lunedì 16 settembre 2019

La nostra costosa avventura con Lord Keynes

La macroeconomia è diventata una materia dominante nel mondo accademico e in quello delle notizie finanziarie dopo la pubblicazione del libro di John Maynard Keynes, The General Theory of Employment, Interest, and Money, nel 1936. Non molte persone l'hanno letto, io sì, ed è un ottimo espediente per contrastare l'insonnia. La premessa di base della macroeconomia è che possiamo fidarci delle capacità dei politici per quanto riguarda l'approvazione di leggi che i burocrati di ruolo possono amministrare in modo equo, coerente e sicuro, in modo che il principio di allocazione del libero mercato (l'offerta più alta vince) non possa diventare il principio alla base della distribuzione economica. Basta pensare ad una commissione che spaccia un cammello per un cavallo per capire il funzionamento di un'economia amministrata sotto la vigile supervisione delle agenzie di regolamentazione statali, che a loro volta dirigono la domanda e l'offerta, penalizzando gli offerenti onesti nella grande asta che incarna l'economia di mercato e avvantaggiando coloro autorizzati dallo stato. D'ora in poi, quando pensate alla "macroeconomia", pensate ad un tizio del governo che bussa a casa vostra e dice "salve, sono stato mandato qui dal governo per aiutarti".
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di Alasdair Macleod


Nella General Theory of Employment, Interest and Money Keynes ha praticamente creato la macroeconomia, ma lui era un matematico, non un economista, e non comprendeva appieno il libero mercato, quindi non era qualificato per emergere come l'economista più influente del secolo scorso. Le sue idee sbagliate permeano ancora l'establishment, compresi i governi e i loro settori finanziari regolamentati. Dato che ci si sta rendendo conto che queste politiche hanno spinto le nazioni verso una crisi economica e finanziaria, è importante presentare una dissezione forense degli errori e delle motivazioni di Keynes.

Forse avremmo dovuto ascoltare Friedrich Hayek, quando disse che il suo amico Lord Keynes non era un economista. Questa affermazione è presente in una video intervista di Hayek con Leo Rosten del 1975.



Dobbiamo sorvolare la dichiarazione introduttiva di Hayek, perché nonostante l'ignoranza di Keynes in economia, è diventato l'economista più influente dopo che la sua Teoria Generale fu pubblicata nel 1936. Santificò una nuova specializzazione: la macroeconomia, la quale oggi domina la letteratura economica. Ha ispirato una serie di economisti influenti, che erano e sono tuttora suoi seguaci devoti. È stato anche la figura prediletta dell'establishment (cosa che Hayek non è mai stato). Vinse una borsa di studio ad Eton e frequentò la Cambridge University, dove suo padre teneva lezioni di economia e scienze morali. Fu a Cambridge che cadde sotto l'influenza di Alfred Marshall (1842-1924).

Marshall riteneva che i prezzi, o i dati passati, costituissero la base per la stima dei prezzi in futuro, mentre i fattori imprevisti li avrebbero solo influenzati (come le variazioni della domanda e l'interazione con le variazioni della domanda di altri beni). Minimizzò la soggettività dei consumatori come fece anche il suo predecessore, William Stanley Jevons, il quale credeva fermamente che i prezzi potessero essere modellati matematicamente. Marshall adottò un approccio quasi matematico, partendo da un'analisi basata sulla geometria ma evolutasi poi in calcolo differenziale. Ciò si scontrò con la tradizione Austriaca di Hayek, inaugurata da Carl Menger nel suo Principi di Economia pubblicato nel 1871.

L'affermazione di Hayek, secondo cui l'economia marshalliana si sbagliava nel voler ignorare la soggettività di Menger, era più di una critica mossa da una scuola d'economia ad un'altra. L'approccio di Marshall non ebbe seguito, mentre la teoria di Menger portò ad ulteriori scoperte da parte di coloro che la seguirono: von Bawerk, von Wieser, von Mises e ovviamente lo stesso Hayek.

Mentre le opinioni di Keynes superavano quelle del suo mentore, poneva anche una forte enfasi sull'analisi matematica dell'economia. In questo fu influenzato dagli insegnamenti di Marshall, oltre al fatto che Keynes credeva che il ragionamento filosofico sarebbe stato sostituito dalle ipotesi matematiche. Infarciti con ragionamenti induttivi, i dati avrebbero potuto essere utilizzati come base per fare previsioni generalizzate sugli esiti economici e costituire la base della gestione dell'economia da parte dello stato.

Adam Smith, Jevons, Marshall e Pigou presupponevano tutti una teoria dei prezzi basata sui costi di produzione. Tuttavia la nostra esperienza ci dice che questo non può essere vero, perché i produttori stimano un prezzo per il loro prodotto in base all'evoluzione delle scelte dei consumatori. Cercheranno di realizzare un profitto aggiustando il loro costo di produzione per soddisfarli, non viceversa. In un'economia di libero mercato, qualsiasi produttore che non riesce a rispondere ai comandi mutevoli dei consumatori, cesserà l'attività; pertanto il costo di produzione passa in secondo piano. Solo i monopoli statali riescono a lavorare in base ai costi.

Come cambieranno in futuro le preferenze dei consumatori, non si può sapere: la migliore ipotesi per i prezzi futuri è stimata da imprenditori qualificati immersi nei loro mercati di nicchia. L'approccio matematico/geometrico di Marshall (proiettare i prezzi sulla base della domanda e dell'offerta passate) non è altro che un esercizio "e se..." e non una base praticabile per la teoria dei prezzi. Se Keynes fosse stato consapevole di quello che stava succedendo altrove nel campo dell'economia, avrebbe potuto capire le fallacie insite nell'approccio di Marshall.

Keynes odiava il diciannovesimo secolo e questo spiega la sua antipatia per le teorie economiche di libero scambio teorizzate da pensatori del calibro di Cobden in Inghilterra e Bastiat in Francia. Altrimenti avrebbe anche compreso la teoria di Ricardo sul vantaggio comparato ed i benefici che ne derivano.

Peccato però che non fosse disgustato dagli scritti e dalle filosofie di Marx ed Engels, che costituivano una minaccia per l'establishment. Marx ispirò i primi organizzatori del Partito Laburista, fondato nel 1900 dopo essersi evoluto dal movimento sindacale e dai partiti socialisti del diciannovesimo secolo. All'inizio degli anni '20 superò il Partito liberale e diventò la principale opposizione ai conservatori, formando il suo primo governo nel 1924, dodici anni prima che Keynes pubblicasse la sua Teoria Generale. La minaccia per l'establishment si era infiltrata nel parlamento stesso.

Questa non fu una rivoluzione metodista. Originariamente redatto nel 1918 da Sidney Webb, un apologeta del comunismo sovietico e fondatore della Fabian Society, la Clausola 4 della costituzione del Partito laburista lo legava all'ambizione marxista di prendere sotto l'ala pubblica i mezzi di produzione. Questa minaccia all'establishment spinse l'ambizione di Keynes a trovare un altro modo affinché lo stato potesse controllare l'economia.

Prima della Grande Guerra, a Cambridge, l'ambiente accademico spalleggiava questi pensieri e molti professori erano in sintonia con il marxismo. Keynes voleva inventare un socialismo alternativo e nelle note conclusive della Teoria Generale scrive che "dalla fine del diciannovesimo secolo sono stati compiuti progressi significativi verso l'eliminazione di grandissime disparità di ricchezza e reddito attraverso la fiscalità diretta (es. imposte sul reddito, tasse e imposte sulla morte, ecc.) soprattutto in Gran Bretagna".

Non si fa menzione degli ovvi inconvenienti di una politica che cerca di livellare la ricchezza verso il minimo comun denominatore. L'elogio di Keynes alla ridistribuzione della ricchezza è puro e semplice socialismo. Garantisce allo stato un reddito considerevole da spendere per la propria burocrazia e altre ambizioni, mentre i benefici produttivi della creazione di ricchezza vengono completamente dimenticati.

Keynes è stato ed è tuttora visto da molti come una via di mezzo tra socialismo e mercati liberi. Ciò equivale a sostenere che peccare un po' non significa affatto peccare. Ma non si può essere selettivi sull'applicazione di una teoria generale. La ridistribuzione di una certa ricchezza è distruttiva e più viene trasferita, maggiore sarà il costo economico.

Naturalmente la ridistribuzione della ricchezza attraverso la tassazione non è l'unico metodo di distruzione della ricchezza. L'inflazione, la diluizione della massa monetaria, è il metodo più certo e meno rilevabile. Nella Teoria Generale Keynes evita di spiegare il ruolo del credito bancario nel gonfiare la quantità di denaro. È come se non fosse stato a conoscenza delle conseguenze inflazionistiche del Bank Charter Act del 1845, che rese legale la possibilità per le banche di espandere il credito. Evidenza, questa, a sostegno dell'affermazione di Hayek della sua ignoranza riguardo l'economia del diciannovesimo secolo.

Keynes non aveva alcuna familiarità con i progressi rivoluzionari della Scuola Austriaca, in particolare La teoria del denaro e del credito (1912) di Mises. Fino a quando non sarebbe stato tradotto in inglese, Keynes non avrebbe avuto spiegazioni adeguate riguardo il ciclo di espansione e contrazione del credito, il quale alimentò i boom ed i bust della seconda metà del diciannovesimo secolo. Nonostante la popolazione godesse di un aumento degli standard di vita grazie alla rivoluzione industriale, furono i bust periodici che alimentarono il sostegno al marxismo.

Il valore dell'analisi di Mises sul ciclo del credito non può essere sottovalutato; è un vero peccato per tutti noi che Keynes non fosse a conoscenza della letteratura economica Austriaca fino a quando non fu tradotta dal tedesco (troppo tardi per intaccare le credenze di un uomo il cui pensiero stava diventando mainstream). Suddetta letteratura contraddice l'assunto di Keynes secondo cui il ciclo economico può essere gestito, ma la mente di Keynes era decisa: uno stato benigno doveva progredire oltre la funzione di prestatore di ultima istanza e salvare le banche di rilevanza sistemica. Il compito successivo era giustificare interventi statali più ampi per impedire una ripetizione dei crolli di fine ottocento e, in particolare, una ripetizione della depressione degli anni '30.

Negli anni trenta Keynes si stava spostando dal ragionamento induttivo marshalliano ad uno che includesse il raggiungimento di un certo obiettivo. Per arrivarci dovette abbandonare elementi di economia classica che gli sbarravano la strada. Il suo obiettivo era quello di porre fine ai crolli periodici ed il suo pregiudizio lo portò in un mondo utopico senza di essi. Le note conclusive della sua Teoria Generale lo spiegano: secondo lui i tassi d'interesse elevati sono inutili perché incentivano il risparmio, non capendo che i tassi impostati da libero mercato sono un riflesso della preferenza temporale riguardo i beni. Continua dicendo che non sarebbe difficile: "[...] aumentare lo stock di capitale fino al punto in cui la sua efficienza marginale scenda ad un livello molto basso.  [...] Sebbene questo stato di cose sia abbastanza compatibile con una certa misura di individualismo, tuttavia significa l'eutanasia del redditiero, e, di conseguenza, l'eutanasia del potere oppressivo del capitalista di sfruttare la scarsità del capitale".

Questo è l'obiettivo finale dell'economia di Keynes. Con la ridistribuzione della ricchezza e lo stato che garantisce l'offerta di capitale a tassi d'interesse bassi, il sistema di risparmio che fornisce gli investimenti e il capitale circolante agli imprenditori diventerebbe ridondante. Lo stato otterrebbe il controllo dell'allocazione del capitale, garantendo così la piena occupazione. La Teoria Generale non è affatto un libro che spiega l'economia ai suoi seguaci, ma uno strumento di propaganda per condurli alla sua visione di un nirvana socialista/marxista.



Screditare la Legge di Say

Tra i molti ostacoli alla nuova economia di Keynes, il più significativo era la Legge di Say. Se ne liberò trasformandone l'enunciato, in modo da poterla smontare comodamente. Oggi se chiedete agli economisti la Legge di Say, molto spesso enunceranno la versione errata di Keynes. Il singolo riferimento alla Legge di Say nella Teoria Generale è all'inizio di pagina 26: "Pertanto la Legge di Say, secondo cui il prezzo della domanda aggregata della produzione nel suo insieme è uguale al suo prezzo di offerta aggregato per tutti i volumi della produzione, equivale a dire che non vi sono ostacoli alla piena occupazione. Se, tuttavia, questa non è la vera Legge relativa alla domanda aggregata e alle funzioni di offerta, allora c'è un capitolo di fondamentale importanza nella teoria economica che bisogna scrivere e senza il quale tutte le discussioni relative al volume di occupazione aggregata sono inutili."

La cosa più educata che si possa dire riguardo l'affermazione di Keynes è che non è falsa, ma è solo una delle conclusioni che si può dedurre dalla Legge, non la Legge stessa. Per comprendere la profondità di questa parodia, dobbiamo esaminare ciò che ci dice l'economia classica. Da quando l'uomo ha scoperto i benefici della cooperazione sociale, ha appreso che ogni persona ha abilità e caratteristiche personali che può usare per massimizzare la sua produzione. Scambiando la sua produzione con quella degli altri, soddisfa i propri bisogni e desideri, nonché quelli delle persone con cui interagisce. Il commercio tra individui è facilitato dall'uso di un bene comune, accettato da tutti, in un sistema di scambio indiretto. È la base della divisione del lavoro e la colla che cementa la cooperazione e la coesione sociale.

Detto in modo diretto, solo un ignorante può essere in disaccordo con la Legge di Say. Il gioco di prestigio di Keynes gl iserviva solo a superare l'ostacolo insormontabile che gli si è parato di fronte. Dalla sua manipolazione è emerso il fondamento della macroeconomia: ciò che accade a livello individuale è diverso a livello di comunità. Ma neanche questo può essere vero, perché la Legge di Say è una descrizione della cooperazione a livello di comunità. La creazione della macroeconomia deve quindi presumere che le nazioni non siano composte da comunità cooperanti, un'affermazione impossibile da accettare ma su cui Keynes getta le basi della sua teoria.

Dopo il rifiuto della Legge di Say, il resto del libro sviluppa le basi per la macroeconomia, un mondo separato dall'esperienza umana. Se una comunità prospera attraverso la divisione del lavoro, non c'è spazio per una terza parte in nessuna delle singole transazioni tra acquirenti e venditori. Keynes invece ci dice che a livello macro può esserci una terza parte: lo stato.

Le sue conclusioni alla Teoria Generale ci dicono che ridistribuendo la ricchezza da coloro che ne possiedono troppa a coloro che non la possiedono, emergeranno benefici economici per la società che supereranno il danno arrecato dalla pratica stessa. E poiché, in accordo con i principi della divisione del lavoro, alcuni consumi sono posticipati per un uso futuro (sotto forma di risparmi da immettere in investimenti di capitale), i risparmiatori devono essere eutanizzati insieme ai capitalisti sfruttatori. La creazione della macroeconomia da parte di Keynes è meno sostenibile dal punto di vista logico rispetto alle elucubrazioni di Marx in Das Kapital, perché Marx non ha macchiato i suoi sforzi con compromessi impraticabili.

L'establishment temeva il comunismo perché minacciava di derubare la borghesia. La macroeconomia di Keynes, che sembra essere fondata su una vaga forma di libero mercato, è stata accolta volentieri dall'establishment. È comunque socialismo sotto altre spoglie. È importante sottolineare che, passando la responsabilità della creazione di denaro agli stati e alle loro banche centrali, l'inflazione non scompare; le loro politiche sono analoghe a quelle di John Law, che in un'era precedente hanno portato alla bolla Mississippi e alla successiva distruzione dell'economia francese.

Ma è stata la natura della macroeconomia di Keynes, dedita al compromesso, che ha permesso la sopravvivenza del marxismo, mentre la natura intransigente della versione di Marx, nonostante la soppressione e il massacro dei suoi avversari, ne ha decretato la morte. Negli stati comunisti asiatici si stima che oltre cento milioni di persone siano morte per esecuzioni e fame. I sistemi politici dei due maggiori macellatori delle loro popolazioni, l'Unione Sovietica e la Cina, sono crollati, salvo pi reinventarsi come stati mercantilisti. Gli interventisti keynesiani devono ancora fallire in modo plateale, ma sono sulla strada giusta per farlo.



Le conseguenze economiche di Lord Keynes

Il socialismo keynesiano è sopravvissuto così a lungo perché non ha mai completamente strangolato la libera impresa. Finché gli individui hanno una certa libertà di dividere il proprio lavoro, manifestano una notevole capacità di adattamento alle circostanze imposte loro dagli stati.

Nei rari casi in cui gli stati limitano rigorosamente il loro onere economico ai loro settori produttivi, è stato dimostrato che il socialismo keynesiano è un costo economico e non un vantaggio. La logica supporta l'evidenza: se si distrugge la ricchezza di alcune persone, un'economia sta peggio. Non è necessario essere un economista classico o Austriaco per capirlo. Ciò che richiede una comprensione della teoria economica è spiegare perché il ciclo economico di Keynes non è affatto radicato nell'attività del settore privato, ma è la conseguenza dell'intervento statale, in particolare sul lato monetario. Il ciclo economico è solo il sintomo; il ciclo del credito è la causa.

Sostenendo un ruolo monetario per lo stato, Keynes ha reso il ciclo del credito considerevolmente peggiore e più destabilizzante. Le prove che indicano tale colpevolezza sono sistematicamente cancellate dalle fandonie macroeconomiche, dalle statistiche e da una maggiore svalutazione monetaria, un processo che non può continuare indefinitamente. L'eredità del debito che emerge di conseguenza intrappola sia gli stati sia i settori privati. Gli stati sono così sovraccarichi di debiti e passività future che la loro unica via di fuga sono tassi d'interesse negativi e accelerazione della svalutazione della valuta.

La scienza inventata della macroeconomia tende sempre a giustificarsi. Le banche stanno cessando di creare credito per l'economia produttiva, ad eccezione dei mutuatari più grandi e sicuri. I macroeconomisti lo notano a malapena. In realtà, l'inflazione ora non produce altri benefici se non la mera sopravvivenza per stati e grandi banche. Invece dell'utopia promessa, il socialismo di Keynes ci ha portato tutti sul precipizio che ha distrutto il comunismo negli anni '80.

Siamo ciechi di fronte alle conseguenze del rovesciamento della Legge di Say e degli altri principi di economia enunciati nel diciannovesimo secolo e successivamente sviluppati dai maestri Austriaci.

Se solo avessimo ascoltato Hayek, il sogno utopico di Keynes non si sarebbe trasformato in un incubo per tutti noi.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


1 commento:

  1. I pianificatori centrali continuano a credere che i problemi dell'Europa siano legati alla domanda, seguendo indicazioni macroeconomiche, quando in realtà sono dal lato dell'offerta. Ovvero, lo stimolo monetario non può far niente per risolvere l'aumento dell'interventismo statale, delle tasse e della spesa. Sebbene finora abbia comprato tempo, lo ha fatto ad un costo molto alto: maggiori problemi economici da risolvere. Infatti due tra i più importanti di questi sono la fuoriuscita di risparmi dalle banche europee (capite perché proprio adesso si sta intensificando la lotta al contante?) e il pagamento degli interessi negativi alla BCE per un totale di €23 miliardi sin dal 2014. In un ambiente economico in cui il rischio è stato distorto ed i rendimenti sono pressoché nulli, il nuovo giro di QE non farà altro che esacerbare questa situazione.

    Non solo, ma gli stati, Italia in primis, saranno incentivati a deviare ulteriormente risorse dal settore privato produttivo per il proprio tornaconto: sopravvivere un giorno ancora nonostante la palese bancarotta. Non è un caso infatti che la BRI evidenzia come le aziende zombi si siano moltiplicati negli ultimi anni. In questo contesto inondare di nuovo i mercati con cartaccia colorata non servirà a nulla, salvo spennare ulteriormente quei pochi risparmi rimasti ancora in giro, soprattutto di coloro che credono che l'attuale sistema possa andare avanti indefinitamente.

    Coloro che invece leggono i miei articoli ed i miei commenti, sono consapevoli che una scappatoia c'è e lo sanno da tanto ormai. Hanno modo di prepararsi e vedere in anticipo ciò che arriverà. Venezuela e Argentina sono solo i pazienti zero e già lì bitcoin sta fungendo da ancora di salvezza per le persone comuni.

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