venerdì 17 gennaio 2020

Attenzione gente, le banche centrali faranno qualcosa di stupido





di Francesco Simoncelli


Con la fine del 2019 abbiamo visto l'ennesimo salvataggio targato banche centrali di un sistema incancrenito, che continua ad annaspare tra le increspature dello tsunami di credito vomitato nell'ambiente finanziario. Le banche centrali stanno giocando con qualcosa che va ben oltre la loro comprensione e soprattutto capacità di controllare, visto che non appena sono emersi i primi problemi sui mercati la FED è entrata a gamba tesa fornendo un totale ormai di $500 miliardi in liquidità. La cosa da far mettere le mani ai capelli è che stiamo parlando di interventi per influenzare il tasso overnight del mercato dei pronti contro termine, ovvero, un tasso giornaliero. Questo per dire che si è passati dal prendere come riferimento il tasso di rendimenti del decennale USA in passato, ad oggi in cui ogni giorno i pianificatori monetari centrali devono aggiustare il tiro per mantenere salda la loro presa sui mercati. O almeno l'illusione che sia così.

Questo perché è assodato che le banche centrali possano andare in bancarotta, quindi la nenia secondo cui sono onnipotenti dato che possono stampare tutto il denaro che vogliono è sbagliata. Perché? Perché non ci si domanda una cosa: a che prezzo? Di conseguenza le banche centrali rischiamo sempre di più, ogni giorno che passa, di fare qualcosa di nettamente stupido. L'ultima sciocchezza in ordine cronologico è quella rappresentata dai due grafici che seguono, dove possiamo notare la stretta correlazione tra il temporaneo disinnesco del caos nel mercato dei pronti contro termine e l'inversione repentina del bilancio della FED.



Inutile dire che è lecito chiedersi fino a quando può durare questo tira e molla e la risposta è un tempo indefinibile ex ante. A supporto di ciò, però, c'è da dire che il commercio mondiale è in stallo e nella stessa situazione langue anche la produzione industriale. Infatti basta consultare quegli indici quanto più vicini al mondo reale e in grado di dare un quadro vagamente esaustivo dello stato del bacino della ricchezza reale, come il Baltic Dry Index, per capire come la Legge dei Rendimenti Decrescenti stia facendo velocemente il suo corso quando applicata alla stampa sconsiderata di denaro fiat. Quindi la quantità di denaro stampata conta, perché in ultima analisi tale denaro finisce nell'economia più ampia causando un innalzamento generale dei prezzi (con un certo scarto temporale ovviamente). Su questo tema, però, infuria il dibattito tra coloro che prevedono la deflazione dei prezzi e quelli che predicono l'inflazione dei prezzi. Ciò che conta è la direzione dei prezzi, anno dopo anno, a ritmi superiori al 2% annuo. Se i prezzi scendono, i contratti di debito a lungo termine favoriscono i creditori, mentre se aumentano al di sopra del 2% annuo, i contratti precedenti favoriscono i mutuatari (che pagano con denaro svalutato). Il numero di mutuatari che vota è decisamente più alto rispetto a quello dei creditori, ecco perché la politica favorisce sempre l'inflazione dei prezzi a lungo termine.

Gli inflazionisti fanno notare l'aumento del bilancio del Federal Reserve System, che è aumentato più rapidamente che in qualsiasi momento nell'era post-Seconda Guerra Mondiale. Quindi concludono che all'orizzonte si staglia una grave inflazione dei prezzi. I deflazionisti fanno invece notare il moltiplicatore monetario M1, che è sceso nettamente. Quest'ultimo è il risultato delle decisioni dei banchieri commerciali di non prestare denaro al pubblico, accumulando invece riserve in eccesso presso la FED. Quindi se le banche non prestano, concludono i deflazionisti, si prospetta una grave deflazione dei prezzi.

Ma ecco presentarsi la tempesta perfetta: le banche commerciali hanno bisogno di liquidità per restare a galla e se non è la banca centrale che la offre allora devono prenderla dalla clientela. Questo significa attirare nuovi depositanti. Come? Pagando un interesse positivo. Come in un ambiente economico dove l'interventismo delle banche centrali ha soppresso il rischio reale e i rendimenti della maggior parte della classe di asset? La propaganda mainstream continua a bombardare le masse affinché  utilizzino le banche ed i loro circuiti per le loro operazioni economiche. Il gioco delle banche centrali, quindi, è a doppio taglio: se da un lato intervengono per aiutare il settore bancario commerciale, il perdurare di questa situazione crea distorsioni che infine portano a paradossi necessitanti una correzione. Questo per dire che nonostante gli interessi sborsati sulle riserve in eccesso, il fatto che il sistema finanziario fosse decotto non è cambiato nonostante tutto l'interventismo finora messo in campo. Questo a sua volta fa entrare in scena la disperazione e con essa un errore madornale che permetterà una correzione salutare. L'ennesima dimostrazione che la pianificazione monetaria centrale è fallimentare poiché in disaccordo con un calcolo economico genuino.

Quindi le banche sono state costrette a tornare sul mercato dei prestiti, altrimenti sarebbero state prosciugate dai pagamenti ai depositanti che in massa sono stati canalizzati nel sistema bancario.



Ogni scuola di pensiero economico, tranne la Scuola Austriaca, si fida dello stato o della banca centrale affinché possano fare qualcosa nei momenti di stress. Il mondo intero crede nell'inflazione monetaria come cura suprema per i periodi di congiuntura negativa. Ogni volta che l'economia rallenta, vengono invocate le rotative monetarie per "risolvere" i guai. Coloro che prevedono una deflazione dei prezzi sostengono che l'inflazione monetaria non sarà sufficiente da superare la deflazione dei prezzi. Davvero? Non vi è alcun limite teorico all'aumento dei prezzi dato il potere monopolistico di cui gode il sistema bancario centrale. Poiché le persone associano l'aumento dei prezzi alla prosperità, ci sarà sostegno al denaro fiat.

Il punto è semplice: ad un tasso di interesse dello 0%, le persone di solito prendono in prestito denaro per acquistare cose. Questa affermazione è smentita quando l'unità di conto con cui si accendono i prestiti perde potere d'acquisto a ritmo incalzante. In questo caso i consumatori se ne sbarazzeranno per possedere beni (la fase del ciclo del credito che Mises chiamò crack-up boom, dove gli attori di mercato non ritengono più che quello che consideravano denaro può fungere come tale nel medio-breve termine). Se i banchieri centrali non riescono più a convincere i consumatori ad accendere prestiti, possono prestare denaro allo stato il quale poi lo manderà a gruppi con interessi speciali. A loro volta questi gruppi lo spenderanno, e così via. Ecco perché ci sarà inflazione dei prezzi in futuro, non deflazione.

Qual è quell'evento che può far perdere potere d'acquisto a ritmo incalzante all'unità di conto? La cocciutaggine dei banchieri centrali e la ricerca del Santo Graal del controllo, come starnazzato dallo zio Ben. I tassi negativi sono la distruzione definitiva del denaro fiat, un'aberrazione economica che parte da una diagnosi errata: l'idea che gli attori economici non prendano più credito o investano di più perché scelgono di risparmiare e quindi il risparmio deve essere penalizzato per stimolare l'economia.

L'inflazione e la crescita non sono basse a causa dell'eccesso di risparmio, ma a causa dell'eccesso di debito. Perpetuare l'eccesso di capacità con tassi bassi e liquidità a profusione non fa altro che zombificare l'economia, sovvenzionando i settori fortemente indebitati e penalizzando la produttività con tasse predatorie. I tassi negativi non aiutano a ridurre il debito, lo incentivano; non rafforzano la capacità di credito delle famiglie, perché i prezzi degli asset non replicabili (immobili, ecc.) salgono alle stelle a causa dell'eccesso monetario e il minor costo del debito non compensa il rischio maggiore.

La crescita degli investimenti e del credito non è contenuta perché gli attori economici sono ignoranti o risparmiano troppo, ma perché hanno un cervello. Le famiglie e le imprese sono più caute nei loro investimenti e decisioni di spesa perché percepiscono che la realtà che vedono ogni giorno non corrisponde al costo della vita e a quanto guadagnano. È del tutto errato pensare che le famiglie e le imprese non stiano investendo, accedendo prestiti o spendendo, lo stanno facendo ma meno di quello che i pianificatori monetari centrali vorrebbero. Di conseguenza non si tratta di spiriti animali volubili o un settore privato pigro, ma un tipico caso di stime errate dei pianificatori monetari centrali. La loro tesi è incoerente: i tassi sono negativi perché richiesti dai mercati, non perché sono imposti dalla banca centrale. Se così fosse, perché non lasciano fluttuare i tassi liberamente se il risultato sarebbe stato lo stesso? Perché è falso.

I tassi negativi sono un enorme trasferimento di ricchezza dai risparmiatori allo stato. Ma è un processo suicida, perché nel frattempo assistiamo alla distruzione della percezione del rischio e al salvataggio di una masnada di attività inefficienti. La NIRP può essere difesa solo da persone che non hanno mai investito, creato ricchezza reale o creato un lavoro, perché nessuno che ha lavorato nell'economia reale può credere che la repressione finanziaria porterà gli attori economici ad ingozzarsi di credito e rafforzare l'economia. Quando le banche centrali si presentano come coloro che annulleranno la fase di bust del ciclo del credito, non fanno altro che generare un rischio e una bolla più grandi.

La Svezia, ad esempio, ha fallito col suo esperimento NIRP iniziato cinque anni fa e ora lo inverte a causa dei rischi finanziari che stanno eruttando. L'indice dei prezzi degli immobili è aumentato del 50%, l'indice residenziale medio è aumentato del 27%, gli asset non replicabili sono saliti tra il 30% e il 70% (infrastrutture, ecc. ), il mercato azionario è salito di oltre il 20%. Di contro, però, i consumi e gli investimenti delle famiglie si sono mossi a malapena ed i salari reali sono rimasti stagnanti. La politica monetaria è passata dall'essere un sostegno alle riforme strutturali ad una scusa per evitarle. Ora gli stati sono lieti di leggere sui giornali e sentire gli economisti parlare di "misure fiscali". E quando uno stato sente "misure fiscali" state pur certi che si tradurranno in nuove "spese". E quando gli stati della zona Euro iniziano a spendere, il risultato è sempre lo stesso: più debito e tasse più alte.



LA GRANDE VENDITA DI AZIONI

In questo contesto la narrativa di mercati azionari più forti inizia a farsi debole, perché oltre alla sovra-estensione che hanno raggiunto nel complesso, non c'è niente alla base dei vari titoli sui mercati che possa giustificare l'impennata pazzesca che hanno avuto sin da quando la FED ha messo mano al mercato dei pronti contro termine. Divergenze negative, flussi di cassa, fondamentali, segnali di conferma, utili, niente di tutto questo è servito a mostrare l'allarme rosso presente sulla scena azionaria. Inutile sottolineare come la manipolazione del mercato obbligazionario abbia successivamente portato ad un front-running selvaggio sulla maggior parte delle classi di asset. Il denaro ha fatto levitare artificialmente i loro prezzi, danneggiando al contempo i rendimenti di lungo termine e costringendo attività presumibilmente oculate negli investimenti (es. fondi pensione) a rivolgersi addirittura ai mercati spazzatura per ottenere la resa annuale di cui disperatamente avevano bisogno.

Non appena i rubinetti monetari sono stati appena rallentati, si sono viste le prime crepe. Da quello che possiamo vedere dagli indicatori, come le bande di Bollinger, sono belle profonde visto che dopo una estensione del genere il test della linea mediana è a dir poco scontato. Sì, questo significa come minimo una correzione del 50% dei principali indici azionari.




Sembra di rivedere il copione del primo trimestre del 2000, quando a fronte di una lieve correzione di inizio anno i mercati poi hanno segnato nuovi massimi. Inutile ricordare cosa sia accaduto dopo. Potremmo vedere la stessa cosa nel primo trimestre di questo anno, dove i tori andranno a comprare sulla scia delle iniezioni di liquidità. Sebbene sentiate urlare "compra", non fatelo. È una trappola. Gli squilibri non solo solo di natura teorica, come fin qui documentato, ma anche di natura tecnica. Il trading giornaliero dei titoli qui sopra raffigurati (Dow Jones, S&P, NASDAQ) è costellato da una miriade di gap che prima o poi saranno colmati. Per non parlare poi delle divergenze su RSI e MACD. Questo per dire che non ci sono volumi a supporto di tale salita ed è solo di natura speculativa.

I principali protagonisti da tenere sotto controllo per prevedere in qualche modo l'arrivo della correzione sono Apple e Microsoft.


È probabile che si verifichi un considerevole pullback all'inizio del primo trimestre 2020 ($230 circa), al quale poi potrebbe far seguito pullback più grande più avanti nel 2020 e nel 2021. Lo stesso discorso vale per Microsoft.


I trend sono estremamente ripidi, stretti ed ampiamente disconnessi, e quindi, a mio avviso, pericolosi. Non sto dicendo che queste aziende non continueranno a crescere o non abbiano modelli di business vincenti. Quello che sto dicendo è che esiste un enorme rischio tecnico e, date le loro dimensioni e il loro dominio, queste società contengono anche elementi di rischio sistemico in quanto molti possiedono gli stessi titoli decisamente famosi. Entrambi quindi sono azioni chiave da tenere d'occhio durante tutto l'anno. I tori non possono permettersi di perderne neanche una di queste e la loro traiettoria di prezzo è, a mio avviso, insostenibile. Occhio quindi ad altri due fattori cruciali: il pattern di compressione del VIX e le banche centrali che stanno acquistando oro.





LA FINE DEI PASTI GRATIS PER IL KEYNESISMO

Ma non si tratta solo delle banche centrali in quanto tali, bensì di tutto il pensiero economico che ne ha forgiato l'esistenza. La grande svendita non sarà solo fisica, ma anche a livello delle idee. Nel mondo del pensiero economico i keynesiani sono sempre stati i protagonisti. Da quando F. A. Hayek trascurò di sfidare Keynes dopo la pubblicazione della Teoria Generale nel 1936, il keynesismo ha goduto di pasti gratis. Non scrisse mai un libro dettagliato che riga per riga confutasse l'opera di Keynes. Altri lo fecero, ma non erano famosi. Un economista di nome Arthur Marget rispose dopo due anni con il volume I di una confutazione in due volumi: The Theory of Prices. Ma nessuno aveva sentito parlare di Marget e ancora oggi quasi nessuno ha mai sentito parlare del suo libro.

Le pressioni della seconda guerra mondiale giustificarono il fatto che Keynes non poteva rispondere ai critici, perché impegnato a gestire il Ministero del Tesoro britannico. Altro pasto gratis, quindi. Morì nel 1946 e due anni dopo Paul Samuelson scrisse il libro di testo universitario di maggior successo in economia. Da quel momento in poi il keynesismo in generale sarebbe stato inarrestabile.

Ludwig von Mises fu un eccellente scrittore e difensore della sua posizione, purtroppo quest'ultima era lontana dagli ambienti che contavano nel mondo accademico. Dopo il 1945 si ritrovò ad insegnare in un'università di seconda scelta, senza una retribuzione fissa, e sfortunatamente nessuno prestò attenzione alla sua confutazione di tutti gli altri sistemi economici. Il suo libro, L'Azione Umana, fu pubblicato nel 1949 e solo poche persone lo lessero. Vendette meglio del previsto, ma sicuramente non fu un best seller.

La cosa principale che salvò Mises fu il fatto che l'editore della Yale University Press amava i suoi libri ed erano venduti abbastanza bene da giustificare la loro ristampa. Agli inizi degli anni '60 il "discepolo" di Mises, Murray Rothbard, iniziò a portare avanti i principi del pensiero economico del suo mentore. Rothbard era uno scrittore migliore di Mises (e di tutti gli altri) e un polemista incallito, ma era ancora al di fuori delle sfere accademiche. Fu relegato ai margini del mondo accademico, il Politecnico di Brooklyn, che non offriva nemmeno una specializzazione in economia. I suoi primi libri furono pubblicati principalmente con il sostegno finanziario del Volker Fund, e poi di case editrici minori. Non guadagnò molta attenzione, ciononostante fece gradualmente emergere il vantaggio di seguire i principi della Scuola Austriaca: il keynesismo è incoerente. Non solo, ma ogni volta che gli economisti della Scuola di Chicago scrivono per altri economisti, diventano anche loro incoerenti. Adottano le formule e il gergo matematico dei keynesiani. I professori di ruolo ritengono indegno comunicare con le persone comuni mediante un linguaggio semplice e coerente.

Il motivo è semplice: godono della protezione del cartello statale (accreditamento accademico) e tale cartello è finanziato dal denaro dei contribuenti. Pertanto una critica all'istruzione pubblica, alla regolamentazione statale e allo stato non entra mai in un libro di testo studiato nei dipartimenti di economia. Agli studenti non viene mai presentata una confutazione della visione del mondo keynesiana. Nella migliore delle ipotesi studiano pseudo-critiche mosse dagli economisti della Scuola di Chicago o dagli economisti della public choice.

Gli Austriaci come chi scrive questo pezzo che sono seguaci di Mises e Rothbard non sono turbati dal fatto che sono stati esclusi dalle "sale del potere". È logico perché sia accaduto: esiste una scuola di pensiero economico che si oppone alle politiche keynesiane e monetariste. Riconoscerli a livello accademico avrebbe significato dare loro un pubblico e questa è l'ultima cosa che i keynesiani abbiano mai voluto. Ciononostante il tempo è stato galantuomo ed i meriti della Scuola Austriaca sono stati pubblicamente riconosciuti quando nel 1990, in un articolo sul New Yorker, Robert Heilbroner, il socialista multimilionario che si arricchì coi diritti d'autore del suo libro The Worldly Philosophers, ammise pubblicamente che Mises aveva avuto ragione sull'incapacità dei socialisti di escogitare un sistema di calcolo economico razionale.

Scommetto che a questo giro sarà Paul Krugman colui che dovrà cospargersi il capo di cenere e dar ragione agli Austriaci di fronte al fallimento dell'economia mista. Più precisamente il fallimento conclamato delle prescrizioni keyensiane, le quali hanno scatenato forme di interventismo sempre più brutali.



CONCLUSIONE

Chiunque preveda un'inevitabile deflazione dei prezzi non capisce che lo scenario attuale è il prodotto di banchieri commerciali/centrali terrorizzati. Sanno che se non intervengono l'establishment cadrà a pezzi sotto gli errori economici del passato (mai corretti) e sanno anche che se intervengono alimenteranno un'inflazione dei prezzi di massa. Questo è il fatto centrale nel dibattito inflazione contro deflazione. Nel frattempo la quota dell'economia più ampia sotto l'egida dello stato aumenta incessantemente a causa dei suoi deficit.

Stiamo assistendo alle battute finali del keynesismo. La sua dipartita aprirà le porte all'inflazione di massa. Deflazione di massa? Ve la potete scordare.


1 commento:

  1. Concordo in pieno. Hanno scelto la strada dell´inflazione, iperinflazione e distruzione della moneta fiat. Non e´piu´possibile la marcia indietro.

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