martedì 6 luglio 2021

Il divieto cinese al mining di Bitcoin è un vantaggio sotto mentite spoglie?

Era ora! Quasi provo pena per quei critici che per molto tempo hanno sventolato il feticcio della Cina come fallacia dell'uomo di paglia per affermare "se la Cina bandisce il mining di Bitcoin, quest'ultimo è finito". Ancora una volta hanno avuto torto. In realtà vedere che la Cina prendesse misure contro Bitcoin ha rappresentato un momento che molti bitcoiner stavano aspettando, "already baked in" potremmo dire, anche perché poteva sembrare strano che un Paese centralizzatore ed iper-keynesiano potesse continuare a "tollerare" un'attività decentralizzante come Bitcoin. Per quanto possa tentare di tenere tutto sotto controllo, tale assetto della società è fallimentare sul lungo termine ed è solo una questione di tempo prima che gli individui si organizzino per evadere ed eludere quelle misure coercitive lesive della loro ricchezza. Aver permesso ai cinesi di assaporare la ricchezza è stato sia un bene che un male per il PCC: un bene perché ciò ha significato più entrate fiscali e afflussi di capitale; un male perché gli individui si "abituano" alle agiatezze e non sono poi d'accordo a vedersele sfilare sotto il naso. Ecco perché nell'ultimo periodo i cinesi hanno fatto ricorso ad ogni mezzo per mettere al sicuro i propri capitali. La fuga in questo contesto non è stata tollerata per il fatto che si trattasse di crypto asset, bensì che potesse rappresentare una via preferenziale nel momento in cui si verificasse una crisi e PCC/PBOC dovessero in qualche modo tamponarla. Per questo tipo di controllori una via preferenziale del genere è intollerabile, quindi hanno iniziato a tirare fuori l'artiglieria pesante. Anche perché lo yuan digitale è alle porte. Ma diversamente dai diktat e dai capricci di una manipolo di persone, Bitcoin ha dalla sua una rete molto ampia di individui che scelgono ed agiscono fornendo quindi un tasso di dinamicità ed adattamento decisamente superiore. Infatti già adesso si sta adattando alla nuova realtà, con gli incentivi economici che fanno da perno a tale adattamento. La pianificazione centrale è un segmento, mentre Bitcoin è una linea retta continua.

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da Epoch Times

L'ampliamento del divieto di Pechino al mining delle criptovalute ha, per ora, paralizzato il settore e fatto crollare i prezzi di Bitcoin .

Ma poiché i minatori si spostano in altre regioni e Paesi, la recente azione della Cina potrebbe inaugurare un periodo di maggiore stabilità per il re delle criptovalute. Potrebbe anche essere in vista una distribuzione più diversificata dell'energia e un maggiore utilizzo di energie rinnovabili.

Alla fine di maggio il Consiglio di Stato cinese ha promesso di reprimere il commercio e l'estrazione di bitcoin ed il divieto è arrivato ​​dopo che la banca centrale cinese ha iniziato ad implementare la propria valuta digitale.

Il Partito Comunista Cinese (PCC) considera le criptovalute come Bitcoin una seccatura, che sconvolge l'ordine economico e facilita i trasferimenti illegali di ricchezza. Inoltre Pechino ha denunciato l'enorme consumo di energia da parte dei minatori di Bitcoin.

A seguito del diktat del PCC, diverse province e territori, tra cui lo Xinjiang, la Mongolia interna e il Sichuan, hanno avviato misure coercitive per chiudere le attività di mining.

Ciò ha fatto precipitare i prezzi di Bitcoin sotto i $30.000 la settimana del 14 giugno, dopo aver toccato i massimi storici sopra i $60.000 ad aprile.

Perché il calo? Il divieto cinese del mining ha interrotto la potenza di calcolo disponibile per mantenere e aggiornare la blockchain di Bitcoin.

Si stima che la Cina ospiti più della metà della capacità di mining di Bitcoin, con la maggior parte dei minatori situati nella regione autonoma dello Xinjiang e nella provincia del Sichuan. Secondo un'analisi del Cambridge Bitcoin Electricity Consumption Index, nel 2020 circa il 65% dell'estrazione mondiale di Bitcoin si trovava in Cina. Sebbene quella quota di mercato sia diminuita un po' più di recente, la Cina continua a dominare la potenza di calcolo riguardante Bitcoin.

A differenza delle operazioni di estrazione di minerali come oro e ferro, l'estrazione di Bitcoin non comporta attrezzature ingombranti. I miner di Bitcoin utilizzano magazzini di computer per risolvere problemi computazionali e verificare le transazioni, oltre ad aggiornare e mantenere la blockchain di Bitcoin. Infatti i miner la mantengono aggiornata e, a loro volta, vengono compensati con la coinbase dei nuovi blocchi.

Da quando è stato messo al bando in Cina, l'hashrate di Bitcoin, la potenza di calcolo disponibile per estrarrlo ed è un riflesso dell'efficienza della rete, è diminuito di quasi il 50% nell'ultimo mese, secondo i dati di The Block. Si pensa che le sole province dello Xinjiang e del Sichuan abbiano contribuito al 30% della potenza mineraria totale.

Questo è sicuramente un vento contrario a breve termine, ma il giro di vite della Cina potrebbe essere uno sviluppo positivo a lungo termine per l'industria delle criptovalute.

Per prima cosa, né il divieto della Cina né il successivo crollo dell'hashrate dovrebbero sorprendere. In effetti, è scioccante che così tanto mining sia stato concentrato in Cina sin dall'inizio.

Il PCC sta combattendo contro le criptovalute da quasi un decennio: nel 2013 Pechino ha vietato a tutte le istituzioni finanziarie di gestire le criptovalute; la Cina ha quindi vietato tutte le ICO nel 2017; a metà del 2019, la People's Bank of China ha bloccato l'accesso a tutti gli exchange di criptovalute nazionali ed esteri per eliminare l'attività di trading.

Anche se il PCC ha smesso di dichiarare illegale la proprietà di criptovalute, ha vietato tutte le forme di commercio e scambio, incluso il divieto alle istituzioni finanziarie nazionali di scambiare valute digitali con lo yuan. Tali azioni erano per lo più incentrate sulla limitazione del trasferimento di ricchezza, ma l'intento del PCC è stato chiaro sin dal 2013.

Quindi cosa significa questo per Bitcoin ed il relativo mining? A breve termine, con la diminuzione della capacità di estrazione a causa della repressione del PCC, minare Bitcoin diventa molto più redditizio.

"Man mano che più hashrate diminuisce dalla rete, la difficoltà si aggiusterà verso il basso e l'hashrate che rimane attivo sulla rete riceverà di più per la quota proporzionale dei premi del mining", ha affermato Kevin Zhang, vicepresidente della società di apparecchiature per il mining di criptovalute The Foundry, in una recente intervista alla CNBC. In altre parole, la "ricompensa" incrementale per il mining di Bitcoin è maggiore quando ci sono meno minatori.

Ma ci sono altri aspetti positivi a lungo termine.

Una minore concentrazione geografica promette di rendere la blockchain di Bitcoin meno vulnerabile ai capricci e alle normative di un singolo Paese. Molte attività di mining cinesi hanno spedito le loro attrezzature all'estero, con gli Stati Uniti ed il Kazakistan come beneficiari netti.

Ad esempio, BIT Mining con sede a Shenzhen e quotata sul NYSE ha spedito la maggior parte delle sue attrezzature minerarie al di fuori della Cina, secondo una dichiarazione della società. Circa 320 macchine minerarie sono state consegnate ad una struttura in Kazakistan e la società ha affermato che le sue operazioni dovrebbero tornare online entro il 27 giugno.

Si prevede che gran parte dell'attività mineraria si sposterà negli Stati Uniti. Eunice Yoon della CNBC ha scritto su Twitter il 21 giugno che una società di logistica con sede a Guangzhou stava trasportando 6.600 libbre di computer per il mining di Bitcoin in Maryland.

Un altro potenziale beneficiario è lo stato del Texas, che ha anche alcuni dei politici più favorevoli al Bitcoin negli Stati Uniti. Il Texas ha i prezzi dell'energia più bassi del Paese ed una quota crescente di fonti di energia rinnovabile.

La diversificazione energetica è fondamentale. Trasferire l'hashrate di bitcoin dalla Cina agli Stati Uniti, che hanno un approvvigionamento energetico molto più diversificato, migliorerebbe l'impronta di carbonio del mining di Bitcoin, una critica chiave negli ultimi tempi. (Sebbene infondata, NdT.)

Il fondatore e CEO di Tesla, Elon Musk, ha annunciato che Tesla non accetterà più Bitcoin fino a quando il suo hashrate non raggiungerà il 50% da fonti di energia pulita. Anche la senatrice democratica Elizabeth Warren si è espressa contro Bitcoin per il suo consumo energetico ed il conseguente impatto sull'ambiente.

Mentre la redditività a lungo termine delle criptovalute e di Bitcoin è ancora in divenire, spostare la capacità di mining al di fuori della Cina è un primo passo tangibile per affrontare tali preoccupazioni e critiche.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


1 commento:

  1. Una cosa che avevo sottolineato già al momento di questo articolo, ovvero, è importante che ci fossero "prove di forza" del genere per testare nell'effettivo la resistenza/resilienza di BTC. Nonostante tutte le minacce, i divieti sventolati dai burocrati e la presunta inossidabilità nei diktat vantati da Pechino, il risultato è stato che non solo Bitcoin ha continuato a funzionare indisturbato, ma è stata trovata una scappatoia addirittura all'interno dei confini cinesi. La delocalizzazione e decentralizzazione del mining è stata la prima risposta, ma poi il mercato si adatta perché esso fonda la sua sopravvivenza e successo sul dinamismo. Niente a che vedere con l'immobilismo e la lentezza pachidermica di adattamento dell'apparato statale.

    Solo per questo fatto Bitcoin dovrebbe essere considerato uno strumento inestimabile, soprattutto nei tempi in cui viviamo. Ciononostante abbiamo visto riconfermata una massima sempre vera: il blat è e sempre sarà superiore a Stalin.

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