mercoledì 20 luglio 2022

In ogni mercato dell'energia le sanzioni hanno fallito e falliranno

Sebbene dovesse bastare la sola logica per capire a livello elementare che un tetto ai prezzi è un'idea a dir poco idiota e che chi la promuove dovrebbe essere additato come il somaro che è, non c'è stata alcuna sommossa intellettuale sulla scia di una tale proposta. La teoria economica è assolutamente chiara a riguardo e Gary North, nel suo libro L'Economia cristiana in una lezione tradotto dal sottoscritto a suo tempo, ha fatto un lavoro magistrale, sopratutto nel Capitolo 17, per spiegarlo in termini accessibili a tutti. Ma guardiamo la faccenda del tetto al prezzo del petrolio più dal lato pratico: esistono due motivi principalmente sul perché questa linea di politica è destinata a fallire. Il primo: capire esattamente come imporre un tetto al prezzo del petrolio, lo scenario assicurativo sembra quello più prevedibile ma finirebbe per punire gli assicuratori piuttosto che la Russia. Il secondo: il presupposto che la Russia stia semplicemente a guardare. Si tratta di un presupposto pericoloso e costoso, come sottolineato anche da JP Morgan, la quale ha stimato che se la Russia decidesse di tagliare le esportazioni in risposta al tetto del prezzo, il petrolio potrebbe salire a $380 al barile. Chiunque pensi che gli eurocrati siano in qualche modo "più furbi" rispetto al mercato perché viviamo nell'era moderna, non ha capito come funzionano le leggi economiche. Se non volete essere tanto sciocchi quanto i burocrati, e soprattutto non cadere preda delle loro ridicole prese di posizione, leggete L'Economia cristiana in una lezione di North per assorbire i fondamentali della materia e sviluppare gli anticorpi contro la virulenza del socialismo.

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di David Stockman

In passato eravamo forti sostenitori di un accumulo dello Strategic Petroleum Reserve (SPR). Questo perché alla fine degli anni '70 l'argomento che la faceva da padrone a Washington, tra i vari tipi d'interventi insidiosi di politica energetica – sussidi ai combustibili fossili, controllo dei prezzi di petrolio e gas e controlli sulla loro allocazione, standard obbligatori di efficienza energetica, obblighi alla rete elettrica di acquistare energia eolica/solare, ecc. – era che un una grave interruzione dell'approvvigionamento dal Golfo Persico avrebbe fatto vacillare l'economia statunitense e avrebbe minacciato seriamente la sicurezza nazionale.

Quindi tutti questi interventi erano essenzialmente mirati all'autarchia energetica, utilizzando prodotti ad alto costo fatti in casa tra cui etanolo dal mais, prodotti petroliferi distillati dal carbone, risparmio energetico e molto altro. Naturalmente tutti questi interventi scavalcavano la ricerca da parte del libero mercato di forniture a minor costo, compreso il petrolio importato, ma questa strada venne chiusa preventivamente in nome della “sicurezza energetica”.

Eravamo profondamente diversi. La nostra tesi era che l'approvvigionamento energetico efficiente e la sicurezza energetica fossero questioni completamente diverse e che quest'ultima non richiedesse il sacrificio della prosperità interna e dell'aumento del tenore di vita in nome invece dell'autarchia energetica (indipendenza).

Invece la strategia giusta era duplice:

• In primo luogo, lasciare che il libero mercato trovasse la soluzione meno costosa per il fabbisogno energetico della nazione, indipendentemente da dove provenissero tali forniture;

• In secondo luogo, trattare la "sicurezza energetica" come tutte le questioni di sicurezza nazionale, ovvero come un investimento fiscale. Ciò significava acquistare petrolio greggio da immagazzinare in vaste caverne di sale, dove sarebbe stato disponibile in caso di una grave interruzione della fornitura di petrolio greggio a livello mondiale.

Come accadde, la nostra argomentazione prevalse. Durante i primi anni dell'amministrazione Reagan smantellammo quasi tutto l'apparato di autarchia energetica di Jimmy Carter, inclusi la maggior parte dei sussidi per l'energia alternativa, i controlli sui prezzi e altre misure stravaganti come gli standard di efficienza energetica per i tostapane.

Allo stesso tempo rinforzammo lo SPR da meno di 200 milioni di barili nel 1980 a 600 milioni di barili entro la fine della presidenza Reagan, e da lì a un picco di circa 725 milioni di barili intorno al 2012.

A dire il vero, in quest'ultima data gli Stati Uniti avevano raggiunto qualcosa di vicino all'autosufficienza energetica su base netta. Ma quello era il lavoro di Mr. Market che perseguiva soluzioni a basso costo, non quello dei burocrati di Washington che sceglievano vincitori e vinti.

Di conseguenza, in un colpo solo in un periodo di 30 anni, la sicurezza energetica della nazione venne immensamente migliorata; la burocrazia, attraverso schemi di autarchia energetica, venne decisamente sconfitta e un'economia energetica in gran parte basata sul mercato fece emergere un prolungato periodo di prosperità.

Tuttavia c'era sempre un argomento residuo contro lo SPR: un giorno politici codardi a Capitol Hill, o alla Casa Bianca, l'avrebbero trasformato in un'arma politica, rilasciando forniture al solo scopo di abbassare i prezzi interni della benzina in vista delle elezioni, anche in assenza di una grave interruzione delle forniture mondiali.

Eravamo a conoscenza di questo rischio, ma il gioco valeva la candela visto che ci avrebbe consentito di smantellare gli schemi di autarchia energetica di Washington.

Eppure non avremmo mai pensato che un giorno la Casa Bianca sarebbe stata occupata da politici vili e mendaci come l'entourage di Joe Biden. Alla fine di marzo Sleepy Joe ha annunciato uno sbalorditivo  rilascio di 180 milioni di barili da organizzare a un ritmo di 1 milione di barili al giorno fino alle elezioni di novembre.

In prospettiva, questa strategia riguardo lo SPR è da 10 volte a 90 volte più grande di quanto fosse accaduto in periodi precedenti quando si è verificata una vera emergenza, come la prima guerra del Golfo e la chiusura temporanea della produzione all'indomani dell'uragano Katrina.

Ciò significa che entro il giorno delle elezioni il cuscino di 568 milioni di barili esistente il 31 marzo sarà sceso a soli 390 milioni di barili, la quantità più bassa sin dal 1986, quando il programma era nella sua modalità iniziale di accelerazione.

Se fossimo una testa calda partigiana, come Sean Hannity, saremmo tentati di dire che l'entourage di Biden ha convertito a tradimento una risorsa della sicurezza nazionale in un'arma della sua campagna elettorale. Ma in realtà possiamo accontentarci dell'epiteto "stupidità", perché questo stupido rilascio di riserve dallo SPR non farà scendere materialmente i prezzi alla pompa negli Stati Uniti.

I mercati del petrolio greggio sono tra i mercati più interconnessi e arbitrati del pianeta. In circostanze normali, una volta che ci si adegua ai gradi di qualità e alla distanza/costo di trasporto, lo stesso prezzo per BTU di petrolio prevale in tutto il mondo.

Inutile dire che 1 milione di barili è molto greggio, ma è anche solo l'1% dei 100 milioni di barili al giorno sul mercato globale. Ed è anche molto meno dei 2-3 milioni di barili al giorno di greggio russo che l'insensata Guerra delle Sanzioni di Washington ha ritirato dal sistema di approvvigionamento globale.

Quindi non sorprende che, anche con il recente svenimento delle materie prime, il prezzo alla pompa a $4,77 al gallone sia ancora in aumento del 15% rispetto a quando è stato annunciato il piano di rilascio di Biden alla fine di marzo. Vale a dire, il Team Biden ha tirato fuori un doppio smacco: lo sperpero di una risorsa di sicurezza nazionale e nessun vantaggio alla pompa di benzina.

In realtà, dovremmo dire un triplo smacco. Per gentile concessione della Reuters, ora sappiamo che più di 5 milioni di barili dello SPR sono stati esportati in Europa e in Asia solo il mese scorso.

Ad esempio, la Philips 66, la quarta più grande raffineria di petrolio degli Stati Uniti, ha spedito circa 470.000 barili di greggio dal sito di stoccaggio di Big Hill SPR in Texas a Trieste, in Italia, secondo i dati della dogana statunitense. Trieste è sede di un oleodotto che invia petrolio alle raffinerie dell'Europa centrale.

Allo stesso modo, l'Atlantic Trading and Marketing (ATMI), una filiale della principale compagnia petrolifera francese TotalEnergies, ha esportato 2 carichi da 560.000 barili ciascuno, carichi diretti nei Paesi Bassi e in una raffineria Reliance in India. E un terzo carico era diretto... sentite questa... in Cina!

Naturalmente non c'è davvero nulla di sorprendente in queste rivelazioni. Come abbiamo detto, i mercati petroliferi globali sono strettamente interconnessi e arbitrati, quindi non c'è nulla di particolarmente nefasto di per sé nel fatto che questi carichi SPR siano stati trascinati sul mercato mondiale.

Quello con cui abbiamo a che fare, invece, è la stupidità. Se questi carichi SPR esportati fossero stati legalmente vincolati all'uso nelle raffinerie nazionali, tale obbligo avrebbe semplicemente ritirato una quantità equivalente di greggio nazionale attualmente prodotto che poi sarebbe finito in Italia, Paesi Bassi, India, Cina, ecc. e non avrebbe fatto alcuna differenza alla pompa di benzina.

Inutile dire che questa è l'ABC dell'economia petrolifera di cui il Team Biden è all'oscuro, come ci viene ricordato quasi ogni giorno.

Persino Jeff Bezos si è sentito in dovere d'intervenire quando Sleepy Joe ha twittato che le decine di migliaia di imprenditori indipendenti che gestiscono le stazioni di servizio della nazione e che guadagnano margini maggiori sui bar rispetto alla benzina, dovrebbero tagliare i prezzi per aiutarlo a far rispettare il cosiddetto “ordine internazionale liberal” in Ucraina. Ma questo dimostra semplicemente quanto siano davvero fuori di testa i burattinai del nostro presidente burattino.

E questo ci porta al problema più grande: l'amministrazione Biden non ha solo politicizzato lo SPR, ma ha armato l'intero mercato energetico per perseguire il suo intervento sbagliato nella disputa tra la Russia e i suoi ex-territori.

Ovviamente le sanzioni energetiche si sono ritorte contro i sanzionanti, anche se hanno creato un mercato petrolifero mondiale a due livelli: un banco sconti per gli amici della Russia (come India, Brasile, Sud Africa e Cina) e prezzi premium per la Main Street d'America e per i pietosi alleati europei di Washington. Di conseguenza la Russia sta generando più entrate petrolifere che mai grazie ai prezzi molto più alti su volumi solo leggermente ridotti, mentre Washington e i suoi alleati pagano lo scotto.

Né il mercato petrolifero è la fine di tutta questa storia. A causa del vasto sottoinvestimento in combustibili fossili negli ultimi anni, alimentato da obblighi sull'energia verde e incentivi fuorvianti, un mondo affamato di energia sta tornando al carbone mentre la carenza di gas naturale e petrolio accelera.

Proprio così. Il carbone è stato dato per morto diversi anni fa, un'offerta sacrificale allo scellerato fanatismo anti-CO2 e pilastro della religione del cambiamento climatico. Ma i prezzi oggi sono ai massimi storici: i prezzi spot del carbone nel porto australiano di Newcastle, un fornitore chiave per l'Asia, hanno superato per la prima volta i $400 la tonnellata.

Come ha di recente riassunto il Wall Street Journal:

La spinta è guidata dall'Europa, la quale sta aumentando gli acquisti di carbone per fare in modo che possa mantenere il flusso di energia verso case e fabbriche dopo che la Russia avrà interrotto le forniture di gas al continente. La Germania, che ha promesso di eliminare il carbone come fonte di energia entro il 2030, è tra le nazioni che ora ne importano di più. Infatti il leader del Partito dei Verdi e ministro dell'Economia, Robert Habeck, ha definito amara ma necessaria la maggiore dipendenza dal carbone.

Oltre a Germania, Italia, Francia, Regno Unito, Paesi Bassi e Austria hanno ora dichiarato che si stanno preparando a riavviare le centrali a carbone, ad aumentarne la produzione, o a mantenerle in funzione più a lungo del previsto.

Anche alcune parti degli Stati Uniti stanno aumentando l'uso dell'energia a carbone, poiché l'elevata domanda di elettricità a temperature insolitamente calde spinge le reti elettriche regionali sull'orlo del blackout.

Come risultato di queste grandi perturbazioni sui mercati del petrolio e del gas, causate dalle politiche per l'energia verde e dalla guerra delle sanzioni, la domanda di carbone sta raggiungendo livelli record. Ma nonostante tutte le pazzie dei fanatici del clima e gli sforzi in Occidente per bandire il carbone, i numeri parlano chiaro: tra il 2015 e il 2021 il mondo intero, ad eccezione degli Stati Uniti e dell'Europa, ha aumentato il consumo di carbone (nonostante l'Europa abbia ridotto drasticamente l'uso del carbone a favore del gas naturale e del solare e dell'eolico).

Consumo di carbone nel 2021/Variazione percentuale rispetto al 2015: 

• Cina: 4,13 miliardi di tonnellate, in crescita del 9%

• India: 1,06 miliardi di tonnellate, in crescita del 20%

• Resto del mondo: 1,78 miliardi di tonnellate, in crescita dell'8%

• USA: 508 milioni di tonnellate, in calo del 29%

• Europa: 435 milioni di tonnellate, in calo del 36%

• Totale mondiale: 7,9 miliardi di tonnellate, in crescita del 2,2%

Ma ora queste tendenze si stanno invertendo sia negli Stati Uniti che in Europa. Bloomberg ha di recente sottolineato che le importazioni di carbone si sono riversate nella regione di Anversa-Rotterdam-Amsterdam, un enorme snodo di trasporto per l'energia e le materie prime. Durante la prima metà di quest'anno le importazioni sono aumentate del 35%, a 26,9 milioni di tonnellate rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso.

Inutile dire che, proprio come nel caso del petrolio e del gas naturale, Putin si sta rotolando per le scale dalle risate. La Russia, che è il quarto esportatore di carbone al mondo dopo Australia, Indonesia e Sud Africa, sin dal 24 febbraio scorso ha visto aumentare le sue esportazioni di carbone via mare.

C'è stato un cambio di acquirenti, ma la perdita di alcuni mercati in Europa e Giappone è stata più che compensata da un aumento degli acquisti, in particolare, da parte di India e Turchia.

La Russia ha esportato 16,45 milioni di tonnellate di carbone via mare a giugno e 16,56 milioni di tonnellate a maggio rispetto ai 13,43 milioni di tonnellate a dicembre, 12,28 milioni a gennaio e 13,08 milioni a febbraio.

In particolare la Cina ha acquistato 4,72 milioni di tonnellate di carbone dalla Russia a giugno e 4,57 milioni a maggio, secondo Kpler, rispetto ai 3,12 milioni a gennaio e ai 2,61 milioni a febbraio.

L'India, che ha aumentato le importazioni di carbone a causa di una carenza interna, ha notevolmente aumentato gli acquisti dalla Russia, con i dati Kpler che mostrano 1,16 milioni di tonnellate arrivate a giugno e 836.072 tonnellate a maggio, rispetto alle 678.051 tonnellate a gennaio e 501.115 a febbraio.

In breve, in ogni mercato dell'energia la Guerra delle Sanzioni è stata un fallimento per l'Occidente. Oltre ai 5 dollari per la benzina alla pompa, i consumatori statunitensi pagheranno bollette nettamente più alte poiché anche i prezzi del carbone saliranno a livelli senza precedenti.

Sì, dallo SPR al carbone, l'amministrazione Joe Biden è un disastro e non potrà far altro che peggiorare da qui in poi.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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