martedì 25 ottobre 2022

L'inutile guerra di Washington a nome di una nazione fasulla

 

 

di David Stockman

Il messaggio sta arrivando forte e chiaro, dalla sterlina che crolla al ripudio dei governi tecnici in Italia, Svezia e altri a venire, all'appello del primo ministro ungherese Orban a porre fine alla guerra delle sanzioni: l'intervento ottuso di Washington nello scontro tra Russia e Ucraina, e la conseguente Guerra delle Sanzioni mondiale, è sicuramente il progetto più stupido e distruttivo sorto dalle rive del Potomac nei tempi moderni. E gli artefici di questa perfida follia – Biden, Blinken, Sullivan, Nuland, et. al. – non possono che essere duramente condannati per quanto approvato e alimentato.

Dopotutto questa follia viene perseguita in nome di norme politiche astratte – lo stato di diritto e la santità dei confini – che fanno di Washington uno zimbello: negli ultimi decenni le ha violate in modo seriale e palese decine di volte più di qualsiasi altra nazione sul pianeta Terra.

Gli interventi di Washington in Serbia, Iraq, Afghanistan, Libia, Yemen, Siria, Somalia ecc. non solo sono stati inutili, ma erano anche un'evidente violazione dello stesso stato di diritto e santità dei confini su cui ora si batte il petto in modo sempre più stridente.

Inoltre, crogiolandosi in questa sfrenata ipocrisia, Washington ha abbandonato ogni parvenza di buon senso sul perché questo conflitto sia scoppiato in primo luogo e perché sia ​​del tutto irrilevante per la sicurezza nazionale americana, o, se è per questo, anche dell'Europa.

Il fatto fondamentale è che, a parte il breve intervallo del dominio comunista durante l'era sovietica, dopo il 1991 l'Ucraina non era mai stata uno stato-nazione all'interno dei suoi confini attuali. Infatti per oltre 275 anni prima del 1918 gran parte dei suoi territori erano terre di confine, vassalli e vere e proprie province della Russia zarista; e prima ancora costituenti dell'impero polacco-lituano e altri.

Quindi non abbiamo a che fare con l'invasione di uno stato di lunga data, etnicamente e linguisticamente coerente, da parte del suo vicino aggressivo, ma con un pot-pourri di lingue, territori, economie e storie diversi che furono costretti a stare insieme da brutali governanti comunisti tra il 1918 e il 1991.

Di conseguenza il freddo e buio inverno stagflazionistico che si sta avvicinando rapidamente in Europa, non è la cosneguenza dell'eroica difesa dei grandi principi offerti da Washington e dalla NATO. Al contrario, equivale all'inutile e sudicia volontà di preservare un vile status quo ante che si è evoluto nelle terre a nord del Mar Nero; un'evoluzione non in base ad un processo storicamente genuino, ma nato dalle mani lorde di sangue di Lenin, Stalin e Krusciov.

Gli sbalorditivi costi economici per la gente comune d'Europa, costretti a perseguire uno scopo illegittimo dai governanti elitari di Bruxelles, sono ormai sotto gli occhi di tutti. Da qui il risultato delle elezioni italiane e il parallelo appello di Viktor Orbán all'Unione Europea per revocare le sanzioni e quindi ridurre della metà i prezzi dell'energia in un colpo solo.

Né Orbán è l'unico a chiedere la fine delle sanzioni, dato che il primo ministro greco, Kyriakos Mitsotaki, chiede anch'egli l'abrogazione delle sanzioni alla Russia. Altri leader politici, come Matteo Salvini, affermano che l'Europa deve "ripensare" a queste sanzioni dati gli effetti economici dannosi.

Allo stesso modo, anche il partito conservatore Alternativa per la Germania (AfD) ha spinto per la fine delle sanzioni a causa dell'aumento dei costi energetici in Germania. Mariana Harder-Kühnel, membro dell'AfD nel Bundestag, ad esempio, ha di recente fatto eco all'appello di Orbán: "La burocrazia dell'UE ha fatto un danno inenarrabile con le sanzioni e ora stiamo pagando il conto", ha affermato.

In questo contesto, le ultime oscillazioni nel mercato FX per la sterlina parlano più di ogni altra cosa.

La sterlina britannica è scesa velocemente al livello più basso di sempre, toccando $1,0349 durante le ore di negoziazione asiatiche, superando il precedente minimo record nel 1985. Inoltre tale crollo era stato preceduto da un altro calo del 3%, dopo che il nuovo governo Truss aveva annunciato tagli fiscali radicali e un massiccio salvataggio energetico per imprese e privati.

Allo stesso modo, il prezzo del debito pubblico del Regno Unito è sceso di pari passo con la sterlina, con rendimenti in forte aumento. Il decennale inglese rende il 4,11%, in aumento di 28 punti base rispetto alle sessioni precedenti e uno sbalorditivo 342% rispetto al rendimento dello 0,93% di appena un anno fa.

Di seguito potete vedere il percorso della sterlina inglese negli ultimi dodici mesi; un enorme pollice in giù dai mercati FX, se mai ce ne fosse rimasto uno.

Ma il punto rilevante qui non sono tutte le chiacchiere keynesiane sull'"errore" di abbassare l'aliquota massima dell'imposta sul reddito e rimuovere altri disincentivi al lavoro e agli investimenti; anzi queste riduzioni fiscali, che sia il governo conservatore che quello laburista ad approvarle, vanno a smontare il sontuoso welfare state del Regno Unito e sono una benedizione.

Ciò che in realtà distruggerà i resti della sostenibilità fiscale del Regno Unito è il piano assolutamente sciocco della Truss di congelare tutti i prezzi dell'energia per tutti i cittadini e le imprese non oltre i $200 miliardi all'anno, o il 5% del PIL. Questa è follia neocon!

Se Londra vuole alleviare i suoi consumatori dagli onerosi prezzi dell'energia e dalle bollette, deve solo seguire il consiglio di Orban e porre fine alla sua guerra delle sanzioni contro le esportazioni russe di energia, cibo e altre materie prime. E non costerebbe un centesimo allo Scacchiere.

Vale a dire, il crollo della sterlina dovrebbe essere un campanello d'allarme anche per l'Europa e Washington. Dichiarando guerra al commercio produttivo e pacifico con la Russia, i leader europei, in particolare il nuovo governo del Regno Unito, hanno sacrificato la propria prosperità e il tenore di vita dei loro cittadini a favore di un regime antidemocratico e prodigiosamente corrotto a Kiev che si dedica a preservare intatto un vecchio e stantio presidio sovietico.

O come ha giustamente riassunto il nostro amico James Howard Kunstler:

Siamo d'accordo sul fatto che il luogo chiamato Ucraina non è mai stato affare dell'America. Per secoli l'abbiamo ignorato, dalle cariche di cavalleria di turchi e tartari, dal regno dei focosi cosacchi zaporoziani, dai crudeli abusi di Stalin, poi Hitler, fino agli anni opachi e grigi da Krusciov a Eltsin. Ma poi, dopo aver distrutto l'Iraq, l'Afghanistan, la Libia, la Somalia e vari altri luoghi, tutto per un grande scherzo egemonico, i guerrafondai professionisti della nostra terra e i loro accoliti a Washington hanno fatto dell'Ucraina il loro progetto speciale successivo. Hanno progettato il colpo di stato del 2014 a Kiev che ha estromesso il presidente eletto, Yanyukovich, per creare una gigantesca sala dei furti e una lavanderia automatica internazionale (riciclaggio di denaro). L'altro obiettivo strategico era preparare l'Ucraina all'adesione alla NATO, cosa che l'avrebbe resa una base missilistica davanti il confine russo.

Quindi torniamo al punto in questione: tutte le elezioni presidenziali ucraine dal 1991 hanno mostrato una nazione radicalmente divisa tra popolazioni filo-russe a est e sud e nazionalisti anti-russi al centro e a ovest. Quando il pugno di ferro del governo comunista è stato rimosso, l'Ucraina è diventata un territorio desideroso di essere diviso in più giurisdizioni.

Per esempio, ecco i risultati delle elezioni del 2010 che elessero un politico filo-russo come presidente e alla fine diedero origine al colpo di stato di Washington durante la rivolta di Maidan che di lì a poco portò il Paese alla guerra civile.

La mappa sopra rende a malapena giustizia alle cifre reali. In molte delle aree gialle che sostenevano la Tymoshenko, il voto fu dell'80% o più a favore della candidatura di quest'ultima, mentre in gran parte dell'area blu il filo-russo Yanukovich vinse con le stesse percentuali.

Questo non fu un colpo di fortuna della politica elettorale: fu in realtà la recrudescenza del modo in cui la falsa nazione ucraina è stata costituita negli ultimi tre secoli.

Prima della fine della prima guerra mondiale, non esisteva uno stato ucraino. Come le politiche artificiali e insostenibili in Cecoslovacchia e Jugoslavia, messe in atto da politici egoistici a Versailles (soprattutto da parte di Woodrow Wilson), l'Ucraina è stata un prodotto dell'ingegneria geopolitica, in questo caso dei nuovi governanti dell'Unione Sovietica.

Infatti la provenienza storica di "Ucraina" può essere descritta in poche parole. Quella che sarebbe diventata l'Ucraina si unì alla Russia nel 1654 quando Bohdan Khmelnitsky, un etmano zaporozhiano, chiese allo zar russo Alexey di annettere i suoi territori alla Russia. Vale a dire, la Russia Imperiale acquisì quella che oggi chiamiamo Ucraina annettendo al suo servizio i temibili guerrieri cosacchi che abitavano la sua regione centrale.

L'esercito e un piccolo territorio allora sotto il controllo dell'etmano erano chiamati "u kraine", che in russo significa "al limite", termine che aveva avuto origine nel XII secolo per descrivere le terre al confine con la Russia.

Nei successivi 250 anni gli zar annetterono sempre più territorio adiacente, designando le regioni orientali e meridionali come "Novorussiya" (Nuova Russia), i cui territori includevano l'acquisto della Crimea da parte di Caterina la Grande nel 1783.

Vale a dire, all'epoca dell'indipendenza dell'America, il cuore dell'Ucraina odierna era governato dal lungo braccio dell'autocrazia zarista.

Dopo la rivoluzione bolscevica, la mappa è cambiata radicalmente. Nel 1919 Lenin creò lo stato socialista dell'Ucraina su una parte del territorio dell'ex-impero russo. L'Ucraina divenne ufficialmente la Repubblica popolare ucraina con capitale Kharkov nel 1922 (trasferita poi a Kiev nel 1934).

Di conseguenza il nuovo stato comunista inghiottì la Novorussiya nelle porzioni orientale e meridionale dell'area verde della mappa qui sotto, comprese le regioni di Donetsk e Lugansk, nonché le regioni di Kherson e Zaporizhzhia al confine con il Mar d'Azov e il Mar Nero (i luoghi degli odierni referendum sulla successione sponsorizzati dalla Russia).

Poi nel 1939, a seguito del famigerato patto nazi-sovietico, Stalin annesse i territori orientali della Polonia, come indicato dalle aree gialle della mappa qui sotto. Così il territorio storico della Galizia e la città polacca di Lvov furono incorporati in Ucraina dal decreto congiunto di Stalin e Hitler.

Nel giugno del 1940 Stalin annesse la Bucovina settentrionale (area marrone) dalla Romania e poi alla conferenza di Yalta nel 1945, su insistenza di Stalin contro Churchill e Roosevelt, la Rutenia dei Carpazi ungherese fu incorporata nell'Unione Sovietica e aggiunta all'Ucraina.

Presi insieme, questi sequestri stalinisti sono ora conosciuti come Ucraina occidentale, la cui gente comprensibilmente non si adatta alle cose russe. Allo stesso tempo, l'85% della popolazione di lingua russa che abitava nell'area viola (Crimea) fu donata all'Ucraina da Krusciov nel 1954 proprio per estendere la propria adesione alla dittatura comunista.

Tuttavia, dopo la disintegrazione dell'Unione sovietica, l'Ucraina ereditò questi confini dai comunisti all'interno dei quali c'erano più di 40 milioni di russi, polacchi, ungheresi, rumeni, tartari e innumerevoli nazionalità minori, tutti intrappolati in un Paese in cui non avevano desiderio di risiedere.

Infatti il motivo per cui lo sfortunato stato dell'"Ucraina" ha bisogno di un sollievo nella partizione, non di una guerra per preservare l'operato di zar e commissari sovietici, è stato ben riassunto da Alexander G. Markovsky sul sito American Thinker:

L'odierna guerra civile ucraina è quindi notevolmente esacerbata dal fatto che, a differenza di società pluralistiche come USA, Canada, Svizzera e Russia, che tollerano culture, religioni e lingue diverse, l'Ucraina è l'esatto contrario. Non sorprende che la devozione al pluralismo non si sia rivelata il suo forte. Anche se il regime di Kiev non aveva radici storiche nel settore in cui abitava, ha imposto le regole ucraine e la lingua ucraina ai non ucraini dopo aver dichiarato l'indipendenza.

Di conseguenza i sentimenti filo-russi, che vanno dal riconoscimento dello status ufficiale della lingua russa alla secessione totale, sono sempre stati prevalenti in Crimea e nell'Ucraina orientale. L'Ucraina occidentale ha sempre gravitato verso le sue radici polacche, rumene e ungheresi. Decisamente anti-russa, la Polonia non può perdere questa opportunità strategica per riacquistare la sua terra e vendicare l'umiliazione inflitta dalla Conferenza di Yalta.

L'insistenza dell'Occidente nel mantenere lo status quo dei confini ucraini stabiliti da Lenin, Stalin e Hitler rivela lo scollamento tra dottrina strategica e principi morali.

Infatti i polacchi non fanno mistero delle loro ambizioni. Il presidente polacco Andrzej Duda ha dichiarato di recente: “Per decenni, e forse, Dio non voglia, per secoli, non ci saranno più confini tra i nostri Paesi, Polonia e Ucraina. Non ci sarà un tale confine!”.

La Romania non è da meno, soprattutto alla luce dei molti abitanti dell'ex-Bucovina settentrionale che già portano passaporti rumeni.

Il territorio dell'Ucraina è un mosaico di terre altrui. Se vogliamo fermare questa folle guerra e garantire la pace in Europa, invece di definire una farsa il referendum sponsorizzato dalla Russia nell'Ucraina orientale, dovremmo condurre un referendum onesto in tutti i territori contesi sotto gli auspici delle Nazioni Unite e lasciare che sia il popolo a decidere quale governo vuole davvero.

Inutile dire che la spartizione del falso stato dell'Ucraina non è nemmeno lontanamente nella mente di Washington. Dopotutto eliminerebbe l'ultimo motivo neocon per diffondere le benedizioni della Guerra Infinita nelle parti più belle del pianeta.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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