mercoledì 30 gennaio 2019

La tragedia dell'euro





di Alasdair Macleod


Dopo due decenni gli eurodeputati stanno portando l'Eurozona in guai seri. Dicembre è stato l'ultimo mese degli acquisti mensili di debito pubblico da parte della BCE. Un indebolimento dell'economia globale farà aumentare inaspettatamente i deficit pubblici. La conseguenza sarà un nuovo ciclo di rendimenti obbligazionari in netta crescita per i membri più deboli dell'Eurozona e una destabilizzazione sistemica dovuta a perdite nei portafogli obbligazionari di proprietà delle banche dell'Eurozona.



Il gioco dello scarica-barile

È il ventesimo anniversario dell'esistenza dell'euro e, lungi dall'essere celebrato, viene incolpato per molti, se non tutti, i mali dell'Eurozona.

Tuttavia l'euro non può essere incolpato dei fallimenti monetari e politici della BCE, delle banche centrali nazionali e dei politici. È solo una moneta fiat, come tutte le altre, solo con una diversa provenienza. Tutte le valute fiat devono la loro funzione di mezzo di scambio dalla fiducia che ripongono in essa coloro che la utilizzano. Ma a differenza di altre valute fiat nelle rispettive giurisdizioni, l'euro è diventato un talismano per i fallimenti monetari ed economici nell'Unione Europea.

Comprendere ciò significa avere la possibilità di capire perché l'Eurozona ha i suoi problemi e perché ci sono crescenti rischi di una nuova crisi sistemica dell'Eurozona. Questi problemi non saranno risolti sostituendo l'euro con uno dei suoi componenti fondatori, o con una nuova moneta fiat. È qui per rimanere, perché liberarsene non è nell'interesse di coloro che lo utilizzano.

Come spesso accade, incolpare l'euro per alcuni o tutti i problemi dell'Eurozona significa non incolpare i veri colpevoli: le istituzioni che l'hanno creata e gestita. Questo articolo riassume brevemente i punti chiave della storia del progetto dell'euro e osserva come siano stati ripetuti gli errori del passato senza la rete di sicurezza rappresentata dagli acquisti di asset da parte della BCE.



La nascita dell'euro

Scambiare un certo numero di valute fiat con una valuta fiat completamente nuova, significa che coloro che le utilizzano devono accettare che i poteri d'acquisto di quelle vecchie saranno trasferite a quella nuova. Non sarebbe stata una certezza e gran parte dello scetticismo sarebbe arrivato dal popolo tedesco. I tedeschi rischiavano la sicurezza dei loro risparmi in un nuovo sistema monetario. Vennero rassicurati dagli uomini della Bundesbank, i quali avevano la missione di proteggere le caratteristiche del marco contro le debolezze che sarebbero state quasi certamente trasferite nel nuovo euro dalle altre valute fiat.

Queste ansie vennero in parte attenuate istituendo la BCE a Francoforte, vicino all'occhio vigile della Bundesbank. Alle altre nazioni era stato detto che il progetto avrebbe portato una maggiore stabilità monetaria rispetto a quella offerta dalle loro singole valute e una riduzione dei costi delle transazioni transfrontaliere. I mutuatari in valute fiat inflazionate assaporavano anche la prospettiva di tassi d'interesse più bassi.

All'inizio era chiaro che il nuovo euro richiedeva nuove discipline, ed è per questo che il sistema era fallito sin dall'inizio. Avendo sistematicamente definito i parametri dell'euro nell'accordo di Maastricht, le considerazioni politiche hanno preso il sopravvento. La ragion d'essere dell'euro, per quanto riguardava i politici, era di promuovere il progetto europeo e far sì che i Paesi nella nuova zona Euro diventassero più importanti del rispetto delle regole.

I termini erano stati fissati nel trattato di Maastricht nel febbraio 1992, firmato dai dodici membri della preesistente Comunità Europea. L'adesione all'euro richiedeva un tasso d'inflazione non superiore all'1,5% rispetto al tasso medio dei tre stati membri con l'inflazione più bassa, un disavanzo fiscale non superiore al 3% alla fine dell'anno finanziario precedente, un rapporto tra debito pubblico/PIL non superiore al 60%, adesione al meccanismo di cambio per due anni senza svalutazione e tassi d'interesse a lungo termine non superiori del 2% rispetto ai tassi d'inflazione dei tre stati membri con il tasso d'inflazione più basso.

Questa era una cosa sensata, ma è stata poi ignorata dai firmatari di Maastricht. Solo il Lussemburgo era pienamente qualificato per aderire ai termini di Maastricht.

Persino la Germania non riusciva a soddisfare tutte queste regole. Il suo deficit di bilancio nel 1996 era del 4% del PIL. Quello della Francia era stato manipolato dal 5% al 4%. Il deficit di bilancio della Grecia, dopo una contabilità molto creativa, fu registrato all'8%, e l'Italia deve aver avuto una benedizione papale, perché scese miracolosamente dall'8% al 4%.

Nel 1996 il debito pubblico/PIL della Germania aveva appena superato il livello del 60% fissato a Maastricht. Quello del Belgio si attestava al 130%, quello dell'Italia al 124% e quello della Grecia (a quanto pare) al 110%. Quale debito? nessuno vedeva debiti. Dei firmatari originali di Maastricht, solo la Francia e il Regno Unito soddisfavano questa condizione.

Nonostante tutto, dieci dei dodici firmatari di Maastricht andarono avanti e adottarono l'euro nel 1999 e come moneta in circolazione nel 2002. Il Regno Unito aveva abbandonato l'unione economica e monetaria nel settembre 1992 e la Grecia era ovviamente non conforme quindi la sua entrata venne ritardata di due anni.

Fino alla crisi della Lehman, i tassi d'interesse delle varie nazioni si allinearono a quelli della Germania sotto l'egida di una politica monetaria comune. La politica dei tassi d'interesse della BCE fu necessariamente di compromesso. Ad un'estremità dello spettro c'erano i bassi tassi precedentemente goduti dalle economie con solidi tassi di risparmio: la Germania, il Lussemburgo, la Finlandia, i Paesi Bassi e l'Austria.

All'altro capo c'erano i cattivi: in particolare la Grecia e l'Italia. Nel 1992, quando fu firmato Maastricht, il tasso di prestito overnight della Grecia era del 28%. Nel 1996, quando la Commissione pubblicò la sua prima relazione sulla convergenza, scese al 12,8%. Quando la Grecia aderì all'euro nel 2001, scese al 3,3%. Il tasso interbancario a 3 mesi dell'Italia scese dal 13% al 9% e poi al 3,4% negli stessi archi temporali.

Il compito della BCE non venne semplificato dall'affermazione che i tassi di risparmio alti fossero un freno al consumo. Il capitale che aveva avuto origine come espansione del credito (invece che da risparmio genuino) migrò verso nazioni con rendimenti obbligazionari più elevati, prima come un rivolo, ma poi in quantità crescenti, mentre cresceva anche la fiducia che l'unificazione monetaria sotto l'euro fosse lì per rimanere. Stando così le cose, gli investitori credevano che investire in titoli di debito italiani e spagnoli fosse sicuro quanto investire in debito tedesco e francese.

Il flusso di capitali in queste nazioni affamate di risparmi fece salire i prezzi degli asset e del PIL. E più il capitale originato dal credito li sommergeva, più i prezzi degli asset e del PIL ne beneficiavano. Ciò significava che, in base al miglioramento delle statistiche, l'euro era considerato un grande successo, curando dalla povertà le nazioni del Mediterraneo. La realtà era che i flussi di capitali finivano negli investimenti improduttivi e nella dissolutezza statale. Nessuno pensava a lamentarsi ed i tedeschi furono messi a tacere da quelli che biasimavano le crescenti esportazioni della Germania verso le nazioni più spendaccione.

In questo modo la politica monetaria della BCE diede l'impulso a cicli del credito localizzati, in particolare tra i PIIGS. I boom degli asset si trasformarono in bolle, che alla fine scoppiarono sulla scia della crisi della Lehman. Il sistema monetario dell'UE era gravata da migliaia di miliardi di euro di debiti che non sarebbero mai stati rimborsati ed i PIIGS scoprirono improvvisamente che non erano disponibili ulteriori finanziamenti dai mercati. La convergenza dei tassi d'interesse si stava invertendo. Inoltre l'intero sistema bancario dell'Eurozona fu minacciato di crollo, il che accade sempre quando scoppiano le bolle alimentate dal credito facile.

Gli stati membri non avevano altra opzione se non quella di salvare le loro banche, ed i prestiti al settore pubblico salirono alle stelle, finanziati dall'UE, dalla BCE e dal Fondo Monetario Internazionale. La crisi in Grecia peggiorò quando alla fine del 2009 il governo fu costretto ad ammettere di aver mentito sul suo deficit di bilancio per anni e, infine, ammise un deficit annuale molto più alto di quanto precedentemente rivelato. Il deficit di bilancio della Grecia nel 2009 raddoppiò, passando da circa il 7,5% al ​​15,1%. L'aumento dei rendimenti obbligazionari significava che la Grecia non era più in grado di continuare a finanziare i suoi disavanzi e rinnovare il debito esistente, e il capitale fuggì verso giurisdizioni della zona Euro presumibilmente più sicure.

Il governo corrotto della Grecia venne sostituito nel gennaio 2015 da un governo di estrema sinistra, eletto perché promise agli elettori di rigettare termini di salvataggio onerosi. Fantasie a cui solo gli elettori ingenui potevano credere. Per quanto riguardava la BCE e Bruxelles, i problemi della Grecia dovevano rimanere in Grecia, e vennero infrante le speranze che i suoi problemi sarebbero stati condivisi con il resto dell'Eurozona.

Sembrava che la spesa per il salvataggio di un membro molto piccolo dell'Eurozona rischiava di destabilizzare gli altri. Yanis Varoufakis, ex-ministro delle finanze greco, disse che la ragione dell'approccio intransigente dell'UE era quella di proteggere le banche tedesche dalle perdite. Un compromesso ragionevole per aiutare uno stato membro era stato respinto in modo netto.



Affrontare le crisi finanziarie future

Alcuni commentatori economici hanno anche affermato che l'UE e la BCE hanno perseguito una linea dura sulla Grecia per persuadere gli altri stati membri, che chiaramente erano in difficoltà simili, a non fare affidamento sull'aiuto degli altri. È una tesi che ha senso, ma l'episodio greco ha anche rivelato la mancanza di un meccanismo per affrontare gli imprevisti e ciò era evidente sin dall'inizio, quando furono emanate le condizioni di Maastricht. Nel 1992 i legislatori non tennero conto dei cicli economici e monetari, ma con il sopraggiungere della data di adesione (1999) si verificarono tre crisi destabilizzanti: il debito russo, la crisi di LTCM e la crisi finanziaria asiatica. Questi fattori combinati indebolirono la crescita del PIL globale e le ipotesi sulla prevedibilità delle statistiche nazionali. Avere a che fare con crisi future sarebbe stato ovviamente un problema, per non parlare di quelle interne in Irlanda, Cipro, Spagna e Portogallo. Poi c'era e c'è ancora l'Italia.

Le finanze italiane somigliano molto a quelle della Grecia pre-crisi, alimentate dalla soppressione dei costi dei prestiti fino a quando la musica non si è fermata sulla scia della Lehman. Nonostante le ribellioni degli elettori alle successive elezioni generali, i problemi dell'Italia non sono ancora esplosi in una crisi in stile greco, ma questa è la direzione del viaggio. E l'Italia è molto più seria della Grecia a causa delle sue dimensioni.

Inoltre è terminata l'era della risoluzione dei problemi nelle finanze pubbliche attraverso una maggiore stampa di denaro da parte delle banche centrali; la base monetaria globale in tutto il mondo si sta contraendo. L'espansione monetaria era il modo in cui la BCE manteneva alti i prezzi dei titoli obbligazionari e rimandava i problemi irrisolti. Da questo mese non ci saranno più acquisti di asset, quindi i costi di prestito per i governi dell'Eurozona aumenteranno sicuramente.

Più si considera la prospettiva per l'Eurozona, più rischiosa appare. Fino a quando non ha smesso lo scorso dicembre, la BCE ha investito circa €2.500 miliardi in titoli di stato. La BCE ha progettato un secondo periodo di convergenza dei tassi d'interesse, questa volta quasi esclusivamente per i governi dell'Eurozona, ignorando gli interessi commerciali. A questo seguirà un periodo di divergenza dei tassi man mano che la BCE uscirà dal mercato. Anche le banche commerciali hanno sostenuto i loro governi nazionali, nonostante i rendimenti artificialmente bassi, nella consapevolezza che la BCE stava supportando i prezzi delle obbligazioni.

Ora che il sostegno della BCE ai mercati obbligazionari è cessato, i governi dovranno ridurre i deficit di bilancio, o dovranno essere finanziati con altri mezzi. Quasi certamente non ridurranno la loro domanda di maggiori fondi, in quanto l'Eurozona scivolerà in recessione ed i tassi saliranno.

Le banche commerciali dovranno fare i conti con la nuova realtà. Vedremo divergere nuovamente i rendimenti dei titoli obbligazionari europei. E man mano che divergeranno, scemerà la fiducia nell'Euro-sistema e nei politici.

In questo contesto la non adattabilità storica dell'Eurozona alle condizioni mutevoli del mercato è preoccupante. I prezzi del debito a lungo termine finiscono in qualche modo per andare alla deriva, poiché non ci sono compratori naturali visto che manca una forte salita delle curve dei rendimenti. Lo "sciopero" dei compratori sta iniziando a sembrare la via imboccata dall'attuale mercato, il che comporta un maggiore rischio per tutti: la pressione sul credito bancario affinché si contragga mentre le banche cercano di ridurre la loro esposizione al calo dei prezzi dei titoli di stato e in tal modo preservare il loro capitale.

Le banche dell'Eurozona non possono permettersi di cavalcare l'effetto del calo dei prezzi sulle loro basi patrimoniali. La Commissione Bancaria Europea e altri organi regolatori hanno introdotto regole che lo rendono impossibile. Supponendo che una crisi dei finanziamenti inizi a far salire i rendimenti obbligazionari, possiamo essere certi che le banche dell'Eurozona troveranno sempre più difficile mantenere i loro margini rispetto ai requisiti patrimoniali Tier 1 e Tier 2, così come le riserve di capitale, i buffer di capitale anticiclici ed il global buffer delle istituzioni di importanza sistemica.

Esiste quindi una crescente probabilità che il ritiro della BCE come compratore del debito pubblico faciliterà la prossima crisi bancaria dell'Eurozona, e ha il potenziale di intensificarsi rapidamente. Non solo è finita la bolla monetaria attraverso gli acquisti di asset da parte della BCE, ma c'è un crescente rischio di contrazione della quantità di credito bancario disponibile per i titoli di stato in un momento in cui l'Italia, la Spagna, la Francia e altri stati più piccoli avranno più bisogno di emettere nuovo debito.

La rimozione delle valute nazionali nel 1999 ha ridotto gli stati dell'Eurozona ad entità che possono fallire in tutti i sensi pratici, anche se non legalmente. E senza la BCE che li finanzia, diventeranno rapidamente insolventi. Prendendo l'Eurozona nel suo insieme, i deficit pubblici lo scorso anno hanno visto un aumento relativamente modesto di circa €70 miliardi. Presumendo l'assenza di deterioramento delle finanze pubbliche, un livello simile di finanziamento potrebbe forse essere raggiunto dalla BCE mantenendo il tasso sui depositi a -0,4% e facendo affidamento sull'arbitraggio dei tassi d'interesse (più i flussi delle cedole) per incentivare eventuali compratori a sottoscrivere debito pubblico a brevissimo termine.

Non c'è spazio di manovra. I segnali indicano che l'economia globale sta rallentando e l'allargamento dei prestiti commerciali conferma che il processo di contrazione della base monetaria da parte delle banche centrali sta iniziando ad indebolire l'attività commerciale a livello mondiale. In questo momento del ciclo del credito, il processo di continua espansione del debito ricade sempre sulle spalle degli stati e delle loro banche centrali.

I segnali emergenti di uno shock creditizio che inghiottirà le finanze pubbliche sono ovunque; l'Eurozona mostra il massimo rischio sistemico. L'unico modo in cui questi pericoli possono essere evitati nell'Eurozona è che la BCE ripristini i suoi programmi di acquisto di asset per sostenere nuovamente i mercati obbligazionari. Ma dopo averli fermati, la BCE avrà bisogno di ottimi motivi per ricominciare.

Dopo l'ultima crisi del credito, gli stati hanno coperto le passività delle banche attraverso i salvataggi statali. Successivamente è stato approvato il bail-in in tutti gli stati membri della zona Euro. Ma se venisse implementato il bail-in per salvare solo poche banche, probabilmente collasserebbero l'intero sistema, perché i possessori di obbligazioni bancarie ed i grandi depositanti preferiranno fuggire dal sistema bancario dell'Eurozona piuttosto che rischiare di essere costretti ad accettare titoli bancari senza valore.

Allo stesso modo, i governi di Italia, Grecia, Spagna, Francia e altri non possono permettersi salvataggi statali, perché non saranno in grado di finanziarli e per la seconda volta l'UE, la BCE ed il FMI dovranno correre in soccorso... solo questa volta i numeri saranno molto più grandi. È stato il fallimento delle banche spagnole che ha portato il rapporto tra debito e PIL della Spagna dal 35,6% nel 2007 al 97% di oggi. Possiamo solo immaginare dove andrà a finire durante la prossima crisi del credito, così come quello italiano con un loro rapporto debito/PIL già al 130%.

L'Eurozona è ora pericolosamente ai margini di un abisso finanziario e sistemico. L'euro in sé non è esente da colpa. Le istituzioni dietro di esso non sono riuscite a capire che la convergenza dei tassi d'interesse nel suo primo decennio di vita ha portato ad investimenti improduttivi e che a suddetta convergenza sarebbe seguita una divergenza. I governi nazionali non hanno capito le piene conseguenze di non essere più in grado di stampare le loro valute fiat.

Non incolpate l'euro, è vittima di abusi da parte di politici che lo considerano un trampolino di lancio verso i loro grandi obiettivi; e nemmeno la sfortunata BCE, costretta a politiche monetarie sempre più distruttive. Dobbiamo sperare che il resto del mondo non sia destabilizzato dal contagio causato dal fallimento dell'Eurozona.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


1 commento:

  1. Ricapitoliamo: lo zio Mario ha praticamente stampato più di €3000 miliardi di carta straccia negli ultimi 4 anni e nonostante tutto l'Italia è alle corde. Ora la BCE tergiverserà con una sorta di Twist in stile zio Ben fino al passaggio di consegne ai vertici, quando il freno a mano sarà tirato con veemenza e le illusioni della spesa pubblica si frantumeranno contro la realtà economica: le leggi dell'economia sono apodittiche e non possono essere cambiate, quindi chiederanno dazio di tutte le distorsioni con cui l'ambiente economico è stato intorbidito finora. Problema: i soggetti TBTF e SIFI sono aumentati negli ultimi 4 anni....

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