisti dell'inverno non importa se moriremo tutti".

Nel frattempo, nel mondo reale, qualsiasi tentativo di affrontare il problema dei cambiamenti climatici, presumendo che il loro impatto come descritto nella relazione delle Nazioni Unite sia accurato, richiede il riconoscimento dei costi/benefici delle politiche da implementare.

Tra l'altro alcuni "riscaldatori globali" sono così risoluti e cocciuti che rifiutano persino di ammettere il ruolo della valutazione dei costi. Altri attivisti più ragionevoli si sono sentiti in dovere di sottolinearla e hanno scoperto che molte persone sono in realtà più disponibili a discutere del clima se vengono ammessi i costi reali.

Ma molti attivisti si rifiutano di parlare dei costi, perché sanno che se i costi della mitigazione (ad es. carbon tax, ecc.) sono troppo alti, è probabile che le persone facciano affidamento sull'altra strategia politica sul cambiamento climatico, ovvero "l'adattamento":
Entrambi gli approcci [adattamento e mitigazione] possono sembrare essenziali, ma alcuni ambientalisti temono che richiamare l'attenzione sulla necessità di adattarsi ad un clima che cambia indebolirà il sostegno pubblico per aumentare la spesa e quindi incrementare gli sforzi per rallentare il riscaldamento globale.

In altre parole, alcuni attivisti continuano a fingere di non dover nemmeno parlare dei costi dei loro piani per il controllo climatico globale. Non vogliono parlare di adattamento perché sanno che potrebbe essere più attraente per molte persone. Inoltre gli sforzi di mitigazione presentano un rischio: a causa del fatto che grandi quantità di risorse vengono dirottate in strategie di mitigazione (e non funzionano), il costo d'opportunità sarà estremamente elevato e ci saranno molte meno risorse per le strategie di adattamento. Ma, dato che le strategie di adattamento hanno meno probabilità di richiedere una governance globale, politiche energetiche pianificate centralmente, o anche carbon tax, ciò rappresenterebbe un grosso rischio per un'agenda politica fondata sulla creazione di un'enorme burocrazia mondiale.

La strategia di molti attivisti, quindi, è quella di continuare a fare affidamento su media generalisti e politici per chiedere che qualcosa sia fatto, altrimenti la civiltà umana collasserà. Questa è la strategia "isterica", ed è spesso efficace. Ma fondamentalmente pretende che la scarsità non esista quando si tratta di pianificazione centrale e di regolazione dell'economia globale nel perseguimento della mitigazione del riscaldamento globale.



I costi reali possono essere conosciuti?

E poi, naturalmente, c'è il problema se sia persino possibile calcolare i costi reali della mitigazione. I costi proposti da gruppi come l'IPCC tendono a concentrarsi solo sui costi apparenti delle politiche fiscali, dei sussidi e di altre strategie di mitigazione. È impossibile calcolare veramente, nel tempo, le normative, le opportunità perse dal voler mettere fuori legge certe tecnologie e gli effetti di tasse e costi energetici più elevati per le start-up e gli imprenditori. È a questo livello, imprenditoriale e familiare, in cui i costi reali aumenteranno, e questo è impossibile da calcolare con una semplice analisi costi/benefici. È impossibile prevedere le innovazioni e le opportunità future se il mondo adotterà quella che è essenzialmente una pianificazione centrale ai fini della manipolazione dell'atmosfera. I difensori della mitigazione imposta dallo stato parlano come se essa fosse tutto quello che bisogna fare e che l'incapacità di agire ora porterà alla distruzione totale. È la solita strategia "fai quello che diciamo o moriamo!", il marchio di un piano privo di informazioni solide. La riluttanza a discutere le specifiche parla da sé.

Ma, come ha dimostrato la ricerca di Nordhaus, anche se accettiamo tutte le osservazioni sul clima, le stime dei costi e la storiella sulla pericolosità del riscaldamento globale, è ancora assente una seria attenzione su quanto costino veramente queste paranoie.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


3 commenti:

  1. Chiaramente la ciliegina sulla torta riguardo questo articolo ce lo offre la recente intervista di Patrick Moore: Greenpeace Founder: Global Warming Hoax Pushed by Corrupt Scientists ‘Hooked on Government Grants’.

    Senza contare che la balla spacciata finora potrebbe costare caro se si verificasse l'ipotesi contraria: Auroral Evidence of Upcoming Mini or Little Ice Age?.

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  2. Io onestamente trovo difficile trovare argomentazioni definitive in un senso o nell'altro.

    La prima considerazione che mi sento di fare riguarda il coinvolgimento emotivo che la vasta campagna di sensibilizzazione al problema climatico ha provocato.

    Tutti abbiamo oggi la "percezione" che il clima sia cambiato, e che le stagioni (che oggi sembrano non esistere più...) siano più calde di quello che era "una volta" e che gli inverni erano certamente più nevosi quando eravamo bambini. Le sensazioni, per comprendere un fenomeno, sono estremamente pericolose ed è intuitivo come nel corso dei nostri 75/80 anni sul pianeta terra sia assai arduo inquadrare da un punto di vista di ripetitività statistica gli eventi atmosferici e climatici. La sensazione che nevicasse di più e quindi è in atto un riscaldamento del globo non vale "un fico secco", neppure se corrisponde alla realtà dei fatti.

    Una "buona analisi" scientifica dovrebbe, o almeno è auspicabile che lo faccia, condurre a risultati incontrovertibili e ripetibili prima di essere assunta a mantra globale e guidare una policy economica ed un fiume di investimenti in settori "cosiddetti" green.

    I tanto acclamati modelli predittivi promossi da IPCC e dalla pletora di scienziati del clima ed attivisti, sono veramente affidabili e (soprattutto) robusti?

    La "scienza del clima" si è vista attaccata da più parti, se non del mestiere (la narrativa ufficiale dice comunque siano una minoranza. Io credo che senza la paura di una gogna mediatica sarebbero molte di più), quanto meno abituate ad metodo scientifico, vedi Zichichi, Rubbia, Giaever, per citare tre nobel famosi, prontamente etichettati come vecchi rincoglioniti, per il "peccato" di aver messo in dubbio la "scientificità" dell'approccio delle analisi pro GW.

    In merito :

    https://www.lastampa.it/2015/04/12/cultura/j-scott-armstrong-vi-spiego-perch-le-previsioni-sul-clima-sono-sbagliate-wRKaPod7jnqh5MJ1pdy8vN/pagina.html

    Altra buona parte delle controversie sulla teoria del GW di origine antropica riguarda la capacità degli studi di dimostrare in maniera incontrevertibile la correlazione tra aumento di C02 e T e la sua causalità. Proprio sulla partita correlazione-causalità si gioca la comprensione del fenomeno GW. In particolare affinchè si possa evincere una causalità si deve avere chiaramente correlazione, la variabile CO2 deve precedere la T, e che variabili terze non siano in grado di portare variazione alle variabili considerate.

    E' tutto così chiaro e veramente condiviso?

    https://wattsupwiththat.com/2012/04/11/does-co2-correlate-with-temperature-history-a-look-at-multiple-timescales-in-the-context-of-the-shakun-et-al-paper/

    https://www.skepticalscience.com/co2-temperature-correlation.htm

    https://principia-scientific.org/solar-impact-on-climate-greater-than-thought/

    https://www.youtube.com/watch?v=TCy_UOjEir0

    (scelgo 4 link tra una moltitudine di altri, volutamente di parte(entrambe) e a tratti estremi nelle posizioni)

    Il dibattito comunque impazza, con gli uni che forti di un preteso consenso accademico universale (e ci sarebbe da discutere) chiudono gli occhi e si affidano a possibili soluzioni sovranazionali, deridendo la controparte convinta fino in fondo che "uno valga uno" e di confutare qualsiasi tesi. (volutamente estremizzo e la butto sul ridere).

    Ci sarebbe poi un ulteriore punto. A pensar male si fa peccato... diceva un ns noto connazionale del recente passato, ma quando il denaro sul piatto comincia ad essere ingente....

    Chiudo con un paio di provocazioni : qualcuno si ricorda ancora delle vaste e catastrofiste campagne mediatiche circa il buco nell'ozono degli anni 90 e le nefaste previsioni circa un imminente era glaciale negli anni 70?

    Da newsweek, 1975:

    https://iseethics.files.wordpress.com/2012/06/the-cooling-world-newsweek-april-28-1975.pdf

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  3. Mi permetto di segnalare anche questo :
    https://www.attivitasolare.com/teoria-del-cambiamento-climatico-cosa-ce-di-sbagliato/?fbclid=IwAR3lg-OAFPGAJcnttZd91Y9Qx-E2jfzRYQ3fb9SjSfdQJuzPA3NVntrVSmM

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