martedì 18 giugno 2019

Le manipolazioni delle valute si diffondono in tutto il mondo





di Brendan Brown


Come di consueto la pubblicazione dell'ultima relazione semestrale del Tesoro USA sulla manipolazione dei cambi (“Macroeconomic and Foreign Exchange Policies of Major Trading Partners of the United States") è stata accolta bene dai media, anche se la loro analisi è talmente viziata da essere una farsa.

Il segretario al Tesoro Mnuchin ne ha avallato i risultati, concludendo che non esiste alcuna manipolazione da nessuna parte. Sì, esiste un elenco di Paesi, tra cui Giappone, Germania e altri sei, i cui risultati meritano l'inclusione in un elenco di monitoraggio speciale, Cina esclusa. Quest'ultima è stata inserita in un monitoraggio separato in base a diverse preoccupazioni e le riforme raccomandate sono di ampia portata (incluso lo smantellamento degli handicap per gli investitori stranieri in Cina).

Per contro, la prescrizione generale per i Paesi sulla lista di monitoraggio è quella di adottare misure, di bilancio e strutturali, per aumentare la domanda interna. I manipolatori della valuta a Berlino, Francoforte, Tokyo, Zurigo, Londra ed a Pechino devono ridere di fronte a questa manifestazione di incompetenza del Tesoro degli Stati Uniti. Il mezzo più potente che scatena una guerra tra valute (politica monetaria e varie forme di repressione finanziaria) non è affatto menzionato nella relazione. Una scelta a dir poco bizzarra.

Prendete in considerazione la politica economica del primo ministro giapponese Abe: il capo della banca centrale mantiene basso lo yen tenendo in zona negativa i tassi d'interesse, nonostante un boom della spesa in conto capitale, fissando rigorosamente i tassi d'interesse a lungo termine a pochi punti base sopra lo zero. Tutto questo per portare l'inflazione IPC fino al 2%, in spregio ad un continuo calo dei prezzi. Questa debolezza dei prezzi dei beni e dei servizi riflette l'integrazione con l'Asia orientale, la digitalizzazione e la metamorfosi nel mercato del lavoro (deregolamentazione e declino del sistema delle retribuzioni di anzianità). Contemporaneamente la repressione finanziaria diminuisce ulteriormente l'attrazione per gli asset monetari giapponesi, aumentando così la forza dei deflussi di capitali. La relazione del Tesoro degli Stati Uniti non critica nulla di tutto ciò.

Mnuchin ha affermato che l'accordo di libero scambio tra Stati Uniti e Giappone deve includere un capitolo che bandisca la manipolazione della valuta; ma non ci dovrebbe essere eccitazione né sul suo contenuto, né più in generale sulla possibilità di raggiungere un accordo. Tokyo, come Berna, è un maestro delle tattiche di dilatazione dei tempi.

Possibile che nessun alto funzionario dell'amministrazione Trump capisca tutto ciò?

I funzionari pubblici tendono ad attenersi alle linee guida e al protocollo stabilito e l'amministrazione Obama ha già dimostrato questo punto. Mnuchin ha accennato (a Gerusalemme, 21 ottobre) ad una revisione di tutto questo, insoddisfatto della sua mancanza di opzioni nei confronti della Cina; ma non vi è alcuna base per aspettarsi che la questione essenziale delle armi monetarie sia inclusa in un qualsiasi discussione ufficiale su questi temi.

Il Trade Facilitation and Trade Enforcement Act del 2015 chiede al Segretario del Tesoro di monitorare le politiche macroeconomiche e monetarie dei principali partner commerciali e di effettuare analisi avanzate di questi partner se attivano determinati criteri oggettivi che forniscono informazioni su eventuali pratiche monetarie sleali. Il sottosegretario Lew ai tempi di Obama ha quindi stabilito tre criteri oggettivi.
  • Primo: il surplus commerciale bilaterale di un dato Paese supera i $20 miliardi con gli Stati Uniti?
  •  Secondo: il surplus delle partite correnti è superiore al 3% del PIL?
  • Terzo: l'intervento in valuta estera è persistente e unilaterale, cumulandosi oltre il 2% del PIL nell'arco di 12 mesi?

Sia nella teoria che nella pratica, questi test non hanno senso.

Le eccedenze commerciali bilaterali con gli Stati Uniti potrebbero essere ampie (e compensate da altri deficit commerciali bilaterali), senza la presenza di manipolazioni della valuta. Piuttosto le variazioni delle forniture internazionali e il vantaggio comparato potrebbero essere le principali variabili esplicative.

Un ampio avanzo delle partite correnti potrebbe essere pienamente coerente con le divergenze sottostanti nei risparmi e nei comportamenti di investimento tra Paesi, come in un sistema con sound money; gli studenti di storia sanno che la Francia e la Gran Bretagna avevano eccedenze delle partite correnti di quasi il 10% del PIL nei due decenni precedenti alla prima guerra mondiale sotto il gold standard.

E per quanto riguarda l'intervento sul mercato dei cambi, questo dovrebbe sicuramente essere espresso in termini di stock piuttosto che di flusso. Il Giappone non è intervenuto in modo significativo per molti anni nei mercati delle valute, ma perché il Paese continua a detenere massicce riserve in valuta estera (accumulate durante le precedenti fasi di intervento per mantenere ordinati i mercati delle valute) piuttosto che ridurle gradualmente a livelli normali?

Se venissero applicati test reali per verificare la manipolazione effettiva di una valuta (armi monetarie e repressione finanziaria) le accuse sarebbero giustificate non solo nei confronti del Giappone, ma anche della Cina e dell'Europa.

La Cina difende le politiche di allentamento monetario perseguendo il proprio obiettivo di inflazione al 3%. Ma perché un'economia di un mercato emergente con una crescita della produttività abbastanza rapida punta ad un'inflazione del 3% piuttosto che a prezzi stabili? E per quanto riguarda la repressione finanziaria, il controllo statale sulle istituzioni finanziarie, il quale va a deprimere i rendimenti per i risparmiatori, sono così note da spiegare l'elevata domanda di asset esteri (nonostante le restrizioni) e la debole domanda estera di asset finanziari cinesi.

In Europa abbiamo ancora la BCE di Draghi, con l'importantissima autorizzazione della Cancelleria di Berlino, che mantiene i tassi d'interesse negativi e un'espansione aggressiva della base monetaria nonostante l'economia tedesca sia in pieno boom e l'inflazione al 2%. Tutto ciò con il pretesto che l'area esterna della zona Euro richieda un lungo periodo di adeguamento dei prezzi al ribasso e questo obiettivo è più facile da raggiungere se i prezzi in Germania aumentano in modo significativo. Parallelamente la repressione finanziaria fa sì che i risparmi tedeschi vengano mobilitati attraverso le banche nazionali per finanziare gli stati deboli, soprattutto l'Italia.

Sì, questo è ciò che Draghi aveva in mente quando si vantava di voler fare tutto il necessario per "salvare l'euro". Ma gli Stati Uniti dovrebbero accettare passivamente le conseguenze di un euro super basso e di un gigantesco surplus commerciale tedesco? Non guardate la relazione del Tesoro USA per avere risposta!

Non vi è alcuna base per immaginare che l'amministrazione Trump si stia preparando per una nuova politica contro i manipolatori delle valute. Qualunque inasprimento della politica anti-manipolazione delle valute significherebbe una riforma monetaria finora assente nell'agenda politica internazionale. Inoltre se gli Stati Uniti dovessero censurare le politiche monetarie straniere che apparentemente vengono giustificate dalla ricerca di un'inflazione al 2%, allora dovrebbe essere messa in discussione tale linea di politica e non godere di un rispetto acritico.

Come minimo gli Stati Uniti dovrebbero prendere di mira il FMI e le sue squadre di sorveglianza dei tassi di cambio, le quali giustificano tutti i tassi di cambio con la formula standard "l'equilibrio sottostante". Criticare il FMI potrebbe essere attraente per l'amministrazione Trump, ma sarà tutto fumo e niente arrosto se non avrà luogo una riforma monetaria internazionale.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://francescosimoncelli.com/


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