Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/la-tassa-canadese-sul-digitale-smaschera)
Ora le carte sono sul tavolo. Nel mezzo della fase accesa dei negoziati commerciali con gli Stati Uniti, il Canada sta introducendo una tassa digitale che graverà sulle spalle dei giganti tecnologici americani con miliardi di dollari di costi. In risposta il presidente Trump ha interrotto i colloqui con Ottawa e ha annunciato nuovi dazi.
Tra i giocatori di poker, c'è il giocatore che è freddamente calcolatore: calcola le probabilità, soppesa i rischi e gioca le sue carte con sobria precisione. Accanto a lui c'è il giocatore d'azzardo: impulsivo ma non sconsiderato; agisce in modo spettacolare, ma all'interno di una struttura strategica che padroneggia con virtuosismo. Ora immaginate un'eccezione patologica accanto a questi archetipi: un giocatore che rivela le sue carte prima ancora che il round inizi, per poi andare all-in subito dopo. Il Primo Ministro canadese Mark Carney rientra in questa categoria.
Il governatore di Bruxelles in Nord America
L'ex-governatore della Banca d'Inghilterra, convinto globalista e crociato per il clima, e in seguito al clamoroso fallimento di Justin Trudeau nuovo garante dell'agenda europea in Nord America, si è trovato invischiato in un gioco geopolitico più grande di lui con l'annuncio di una tassa digitale sulle aziende tecnologiche straniere.
L'imposta entrerà in vigore il 1° luglio, con effetto retroattivo al 1° gennaio 2022, e colpirà le aziende tecnologiche straniere con un fatturato superiore a $20 milioni con un'aliquota del 3%. Ottawa ne chiede il pagamento, puntando la sua freccia al cuore della potenza economica americana, la Silicon Valley. Giganti statunitensi come Apple, Meta e X dovranno pagare sanzioni per oltre due miliardi di dollari.
Un affronto nel peggior momento possibile (o l'escalation era pianificata?), messo in atto da un primo ministro che giocava una mano debole da una posizione di debolezza. Proprio come in Germania, la produttività e il reddito pro-capite sono diminuiti dopo i lockdown: il programma di regolamentazione climatica, il caos migratorio e uno stato socialista di redistribuzione, ispirato dall'UE, sta aprendo una nuova strada alla paralisi economica nella società.
Carney si dimostra il candidato ideale per quell'élite globalista che sta guidando il Canada, ricco di risorse, verso la prossima fase del suo declino. Nei negoziati con Donald Trump, agisce in piena conformità con la scuola negoziale di Bruxelles: avanza richieste sconclusionate, rifiuta qualsiasi forma di compromesso e dà pubblicamente priorità ai principi ideologici rispetto a un percorso negoziale razionale.
Non aver capito il punto di svolta
Ma questa volta il copione sembra prevedere una svolta: la risposta di Washington è stata rapida e decisamente brusca. Trump ha definito la leadership politica canadese una “copia dell'UE” in risposta alla tassa digitale di Carney, avvertendo che presto seguiranno nuovi dazi statunitensi.
Infatti Ottawa sta seguendo fedelmente la linea di Bruxelles: leggi sulla censura, regolamentazione delle piattaforme mediatiche, pressioni fiscali sulle aziende statunitensi, il tutto volto a spezzare il dominio americano nel mondo digitale e, come beneficio collaterale, ad alleviare un po' il bilancio statale già in difficoltà. Cosa spinga un primo ministro, in questa fase dei negoziati commerciali, ad andare al massimo diventa chiaro se si segue la linea suggerita da Trump e si considera il Canada come un satellite dell'UE (che diversamente da quest'ultima è ricco di risorse invece). Carney ha familiarità solo con la strategia della terra bruciata.
Pertanto la risposta intransigente di Trump invia un segnale inequivocabile a Bruxelles: l'era della diplomazia è finita. Bisogna muoversi.
Trump smaschera la macchina delle bugie di Bruxelles
In quanto europei che rivendicano la libera autodeterminazione e la sovranità individuale, dovremmo essere grati a Donald Trump. Come all'inizio della controversia commerciale con l'UE, egli punta un'enfasi sfacciata sul protezionismo di Ottawa nel caso del Canada. L'opinione pubblica ha bisogno di maggiori prove di questo protezionismo, spesso abilmente mascherato, di Bruxelles e della sua filiale canadese. Trump ha menzionato esplicitamente nella sua risposta a Carney la barriera tariffaria fino al 400% imposta dal Canada all'agricoltura americana ben prima che iniziasse questa partita.
Menzogne, manipolazione moralizzatrice dell'opinione pubblica e protezionismo a sangue freddo: ecco come si può descrivere in modo più chiaro la linea di Bruxelles.
Nel discorso pubblico l'Unione Europea si presenta sempre come la paladina del libero scambio, come una potenza liberale e aperta agli occhi dell'ordine pubblico. Dietro le quinte travolge i concorrenti extraeuropei con una rete di obblighi di armonizzazione, normative climatiche e codici di condotta che uccidono la concorrenza leale fin dalla nascita. Un libero scambio con barriere all'ingresso integrate e un campo minato per scoraggiare i nuovi arrivati: tecnicamente ben confezionato, moralmente giustificato, economicamente devastante.
La linea dura di Trump nei confronti di Bruxelles e del Canada mette in luce la realtà geopolitica. È prevedibile che nella disputa commerciale con Bruxelles incontreremo altri strumenti, finora non rivelati, del protezionismo europeo. Come già detto: le carte sono ora sul tavolo.
Segnale di avvertimento ai “Five Eyes”
Il goffo tentativo di escalation del primo ministro canadese ha messo in luce una faglia geopolitica: da un lato gli Stati Uniti e i suoi partner, fedeli ai valori della libertà (si pensi al presidente argentino Javier Milei); dall'altro si sta formando un cartello globalista, guidato da Bruxelles, l'Unione Europea e dai suoi satelliti come Ottawa. Grazie alla svolta politica interna dell'amministrazione Trump, questa differenza è ormai lampante. Mentre in Europa la politica, i sindacati, le chiese e il “cordone sanitario” dell'agenda verde-socialista – composto da una miriade di ONG e media statali – difendono ciecamente l'agenda woke sul clima e sulla ridistribuzione, negli Stati Uniti il vento è già cambiato.
I violenti scontri nelle roccaforti della California, fortemente influenzate dagli europei, sottolineano la crescente pressione esercitata dalla nuova amministrazione statunitense su questi contesti. Lo stesso vale per la politica migratoria. Qui il divario tra Stati Uniti e Unione Europea è così ampio che persino l'occhio allenato, che guarda attraverso le lenti della propaganda europea, non può più ignorare la realtà: gli Stati Uniti stanno finalmente gestendo come si deve la crisi migratoria e stanno tornando alla serietà politica interna.
Trump invia un segnale chiaro al mondo occidentale: chiunque tenti di appropriarsi della forza innovativa americana, o di bloccarla attraverso la regolamentazione, verrà dichiarato un paria senza esitazione. Diffuso tramite la piattaforma social di Trump, Truth Social, questo messaggio di ieri è rivolto all'UE, al Canada, all'Australia, al Regno Unito e all'industria tecnologica della Silicon Valley, che ora può contare sul sostegno della Casa Bianca.
“Faremo sapere al Canada quali dazi dovrà pagare per fare affari con gli Stati Uniti d'America”, ha dichiarato Trump. Il presidente degli Stati Uniti non sta solo imponendo una sanzione economica: sta mettendo in luce i veri rapporti di forza, visibili ormai a tutti. Chiunque voglia fare affari col più grande mercato unico del mondo dovrà accettare le regole del Paese ospitante. Questo è il nuovo sistema a cui la gente dovrà abituarsi, e in fretta.
Il nuovo ruolo dell'America
Proprio come nella politica monetaria, dove gli Stati Uniti sono riusciti ad abbandonare la City di Londra e il meccanismo LIBOR controllato dalle banche europee introducendo il sistema SOFR, un nuovo corso americano sta emergendo geopoliticamente. Anche il viaggio di Trump in Medio Oriente a maggio ha segnato un nuovo tono: gli affari sono diventati centrali e stanno emergendo i primi tentativi di un nuovo ordine mercantile nella regione. Che si tratti di Arabia Saudita, Qatar o Emirati Arabi Uniti, Trump li ha convinti tutti a investire centinaia di miliardi di dollari nella reindustrializzazione degli Stati Uniti.
Nessuna moralizzazione europea, nessuna politica divisiva volta a consolidare il potere a livello locale: Trump osa riorganizzare il Medio Oriente.
Settimane frenetiche in arrivo
E l'Europa? Proprio come nel caso dell'eliminazione del programma nucleare iraniano da parte dell'esercito statunitense, o dell'accordo sulle terre rare che coinvolge l'Ucraina, la politica europea non svolge più nemmeno un ruolo di supporto. È diventata irrilevante. Ci sono battaglie di ritirata e distrazioni, come la tassa digitale del Canada, che rivelano la debolezza geopolitica del Vecchio Continente. L'Europa è bloccata sulla difensiva, dipendente dai flussi energetici di terze parti, invischiata nel conflitto ucraino e impotente nella gestione del commercio globale.
Trasferendo questa perdita di rilevanza geopolitica degli europei ai prossimi negoziati commerciali con gli Stati Uniti, possiamo aspettarci spettacolari capovolgimenti di fronte a Bruxelles, battibecchi mediatici e la consueta diffamazione del presidente degli Stati Uniti da parte dei media generalisti. L'Eurocartello e i suoi alleati devono ancora compiere il balzo in avanti, intellettualmente o politicamente.
Proprio come Bruxelles presume erroneamente di averla fatta franca con Trump, che accetta l'obiettivo NATO del 2% come sufficiente per ora, sperando di ricadere in schemi comportamentali e tattiche di perdita di tempo ormai familiari, un'amara verità incombe su questa disputa commerciale: gli Stati Uniti fanno sul serio e risolveranno i loro problemi interni tornando ai valori americani di economia di libero mercato, stato minimo e responsabilità personale. E questi valori saranno difesi all'estero con la massima severità.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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