lunedì 7 agosto 2023

Perché il “Discorso sulla pace” (1963) di Kennedy vale in particolar modo oggi

 

 

di Barry Brownstein

Nel 1963 Stati Uniti, Unione Sovietica, Francia, Regno Unito e Cina avevano condotto oltre 500 test nucleari nell'atmosfera. La ricaduta di questi test ha avvelenato la nostra aria, terra e corpi. Tuttavia l'opinione pubblica americana, convinta che una corsa agli armamenti fosse necessaria per la propria sicurezza, era ampiamente contraria a un divieto dei test nucleari atmosferici.

Nel giugno 1963, pochi mesi prima di essere assassinato, il presidente Kennedy diede il discorso di apertura all'American University, evento che divenne noto come il Discorso sulla pace. Kennedy si stava avvicinando al raggiungimento del suo obiettivo di lunga data: un trattato sul divieto dei test nucleari. Il suo discorso era un invito a cambiare la mentalità della nazione.

All'inizio Kennedy disse che la pace che gli americani dovevano cercare non era “una Pax Americana imposta al mondo con le armi americane. Non la pace della tomba o la sicurezza dello schiavo”. Invece disse:

Sto parlando di pace genuina, il tipo di pace che rende la vita sulla Terra degna di essere vissuta, il tipo che consente agli uomini e alle nazioni di crescere, sperare e costruire una vita migliore per i loro figli — non solo pace per gli americani ma pace per tutti gli uomini e le donne — non solo la pace nel nostro tempo, ma la pace per sempre.

Kennedy espresse comprensioni in anticipo sui tempi e, purtroppo, i nostri tempi. Nella nostra vita personale possiamo affermare d'aver subito un torto e chiediamo che gli altri cambino prima; lo stesso accade negli affari internazionali. Invece Kennedy sosteneva che coloro che cercano la pace devono farsi avanti per primi. Avere ragione: “Affibbiando la colpa o puntando il dito è una magra consolazione”. Kennedy ci chiedeva di smetterla di denigrare gli altri e di mettere in ordine i nostri atteggiamenti nei confronti di "libertà e pace": “Alcuni dicono che è inutile parlare di pace [...] fino a quando i leader dell'Unione Sovietica non adotteranno un atteggiamento più illuminato. Spero che lo facciano [...] Ma credo anche che dobbiamo riesaminare il nostro atteggiamento — come individui e come nazione — perché esso è essenziale quanto il loro”.

Continuare ad avere la mentalità di una vittima, secondo cui gli altri devono cambiare prima, è una fonte di tumulto nelle nostre vite. Come un Paese in guerra, la nostra mente in conflitto ostacola la nostra crescita.

Kennedy chiese agli americani di “esaminare il nostro atteggiamento nei confronti della pace stessa”. Rifiutava di accettare che la pace fosse “impossibile” o “irreale”. Traslate questa cosa a livello personale e pensate quando giudicate gli altri e vi lamentate che non cambieranno mai. Se capiamo che le idee che abbiamo sugli altri non lasciano mai la nostra mente, allora capiremo altresì che mentre li condanniamo stiamo condannando noi stessi dicendo che non cambieremo mai.

Il Discorso sulla pace di Kennedy non era qualcosa legato alla new age, visualizzatelo e il messaggio vi sarà chiaro. Parlava di un processo di “evoluzione graduale” e non “l'assoluto, infinito concetto di pace e buona volontà di cui sognano e fantasticano i fanatici”. Il pio desiderio invita solo allo “scoraggiamento e all'incredulità”; non esiste “una formula magica” per la pace. Invece “la vera pace deve essere [...] la somma di molti atti [...] Perché la pace è un processo, un modo per risolvere i problemi”. Iniziamo quel processo guardando oltre i nostri stereotipi.

Proprio come non dobbiamo amare il nostro prossimo per andare d'accordo, non dobbiamo fingere di amare i modi di altre nazioni. Il nostro impegno, esortò Kennedy, è quello di “vivere insieme nella tolleranza reciproca, sottoponendo [...] le controversie a una soluzione giusta e pacifica”. Le nostre simpatie e antipatie non sono fisse nella pietra e non dovremmo mai trasformare un potenziale amico in un nemico. Potrebbe non essere realistico che la paura si trasformi in amore, ma con un cambiamento di mentalità, la paura può diventare pace.

Kennedy parlò poi dell'assurda propaganda sovietica sull'America. La nostra risposta, disse, è “di non cadere nella stessa trappola dei sovietici, di non vedere solo una visione distorta e disperata dell'altra parte, di non vedere il conflitto come inevitabile, l'accomodamento come impossibile e la comunicazione come nient'altro che uno scambio di minacce”. Sessant'anni dopo le opinioni degli americani sono plasmate da visioni monocromatiche senza sfumature nei confronti della Russia. Il mondo sembra meno sicuro che mai dalla crisi dei missili cubani.

Nel messaggio forse più convincente del discorso, Kennedy esortò gli americani ad avere empatia per i sovietici e a capire che anche loro avevano legittime preoccupazioni per la sicurezza:

Nessuna nazione nella storia ha mai sofferto più dell'Unione Sovietica nella seconda guerra mondiale. Almeno 20 milioni hanno perso la vita. Innumerevoli milioni di case e famiglie furono bruciate o saccheggiate. Un terzo del territorio della nazione, compresi quasi due terzi della sua base industriale, è stato trasformato in una terra desolata, una perdita equivalente alla distruzione di questo Paese a est di Chicago.

Conosco bene la distruzione che i nazisti inflissero all'Unione Sovietica durante la seconda guerra mondiale. Immaginare una terra desolata da Chicago alla costa orientale dà alla sofferenza sovietica un nuovo significato viscerale.

Kennedy non menzionò nessun filosofo che l'avesse aiutato a guidare la sua bussola morale. Tuttavia, mentre leggevo il suo appello agli americani a mettersi nei panni di un'altra persona, ho pensato al filosofo Martin Buber.

Nella sua opera più nota scritta nel 1923,  I and Thou, Buber scrisse che scegliamo sempre tra due modi di vedere il mondo che si escludono a vicenda: “Io-Tu” o “Io-Esso”. Per lo più vediamo attraverso l'obiettivo “Io-Esso”; gli altri sono visti come inferiori rispetto a noi, o come oggetti che ci aiutano o come ostacoli. Pensate per un momento a quanto velocemente vi irrita in una lunga fila al supermercato se il cassiere sembra muoversi lentamente. Non siamo il centro dell'universo; possiamo ignorare la soap opera narrata nelle nostre teste.

Al contrario, attraverso la lente di “Io-Tu” vediamo gli altri come individui, come persone tanto importanti quanto noi. Espiriamo e ci colleghiamo umanamente con la cassiera che ha problemi e difficoltà quanto i nostri. Vedere attraverso la lente “Io-Tu”, come cercare la pace, inizia con l'impegno in un processo per diventare più consapevoli dei nostri atteggiamenti e comportamenti invece che con il desiderio di cambiare qualcun altro. Proprio come con le persone, anche con le nazioni, “il sospetto da una parte genera sospetti anche dall'altra”.

In un monito per il nostro tempo, Kennedy disse: “Soprattutto, mentre difendono i nostri interessi, le potenze nucleari devono evitare quegli scontri che portano un avversario a scegliere tra una ritirata umiliante o una guerra nucleare”.

Oggi i politici americani sembrano determinati a ignorare l'avvertimento di Kennedy e a non dare a Putin una via d'uscita dalla sua disastrosa invasione. Invece sono determinati a infliggere a Putin una sconfitta umiliante. Un eminente esperto di politica estera sostiene addirittura di dotare l'Ucraina di armi nucleari.

Kennedy si concentrò sugli interessi comuni dell'umanità: “Abitiamo tutti questo piccolo pianeta. Respiriamo tutti la stessa aria. Tutti abbiamo a cuore il futuro dei nostri figli. E siamo tutti mortali. Ancora più importante, tutti noi abbiamo menti che possono valutare la pace rispetto alle minacce e al dominio”.

Facendo eco agli avvertimenti di Eisenhower nel 1961, Kennedy ci ha ricordato che “la pace e la libertà camminano insieme”. Dopo Kennedy l'America è stata in guerra in Vietnam, Laos, Cambogia, Somalia, Iraq, Siria e Afghanistan. Ci sono state guerre contro la povertà, la droga, il cancro e il COVID. Come aveva predetto Kennedy, abbiamo perso la libertà. Una psicosi tribale noi contro loro sta facendo marcire l'America dall'interno. Kennedy direbbe che la cura non sta nello sconfiggere Putin o il COVID, ma nel cambiare i nostri cuori e le nostre menti.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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