venerdì 24 maggio 2024

Le varie sfaccettature del furto tramite l'inflazione (dei prezzi)

 

 

di Francesco Simoncelli

Siamo sommersi da chiacchiere e chiacchiere riguardo la necessità di “investire” e stimolare la “crescita”, salvo poi vedere che la realtà dei fatti va da tutt'altra parte. Non si contano più ormai tutti quegli articoli sui media generalisti, come questo ad esempio, che vogliono individuare la causa del malessere economico europeo, e più in particolare quello italiano, salvo poi perdersi alla fine in un gorgo di qualunquismo e pressapochismo riguardo le soluzioni. Debito e deficit continuano a essere dei problemi e a peggiorare la loro incidenza, nonostante tutte le belle parole che vengono spese a riguardo: aumentano le normative europee onerose così come le tasse. Non c'è via d'uscita da questo impasse nonostante tutta la retorica vomitata dal mainstream: il ripagamento o passa da un aumento delle tasse, o da una svalutazione monetaria. Una terza via potrebbe essere quella di spingere gli investitori interni a fungere da “forzieri”, ma oltre ai rischi annessi nello spalleggiare uno stato fiscalmente irresponsabile, c'è il fattore banca centrale che tiene in bilancio i titoli di stato e non è considerato un “agente estero”. Infatti secondo gli ultimi dati la percentuale di “attori interni” come famiglie e investitori italiani è del 13,5% per quanto riguarda la ripartizione dei titoli di stato italiani posseduti. Quindi questa terza via è un'illusione, in realtà, visto che tecnicamente si ricadrebbe nella seconda possibilità rimarcata sopra.

Da un lato l'inflazione monetaria, e conseguentemente quella dei prezzi, aiuta lo stato a rendere più gestibile il proprio debito pubblico, dall'altro danneggia progressivamente il tessuto sociale sottostante. E questo a sua volta pianta i semi di un'insostenibilità futura dello steso, compresa la necessità di spingere sull'acceleratore del deficit, data la dottrina keynesiana imperante, raddoppiando il peso totale del debito stesso malgrado l'apparente gestibilità precedente. Se poi prendiamo il caso opposto, ovvero quello di un ambiente deflazionistico, o per essere più precisi disinflazionistico in base ai sistemi economici esistenti, gli attori di mercato riescono ad arrivare a una parvenza di crescita economica mentre invece l'apparato statale soffre per la gestione del suo carico d'indebitamento e viene messo di fronte al vicolo cieco del taglio, anzi ridimensionamento, della spesa pubblica. Quest'ultimo percorso significa perdere consensi e restringere la sfera d'influenza della burocrazia dell'ecosistema economico... impensabile. Dato che essa si espande in accordo con la Legge di Parkinson, la resistenza a suddetto ridimensionamento sarà sempre più marcata man mano che verranno intaccati sempre più interessi costituiti. E l'Italia è uno dei coacervi più gonfi di interessi parastatali costituiti, ecco perché è diventato arduo riuscire a tagliare la spesa pubblica e permettere la possibilità alle risorse di essere liberate e sfruttate al meglio da capitali esteri e dal settore privato.

Da questo punto di vista lo statalismo è destinato a implodere sotto il peso delle sue stesse contraddizioni. Il gigantesco apparato dello stato sociale che si è venuto a creare come meccanismo per generare consensi rappresenterà il macigno sotto il quale verranno schiacciati tutti quei bei propositi che vogliono trovare una soluzione all'annoso problema del debito pubblico. Non si può, proprio perché il clientelismo è permeato talmente tanto nel tessuto sociale d'aver distorto a tal punto gli incentivi economici che adesso premiano i pasti gratis... a qualunque costo. Che questo assetto poi sia influenzato dalla Legge dei rendimenti crescenti è un fatto: tasse e inflazione dei prezzi stanno chiedendo il loro tributo in assenza di sostenibilità economica organica. Il bacino della ricchezza reale si restringe, la torta economica si restringe, e il tutto diventa una lotta sulle briciole visto che non si riesce più a espanderla.

Una crisi del debito è una “crisi più prevedibile”, tutti la vedono arrivare ma nessuno pare preoccuparsene. Ma come ha fatto a diventare così grande? E perché sta diventando ancora più grande? È il pericolo più evidente, quindi perché stiamo andando dritti verso di essa? Diamo un’occhiata più da vicino all’inflazione e potremmo trovare una risposta. Come già accennato, c'è più di una causa. L’inflazione monetaria è semplice: i pianificatori centrali “stampano” denaro per finanziare i loro sprechi e premiare i loro amici. Il denaro e il credito extra aumentano l’offerta di denaro e aumentano i prezzi, ma lo stato non li distribuisce per la strade bensì prende in prestito aumentando così il debito della nazione. L’inflazione fiscale è un altro modo per aumentare i prezzi. I politici spendono più di quanto raccolgono in tasse. L’idea è quella di ridistribuire la ricchezza, dalle persone che l’hanno guadagnata ai gruppi favoriti dalla casta politica; la spesa extra dà alle persone denaro da spendere, i prezzi aumentano, lo stato prende in prestito denaro per coprire la spesa e il debito sale.

Molti economisti sostengono che l’indebitamento pubblico in realtà non provochi inflazione, perché si prende “liquidità” dai risparmiatori e la si trasferisce a chi spende. La quantità di “liquidità” rimane la stessa. Ma ciò che realmente accade è che mentre la quantità di denaro può rimanere costante, il volume di beni e servizi utili diminuisce. I risparmiatori potrebbero altrimenti sostenere nuove fabbriche e nuove imprese, aumentando così la produzione. Invece il denaro va a finanziare le fantasie e gli sprechi dei pianificatori centrali, riducendo la produzione reale. I prezzi aumentano. E questo è un buon momento per introdurre un nuovo concetto: “inflazione delle regolamentazioni”. Ci sono “norme”, regolamenti promulgati da chi decide a Bruxelles (sede della burocrazia dell’Unione Europea), anno dopo anno, avvantaggiando gruppi specifici, a scapito di tutti gli altri. Alcuni privilegiati e interessi speciali ottengono più di ciò che vogliono, il resto della popolazione è infastidita e ostacolata da regole meschine e alla fine paga di più per i beni e i servizi che desidera. L’inflazione delle regolamentazioni rende la vita non solo più costosa, ma quasi impossibile.

Il rispetto delle “norme” – come la stessa spesa pubblica – viene conteggiato nel PIL e le persone che le applicano e le fanno rispettare vengono conteggiate come occupate.

Ma “l’inflazione delle regolamentazioni” ci fornisce un quadro fasullo delle cose: la produzione reale diminuisce e il debito diventa più difficile che mai da ripagare.


IL COSTO DELLO STATO

Come indicato, quindi, l’inflazione dei prezzi assume diverse forme: c’è l’inflazione monetaria, l’inflazione fiscale e l’inflazione normativa. In ogni caso si tratta di un costo alimentato dallo stato: i prezzi sono più alti di quanto sarebbero altrimenti a causa delle politiche governative. Più linee di politica statali ci sono, più alti saranno i prezzi. Frank Chodorov nella sua opera più famosa, L'ascesa e la caduta della società, suggerisce che l’ascesa e la caduta delle civiltà tracciano un arco caratterizzato proprio dall'inflazione dei prezzi. Una società deve affrontare delle sfide e le sue élite trovano soluzioni che inevitabilmente portano a maggiore ricchezza e potere per esse stesse. Ogni “soluzione” impone una qualche forma di costo, ovvero l’inflazione, attraverso tasse, regolamenti, controlli, spesa pubblica o stampa di denaro. Alla fine i costi diventano così grandi che la società sprofonda nella “palude”.

Ciò implica che il costo dello stato sia in realtà molto più alto di quanto si pensi – e, alla fine, fatale. E non si può misurarlo solo sommando i prezzi al consumo e le tasse. Pensate, ad esempio, a quei Paesi che hanno avuto governi grandi e ambiziosi: l’Unione Sovietica, la Corea del Nord, o la Germania hitleriana (nel 1945 quasi la metà dell’intero PIL tedesco era destinato alle industrie militari). Le persone in questi posti non soffrivano necessariamente per l’aumento dei prezzi al consumo, infatti erano generalmente controllati insieme a tutto il resto; ciononostante soffrivano lo stesso, di solito da una forma di cosiddetta shrinkflation imposta dallo stato, in cui la disponibilità e la qualità di beni e servizi si riducono fino a quando ne rimane poco. E poi diventa solo una questione di tempo (forse anche molto tempo) prima che il sistema si accartocci su sé stesso e vada a gambe all'aria.

In Unione Sovietica la gente diceva “noi facciamo finta di lavorare e loro fingono di pagarci”. Il “lavoro” – diretto com’era da chi decideva – era in gran parte inutile. I tassisti, ad esempio, venivano pagati in base al numero di chilometri percorsi ogni giorno. Ben presto escogitarono una truffa: sollevando la parte posteriore del taxi e tenendo il motore al minimo, facevano girare le ruote a vuoto così da far correre il contachilometri. Poi prendevano la razione di benzina che non avevano utilizzato per portare in giro i passeggeri, e la vendevano sul mercato nero. Quando venivano pagati, però, scoprivano che altri settori dell’economia erano stati corrotti in modo simile; non c'era molto da comprare.

Per ridurre tutto questo a un assioma facile da memorizzare: più grande diventa lo stato, più povera diventa la popolazione.


ATTENZIONE ALLA “GRANDE PERDITA”

Il pericolo più grande che la maggior parte degli investitori deve affrontare è il rischio di una “Grande perdita”, una così profonda da cui non si riprenderanno mai. E la fonte più probabile ora è la bolla dei “Magnifici 7”. Si ritiene che Nvidia, ad esempio, valga più dell’intero settore energetico e che i Magnifici 7 valgano più dell’intera produzione della Cina, la seconda economia più grande del mondo. Quando questi fatti cambieranno, molte persone si ritroveranno invischiati nella Grande Perdita. Ma anche le economie nazionali sono dirette verso una grande perdita. Come visto sopra, la “crisi più prevedibile di sempre” è l’esplosione del debito pubblico. Mettiamola in prospettiva.

Una società deve inevitabilmente affrontare delle sfide e deve proteggersi dalle altre società. Esaurisce i parcheggi, i suoi agricoltori sono sconvolti dai prezzi bassi che ottengono dal mais e dal grano, ecc. Una cosa dopo l'altra. Le élite cercano di risolvere questi problemi e li risolvono in un modo che va ad aumentare la loro ricchezza e il loro potere, gettando i semi del problema successivo. Dispiegano truppe in tutto il mondo, ad esempio, e poi devono “proteggere quelle truppe” e mostrare al mondo che non bisogna scherzare con esse. Oppure vedendo il mondo confrontato con una crisi climatica, inviano denaro ai loro amici con soluzioni “verdi”, limitando al tempo stesso la capacità dei produttori onesti di energia di fornire quella cosa che i loro clienti desiderano per davvero. Tutte le correzioni impongono dei costi e alcuni costi si manifestano sotto forma di prezzi più alti (e anche di tasse più elevate). Altri costi sono in gran parte invisibili: una shrinkflation su scala nazionale. La qualità e la quantità di beni e servizi diminuiscono; le persone ottengono meno per il loro tempo e il loro denaro.

Economisti attenti si sono chiesti per anni perché la classe operaia non ha avuto alcun aumento salariale reale in mezzo secolo. Com'è stato possibile? L’economia italiana, ad esempio, aveva tutti i vantaggi in epoche passate: capitale, manodopera qualificata, numerosi ingegneri e imprenditori. Perché i tassi di lavoro/ora hanno smesso di aumentare dopo gli anni '70? La risposta è davanti ai vostri occhi, letteralmente. Nella “-flazione” finora descritta: costi più alti (le banche centrali hanno cercato di mantenere i prezzi intorno al 2% all’anno) e un’economia reale ristretta dove sempre più produzione è stata indirizzata, dai pianificatori centrali, verso attività che in realtà non fruttavano niente. La produzione diminuisce insieme alla qualità.

La più costosa di tutte le soluzioni in tempo di pace della storia ha avuto luogo nel 2020-2021. In risposta alla sfida posta da un virus (che si è rivelata inconsistente), i governi di tutto il mondo hanno chiuso gran parte dell’economia e poi hanno distribuito a pioggia migliaia di miliardi di denaro fasullo. In Italia, ad esempio, l'economia dei bonus e delle “mancette” è diventata talmente endemica da aver gonfiato in modo spropositato lo stato sociale, rendendolo una spesa non più discriminatoria nel bilancio pubblico. Il costo del superbonus 100%, poi, che si aggira a oggi intorno ai €130 miliardi per le casse statali italiane, non è altro che il figlio delle aberrazioni fiscali post-pandemia; per quanto adesso i politici all'opposizione allora si straccino le vesti per il costo che sta rappresentando, avrebbero fatto lo stesso anche loro. Per decenni il settore immobiliare è stato considerato anti-ciclico nei momenti di crisi economica, quindi non sorprende affatto che anche a questo giro sia stato utilizzato come volano per trasmettere una politica fiscale/monetaria stimolante al resto dell'ambiente economico. Per quanto la stampa generalista voglia farci credere che questi siano effetti visibili solo ex-post, in realtà chi conosce la Scuola Austriaca sa benissimo che invece sono prevedibili e determinabili ex-ante.

Tutte queste spese imposte all’economia sono risultate inutili. E una parte di esse è stata trasmessa sotto forma di prezzi al consumo più alti che i consumatori pagheranno per molti anni a venire; gran parte del resto è ora incorporato nel debito pubblico. In altre parole, quest'ultimo rappresenta i tentativi delle élite di risolvere problemi – reali e immaginari – trasferendo a loro vantaggio denaro e potere nel presente e scaricando i costi reali sulle generazioni future. Ogni giurisdizione ha il suo modo di etichettare queste élite: in generale “la Palude”, o Deep State in America, “il Blob” in Inghilterra, Milei in Argentina li chiama la “casta politica”. In qualunque modo li si voglia chiamare sono quei decisori che “risolvono i problemi”, non importa se ce n'è uno o no.

E ora, nella maggior parte dei Paesi dell’Occidente, hanno risolto così tante crisi che l’intero sistema vacilla sotto il peso delle loro soluzioni. La Grande Perdita ha fatto passi da gigante.


MISURARE L'IMMISURABILE

Nel frattempo l'inflazione dei prezzi corre senza freni. Per quanto i media generalisti si sbraccino per dire che si sta “raffreddando”, la disinflazione misurata mensilmente non è affatto sinonimo di un calo dei prezzi. L'inflazione dei prezzi è un fenomeno economico che si cumula nel tempo: può rallentare, ma non smette di crescere visto che una deflazione dei prezzi è considerata l'anatema per eccellenza dei tempi moderni.

Senza contare, poi, che esistono aggiustamenti interni agli indici che monitorano l'andamento dei prezzi e che servono a smorzarne l'impatto reale sui consumatori. Tra indici armonizzati, normali e core si tratta di informazioni utili solo per persone stilizzate che non mangiano, non comprano carburante e che, in sintesi, agiscono in un quadro programmatico che hanno in testa solo gli statistici. Ma le statistiche mentono sempre, soprattutto quelle con punti decimali. Una cosa è dire che “i prezzi al consumo sono più alti di circa il 20% rispetto al 2020”, c’è un fondo di verità in questo, ma un IPC al 4,8% annuo, ad esempio, è un’informazione negativa. Avete come l'impressione di sapere qualcosa grazie alla presenza della virgola, in realtà non sapete proprio nulla.Quello che si vuole mostrare qui è il modo in cui l’”inflazione” è molto più di un semplice fenomeno monetario ed è molto difficile da misurare. Molti economisti, ad esempio, ritengono che l’aumento dei prezzi del 2022 sia dovuto esclusivamente alla stampa di denaro nel 2020-2021. Chiaro e semplice: i banchieri centrali stampano denaro, i prezzi salgono. Ma c’è di più in questa storia, gli aumenti dei prezzi a cui stiamo assistendo ora rappresentano un tipo di inflazione molto più insidiosa, persistente, inesorabile e per nulla soggetta ai decimali.

Sappiamo che i pianificatori centrali alimentano l’inflazione dei prezzi spendendo più soldi, infatti i deficit pubblici intaccano i risparmi e la spesa dell’economia reale; lo stato cresce, ma la produzione reale diminuisce. I prezzi salgono perché ci sono meno beni e servizi da acquistare. Allo stesso modo la palude in continua espansione di regolamenti e controlli centralizzati lascia poco spazio all’economia di Main Street, portando a prezzi più alti per la produzione rimanente. Le regolamentazioni hanno un effetto simile a una maggiore spesa pubblica, visto che costringono le persone a fare cose che non vogliono fare, premiando gruppi privilegiati di clientes e lobbisti a scapito di tutti gli altri. Leggi, regolamenti, direttive anno dopo anno si sommano: pensate solamente alle ultime novità in merito alle leggi europee sulla concorrenza, le leggi sulla pesca, ecc. Il Federal register negli Stati Uniti, poi, registra un tasso di modifica di circa 86.000 nuove pagine ogni anno. Ognuna di queste nuove regole è come la proverbiale ed ennesima goccia sul dorso del cammello, solo che, diversamente da come lo disegnava Heath Robinson, le ginocchia del povero animale alla fine cedono e stramazza al suolo. Le case automobilistiche, ad esempio, stanno passando alla produzione di auto elettriche per raggiungere obiettivi politici (salvo poi lamentarsi contro i fantomatici “altri” quando in precedenza si sono aperte le porte alle “invasioni esterne”). Il risultato è una minore produzione delle automobili che le persone realmente desiderano – e prezzi più alti.

In un’economia sana e onesta i prezzi dovrebbero scendere man mano che i produttori migliorano in quello che fanno. Ma in un'economia stagnante e degenerata, corrotta da denaro fasullo e prestato a tassi fasulli, essi aumentano poiché lo stato riduce l’offerta di beni e servizi mentre aumenta l’offerta di denaro.

Quanto costano le normative? Secondo l'AGI navighiamo intorno ai €225 miliardi all'anno. E, badate bene, si tratta di una cifra superiore rispetto a un anno fa che invece era di circa €150 miliardi. Ma gran parte del costo non può essere calcolato affatto. Nessun 6, nessun 7, nessun 8 ci racconterà mai tutta la storia. C’è la frustrazione di cercare di rispettare regole insensate, pratiche burocratiche e ritardi; ci sono espedienti e soluzioni alternative a cui le persone si rivolgono per cercare di evitarli; ci sono attività che non vengono mai avviate, carriere che non vengono mai intraprese, innovazioni che non vengono mai tentate.


CONCLUSIONE

Gli stati e tutte le loro macchinazioni sono la causa dell’aumento dei prezzi. Sebbene le banche possano creare denaro – credito – attraverso i prestiti, fanno affidamento su progetti e investimenti per sostenerli; non possono creare credito per salvarsi, altrimenti nessuna entità finanziaria fallirebbe. Infatti lo squilibrio patrimoniale delle banche commerciali deriva dai prestiti a tassi inferiori rispetto al rischio e dall’avere obbligazioni governative come investimenti, due cose imposte dalla regolamentazione e dalla pianificazione del sistema bancario centrale. Nel frattempo lo stato mette in circolazione più valuta per mascherare i propri squilibri fiscali e salvarsi, utilizzando regolamentazione, legislazione e coercizione per imporre l’uso della propria forma di denaro.

I monopoli non possono aumentare i prezzi a meno che non siano in grado di costringere i consumatori a utilizzare i loro prodotti senza alcun calo della domanda. Dobbiamo anche capire che monopoli distruttivi e inefficienti possono esistere solo se lo stato li impone, in qualsiasi altra situazione scomparirebbero a causa della concorrenza, della tecnologia e delle importazioni più economiche da altre nazioni. Qual è allora l’unico monopolio che può costringere i consumatori a utilizzare il loro prodotto indipendentemente dalla reale domanda? Il denaro fiat.

Lo stato è il più grande agente economico e quindi il motore più importante della domanda aggregata. Esso può porre fine alla piaga dell'inflazione dei prezzi in qualsiasi momento eliminando le spese non necessarie che alimentano il deficit pubblico; tassare il settore privato per “contrastare” l’inflazione dei prezzi è come affamare i figli per far perdere peso al genitore grasso.

In questo modo s'indebolisce ulteriormente il settore produttivo, peggiorando la situazione economica e le prospettive economiche future. Perché? Perché ad oggi i governi europei e l'UE stessa, per sopravvivere alle pèroprie contraddizioni ed errori economici commessi in passato, deve erodere progressivamente il bacino della ricchezza reale. Quando gli stati si presentano come la soluzione all’inflazione dei prezzi con sfarzosi programmi di spesa e sussidi, stanno solamente gettando ulteriore benzina su un incendio già devastante.


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1 commento:

  1. È importante capire perché questi dati sono negativi e soprattutto perché la famiglia media è più povera. L’aumento dell’inflazione e il calo dei risparmi, l’inesistente crescita dei salari reali, il rapporto occupazione-popolazione e i tassi di partecipazione alla forza lavoro rimangono al di sotto dei livelli pre-2020. E un PIL gonfiato col deficit pubblico significa tasse più alte, crescita inferiore e salari reali più deboli in futuro. L’effetto moltiplicatore dei programmi governativi potrebbe aver gonfiato il PIL, ma il reddito interno lordo presenta un quadro significativamente diverso. Ovvero un’economia stagnante con un’inflazione persistente. La spesa in deficit dello stato sta aggiungendo benzina alle pressioni inflazionistiche, un risultato di una politica fiscale imprudente e sconsiderata.

    Quando lo stato "stampa" più denaro di quello di cui ha bisogno il settore privato, si verifica l’inflazione e il potere d’acquisto viene diluito. I dati degli ultimi quattro anni indicano che se lo stato avesse abbandonato i piani di spesa e di aumento delle tasse, l’economia si sarebbe ripresa meglio e con una maggiore crescita della produttività. Nonostante la pseudo-ripresa, le entrate fiscali sono state inferiori alle aspettative e la spesa è aumentata fino a creare quello che oggi è un deficit del tutto insostenibile. Molti economisti sostengono che l’economia è in crescita e che l’inflazione è un problema secondario. Non per l'italiano medio, visto che le persone sono più povere in termini assoluti e relativi. Il consenso si sbagliava sull’effetto moltiplicatore della spesa pubblica e anche sull’inflazione. Il governo italiano dovrebbe concentrarsi maggiormente sul settore produttivo e meno sull’aumento delle dimensioni della macchina burocratica.

    Anche se l’aumento della spesa obbligatoria fosse controbilanciato dai tagli alla spesa discrezionale, sarà comunque difficile ridurre il debito. Stabilire le priorità è fondamentale. Le tasse sono già troppo alte e vi sono numerose prove che dimostrano come il recente aumento del cuneo fiscale per imprese e famiglie abbia indebolito l’economia. È lo stato stesso la fonte dell'inflazione: solo esso può far sì che tutti i prezzi salgano all’unisono. C’è tempo per correggere i problemi di inflazione e di bassa crescita. Solo una misura aiuterà: tagliare la spesa pubblica, tutto il resto è fallito e fallirà.

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