giovedì 10 settembre 2020

I tempi sono maturi per un reset geopolitico



di José Niño

La politica estera sembra essere finita nel dimenticatoio nell'era Trump. Le questioni interne, la politica dell'indignazione e l'attuale epidemia di covid-19 hanno risucchiato l'ossigeno dal discorso politico americano.

Il fatto che i media scelgano di trattare materiale più sensazionalistico non rende la politica estera una questione banale. Semmai è la mancanza di copertura della politica estera che rivela lo stato fatiscente del dibattito politico contemporaneo. Quando il Quarto Potere si preoccupa di affrontare la politica estera, lo fa per le ragioni più isteriche.

L'attuale isteria russa è l'incarnazione dell'infantile copertura mediatica della politica estera. Sebbene la Guerra Fredda sia finita da decenni, gli esperti sia di destra che di sinistra rimangono convinti che la Russia, un Paese di quasi 145 milioni  di abitanti e con una produzione economica inferiore a quella del Canada, è determinata a ravvivare le sue passate aspirazioni durante la Guerra Fredda.

Anche l'Iran è sempre stato nelle menti dei neocon. Soffrendo del trauma della crisi degli ostaggi iraniani del 1979, i neocon e le loro controparti liberal nell'establishment hanno passato decenni ad approvare sanzioni e cercare di spingere per un cambio di regime in Iran. All'inizio di quest'anno, la sete di sangue dei neocon è stata parzialmente placata dopo che il governo degli Stati Uniti ha assassinato il  maggiore generale Qasem Soleimani all'aeroporto di Baghdad. In una sorprendente dimostrazione di moderazione, l'amministrazione Trump non si è accanita ulteriormente in Iran spingendo eventualmente l'America nell'ennesimo e disastroso intervento. Se Marco Rubio o Jeb Bush fossero stati al timone, Dio solo sa dove si sarebbero trovati gli Stati Uniti ora.

La crociata globale è stata portata ad un altro livello provocando il governo cinese nel Mar Cinese Meridionale e passando alla lente d'ingrandimento gli affari interni della Cina. Dalla repressione dell'etnia uigura nella regione dello Xinjiang al consolidamento del suo potere su Hong Kong, gli affari interni della Cina sono stati oggetto di attento esame da parte dell'Occidente. Le persone ragionevoli possono riconoscere che la Cina, nonostante abbia approvato alcune riforme pragmatiche negli anni '80, è ancora un regime repressivo. Ma tutto questo merita una potenziale escalation nel Mar Cinese Meridionale o, peggio ancora, un conflitto in piena regola?

Dato che sia la Cina che gli Stati Uniti sono potenze nucleari, probabilmente prevarranno le teste più razionali, ma il fatto che i politici stiano prendendo in considerazione l'idea di rischiare un conflitto catastrofico mostra che la loro sete di guerra e la destabilizzazione derivante da un cambio di regime non sono affatto svanite. Tali deliri alimentano uno stato di ebbrezza che impedisce loro di esprimere giudizi razionali.

 

Perché la politica estera americana è destinata ad una correzione

Francamente, è ora di iniziare a parlare di un reset geopolitico. Un riorientamento delle priorità della politica estera americana è atteso da tempo. Ci sono circa duecentomila soldati americani di stanza all'estero in quasi ottocento basi in settanta Paesi.

Secondo il professore di antropologia dell'American University, David Vine, gestire basi militari all'estero costa ai contribuenti $85-100 miliardi all'anno. Nel frattempo la decennale guerra al terrorismo è costata agli americani $5.900 miliardi e ha portato alla morte di 6.951 soldati americani e di almeno 244.000-266.000 civili in Medio Oriente. Nel 2020 la spesa per la difesa degli Stati Uniti ammonta a più di $732 miliardi, una cifra superiore ai bilanci militari dei prossimi dieci Paesi messi insieme.

 

Un mondo unipolare è morto

Grazie alla posizione degli Stati Uniti e al vasto arsenale nucleare, sono relativamente al sicuro da minacce esterne nonostante tutta la paura proveniente dalla folla interventista. Sta diventando chiaro che il modello missionario di esportare la democrazia all'estero è un fallimento.

Ciononostante i falchi della politica estera sono rimasti irremovibili nel perseguire il cambio di regime in Iran attraverso rigide sanzioni e altre misure. Non dobbiamo dimenticare che l'ingerenza del governo degli Stati Uniti nella regione è profonda. Tutto iniziò quando nel 1953 la CIA e l'intelligence britannica lanciarono un colpo di stato contro il leader populista Mohammad Mossadegh, provocando l'insediamento dello scià Mohammad Reza Pahlavi.

Dopo la deposizione dello scià nella rivoluzione islamica del 1979, gli Stati Uniti hanno visto l'Iran come uno dei suoi principali nemici. L'aumento delle sanzioni a partire dagli anni '80, insieme ad ulteriori sanzioni imposte dopo ogni decennio, ha solo aumentato le tensioni. Per non parlare dell'accresciuta presenza militare che circonda il Paese, la quale ha costretto l'Iran a diventare più furbo nella sua opposizione alla politica estera statunitense. L'Iran ha risposto ai tentativi di cambio di regime degli Stati Uniti non solo colmando il vuoto di potere che lo Zio Sam lasciò dopo aver completamente decimato l'Iraq, ma anche espandendo le sue operazioni in America Latina attraverso la creazione di reti clandestine nella regione. Sebbene nessuna delle reti rappresenti una minaccia esistenziale per gli Stati Uniti, mostrano quanto l'Iran si possa spingere in là per contrastare le invasioni statunitensi nel suo cortile. È l'apice dell'arroganza imperiale pensare che i Paesi si inchineranno e spargeranno rose al passaggio degli Stati Uniti.

Inoltre il crescente atteggiamento aggressivo degli Stati Uniti nei confronti dell'Iran ha creato le condizioni affinché stringesse alleanze con Russia e Cina, due Paesi che negli ultimi dieci anni sono stati anch'essi colpiti da sanzioni e soggetti al bullismo statunitense. Questi legami si sono rafforzati durante l'attuale epidemia covid-19. Indubbiamente l'Iran non si piegherà facilmente e cercherà alleanze con altri Paesi che condividono rimostranze simili contro la natura zelante della politica estera americana.

 

È un nuovo mondo là fuori

L'emergente multipolarità del mondo consente ai Paesi di unirsi contro un egemone antagonista comune come gli Stati Uniti. Mentre l'era unipolare di un tempo diventa un lontano ricordo, gli Stati Uniti non possono fare il giro del mondo senza ripercussioni. Le operazioni di cambio di regime in Siria hanno dimostrato che Paesi come Iran e Russia sono disposti ad intervenire per difendere i propri interessi indipendentemente da ciò che pensano i fanatici della politica estera a Washington.

Allo stesso modo, sottili macchinazioni in Venezuela hanno visto Paesi come Cina, Iran, Russia e Turchia possono rispondere sostenendo il regime dell'uomo forte assediato, Nicolás Maduro. Qualsiasi tentativo degli Stati Uniti di rovesciare governi che non gli piacciono verrà accolto con un significativo "No". I fanatici dei cambi di regime a Washington possono negare tutto ciò che vogliono, ma fa parte del riallineamento globale che si sta svolgendo davanti ai nostri occhi.

È incredibile ciò che i governi riescono a fare quando hanno a disposizione una stampante. Non ci libereremo presto del sistema bancario centrale, ma le illuse ambizioni di politica estera degli Stati Uniti possono ancora essere frenate. In fin dei conti, è una questione di volontà politica.

I policymaker dovrebbero considerare i costi delle loro avventure in politica estera prima di mandare i giovani a morire in una campagna sfortunata e far pagare il conto ai contribuenti, presenti e futuri.

Un reset geopolitico, che comporta il ridimensionamento degli interventi statunitensi e della loro presenza militare all'estero, promuoverà decisioni pragmatiche e la priorità delle politiche di difesa. Se i leader della politica estera americana abbandoneranno o meno la loro arroganza imperiale, è un'altra questione.

 

[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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