venerdì 19 luglio 2019

America al primo posto? America all'ultimo posto!





di David Stockman


Nell'era attuale delle "breaking news" 24/7, le informazioni giornalistiche mediate da internet e dalle reti via cavo sono state in gran parte ridotte al rumore.

L'escalation minacciata di una guerra economica di Washington contro l'Iran in una vera e propria guerra è un caso emblematico. Da quando le due petroliere sono state danneggiate ieri, pensereste che un gruppo di sanguinari aggressori a Teheran si sia alzato la mattina e abbia deciso improvvisamente di attaccare il mondo intero dallo Stretto di Hormuz.

La verità è esattamente l'opposto: l'aggressore è Washington e il pericoloso confronto che si sta ora svolgendo è assolutamente inutile.

Questa è la realtà ed è molto più importante da capire rispetto alla momentanea disputa sul fatto che la petroliera giapponese sia stata colpita da una mina iraniana o da un proiettile di origine incerta.

Pompeo e Bolton per anni sono stati per anni in modalità combattimento e potevate solo scommettere quando ci sarebbe stato un false flag per giustificare la loro voglia di battaglia e a quanto pare potrebbe essere il Golfo dell'Oman.

Quindi qualsiasi incidente intenzionale o accidentale potrebbe materializzarsi nelle acque del Golfo Persico, la verità è che accadrà perché:
  1. la 5a flotta statunitense e la macchina da guerra aerea sono dappertutto nel Golfo e non dovrebbero esserci affatto;
  2. Washington ha apertamente attaccato l'Iran attraverso sanzioni economiche volte a chiudere l'intero mercato globale alle sue esportazioni di petrolio e soffocare la sua economia interna fino al punto di crollare (eppure l'Iran è una minaccia zero per la sicurezza americana, europea ed asiatica).

Proprio così: l'Iran non ha una Marina che potrebbe arrivare fino all'Atlantico e solo 18.000 marinai dagli ammiragli ai medici; una flotta di aerei da guerra che invecchia, incapaci di voli a lungo raggio; missili balistici che hanno una portata inferiore a 800 miglia; una difesa aerea molto limitata basata su un sistema S-300 fornito dalla Russia (non l'S-400 di gran lunga più performante); e un esercito di terra di meno di 350.000 unità, o circa la dimensione di quello di Myanmar.

Infatti il budget per la difesa dell'Iran a meno di $15 miliardi rappresenta solo 7 giorni di spesa dei $750 miliardi del Pentagono; ed è molto meno persino in termini nominali del bilancio militare dell'Iran sotto la direzione dello Shah alla fine degli anni '70.

In dollari aggiustati all'inflazione, la spesa militare iraniana oggi è inferiore del 25% rispetto al livello precedente alla rivoluzione. Qualunque siano le credenze riguardo l'attuale stato teocratico iraniano, tra queste non ci può essere spazio per la potenza militare.

Bilancio militare iraniano in dollari USA (milioni)

Infatti questa è la vera ironia. Il nucleo dell'aviazione iraniana è costituito da aerei vecchi di 40-50 anni. Come un altro analista ha fatto notare, alcuni dei suoi aerei erano in realtà regali di Saddam Hussein!

Quindi la minaccia militare non ha assolutamente nulla a che fare con questa storia. Washington sta per iniziare una guerra contro l'Iran unicamente a causa di un'idea sbagliata: il Golfo Persico è un lago americano che deve essere sorvegliato dalla Marina USA e che Washington ha il diritto di controllare la politica estera dell'Iran e determinare quali alleanze essa può o non può avere nella regione.

Detto in modo diverso, le missioni di protezione delle linee di rifornimento petrolifere e di regolamentazione della politica estera di uno stato insignificante sono direttamente estrapolate dal copione "Impero al primo posto". Ciò equivale ad una politica folle e metterebbe a repentaglio l'attuale sicurezza dell'America.

Il fatto è che l'Iran non conta nemmeno nel contesto di un'economia globale da $80.000 miliardi.

Il suo PIL di $450 miliardi (e in rapido calo sotto l'embargo petrolifero di Washington) ammonta a solo lo 0,6% della produzione mondiale. Inoltre questo è ben più piccolo dell'Argentina ($650 miliardi), Svezia ($535 miliardi), Belgio ($500 miliardi) e Thailandia ($455 miliardi); e in realtà non è molto più grande dell'Austria ($420 miliardi), Norvegia ($400 miliardi) o persino Nigeria ($375 miliardi).

Nessuno di questi Paesi può minacciare la sicurezza nazionale degli Stati Uniti o persino la pace mondiale, indipendentemente da quale danno possa essere attribuito alle loro politiche estere. Cioè, il mondo non ha bisogno di un impero per mantenere in linea pesci piccoli come l'Iran ed i suoi pari economici (es. Iraq, Siria, Hezbollah-Libano o il governo degli Houthi dello Yemen settentrionale).

Ognuna di queste entità è o un governo sovrano o forze politiche basate sul sostegno popolare e hanno tutto il diritto di richiedere l'assistenza di Teheran. Quindi descriverli come dei proxy terroristici è il culmine dell'arroganza imperiale.

Per quanto riguarda la logica del Lago Americano, Washington ovviamente lo ha messo sottosopra. In un mondo non ostacolato dalle pretese di Washington, l'Iran rappresenterebbe un aiuto per il mercato petrolifero globale e l'economia, e la fonte numero 1 della stabilità produttiva tra i produttori della regione.

Questo perché, a differenza dell'Arabia Saudita e dei governi petroliferi del Golfo che possono permettersi di accaparrarsi le loro riserve, l'Iran è intrinsecamente motivato a produrre ogni barile di petrolio che può estrarre, dato che i suoi 80 milioni di abitanti hanno disperatamente bisogno di una fonte di reddito.

Come è evidente nel grafico qui sotto, negli ultimi tempi ha prodotto circa 4 milioni di barili al giorno (una cifra che è stata nettamente ridotta durante il periodo delle sanzioni di Obama nel 2013-2015). Ma il ritorno a 4 milioni di barili al giorno dopo che l'Iran ha mantenuto tutti i suoi impegni sotto l'accordo nucleare, è stato nuovamente annullato a causa delle brutali sanzioni imposte da Trump quando s'è rimangiato quell'accordo sulla base della politica regionale, non di violazioni dei suoi termini.

Inoltre ora la situazione sta per peggiorare, perché la maggior parte delle esenzioni temporanee dall'embargo petrolifero è scaduta il mese scorso quando l'Iran ha esportato circa 1,1 milioni di barili al giorno e prodotto un totale di 2,4 milioni di barili al giorno, con la differenza destinata all'uso in patria.

Si prevede ora che le esportazioni scenderanno a meno di 600.000 barili al giorno a causa dell'implacabile campagna di pressione di Washington su tutti i porti del mondo che oseranno far attraccare petroliere iraniane e che la produzione totale scenderà al di sotto dei 2 milioni di barili al giorno.

L'Iran ha circa 160 miliardi barili in riserve petrolifere comprovate, le quali lo collocano alle spalle del Canada (170 miliardi barili), dell'Arabia Saudita (266 miliardi barili) e del Venezuela (300 miliardi barili di petrolio) nelle classifiche mondiali.

Ciò è rilevante perché in un mondo libero da imposizioni egemoniche di Washington, il capitale globale scorrerebbe nei giacimenti petroliferi iraniani. Avrebbe quindi il potenziale per portare la produzione dalle sue riserve a 6 milioni di barili al giorno, o anche 8 milioni, con investimenti sufficienti e tecnologia di livello mondiale.

Quindi anche se accettate protezione e stabilizzazione della produzione petrolifera nel Golfo Persico come un obiettivo legittimo della politica, la guerra economica di Washington contro l'Iran è proprio il contrario. Nel grande schema geopolitico/economico delle cose, l'Iran è una forza naturale per arrivare alla massima produzione grazie soprattutto alle aspirazioni della sua popolazione, ampia e ragionevolmente istruita.

Ad esempio, il PIL pro-capite dell'Iran è di circa $5.500 rispetto ai $21.500 pro-capite in Arabia Saudita. Se l'Iran raggiungesse lo stesso reddito pro-capite, avrebbe bisogno di un PIL di $1.700 miliardi, non di $450 miliardi, e ciò richiederebbe un forte boom di investimenti nel settore petrolifero ed energetico ed una produzione a tutto gas.

Quello che stiamo dicendo è che non c'è bisogno di un poliziotto nel Golfo Persico. Se l'Iran non fosse minacciata da Washington, produrrebbe tutto ciò che potrebbe e non avrebbe alcun motivo di interferire con il commercio e le spedizioni attraverso lo Stretto di Hormuz.

Ciononostante nessuno dei regni del Golfo può permettersi di interrompere la produzione per scopi politici o militari. Vale a dire, senza abbondanti introiti petroliferi per placare le loro popolazioni impotenti, ma di grandi dimensioni (50 milioni di persone in Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Qatar e Kuwait sono governate e saccheggiate da poche migliaia di principi e dai loro eserciti di servitori), i principi e i reali vivrebbero tutti in Svizzera.

Alla fine, l'idea fuorviante che la sicurezza petrolifera nel Golfo Persico richieda la presenza della Quinta Flotta è un residuo della Guerra Fredda, che si è conclusa 29 anni fa. La teoria degli anni '70 di Kissinger e della sua squadra di egemonisti era che l'Unione Sovietica (ormai morente) fosse sul punto di spingersi nel Golfo Persico.

Inutile dire che non ha mai avuto la capacità militare o le risorse economiche per realizzare tale impresa, e gli archivi sovietici mostrano che non c'era nemmeno un piano per farlo.

Produzione di petrolio dell'Iran (000 barili al giorno)

Quindi alla radice dell'inutile scontro militare nel Golfo Persico, c'è l'annoso errore di Washington: la sicurezza e il benessere economico dell'America dipendono dal mantenere un'armata in quei posti per proteggere i campi petroliferi circostanti e il flusso di navi cisterna attraverso gli Stretti di Hormuz.

Questa ipotesi era sbagliata sin dal giorno in cui è stata ufficialmente enunciata da uno dei più grandi ignoranti economici americani, Henry Kissinger, al tempo della crisi petrolifera del 1973. I 46 anni passati sin da allora hanno dimostrato che non importa chi controlla i giacimenti petroliferi e che l'unica cura efficace per prezzi elevati del petrolio è il libero mercato.

Ogni singola dittatura, da Muammar Gheddafi in Libia a Hugo Chavez in Venezuela a Saddam Hussein, ai capi sanguinari della Nigeria, ai mullah presumibilmente medievali e in particolar modo alle guardie rivoluzionarie dell'Iran, ha estratto petrolio; e di solito tutto il petrolio che poteva estrarre, perché aveva un disperato bisogno di entrate.

Persino i teppisti barbarici dell'ISIS hanno munto ogni possibile goccia di petrolio dai minuscoli campi petroliferi sparsi nel loro territorio, prima che fossero finalmente scacciati. Quindi non esiste nessuna tesi economica a supporto di una massiccia presenza militare di Washington nel Medio Oriente, o per prendere le parti di una tra le potenze locali.

La verità è che non esiste un cartello dell'OPEC, praticamente ogni membro produce tutto ciò che può e imbroglia quando è possibile. L'unica cosa che assomiglia ad un controllo della produzione nel mercato petrolifero globale è il fatto che i principi sauditi trattano le loro riserve petrolifere non molto diversamente da quanto faccia Exxon.

Cioè, cercano di massimizzare il valore dei loro 270 miliardi barili di riserve. Alla fin fine, però, nel calibrare il miglior prezzo del petrolio per raggiungere suddetto obiettivo in un dato momento non sono più bravi rispetto agli economisti impiegati da Exxon, DOE, o dall'Agenzia Internazionale per l'Energia.

Ad esempio, i sauditi sovrastimarono la capacità di resistenza della domanda in Cina rispetto all'offerta globale quando nel 2014 i prezzi del petrolio scesero a livello mondiale.

Allo stesso tempo, sottostimarono la rapidità con cui vennero raggiunti i $100 al barile all'inizio del 2008, cosa che innescò un flusso di investimenti, tecnologia e debito a basso costo in fonti alternative di approvvigionamento. Cioè, lo shale patch degli Stati Uniti, le sabbie bituminose canadesi, le province petrolifere della Russia, l'offshore profondo del Brasile, ecc. (per non parlare del solare, dell'eolico e di tutte le altre fonti sussidiate di energia verde).

Nel lontano passato, quando Jimmy Carter diceva di abbassare i termostati e indossare i maglioni, noi fermi alfieri del libero mercato nel cosiddetto dibattito sulla carenza di energia, dicevamo che i prezzi elevati del petrolio erano la migliore cura. Ora lo sappiamo per certo.


Per intenderci, la Quinta Flotta ed i suoi ausiliari non avrebbero mai dovuto essere nel Golfo Persico e nei dintorni. E intendiamo fin dall'inizio, ovvero si dal colpo di stato della CIA contro la democrazia iraniana nel 1953, il quale mirava a proteggere i giacimenti petroliferi dalla nazionalizzazione.

Ma dopo aver trasformato l'Iran in un nemico, Washington aveva appena iniziato. Nel 1990, in nome della "sicurezza petrolifera", scatenò la macchina da guerra americana nelle fessure politiche e religiose del Golfo Persico e lo fece a causa di un conflitto locale tra Iraq e Kuwait, il quale non aveva alcun rapporto con la sicurezza dei cittadini americani.

Come l'ambasciatore americano Glaspie disse a Saddam Hussein alla vigilia della sua invasione in Kuwait, l'America non aveva nulla a che fare con quella faida. Dopotutto, il Kuwait non era nemmeno un vero e proprio Paese: si trattava semplicemente di un conto bancario seduto su una striscia di giacimenti petroliferi che circondava un'antica città commerciale che all'inizio del XX secolo era stata abbandonata da Ibn Saud.

Questo perché l'analfabeta beduino fondatore della Casa di Saud non sapeva che cosa fosse il petrolio o che fosse lì; e, in ogni caso, nel 1913 il Kuwait era stato reso dagli inglesi un protettorato per ragioni che si perdono nella nebbia della storia diplomatica britannica.

L'accusa irachena contro il Kuwait era che l'emiro del Kuwait stesse perforando oltre il suo confine e nel campo iracheno di Rumaila, nonostante fosse un limite totalmente elastico senza nessun significato.

In realtà, la disputa sul campo di Rumaila iniziò nel 1960 quando una dichiarazione della Lega Araba segnò arbitrariamente il confine tra Iraq e Kuwait due miglia a nord della punta più meridionale del campo di Rumaila.

Malgrado ciò non c'era nulla di sacro in quella linea di demarcazione. Entrambi i combattenti nella guerra del 1990 tra Iraq/Kuwait vennero coniati dall'imperialismo europeo. La decisione di Bush senior di gettarsi nella mischia fu uno dei crimini più stupidi commessi dallo Studio Ovale.

La verità è che non importava chi controllasse la punta meridionale del campo di Rumaila, il brutale dittatore di Baghdad o l'opulento emiro del Kuwait. Da quella disputa non dipendeva né il prezzo del petrolio, né la pace dell'America, né la sicurezza dell'Europa, né la pace del mondo.

Ma Bush senior intraprese lo stesso la strada della guerra, consigliato dai protégé economicamente analfabeti di Henry Kissinger presso il Consiglio di sicurezza nazionale. Sostenevano falsamente che fosse in gioco la fatidica "sicurezza petrolifera" e che dovessero essere sguinzagliati 500.000 soldati americani nelle sabbie dell'Arabia.

Fu un errore catastrofico, e non solo perché la presenza sul presunto terreno sacro dell'Arabia offese i Mujahedeen dell'Afghanistan addestrati dalla CIA, che erano diventati disoccupati quando crollò l'Unione Sovietica. È stato il fattore chiave che ha portato Washington alla follia della guerra in Iraq, alla drastica intensificazione dello storico divario sunnita/sciita (che si è metastatizzato in Iraq e poi diffuso nella regione attraverso l'ISIS), e alla perpetuazione della massiccia presenza militare di Washington nel Golfo e nei dintorni.


Infatti quando guardate la mappa qui sopra, capite perché la propaganda neocon sulla cosiddetta Mezzaluna sciita è ridicola. La giusta metafora è l'accerchiamento e l'Iran è la vittima, non l'aggressore.

Il fatto è che l'affermazione secondo cui l'Iran sia il leader espansionista nella Mezzaluna sciita si basa sul fatto che Teheran ha una politica estera indipendente basata sui interessi propri e affiliazioni confessionali (relazioni legittime che sono demonizzate perché non approvate da Washington).

Allo stesso modo, l'accusa ufficiale che l'Iran sia il principale sponsor del terrorismo non è minimamente giustificata dai fatti: è un favore del Dipartimento di Stato a Netanyahu.

Possiamo iniziare con il sostegno di lunga data dell'Iran al governo di Bashir Assad in Siria. Questa alleanza che risale all'era di suo padre ed è radicata nella storica politica confessionale del mondo islamico.

Assad è alawita, una branca degli sciiti, e nonostante la brutalità del regime, è stato un baluardo di protezione per tutte le sette di minoranza in Siria, inclusi i cristiani, contro una pulizia etnica a maggioranza sunnita. Quest'ultima sarebbe sicuramente accaduta se i ribelli sauditi (e Washington), guidati dal Fronte Nusra e dall'ISIS, fossero riusciti a prendere il potere.

Allo stesso modo, il fatto che il governo di Baghdad (l'invenzione del 1916 di due diplomatici europei, Sykes e Picot) sia ora allineato con l'Iran, è anche il risultato di una politica confessionale e di una propensione geo-economica.

Il vecchio Iraq non esiste più. I curdi del nord-est hanno dichiarato la propria indipendenza e si sono impadroniti del proprio petrolio. Allo stesso tempo, le terre sunnite dell'Alto Eufrate, che furono temporaneamente perse dal califfato dell'ISIS, ora sono una terra di nessuno tra macerie e comunità distrutte.

Di conseguenza ciò che resta dello stato iracheno è una popolazione a maggioranza sciita, che nutre aspri risentimenti dopo due decenni di violenti conflitti con le forze sunnite. Perché, quindi, non si allea con i suoi vicini sciiti?

Allo stesso modo, l'affermazione secondo cui l'Iran stia ora cercando di annettere lo Yemen è pura fantasia. L'antico territorio dello Yemen è stato devastato dalla guerra civile fin dai primi anni '70 e una delle principali forze trainanti di quel conflitto sono state le differenze confessionali tra il sud sunnita e il nord sciita.

Le tribù Houthi, una variante sciita dell'Islam sciita, hanno dominato gran parte dello Yemen settentrionale e occidentale per secoli. Governavano lo Yemen settentrionale durante la lunga distesa dopo la sua fondazione nel 1918, fino a quando i due Yemen furono riunificati nel 1990.

Così quando venne rovesciato il governo (insediato da Washington) a Sana'a e lo Yemen si disintegrò in fazioni religiose, gli Houthi presero il potere nel nord dello Yemen, mentre le tribù sunnite si allinearono con i Fratelli Musulmani e Al-Qaeda controllava il sud.

Inutile dire che gli Houthi non hanno un esercito regolare, una marina regolare, o una aviazione regolare. Quindi non rappresentano alcuna minaccia per l'Arabia Saudita, la quale invece ha $250 miliardi di armi avanzate acquistate dall'America negli ultimi decenni.

L'intero PIL dello Yemen, devastato ed impoverito dalla guerra, è di appena $27 miliardi e gran parte viene creato al di fuori delle aree controllate dal governo degli Houthi a Sana'a.

Invece l'Arabia Saudita ha il terzo più grande budget per la difesa del mondo, a $69 miliardi (2,5 volte l'intera economia dello Yemen), ed è una forza militare moderna, addestrata ed equipaggiata dal Pentagono con il meglio.

In una parola, gli Houthi vengono brutalmente bombardati dall'Arabia Saudita in quello che equivale ad un attacco genocida: gli Houthi sono vittime di un'aggressione che ha causato la morte di oltre 10.000 civili e afflitto le terre da carestie, malattie, macerie e devastazioni economiche.

Non si può dire quale fazione nella guerra civile fratricida dello Yemen sia la più barbara, ma il modesto aiuto fornito dall'Iran al suo parente sciita non è assolutamente un caso di terrorismo.

Infine vi è il quarto elemento del presunto asse iraniano: le comunità sciite controllate da Hezbollah nel sud del Libano e nella valle della Bekaa. Come tutto il resto del Medio Oriente, Hezbollah è un prodotto dell'imperialismo europeo, della politica confessionale islamica e delle politiche di sicurezza esagerate e controproducenti di Israele.

In primo luogo, il Libano non è stato più un Paese da quando Sykes e Picot giocarono con i confini di quei posti. Il risultato fu uno stufato di divisioni religiose ed etniche: cattolici maroniti, greco-ortodossi, copti, drusi, sunniti, sciiti, alawiti, curdi, armeni, ebrei e innumerevoli altri che rendevano praticamente impossibile la costruzione di uno stato.

Alla fine un'alleanza di cristiani e sunniti ha acquisito il controllo del Paese, lasciando la popolazione sciita priva di diritti e svantaggiata dal punto di vista economico. Ma fu l'afflusso di rifugiati palestinesi negli anni '60 e '70 che alla fine sconvolse l'equilibrio delle forze confessionali ed innescò una guerra civile che durò essenzialmente dal 1975 al 1990.

Innescò anche un'invasione israeliana del sud del Libano nel 1982 e una successiva occupazione brutale di territori prevalentemente sciiti. Il presunto scopo di questa invasione era di cacciare l'OLP e Yassir Arafat dall'enclave nel sud del Libano, stabilitisi lì dopo essere stati cacciati dalla Giordania nel 1970.

Alla fine Israele riuscì a far fare i bagagli ad Arafat, ma nel processo vide la nascita di un movimento di resistenza sciita che non esisteva nel 1982, e che a tempo debito divenne la singola forza più forte negli arrangiamenti politici nazionali del Libano.

Dopo che Israele si ritirò dal Libano nel 2000, l'allora presidente cristiano della contea fece chiaramente capire che Hezbollah era diventato una forza legittima e rispettata all'interno della comunità politica libanese.

Quindi, sì, Hezbollah è una componente della cosiddetta Mezzaluna sciita e il suo allineamento confessionale e politico con Teheran è del tutto plausibile. Ma questo accordo, per quanto stia stretto ad Israele, non rappresenta affatto un'aggressione iraniana al confine settentrionale di Israele.

In realtà è uno sprone affinché i governi israeliani, specialmente i governi di destra del Likud dei tempi moderni, tornino a trattare in modo costruttivo la questione palestinese.

Al posto della soluzione "a due stati" in Palestina, la politica israeliana ha prodotto uno stato cronico di guerra con la grande maggioranza della popolazione del Libano meridionale rappresentata da Hezbollah.

Quest'ultimo è tutt'altro che pacifico e ha commesso la sua parte di atrocità, ma il punto è che dati gli ultimi 35 anni di storia e la politica israeliana, Hezbollah sarebbe esistito come una forza minacciosa sul suo confine settentrionale anche se la teocrazia non fosse esistita e lo Scià, o il suo erede, fosse ancora sul Trono del Pavone.

In breve, non esiste alcuna alleanza terroristica nella Mezzaluna sciita che minaccia la sicurezza americana. Tale affermazione è semplicemente una delle Grandi Bugie che è stata promulgata dal Partito della Guerra dopo il 1991 e che è stata abbracciata da Washington sin da allora per mantenere vivo il complesso militare/industriale e giustificare il suo ruolo auto-nominato di poliziotto del mondo.

Quindi, alla fine, l'affermazione che l'Iran sia il leader espansionista della Mezzaluna sciita si basa solo sul fatto che Teheran vuole avere una politica estera indipendente basata sui interessi propri e affiliazioni confessionali (relazioni legittime che sono invece demonizzate dal Partito della Guerra a Washington e in particolare dalla sua filiale Bibi Netanyahu).

E per questo Trump ha stracciato l'unica cosa decente che abbia fatto Obama nell'arena della politica estera, l'accordo nucleare iraniano, e questa mossa demente potrebbe portarci realmente al punto di un conflitto militare.

Se succede, il terzetto di aggressori dietro di esso ha già posato per il suo ritratto ufficiale.



[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


1 commento:

  1. Articolo fantastico.
    Poche persone hanno la capacita' di farci capire la politica internazionale come David Stockman.
    Ricordo solo che Stockman e' stato il capo dell'ufficio OMB della casa bianca quando era presidente Reagan. l'OMB e' il piu'grande e importante ufficio della casa bianca, Lui riferiva direttamente al presidente.

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