mercoledì 12 febbraio 2020

Perché seguire pessime metriche conduce a pessime scelte





di Bradley Thomas


Alla vigilia della Grande Recessione l'ex-presidente George W. Bush, in un discorso del 2007, esortava le persone a "fare shopping" per far "crescere la nostra economia".

Infatti la stampa difficilmente completa un rapporto sull'economia americana senza informarci che "la spesa per consumi costituisce il 70% dell'economia".

Se dobbiamo credere ai politici e ai media, il consumo è la componente più importante: la spesa al consumo alimenta un'economia.

Davvero?

Questo modo di pensare è il risultato di come lo stato "misura" l'economia: il prodotto interno lordo (PIL).

Difetti significativi nel modo in cui viene misurato il PIL non solo lo rendono un indicatore fuorviante, ma hanno portato a conclusioni errate su ciò che fa progredire un'economia. Tali errori portano a politiche pubbliche estremamente costose e dannose.

In breve, il PIL tenta di misurare il valore totale dei prodotti e servizi finiti della nazione in un determinato periodo, in genere un anno.

Ma questa attenzione ai beni finali rappresenta un quadro accurato dell'attività economica totale? Come può testimoniare qualsiasi lettore del saggio di Leonard Read, Io, la matita, la maggior parte dell'attività economica si svolge ben al di sotto della superficie del prodotto finito che vediamo sugli scaffali dei negozi.

I prodotti finiti subiscono varie trasformazioni, passando attraverso diversi stadi intermedi rispetto alla loro origine come materie prime. I beni strumentali, la manodopera e gli input necessari per portare a compimento il prodotto finale sono tutti protagonisti di suddetti stadi.

È qui che vengono rivelate le carenze della metodologia del PIL.



L'errore del “doppio conteggio”

Per evitare ciò che gli economisti chiamano "doppio conteggio", il PIL non conta i soldi spesi dalle imprese che investono in beni intermedi.

I beni intermedi sono classificati come quei beni usati nella produzione di un bene finale. Ad esempio, una pagnotta di pane venduta sugli scaffali della drogheria è un bene finale; anche le macchine, come i miscelatori ed i forni acquistati dal produttore di pane e utilizzate per produrlo, sono considerate beni finali per i calcoli del PIL, poiché non vengono utilizzate nel processo di produzione.

Al contrario, la farina, il grano e altri ingredienti prodotti e quindi inclusi nel pane sono considerati prodotti intermedi. Pertanto i soldi spesi dai fornai per questi elementi non sono inclusi nel PIL. Allo stesso modo, la società di autotrasporti che consegna la farina al forno fornisce quello che è considerato un servizio intermedio, quindi anche il denaro speso per tale trasporto viene lasciato fuori dal PIL.

La spiegazione classica per evitare il "doppio conteggio" dei beni intermedi nel PIL sostiene che se la vendita di acciaio fosse aggiunta alle vendite di Ford, l'acciaio verrebbe conteggiato due volte; una volta quando venduto a Ford e di nuovo quando Ford vende l'auto contenente suddetto acciaio.

Tale logica è errata, poiché unisce il valore totale dei beni intermedi con il loro valore aggiunto al prezzo finale a cui un bene viene venduto.

Tornando alla pagnotta, possiamo immaginare questo semplice esempio:
  • Un produttore di fertilizzanti vende semi di grano ad un agricoltore per $1.
  • L'agricoltore vende quindi il suo grano al mugnaio per $3.
  • Il mugnaio quindi vende la sua farina ad un fornaio per $5.
  • Il fornaio trasforma questa farina in pane e lo vende al consumatore per $6.

Il prezzo di vendita finale del pane è di $6, ma nel processo il denaro totale speso per i beni intermedi è di $9. Ovviamente l'importo totale speso per i beni intermedi non è incluso nel prezzo di vendita finale.

Ciò che è incluso nel prezzo di vendita è il valore aggiunto in ogni fase intermedia.
  • Il valore aggiunto del produttore di fertilizzanti è di $1.
  • Il valore aggiunto del coltivatore di grano è di $2 ($3 a cui ha venduto il grano meno $1 che ha speso per il fertilizzante).
  • Il valore aggiunto del mugnaio è di $2 ($5 a cui ha venduto la farina meno i $3 che ha speso per il grano).
  • Il valore aggiunto del fornaio è di $1 ($6 a cui vende il pane meno i $5 che ha speso per la farina).

È il valore aggiunto che comprende il prezzo di vendita finale.



La spesa per investimenti aziendali, non il consumo, è il cuore della spesa nell'economia

Una volta presa in considerazione tutta la spesa per beni intermedi, la spesa al consumo rappresenta solo il 30% circa dell'economia.

L'economista Mark Skousen ha descritto la necessità dell'uso di una misurazione chiamata Gross Output (GO) che catturi tutte le spese economiche. Questa misura, finalmente adottata dal Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti nel 2014, rivela che la maggior parte dell'attività economica non riguarda la spesa al consumo di beni finiti, ma le imprese che investono nella produzione di tali beni.

Da ciò possiamo dedurre che la spesa dei consumatori non guida un'economia.



L'aumento della spesa al consumo è il risultato, non la causa, della crescita economica

La società non può consumare per trovare la via verso la prosperità. Il risparmio fornisce le risorse necessarie alle imprese per investire in attività produttive e la spesa aziendale per la produzione è ciò che guida veramente un'economia.

Per sottolineare ulteriormente il primato della spesa per investimenti sulle condizioni economiche, prendete in considerazione i seguenti dati della Grande Recessione: secondo la relazione del 2010 del Consiglio dei Consulenti Economici del presidente, la spesa privata al consumo è scesa solo del 2% dal suo picco nel quarto trimestre del 2007.

La spesa totale privata per investimenti ha iniziato il suo calo molto più significativo quasi due anni prima. Gli investimenti interni privati ​​totali hanno raggiunto l'apice nel primo trimestre del 2006 e sono poi scesi di circa il 36%.



Pessime metriche portano a pessime scelte

Basarsi sul PIL è sbagliato e fuorviante se si vuole valutare la salute economica, poiché induce i politici a favorire politiche distruttive volte a raggiungere obiettivi sbagliati. I politici si concentrano su iniziative per "stimolare" la spesa dei consumatori a spese di risparmi ed investimenti, cosa che può portare ad un maggiore indebitamento dei consumatori e all'esaurimento della capacità produttiva dell'economia.

Un prosciugamento del bacino delle risorse necessarie per alimentare gli investimenti produttivi si traduce in stagnazione economica, danneggiando le persone poco qualificate perché sono spesso le prime ad essere licenziate quando l'economia finisce in crisi.

Uno degli errori economici più accettati e dannosi è l'idea che la spesa dei consumatori guidi l'economia. La misura economica più pubblicizzata dallo stato, il PIL, è in gran parte responsabile.

Per migliorare le nostre condizioni economiche, sempre più persone devono respingere la misura del PIL e le conclusioni dannose a cui conduce.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


1 commento:

  1. E' praticamente lo stesso concetto che ho letto in questi giorni su "A scuola di economia", di Huerta De Soto, pubblicato in italiano da Francesco Carbone (Usemlab): mi pare che sia il capitolo/lezione 28 (o giù di lì....)
    Grazie a Francesco (tutti e due: Simoncelli e Carbone) e a tutti coloro che spendono tempo e fatica cercando di farci capire meglio questi concetti magari semplici, ma nello stesso tempo così lontani dalle nostre esperienze comuni e da quello che ci viene propinato dai mass media.
    Umberto

    RispondiElimina