martedì 5 ottobre 2021

L'Eurozona sta facendo la fine del Giappone

 

 

di Daniel Lacalle

Lo scorso nove settembre la Banca Centrale Europea ha annunciato un tapering del suo programma di riacquisto di asset. Si potrebbe immaginare che questa sia un'idea sensata, dato il recente aumento dell'inflazione nella zona Euro al livello più alto in un decennio e la presunta forte ripresa dell'economia. Tuttavia c'è un grosso problema: l'annuncio non è in realtà un tapering, ma si sta semplicemente adeguando ad una minore offerta netta di obbligazioni emesse. Infatti, considerando il ritmo annunciato dalla stessa banca centrale, la BCE continuerà ad acquistare il 100% di tutte le emissioni nette.

Ci sono diversi problemi con questa strategia. Il primo è che la BCE sta riconoscendo controvoglia che non c'è una domanda reale nel mercato secondario per il debito sovrano dei Paesi dell'Eurozona a questi rendimenti. I rendimenti attuali dovrebbero essere due o tre volte superiori affinché gli investitori accettino di comprare molti titoli dell'Eurozona se la BCE non li riacquistasse più. Questa è ovviamente una bolla pericolosa.

Il secondo problema è che la BCE riconosce che la politica monetaria è passata dall'essere uno strumento per aiutare ad attuare le riforme strutturali ad uno per evitarle. Anche con il forte rimbalzo del PIL previsto dalla BCE, pochi stati europei sono disposti a ridurre la spesa e contenere i deficit in modo significativo. Le stime della BCE mostrano che dopo la massiccia spesa in disavanzo del 2020, la spesa pubblica dell'Eurozona aumenterà di nuovo del 3,4% nel 2021 per poi scendere modestamente dell'1,2% nel 2022. Ciò significa che la spesa pubblica dell'Eurozona si consoliderà piuttosto che diminuire, con scarsi miglioramenti per la posizione fiscale della maggior parte dei Paesi, soprattutto Spagna e Italia, i quali hanno aumentato il loro deficit strutturale.

Il terzo problema è che i tassi negativi e le elevate iniezioni di liquidità combinate con l'elevata spesa pubblica non hanno generato alcun effetto moltiplicatore reale nell'Eurozona. Dobbiamo ricordare che le principali economie erano in stagnazione già nel quarto trimestre del 2019, prima della pandemia e nonostante grandi piani di stimolo come il Piano Juncker, il quale ha mobilitato centinaia di miliardi di euro in investimenti.

Il quarto problema per la BCE è sapere di essere intrappolata dalla sua stessa politica, non può fermarla e normalizzarsi perché governi e mercati ne soffrirebbero, e non può mantenere il ritmo attuale perché l'inflazione sta mettendo ancora più pressione sulla crescita.

Il quinto problema per la zona Euro e la BCE è che continuano ad attuare politiche che ignorano i fattori demografici e strutturali per la crescita. L'Eurozona ha una popolazione che invecchia e le politiche monetarie e fiscali ignorano l'evidenza di cambiamenti nei modelli di consumo quando i cittadini raggiungono una certa età o vanno in pensione. Se aggiungiamo alla demografia un sistema di tassazione che colpisce sempre più le classi medie, le imprese e gli investimenti, ci troviamo di fronte ad un'economia che sembra seguire tutte le politiche sbagliate che il Giappone ha attuato all'inizio degli anni '90.

Come ha già fatto il Giappone, l'Eurozona sta puntando tutto sulla spesa pubblica, su incentivi guidati da direttive politiche e su una massiccia monetizzazione del debito. Tuttavia l'Eurozona non ha la forza lavoro disciplinata che ha il Giappone, né gli elevati livelli di risparmio di imprese e famiglie che gli consentirebbero di continuare a ristagnare per decenni.

Paesi come l'Italia, la Spagna, il Portogallo o la Grecia non possono sopravvivere alla stagnazione a causa degli elevati livelli di disoccupazione e delle ridotte dimensioni del tessuto imprenditoriale. Pertanto la BCE sta ignorando i rischi insiti nel perpetuare incentivi perversi, come gonfiare la spesa pubblica ed il debito. Tutti i messaggi riguardanti le riforme strutturali e le iniziative di crescita reale sono scomparsi a favore di piani di stimolo diretti che non portano mai risultati. Il nostro dovere in quanto economisti è di mettere in guardia dallo scenario più che probabile di ripresa debole, bassa produttività e alto debito. I moltiplicatori fiscali sono stati negativi per troppo tempo perché noi ignorassimo l'effetto crowding out dovuto all'elevata spesa pubblica e all'erosione della competitività.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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