mercoledì 19 ottobre 2022

Il presunto “successo” della Rivoluzione Verde è l'ennesimo mito progressista

 

 

di Kristoffer Mousten Hansen

Uno dei miti chiave del ventesimo secolo è il ruolo benevolo svolto dalle istituzioni internazionali, a guida americana, dopo la seconda guerra mondiale. I progressisti/liberal americani, freschi di New Deal e vittoria in una guerra mondiale, rivolsero lo sguardo agli affari internazionali: gli Stati Uniti avevano una missione storica mondiale di proporzioni messianiche, ovvero, portare i Paesi in via di sviluppo alle porte della modernità ricostruendoli a immagine dell'America.

L'era della Guerra Fredda fu ricca di progetti e organizzazioni per realizzare questa visione: da Bretton Woods al Fondo monetario internazionale (FMI) nell'area della finanza internazionale e all'Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) negli affari militari fino al finanziamento del Congresso per la libertà culturale che diffondeva propaganda progressista e favorevole agli Stati Uniti. Tutte queste organizzazioni hanno avuto influenze deleterie – ho indicato in un precedente pezzo come Bretton Woods e il sistema finanziario internazionale moderno possono essere meglio descritti come imperialismo finanziario – ma in un'area l'interventismo americano è ancora oggi acclamato come benigno: la Rivoluzione Verde.


La narrativa ufficiale sulla Rivoluzione Verde

La crescita della popolazione era considerata un grave problema negli anni Sessanta. Paul Ehrlich della Stanford University nel suo Population Bomb del 1968 predisse una fame diffusa già negli anni '70 e sostenne un'azione immediata per limitare la crescita della popolazione. Il mondo non avrebbe potuto nutrire una popolazione umana più numerosa. Sebbene si concentri principalmente sui danni ambientali causati dall'uso di pesticidi, il famoso libro di Rachel Carson del 1962, Silent Spring, ha espresso punti simili. La popolazione umana era destinata a crescere e ciò avrebbe provocato sofferenze e danni ambientali indicibili.

Un pericolo chiave negli anni '60 era l'India: sempre sull'orlo della fame, solo le importazioni di grano americano hanno tenuto lontano lo spettro della morte di massa. Poi, nel 1965, arrivò la catastrofe: la siccità in gran parte del subcontinente fece fallire il raccolto indiano. Mentre la siccità sarebbe continuata nei due anni successivi, sembrava che le predizioni di Ehrlich e degli altri neo-malthusiani si fossero avverate.

Poi accadde un miracolo: entrò in scena un uomo, un semidio a giudicare dal culto che si sviluppò intorno alla sua figura. Norman E. Borlaug, il padre della Rivoluzione Verde, dagli anni Quaranta ricercava e coltivava nuove varietà di grano in Messico, inizialmente alla Fondazione Rockefeller e dopo il 1964 come leader dell'International Maize and Wheat Improvement Center (Centro Internacional de Mejoramiento de Maíz y Trigo, CIMMYT, finanziato dalle Fondazioni Rockefeller e Ford e dal governo messicano).

Borlaug coltivò varietà di grano nano ad alto rendimento che erano ampiamente adattate a diversi ambienti ecologici. Dall'inizio degli anni Sessanta aveva lavorato con M. S. Swaminathan dell'Indian Agricultural Research Institute e insieme piantarono le nuove varietà di grano nano nell'India settentrionale. Il successo fu immediato: il 1968 restituì un raccolto eccezionale, poiché i nuovi raccolti di grano furono i più alti mai registrati in India.

Sembrava che i profeti di sventura malthusiani si fossero sbagliati. Lo disse lo stesso Borlaug quando nel 1970 ricevette il Premio Nobel per la Pace: nel suo discorso di accettazione proclamò la vittoria nella guerra perpetua tra “due forze opposte, il potere scientifico della produzione alimentare e il potere biologico della riproduzione umana”. Ma la guerra non era finita, disse, e solo i continui finanziamenti per la ricerca tecnologica sulla produzione alimentare e sui limiti alla riproduzione avrebbero evitato il disastro.

Governi e filantropi raccolsero la sfida e il capitale venne riversato nella ricerca agricola borlaugiana quando vennero istituiti nuovi istituti internazionali per continuare il lavoro iniziato da Borlaug in Messico e in collaborazione con l'International Rice Research Institute nelle Filippine (fondato nel 1960). La Rivoluzione Verde sradicò il flagello della carestia e poiché l'agricoltura con la tecnologia borlaugiana aveva rese molto più elevate, masse di terra furono liberate dall'uso agricolo e restituite alla natura. Uno studio del 2021 sul Journal of Political Economy stima che il prodotto interno lordo (PIL) pro-capite dei Paesi in via di sviluppo sarebbe stato fino al 50% inferiore se non fosse stato per Borlaug, Swaminathan & Co. pronti e disposti a guidare le masse di contadini ignoranti.

C'è un duplice problema con questo resoconto della storia agricola: si basa su una cattiva economia e il suo collegamento con la storia effettiva dell'agricoltura indiana è, nel migliore dei casi, marginale.


La cattiva economia dei rivoluzionari verdi

La celebrazione della Rivoluzione Verde si basa su due errori fondamentali nel ragionamento economico: il malthusianesimo e l'incomprensione dell'economia agricola.

Il malthusianesimo è l'errata convinzione che la popolazione umana crescerà più velocemente dell'approvvigionamento alimentare: nella formulazione di Thomas Malthus, la crescita della popolazione segue una progressione geometrica (2, 4, 8, 16...) e l'approvvigionamento alimentare una progressione aritmetica (2, 3, 4, 5...). Di conseguenza l'umanità è destinata, a parte brevi periodi, a vivere ai margini della sussistenza: solo malattie, guerre e carestie limiteranno la crescita della popolazione.

Il problema con il malthusianesimo è che è completamente sbagliato, sia come teoria che come documentazione storica. La produzione alimentare e la crescita della popolazione non sono variabili indipendenti, dal momento che il lavoro umano è un input chiave nella produzione alimentare, un punto sottolineato da Joseph A. Schumpeter. Come spiegò anche Ludwig von Mises, la legge malthusiana della popolazione è solo una legge biologica: è vera per tutte le specie animali, ma gli uomini non sono semplici animali. Con l'uso della ragione, possono astenersi dall'attività procreativa insensata e lo faranno se riescono solo a sostenere essi stessi. Lo stesso Malthus lo sapeva e modificò la sua teoria nella seconda e nelle successive edizioni del suo famoso Saggio sul principio della popolazione (Frédéric Bastiat, come era suo solito, aveva una spiegazione migliore e più ottimistica del principio della popolazione).

Né i tecnofili capiscono l'economia dell'agricoltura e della produzione alimentare. Ester Boserup, un'ispirazione chiave per la seguente e breve spiegazione, ha sviluppato la corretta comprensione di questo problema negli anni '60, dopo aver studiato l'agricoltura indiana. L'ignoranza di Borlaug e compagnia ieri e delle loro cheerleader oggi è quindi difficilmente scusabile: le stesse identiche condizioni storiche considerate "malthusiane" hanno ispirato Boserup a delineare la corretta comprensione della questione.

Con l'aumento della popolazione, l'offerta di lavoro si espande e più lavoro viene applicato ai terreni agricoli. La resa della terra quindi aumenta, sebbene i rendimenti sull'input di lavoro aggiuntivo diminuiscano, secondo la legge dei rendimenti marginali decrescenti. Una volta che il ritorno sull'input di lavoro aggiuntivo è insufficiente per giustificarlo, viene invece messa a coltura nuova terra e una volta che essa è stata bonificata, la produttività fisica del lavoro aumenta. Poiché lo sgombero di nuove terre richiede uno sforzo aggiuntivo, gli agricoltori devono sempre soppesare i potenziali guadagni di nuove terre rispetto ai guadagni di una coltivazione più intensiva di quelle terre già bonificate.

Lo possiamo vedere chiaramente in termini monetari: man mano che viene applicata una maggiore quantità di lavoro per lavorare la terra, i salari diminuiscono e le rendite fondiarie aumentano. All'aumentare delle rendite fondiarie e dei valori fondiari, il valore potenziale delle terre instabili aumenta e, al diminuire dei salari, diminuisce la spesa necessaria per ripulire la terra. Una volta che il rendimento atteso sulle nuove terre supererà il costo stimato per portarle in coltivazione, il lavoro sarà applicato alla bonifica di nuove terre. Quindi le rendite fondiarie diminuiranno e i salari aumenteranno fino a quando non sarà più ritenuto redditizio portare più terra ad uso agricolo.

Così, popolazione e produzione alimentare si espandono all'unisono, a volte per una coltivazione più intensiva, a volte per un aumento della superficie coltivata. La stessa analisi vale in condizioni più capitalistiche (cioè, quando gli agricoltori hanno più strumenti e altri input di capitale disponibili): il rendimento dell'applicazione di più beni capitali alla terra nel presente viene confrontato con i potenziali guadagni derivanti dall'applicazione di beni capitali all'espansione della superficie coltivata. Anche la forma più primitiva di agricoltura è, ovviamente, capitalista, poiché l'agricoltura è un processo di produzione circolare, in cui lo sforzo produttivo è ampiamente separato nel tempo dalla produzione.

L'agricoltura indiana negli anni '60 andava bene, tranne quando venne ostacolata dall'ingerenza dello stato e dalle barriere istituzionali. Tale ingerenza è estremamente distruttiva, come aveva mostrato Mao Zedong in Cina solo pochi anni prima durante il Grande balzo in avanti. Tuttavia non c'era nulla di malthusiano in tale episodio né, come vedremo, nella presunta carestia in India negli anni '60.


La carestia indiana degli anni '60: leggere la storia al contrario

La carestia degli anni '60 in India ha lanciato la Rivoluzione Verde e la fama internazionale del suo protagonista principale, Norman Borlaug. Fin dall'inizio la narrazione è stata distorta da considerazioni politiche.

L'agricoltura americana era pesantemente sovvenzionata negli anni Sessanta, con conseguenti ed enormi eccedenze di produzione. Questo surplus non poteva essere venduto al prezzo di mercato, almeno non senza il fallimento degli agricoltori americani. Secondo la tipica logica interventista, il governo americano è intervenuto per sovvenzionare l'esportazione di prodotti agricoli americani e sostenere un prezzo artificialmente alto nel mercato interno.

L'India fu quindi inondata dal grano americano a buon mercato all'inizio degli anni Sessanta, ma, come scrive G. D. Stone, ciò non alleviò la carenza di cibo dell'India: la causò. Gli agricoltori indiani si adattarono al loro vantaggio comparato e spostarono la produzione in raccolti per loro proficui (come canna da zucchero e iuta) per poi esportarli e finanziare le loro importazioni di grano americano a buon mercato.

La siccità del 1965 e degli anni seguenti fu reale, ma il suo impatto non causò un fallimento delle colture alimentari. I raccolti di iuta e canna da zucchero ne soffrirono, certo, ma questa difficoltà non provocò una carestia diffusa. Questo non aveva importanza per la narrativa ufficiale: nel 1965 il presidente americano, Lyndon B. Johnson, stava cercando di convincere il Congresso ad approvare un nuovo disegno di legge sull'agricoltura con maggiori sussidi per le esportazioni agricole e aiuti esteri sotto forma di Food for Peace Plan. I resoconti della siccità indiana furono una manna dal cielo: di fronte a un Congresso recalcitrante, Johnson sventolò il feticcio della siccità e della fame di massa. La sua legge venne approvata e ancora più grano americano venne spedito in India, il che senza dubbio contribuì ad alleviare alcune difficoltà nel breve termine.

Giocare sulla terribile situazione in India aiutò anche l'agenda di Borlaug e compagnia. Le speciali varietà di grano coltivate in Messico furono ampiamente introdotte nell'India settentrionale e, poiché la siccità infine terminò, il primo raccolto produsse enormi eccedenze. Borlaug si prese il merito, non considerando la coincidenza che quasi tutti i raccolti erano a livelli record in India e nella vicina Cina. Il presunto successo della tecnocrazia americana influì anche sulla più ampia narrativa politica della leadership progressista americana del "mondo libero": nel 1968 l'amministratore dell'Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale (USAID), William Gaud, si rivolse alla Society for International Development a Washington sostenendo che gli aiuti esteri e le sagge politiche agricole avevano favorito “una nuova rivoluzione, non una rivoluzione rossa violenta come quella dei sovietici, né una rivoluzione bianca come quella dello Scià dell'Iran; una Rivoluzione Verde”.

La Rivoluzione Verde, guidata da tecnocrati statali e delle ONG, e finanziata principalmente dalle agenzie di sviluppo occidentali, era ormai una realtà. La coltivazione di varietà ibride di riso e frumento da parte dell'International Rice Research Institute e del CIMMYT divenne il fiore all'occhiello della modernità nell'agricoltura. Ma anche così tutta questa storia è nella migliore delle ipotesi fuorviante. Quello che è successo è che l'agricoltura nel mondo sviluppato, così come in Occidente, è passata a una coltivazione molto intensiva che ha richiesto molti input di capitale. Le varietà di grano di Borlaug sono un esempio calzante, come sottolinea Stone: solo quando sono state applicate grandi quantità di fertilizzanti queste varietà hanno superato i grani nativi indiani. Le tecnologie, a quanto pare, non sono forze esogene che vengono imposte e rimodellano l'ambiente.


La realtà della Rivoluzione Verde

L'ultima linea di difesa di coloro favorevoli alla Rivoluzione Verde è la presunta produzione alimentare efficiente, l'emancipazione da lavori agricoli e l'utilizzo delle tecnologie genetiche per aumentare la qualità del cibo ed evitare la malnutrizione. Ad esempio, persone altrimenti ragionevoli come Bjørn Lomborg hanno sostenuto a lungo l'introduzione del "riso dorato" – una varietà di riso geneticamente modificata per essere ricca di vitamina A – come soluzione alla malnutrizione nei Paesi produttori di riso.

Ma i tecnocrati e le loro cheerleader dimenticano di menzionare il fatto che la Rivoluzione Verde è stata essa stessa una causa di malnutrizione. Con l'aumento della resa del grano in India, secondo Stone, il prezzo relativo del grano è diminuito e ha quindi superato le fonti alimentari alternative ricche di proteine ​​​​e micronutrienti. I tassi di malnutrizione in India sono quindi aumentati come risultato diretto della Rivoluzione Verde. Uno sviluppo simile si è verificato nei Paesi sviluppati, per ragioni diverse ma analoghe.

Quando si tratta di tecnologia che libera manodopera, ciò che è realmente accaduto è che l'eccessivo investimento di capitale in agricoltura ha ridotto la domanda di lavoro agricolo, ma questo non ha aumentato la domanda di lavoro altrove. Al contrario, poiché era disponibile meno capitale per gli investimenti nei settori non agricoli, la domanda di lavoro e salari altrove non è aumentata. Pertanto la Rivoluzione Verde è stata un importante fattore che ha contribuito alla crescita delle baraccopoli nel Terzo Mondo, dove le persone vivono con lavori a bassa retribuzione e sussidi statali.

Tutto sommato, come dovremmo aspettarci quando abbiamo a che fare con tecnocrati spinti da arroganza progressista a intervenire nel naturale sviluppo dell'economia, la Rivoluzione Verde non è stata una benedizione, o cme si suol pensare la vittoria di scienziati saggi sulla propensione degli stupidi contadini a riprodursi in modo incontrollabile. Piuttosto è stata un disastro ecologico, nutrizionale e sociale.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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