mercoledì 3 luglio 2019

L'UE ha ucciso British Steel, non la Brexit





di Justin Murray


Il 22 maggio scorso la British Steel ha annunciato di essere divenuta insolvente e la società è stata posta in amministrazione controllata dal Regno Unito. La spiegazione fornita per questo fallimento è che la British Steel è stata una vittima della decisione di uscire dall'orbita burocratica dell'Unione Europea. In apparenza sembra essere vero, in quanto la società ha dichiarato che gli ordini dal continente sono diminuiti a causa dell'incertezza sul processo di uscita che il Parlamento britannico negli ultimi tre anni ha tirato per le lunghe. Tuttavia, se scaviamo più a fondo, scopriamo che è stata l'UE, e non la Brexit, ad uccidere la compagnia.



L'eccessiva regolamentazione europea

Se guardiamo all'ultimo rapporto annuale della compagnia, scopriamo che l'azienda è passata da un utile di £92 milioni nell'anno fiscalel 2017 ad una perdita di £19 milioni nell'anno fiscale 2018. I ricavi della società sono saliti dell'11% anno su anno, ma il vero problema sono state le spese: un tremendo 25% nello stesso periodo. Il processo di produzione dell'acciaio è ad alta intensità energetica, quindi una parte significativa di questo aumento dei prezzi è legata ad un forte aumento dei prezzi dell'energia nel Regno Unito tra la fine del 2017 e l'inizio del 2018. Il secondo principale fattore di costo è stato che la British Steel non era più in grado di saldare i suoi conti per la politica "cap-and-trade" obbligatoria dell'UE. Lo spazio di manovra della British Steel si è esaurito nel 2018 e si è trovata ad affrontare un ammontare da saldare pari a £100 milioni per coprire le spese del 2018. Questo importo rappresentava il 10% del fatturato annuale della società ed era così grande che ha chiesto al governo britannico di ottenere un prestito per coprire i costi, poiché aveva solo circa £5 milioni in liquidità per saldare tale conto. Ironia della sorte, suddetto picco dei prezzi dell'energia è stato causato anche dal "cap-and-trade" dell'UE, il quale diventa più inefficiente man mano che il programma arriva nella fase 2021-2030.

British Steel sarebbe diventata finanziariamente insolvente il 22 maggio 2019, anche se il Regno Unito avesse votato per rimanere nell'UE.

Se alla British Steel non fosse stata consegnata un conto esorbitante da £100 milioni per le emissioni di carbonio, la società starebbe in buone condizioni in questo momento. E le persone non possono nemmeno avere la percezione che un settore inquinante sia tenuto sotto controllo, perché gli acquisti di acciaio si sposteranno in Paesi come la Cina, la Russia e l'India, che occupano tre dei primi quattro posti nelle emissioni globali, dove c'è scarsa preoccupazione per i livelli di emissione di carbonio e su cui l'UE non ha giurisdizione. La Brexit è solo una scusa, sottolineare che la politica ambientale dell'UE ha distrutto British Steel sarebbe politicamente imbarazzante per il Parlamento europeo e per i politici inglesi qualora dovessero implementare un sistema "cap-and-trade" tutto loro.



Questo è solo un microcosmo

Questo è solo uno dei tanti esempi delle politiche distruttive di centralizzazione dell'UE. Il programma "cap-and-trade" e una miriade di altre imposizioni normative di microgestione sono un fattore chiave dietro le scarse prestazioni economiche dell'UE e le terribili condizioni dell'occupazione. Considerato quanto sia gravoso il regime normativo dell'UE, il Regno Unito alla fine ha fatto la scelta giusta ad uscire. Se la società non dovesse pagare l'assurda tassa di £100 milioni, British Steel sarebbe in grado di aggiustare più agilmente i prezzi per tener conto di qualsiasi dazio punitivo che l'UE imporrebbe al Regno Unito per aver osato sfuggire al suo controllo. Immaginate quanti altri milioni di sterline le compagnie britanniche potrebbero risparmiare se il Regno Unito decidesse di intraprendere un'uscita senza accordo e si rifiutasse di imporre quelle regole e regolamenti che il popolo britannico ha votato di abbandonare.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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