venerdì 28 agosto 2020

La disintegrazione finanziaria dell'Eurozona

 

 

di Alasdair Macleod 

Il monitoraggio della crisi dell’Area Euro mostra i crescenti squilibri nei regolamenti esistenti tra i membri del sistema TARGET2: la BCE (con un deficit di €145 miliardi) assieme alle altre banche centrali dell’Eurozona. A parte piccole differenze che riflettono il commercio transfrontaliero netto non compensato da flussi d'investimento che vanno in senso contrario, questi squilibri non dovrebbero esistere. Ciononostante a seguito del fallimento della Lehman Brothers nel 2008 e dopo che l’Eurozona stessa è stata soggetta alla sua propria serie di crisi, tali squilibri che sulla carta dovrebbero essere assenti non solo non lo sono, ma mostrano un chiaro trend in crescita. I commentatori economici si sono a tal punto abituati a questo stato di cose che ora nemmeno si premurano più di menzionarli nei loro report; ma nei mesi passati la buona performance della Bundesbank (che si trova in avanzo di €995.083 milioni) ha accelerato il passo, così come – di converso – sono aumentati i disavanzi di Italia (€536.722 milioni) e Spagna (€451.798 milioni). Dunque è giunto il momento di prendere in considerazione sul serio questi disavanzi.

 

TARGET2 – L’amico “flessibile” della BCE

Il cosiddetto “TARGET2” è il sistema attualmente in vigore per regolare i pagamenti ed i trasferimenti che hanno luogo tra le diverse banche centrali. Il modo in cui funziona, o –  meglio – in cui dovrebbe teoricamente funzionare, è il seguente: un produttore industriale tedesco realizza i suoi prodotti e li vende ad un’azienda italiana, la quale paga il produttore tedesco attraverso la propria banca in Italia; questo avviene facendo sì che la banca italiana paghi attraverso la banca centrale italiana, la quale – a sua volta – realizza il pagamento passando per il sistema “TARGET2”, poi per la banca centrale tedesca e, infine, sul conto corrente del produttore tedesco.

Tuttavia, dalla crisi della Lehman Brothers e soprattutto dalla crisi dell’Eurozona, i flussi di capitale sembrano essersi spostati dai famosi PIGS (ossia Portogallo, Italia, Grecia e Spagna, ve li ricordate?) per dirigersi principalmente verso la Germania, il Lussemburgo, l’Olanda e la Finlandia – in quest’ordine. Prima del 2008, il bilanciamento era mantenuto grazie ai deficit commerciali della Grecia, ad esempio, i quali venivano compensati da afflussi di capitali poiché i residenti in altre parti della zona Euro acquistavano obbligazioni greche, altri investimenti in Grecia e – inoltre – tanto il commercio quanto il settore turistico greci raccoglievano entrate nette di cassa.

In questo senso, è scorretto dire che gli squilibri commerciali hanno indotto a quelli del TARGET2, sebbene una parte del problema dovrebbe essere rintracciata nella mancata liquidazione dei flussi d'investimento del settore privato.

Quindi giungiamo alla questione della “fuga di capitali”, che – se esaminata in modo approfondito – ci porta alla conclusione che non c’è alcun problema di questo tipo.

Il problema non è che i residenti in Italia o Spagna aprano dei conti correnti bancari in Germania e vi trasferiscano i loro depositi precedentemente allocati nei conti correnti delle rispettive Nazioni; si tratta – piuttosto – di un caso curioso del problema di quella che in gergo economico si chiama “tragedia dei beni comuni”. L’origine di questo termine va rintracciata nell’applicazione dei diritti di proprietà di coloro che dovevano pascolare i loro animali in un terreno che non era proprietà di nessuno: dal momento che tutti potevano far pascolare i propri capi di bestiame in suddetto terreno comune e dal momento che nessuno era proprietario dello stesso, non c’era la necessaria struttura di incentivi tale da assicurare che la fertilità dell’appezzamento fosse gestita in modo efficiente, né che esso non fosse eccessivamente sfruttato da tutti gli altri allevatori. Come conseguenza di ciò, il terreno diventa sempre di meno produttivo nel corso del tempo. Allo stesso modo, le banche centrali nazionali (che sono pesantemente esposte a dei prestiti potenzialmente rischiosi) sanno che le loro perdite, nel caso si manifestassero nel contesto di una crisi sistemica del settore bancario, verranno socializzate grazie ed in funzione alla loro quota di partecipazione al sistema bancario centralizzato.

La cosiddetta “capital key” fa riferimento alla quota di capitale di rischio che le singole banche centrali nazionali hanno messo a disposizione della BCE. Ad esempio, la Capital Key della Germania è pari al 26,4% del totale, il che vuol dire che se – per qualsiasi ragione – il sistema TARGET2 collassasse, le perdite della Bundesbank (nella misura in cui i crediti inesigibili nell'Eurosistema sono condivisi) sarebbero nell'ordine delle migliaia di miliardi di euro dovuti dalle altre banche centrali nazionali. Ma sarebbe un’accusa troppo grande affermare che alcune banche centrali nazionali, come quelle di Spagna e Italia, stanno sfruttando il sistema. Sembra essere semplicemente una conseguenza non intenzionale del sistema TARGET2.

Se una banca centrale nazionale si trova in una posizione di deficit rispetto alle altre, ciò accade quasi certamente perché ha prestato – su una base netta – a delle banche commerciali allo scopo di coprire dei pagamenti con dei trasferimenti invece di aiutarle a portare a termine i pagamenti mediante il sistema summenzionato. Questi prestiti sono iscritti tra gli attivi nei bilanci delle banche centrali nazionali, mentre sono iscritte come passività dal punto di vista della BCE. Ma seguendo le stesse regole, se qualcosa va storto sia con il proprio prestito sia con quello delle banche centrali nazionali, i costi di queste perdite sono “socializzate” mediante la BCE sulla base della formula “capital key”. In teoria, quindi, è tutto interesse delle banche centrali nazionali far sì che queste sviluppino dei deficit superiori sulla base della capital key mediante il supporto delle rispettive banche commerciali nazionali. Non è – quindi – un atto deliberato della Banca d’Italia o della Banca di Spagna quello di erogare prestiti la cui solvibilità è poco sicura; è il sistema di incentivi ed il modo di funzionamento intrinseco al sistema – così come le varie pressioni che vengono dalle diverse nazioni – che rende possibile tutto ciò.

Per capire come mai tutto ciò rappresenti un problema, dobbiamo fare un passo indietro e vedere cosa è successo nelle precedenti crisi che si sono susseguite dopo quella della Lehman Brothers, che ha dato l’input a riformare le pratiche di regolamentazione delle singole nazioni. Se il regolatore bancario nazionale credesse che i prestiti siano poco affidabili, quella delle perdite diventerebbe una questione di rilevante importanza; così come se il summenzionato regolatore ritenesse che questi prestiti fossero sicuri, è chiaro che essi diventerebbero idonei ad essere oggetto delle operazioni di rifinanziamento delle singole banche centrali nazionali. Di conseguenza una banca commerciale può utilizzare i prestiti come garanzia collaterale e prendere a prestito denaro dalla banca centrale della sua nazione che – a sua volta – condivide il rischio con tutte le sue controparti internazionali in accordo con la regola del capital key; in questo modo i crediti inesigibili degli operatori economici insolventi vengono rimossi dal sistema finanziario dei singoli Paesi e scaricati nella BCE e nell’Eurosistema.

Nel caso dell’Italia, il livello molto alto di “non performing loans” ha raggiunto il suo massimo nel settembre 2015 quando ha toccato quota 17,1%, mentre ora si attesta a quota 6,9%. Come illustra PWC Italia: “Le banche italiane, in risposta a pressioni provenienti tanto dal legislatore quanto dai mercati, hanno di fatto dimezzato lo stock di ‘non performing loans’ a €135 miliardi nel 2019 rispetto ai €314 miliardi nel 2015; allo stesso tempo hanno rimesso in sesto la loro piattaforma dei restanti ‘non performing loans’ ed implementato una nuova struttura organizzativa in maniera tale che – nella prossima crisi – esse possano gestire il problema dei ‘non performing loans’ con maggiore resilienza”.

Stante la struttura di incentivi descritta in precedenza, che rende estremamente conveniente scaricare i debiti potenzialmente inesigibili presenti all’interno del proprio Paese e usare il TARGET2 come modo per immetterli nell’Eurosistema, sarebbe un miracolo se gran parte di questa riduzione di “Non Performing Loans” fosse genuina.

Per quanto riguarda gli stati membri con dei deficit nel contesto del sistema TARGET2, come – ad esempio – l’Italia, è insorta una serie di problemi di liquidità per quanto riguarda le industrie, il che le ha fatte classificare come insolventi. In un contesto in cui le autorità di regolazione bancaria sono incentivate a scaricare i problemi delle industrie insolventi dall’economia nazionale verso quella europea, i prestiti a queste industrie non solo sono stati continuati ma sono anche aumentati: conseguenza di tutto ciò è il fatto che le imprese di nuova costituzione sono state messe alle strette dall’accedere ai cordoni della borsa del credito bancario, dal momento che questo è stato utilizzato per mantenere in vita delle attività produttive che se ne sarebbero dovute andare molto tempo fa.

A livello ufficiale non ci sono problemi, dal momento che la posizione netta della BCE e di tutte le altre banche centrali nazionali finisce per essere uguale a zero, condizione – questa – che viene artificialmente mantenuta dalla condivisione delle passività grazie al sistema del capital key. Secondo i suoi progettisti, quindi, il sistema di pagamenti denominato “TARGET2” è – di fatto – immune dal fallimento sistemico. Tuttavia, dal momento che molte banche centrali nazionali usano il summenzionato sistema quale modalità di finanziamento per ampliare i loro bilanci (cosa, questa, che serve a sua volta per finanziare le rispettive banche commerciali a livello nazionale), alcune banche centrali nazionali hanno accumulato un'enorme quantità di passività non tanto per le loro esigenze, quanto piuttosto per quelle delle rispettive autorità di regolamentazione.

La banca centrale dell’Eurosistema che si trova nei guai più seri è la Bundesbank, a cui è dovuta una cifra vicina ai mille miliardi di euro mediante il sistema TARGET2. E il rischio di perdite si sta ora facendo più serio sia in termini quantitativi, viste le conseguenze economiche del Covid-19, sia in termini qualitativi rispetto alle attività di prestito sottostanti, le quali si stanno rapidamente deteriorando. I principali colpevoli, le banche centrali nazionali di Italia e Spagna, vedono aumentare rapidamente i loro deficit. La Bundesbank dovrebbe essere molto preoccupata. I suoi direttori sono consapevoli del problema, soprattutto perché ora è di dominio pubblico.

Ci si potrebbe chiedere come questo "mitico surplus" sia coerente con il bilancio della Bundesbank. Tale surplus rappresentava circa la metà degli attivi totali della Bundesbank al 31 dicembre 2019 e finanzia, tra le altre cose, conti correnti e depositi per €560 miliardi tra le proprie banche commerciali avverse al rischio. Il silenzio della banca centrale tedesca in merito a questo fatto si sta facendo sempre più indifendibile.

 

Le banche commerciali sono in guai seri

La posizione delle banche commerciali europee, per usare un eufemismo, è estremamente precaria. Per anni hanno operato nel contesto di tassi negativi imposti dalla BCE, il che – di fatto – si configura come una tassa sulla liquidità detenuta dalle banche commerciali; una tassa che può essere compensata solo acquistando titoli di stato e altri titoli con un rendimento inferiore o positivo. In alternativa, possono prestare credito a clienti aziendali e consumatori per ottenere un margine positivo. Infine, possono utilizzare i loro bilanci per scopi puramente finanziari che, dati i fondamentali sottostanti, stanno diventando una probabile fonte di contrazione del credito.

Si potrebbe pensare che favorire i prestiti e trasferire queste risorse nell’economia reale dovrebbe essere uno dei più importanti obiettivi della politica monetaria; tuttavia – come abbiamo visto – il sempre crescente supporto che, grazie a questo strumento, è stato dato alle aziende zombi per prevenire un’ondata di fallimenti, non ha fatto altro che impedire che queste risorse venissero utilizzate per finanziare altre imprese. E gli obiettivi di politica monetaria della BCE sono divergenti da quelle che sono le prerogative delle singole banche centrali nazionali. 

La BCE opera su livelli più alti, infatti la cosa più importante che guida la sua politica sui tassi d'interesse è fare da balia per le finanze dissestate dei governi dei Paesi membri. Questa cura rivolta alle finanze dei singoli stati viene perseguita mediante una grande moltitudine di programmi di acquisto di asset, una strategia – questa – che permette alla BCE di impostare a livelli artificialmente bassi il costo di finanziamento dei deficit pubblici. Sotto questo aspetto bisogna notare che la BCE non può fare tutto ciò direttamente; quello che può fare – però – è operare sul mercato secondario: comprando obbligazioni statali dalle banche commerciali, viene creato spazio nel bilancio della BCE affinché le banche commerciali possano continuare a comprare il deficit dei governi risolvendo – in tal modo – i loro problemi di finanziamento. 

Di conseguenza questo schema si configura come un gioco a somma positiva sia per i governi (che, oggi, sono pagati per prendere in prestito), sia per le banche. Il rendimento delle obbligazioni statali viene sempre impostato affinché vi sia un ritorno positivo per le banche che li sottoscrivono e li vendono alla BCE. Ma questo giochetto, che sembra avere un rischio nullo, viene portato avanti al prezzo di un margine di profitto sempre più sottile; fatto – questo – che ha incoraggiato una sempre maggiore espansione dei bilanci delle banche per compensarlo. La Deutsche Bank, ad esempio, ha – con riferimento al 2019 – un rapporto tra il capitale totale e il capitale di rischio pari a 21,4 volte; la banca Credit Agricole ha un rapporto pari a 28,1 e Societé Generale un rapporto pari a 21,4 volte. Gli alti indici di “leverage” possono essere sostenuti solo da banche che possono dimostrare dei bassi tassi di "non performing loans"; una situazione – questa – che è radicalmente cambiata in peggio a causa delle conseguenze economiche dei lockdown. 

Altre banche – come la banca Unicredit in Italia e la Santander in Spagna – hanno dei rapporti asset/equity più bassI (rispettivamente 14,4 e 15,2) che riflettono dei rischi di prestito e dei tassi di "non performing loan" più alti; tuttavia questi rapporti sono ancora troppo alti se presi e letti nel contesto di un'economia europea e globale che si trova ad affrontare una fase recessiva. Anche se l’enorme massa di liquidità prodotta dalla BCE è rimasta nell’economia finanziaria e di conseguenza sta mantenendo alti i prezzi delle azioni, il rating del patrimonio netto delle banche dell’Eurozona è molto basso. La Tabella 1 mostra come questo impatti sul rapporto di indebitamento risultante dai bilanci dei GSIB:

Anche se si concede che questi numeri siano scandalosamente alti, le autorità di regolamentazione si concentrano sul rapporto tra asset totali e azioni; grandezza che diventa decisamente spaventosa quando si tiene conto del vero valore del patrimonio netto valutato dal mercato. Per le autorità di regolamentazione bancaria della zona Euro ignorare i rating di queste banche è equivalente a negare la loro responsabilità primaria che ne giustifica l’esistenza: proteggere il pubblico dalla cattiva pratica bancaria.

L’intero edificio della regolazione bancaria europea è – quindi – nient’altro che un enorme castello di sabbia. Fino a che la BCE continuerà ad esistere, il ruolo delle banche commerciali sarà quello di agire – nelle rispettive nazioni – come suoi agenti nel momento in cui esse finanziano i deficit di bilancio dei governi degli Stati UE; un problema – questo – che si è aggravato negli ultimi mesi e che sta mettendo a dura prova l’interno Eurosistema. Eppure nemmeno tutto questo è bastato a dissuadere la BCE dal continuare a spingere le banche commerciali nella fossa, persuadendole – invece – ad avere rapporti ancora più elevati e margini più esigui nella sua disperata azione di finanziare i deficit dei governi europei.

Per riassumere quanto detto:

  • Le banche centrali nazionali dei PIIGS stanno ora utilizzando il sistema Target2 come mezzo per finanziare il proprio bilancio rispetto al loro capital key, il che ha l'effetto di gravare sulle banche centrali di Germania, Lussemburgo, Finlandia e Paesi Bassi con passività in eccesso in caso di shock sistemico parziale o totale.

  • Invece di gestire i prestiti in sofferenza a livello nazionale, le banche sono incoraggiate a finanziarli continuamente ed a portarli nel proprio bilancio. Questi prestiti vengono poi utilizzati come garanzia per i finanziamenti delle banche centrali italiana e spagnola, nonché di Portogallo e Grecia, che vengono a loro volta finanziati attraverso gli squilibri nel sistema Target2.

  • Questa situazione non dovrebbe essere tollerata dalla Bundesbank in particolare, essendo questa esposta per quasi mille miliardi di euro in un sistema che viene progressivamente corrotto dai suoi utilizzatori

  • Essendo il finanziamento dei disavanzi pubblici l'obiettivo primario e ora esclusivo della BCE, il sistema bancario europeo ha portato a dei grandi livelli di rapporti di indebitamento delle banche commerciali dell’Eurozona; un fatto – questo – che non può fare altro che portare ad un collasso dell’intero sistema. Intanto i prezzi delle azioni dei GSIB europei stanno cercando di riflettere questo risultato.

  • L'Eurosistema non è adatto a far fronte ad uno shock sistemico della portata che deve affrontare e, all’accadimento dello stesso, ci si può aspettare che il sistema crolli.

 

Questioni di insolvenza dei governi nazionali

Il problema che sta alla base della debolezza del sistema bancario europeo (tanto per quanto riguarda il lato delle banche commerciali quanto per quel che concerne la BCE) è l’eccessivo livello di indebitamento e di spesa in deficit; dei fattori – questi – che sono destinati a salire ed ai quali quindi non si sta cercando una soluzione. Nel processo, il corso degli eventi ha corrotto il sistema dei pagamenti bancari europei dal momento che non ha fatto altro che aizzare le banche centrali nazionali l'una contro l'altra, essendo debitori e creditori reciproci; inoltre non ha fatto altro che incoraggiare le banche commerciali ad intraprendere pratiche scorrette non cancellando i crediti inesigibili. Non dovremo assolutamente dubitare del fatto che il sistema finanziario europeo abbia imboccato una strada tale alla cui fine non ci sarà null’altro che la distruzione dello stesso. 

Prima del COVID-19, la BCE si poteva aspettare di avere ancora margine sulla strada verso l'oblio finanziario che aveva imboccato: i sistemi di controllo che procedono secondo una logica “top-down” possono persistere per decenni nonostante tutto, purché il controllo sia abbastanza forte. Ma non dovremmo avere dubbi sul fatto che i lockdown delle economie abbiano avuto un impatto indebolente che chiama in causa la sopravvivenza dell'Eurosistema.

La Tabella 2 mostra il problema summenzionato riportando i dati macroecnomici fondamentali per Francia, Spagna e Italia:

Le previsioni per il PIL nel 2020 sono state effettuate da Focus Economics. Le statistiche sul debito rispetto al PIL e le loro previsioni provengono da Trading Economics. Da questi  dati possiamo derivare l'effetto economico sui settori privati ​​nazionali. Non è ampiamente apprezzato il fatto che i dati sul PIL  siano sostenuti dalla spesa pubblica extra, che una volta eliminata lascia il settore privato esposto a cali significativi del PIL su previsioni apparentemente panglossiane. Pertanto, un calo del 10,5% delle aspettative sul PIL per l'Italia quest'anno, dopo l'aumento della spesa pubblica dovuto al virus, si traduce in un calo del 28% del PIL del settore privato.

L'effetto sull'economia italiana porterà ad un nuovo ciclo di fallimenti a tutti i livelli dell'attività italiana, che si accumuleranno – a loro volta – nei bilanci delle banche italiane. Allo stesso modo, vediamo il settore privato spagnolo contrarsi del 22,5% e quello francese del 24%. In tutti e tre i casi, le previsioni per il 2021 prevedono riprese significative, coerenti con un rimbalzo a forma a V. Ma tali previsioni sono vulnerabili alla scontro con la realtà.

Tutti i keynesiani sembrano essere dei meteorologi, in quanto si aspettano che la spesa pubblica stimoli la ripresa economica. Ma in realtà, tutto ciò che ci si può aspettare da una spesa pubblica extra è un'apparenza statistica di ripresa attraverso la creazione di più credito bancario per sostenere la spesa pubblica. Con il sistema bancario che di fatto viene monopolizzato per fornire finanziamenti inflazionistici ai governi europei e con bilanci che evidenziano dei rapporti di indebitamento già abbastanza alti (come si vede nella Tabella 1), le prospettive di ripresa economica sono remote.

Non appena sarà chiaro che la ripresa richiederà più tempo del previsto, possiamo legittimamente aspettarci che la fragile fiducia sul fatto che la BCE possa continuare a mantenere in piedi il teatrino svanirà. Questo accadrà non prima che una o più di quelle banche dell'Eurozona altamente indebitate andrà in bancarotta.

 

Le conseguenze del dissesto finanziario

La situazione insita nel sistema denominato TARGET2 ha nascosto quella che è la questione centrale della crisi dell'Eurosistema. Le conseguenze degli squilibri sono poco comprese e quindi ignorate dai commentatori finanziari, ma come abbiamo visto l'Eurosistema e la sua struttura di regolamenti interni hanno favorito l'occultamento delle sofferenze a livello nazionale, trasferendole nella rete delle banche centrali nazionali.

I principali perdenti in questo gioco sono Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi e Finlandia. Con l'eccezione del Lussemburgo, da cui ci si può aspettare che assecondi il fluire degli eventi, gli altri potrebbero essere abbastanza determinati da formare il nucleo di una nuova area valutaria, ma è improbabile che lo facciano prima che l'Eurosistema imploda. Farlo equivarrebbe a partecipare attivamente alla distruzione del sistema stesso e delle sue banche centrali.

Il crollo dell'Eurosistema manderebbe in bancarotta i PIGS, e forse altri stati membri, tagliando tutti i finanziamenti monetari. Grossi dubbi aleggiano che in una tale crisi possa emergere una leadership politica forte, abile e determinata che sia capace di traghettare queste nazioni fuori dalla tempesta. In quanto forza centralizzatrice, Bruxelles è del tutto inutile e dopo la crisi perderà ogni credibilità. Inoltre il crollo dell'Eurosistema significherebbe la fine dell'euro come moneta circolante, quindi dovrebbero emergere delle soluzioni a livello nazionale in merito alla sua sostituzione.

La fine dell'euro sarà qualcosa che verrà pianto da molti. Quelli che grazie ad esso ed alla sua forza sono stati assoggettati ai voleri di Bruxelles si rammaricheranno di aver perso una valuta la cui offerta era controllabile da loro stessi; mentre quelli che finiranno per pagare per il suo fallimento avranno sacrificato tutti i risparmi.

Per il momento l'euro è forte contro la valuta di riserva mondiale, il dollaro. Questa forza deriva in parte dal suo moderato surplus commerciale internazionale rispetto all'enorme deficit commerciale degli Stati Uniti, e in parte dal fatto che il dollaro è di proprietà degli stranieri mentre l'euro non lo è. In termini di potere d'acquisto entrambe le valute sono sulle loro diverse traiettorie verso la distruzione.

La politica della FED di legare il dollaro alle fortune dei valori degli asset finanziari è una forma di distruzione della valuta, ma l'euro sarà distrutto quando l'Eurosistema cadrà a pezzi.

 

[*] traduzione di Giordano Felici per Francesco Simoncelli's Freedonia: https://www.francescosimoncelli.com/


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