martedì 20 aprile 2021

La politica monetaria negli USA è nel caos, ma le cose stanno peggio in Europa

 

 

di Brendan Brown

L'inflazione decolla laddove le forze politiche sono determinate a non attuare dure misure correttive per quanto riguarda tassazione e politica monetaria, misure tali da prevenire un'implosione della valuta nazionale. Nel mercato finanziario globale c'è stata preoccupazione che gli Stati Uniti fossero diretti verso questo esito, anche se in una data incerta, come evidenziato dalle ondate di attacchi contro il dollaro USA la scorsa primavera, estate ed autunno. In realtà, il livello di minaccia di inflazione di lungo periodo è più alto in Europa che negli Stati Uniti.

Qualsiasi azione correttiva sostanziale e sufficiente ad arrestare in futuro una  comparsa di un'elevata inflazione dei prezzi al consumo scatenerebbe forze che potrebbero potenzialmente spazzare via l'attuale status quo del potere politico ed economico. Quindi qualunque sia la causa immediata dell'accelerazione dell'inflazione, dovremmo aspettarci un consenso delle élite politiche, Berlino in prima linea, affinché venga calciato il barattolo lungo la strada.

È probabile che il deprezzamento della valuta sia una parte cruciale del processo dinamico di alta inflazione che sta emergendo in Europa, come in effetti è accaduto spesso nel laboratorio della storia. Questa lezione si applica agli Stati Uniti e, soprattutto, alle origini della più grande inflazione in tempo di pace tra l'inizio e la metà degli anni '60.

La storia è iniziata con i miracoli economici in Europa (Francia, Italia, Germania) e Giappone. La FED, in quanto egemone monetario all'interno del sistema di Bretton Woods, avrebbe dovuto lasciare che i tassi d'interesse salissero come sarebbe avvenuto in un sistema di moneta solida. Invece la FED, in sintonia con l'obiettivo dell'amministrazione Kennedy di ripudiare le politiche più assennate degli anni '50, alimentò una politica monetaria tale da mantenere bassi i tassi d'interesse. Quando dal 1965 è emersa l'elevata inflazione dei prezzi al consumo, con un ritardo rispetto all'inflazione degli asset, la FED iniziò a far salire i tassi. Un'azione coraggiosa sostenuta avrebbe dovuto far salire drasticamente il costo del prestito del settore pubblico, che allora stava aumentando mentre l'amministrazione Johnson intraprendeva la guerra in Vietnam e promuoveva i programmi della Great Society.

Il capo della FED, William McChesney Martin, non aveva piglio politico per entrare in rotta di collisione con l'amministrazione Johnson, e comunque sposò l'opinione che la sua istituzione fosse "indipendente all'interno del governo" non "indipendente dal governo". Il dollaro ne soffrì, come illustrato dall'aumento del prezzo dell'oro dalla primavera del 1968 e dalla rivalutazione del marco tedesco l'anno successivo.

È improbabile che lo scenario di un'alta inflazione dei prezzi al consumo negli Stati Uniti sia caratterizzato da miracoli economici al di fuori degli Stati Uniti come negli anni '60. È plausibile che una parte fondamentale della storia potrebbe essere la forza economica del settore privato, il quale richiede tassi molto più alti e che la FED non è in grado di fornire.

Una flessione del ciclo di crescita o addirittura una recessione nel 2022/23 potrebbe interrompere per qualche tempo il viaggio verso questa destinazione. Ma quando alla fine emergerà un'elevata inflazione anche nell'IPC, è probabile che l'opposizione all'aumento della tassazione o al taglio della spesa pubblica sarà forte. Inoltre, con così tanto debito aziendale e ipotecario, le urla sarebbero enormi contro qualsiasi azione monetaria correttiva che significherebbe tassi di interesse più elevati. Quindi la FED potrebbe accontentarsi di "calciare il barattolo lungo la strada".

Questa conclusione, però, non è certa. Ci sono scenari alternativi meno probabili in cui forze contrarie a tale cinismo potrebbero vincere e la FED avrebbe un ampio margine tecnico per "normalizzare" le condizioni monetarie. A titolo di esempio, la FED potrebbe liquidare il suo vasto portafoglio di titoli del Tesoro USA come parte di un'operazione per ripristinare la base monetaria ad un ruolo di ancoraggio efficace.

È abbastanza diverso in Europa. "È troppo tardi per tornare indietro" è una frase la cui fama risale al rifiuto dell'imperatore Francesco Giuseppe alla fine di luglio 1914 di ammorbidire l'ultimatum di Vienna a Belgrado. Un secolo dopo, sarà quasi certamente troppo tardi per tornare indietro rispetto all'euro svalutato. Ogni volta che l'economia europea entrerà in un percorso di ripresa sostenuta, la BCE non consentirà ai tassi di salire in linea con qualsiasi aumento incipiente dell'inflazione dei prezzi al consumo.

Uno sguardo al bilancio della BCE spiega tale ostinazione. Entro la fine del 2021 è destinato a salire all'80% del PIL della zona Euro, rispetto al bilancio della FED a poco meno del 40%. Mentre il bilancio di quest'ultima è composto quasi interamente da prestiti al governo degli Stati Uniti (principalmente titoli del Tesoro USA) e debito ipotecario sponsorizzato dal governo, quello della BCE è costituito in gran parte da spazzatura, comprese vaste partecipazioni di debito sovrano debole (es. Italia). I prestiti ad un settore bancario praticamente in bancarotta ammontano ad un terzo degli asset totali della BCE. Inoltre le banche centrali italiana e spagnola hanno preso in prestito oltre mille miliardi di euro all'interno del cosiddetto sistema TARGET2 con la Bundesbank, il principale creditore dall'altra parte.

Esaminiamo l'esperimento mentale della BCE che intraprende un corso di normalizzazione monetaria e che avrebbe come conseguenza tassi d'interesse di mercato in aumento di 200 punti base su tutta la linea e il dimagrimento del bilancio, diciamo, del 25%. Le banche deboli non potrebbero pagare il costo del tasso d'interesse aggiunto alla BCE sul loro vasto indebitamento, data la loro mancanza di possibilità di aumentare i tassi sui prestiti ad imprese ed individui. In un modo o nell'altro dovrebbero ottenere sussidi per pagare gli interessi, ma come possono i Paesi sovrani criticamente deboli permetterselo se non tramite la stampa di moneta da parte della BCE? Il risentimento del "nord frugale" e le leggi dell'UE contro gli aiuti di stato ostacolerebbero il processo.

Una coalizione verde-CDU (Unione Democratica Cristiana) a Berlino, come probabilmente emergerà dalle elezioni di questo autunno secondo i sondaggi attuali, non avrà alcun desiderio di rompere l'Unione economica e monetaria europea (UEM). Tenere insieme lo status quo significa fare un cenno alla BCE per mantenere bassi i tassi (attualmente sotto zero) e risparmiarci tutti questi traumi. Allo stesso modo, immaginate lo stress del sistema se la Bundesbank chiedesse alla Banca d'Italia di pagare gli interessi sul suo saldo di debito all'interno del sistema TARGET2, o se la BCE dovesse liquidare il 20% del suo debito pubblico italiano come parte di un taglio generale. Meglio consentire all'inflazione di aumentare.

La dinamica dell'inflazione dipenderà in modo cruciale dal comportamento dell'euro. Se gli Stati Uniti staranno per allora frenando il radicalismo monetario nel contesto di un'accelerazione dell'inflazione, il calo della valuta europea potrebbe davvero essere mozzafiato. Anche se le forze politiche in Germania contro l'alta inflazione raccogliessero potere in tali circostanze, ciò non rallenterebbe la caduta dell'euro. In qualsiasi scenario di rottura per l'UEM, inclusa l'apertura di un percorso verso un nuovo euro forte, la BCE deve prima affrontare la liquidazione del suo bilancio.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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