venerdì 24 dicembre 2021

Tassi d'interesse, offerta di denaro e PIL

 

 

di Alasdair Macleod

Che il mondo sia sull'orlo di un precipizio economico sta diventando sempre più evidente ormai. E diventando più permanente che transitoria, l'inflazione dei prezzi porterà quasi sicuramente ad un aumento dei tassi d'interesse. Seguiranno naturalmente l'aumento dei rendimenti obbligazionari, il calo dei mercati azionari e le insolvenze innescate dal debito.

Secondo gli economisti mainstream, un potenziale mix di deflazione ed aumento dei prezzi è contraddittorio, non dovrebbe verificarsi contemporaneamente, e quindi non può essere spiegato. Eppure questa è la prospettiva che ora devono affrontare. Gli errori nella loro mancanza di giudizio economico sono peggiorati dal momento in cui le banche centrali hanno iniziato a manipolare le loro valute per raggiungere obiettivi economici e successivamente per respingere le prove del loro fallimento. È stato un processo cumulativo per la Federal Reserve e la Banca d'Inghilterra dagli anni '20, che solo ora può concludersi con un fallimento definitivo.

La negazione della teoria economica ragionata, incarnata dalla preferenza per i risultati guidati dallo stato rispetto al libero mercato, ha portato a questo precipizio. Questo articolo spiega alcuni degli errori chiave della teoria economica e monetaria che hanno portato il mondo fino a questo punto, principalmente le relazioni tra tassi d'interesse, offerta di denaro e PIL.


Introduzione

Dopo la prima guerra mondiale le banche centrali non solo hanno agito come prestatori di ultima istanza, ruolo che la Bank of England ed i suoi imitatori avevano praticato nei decenni precedenti, ma hanno sempre più cercato di gestire gli esiti economici. Il pioniere fu la Germania prebellica che prese la teoria statale del denaro di Georg Knapp come giustificazione per il socialismo prussiano, finendo con il crollo del marco negli anni del dopoguerra. Ma la genesi delle politiche monetarie odierne ha le sue fondamenta nell'allora neo-costituita Federal Reserve Bank, presieduta da Benjamin Strong, la quale negli anni '20 collaborò con Norman Montague della Banca d'Inghilterra, che invece stava lottando per contenere il declino della Gran Bretagna dopo la prima guerra mondiale.

Sul fronte interno, Strong era un sostenitore dell'espansione monetaria, una politica che alimentò i ruggenti anni Venti, l'eccessiva speculazione culminata nel crollo di Wall Street e la grave depressione che ne seguì. Pensereste che l'esperienza di quei tempi avrebbe indotto i banchieri centrali a riflettere e considerare le cause del fallimento, forse rendendosi conto che erano le precedenti politiche inflazionistiche di Strong ad essere responsabili della depressione. Peccato che conclusero che erano i mercati, non le loro politiche, ad essere in errore. Anzi, conclusero che i loro rimedi per la depressione non erano stati imposti con sufficiente vigore.

Avendo più simpatia per Knapp e per gli storicisti prussiani che per il libero mercato, la FED e la Banca d'Inghilterra continuarono a perseguire politiche interventiste tra le due guerre mondiali. Un intero corpo di lavoro intellettuale crebbe per sostenere le loro supposizioni, declassando e infine respingendo le politiche basate sul denaro sano ed onesto. Alla London School of Economics Keynes trionfò su Hayek, il quale infine rinunciò a criticare Keynes.

Negli anni '70, quando l'inflazione dei prezzi minacciava di sfuggire al controllo, l'economia mainstream si era trasformata in keynesismo, il quale sarebbe stato poi screditato e sostituito dal monetarismo di Milton Friedman. I monetaristi diedero nuova vita all'equazione dello scambio di David Ricardo, spiegando perché l'espansione della valuta e del credito porta all'aumento dei prezzi al consumo. Ma i monetaristi erano troppo meccanicistici nel loro approccio, non comprendendo l'importanza della soggettività del potere d'acquisto di una valuta nelle mani della popolazione. Inoltre Friedman credeva nella gestione dell'inflazione piuttosto che nel fermarla. Entrambe le parti del dibattito economico erano quindi smascherate da argomentazioni teoriche infondate o incomplete, dalle quali avrebbe inevitabilmente trionfato il partito che esprimeva le convinzioni più adatte agli obiettivi statalisti.

Dagli anni '80 la deriva del neo-keynesismo ha portato ad una crescente soppressione del libero mercato da parte degli stati e delle loro banche centrali. Dalla convinzione originale che il settore privato avrebbe bisogno di una mano di volta in volta attraverso la spesa in deficit, le linee di politica si sono evolute verso un intervento ed una regolamentazione a tempo pieno. Oggi lo stato crede che non ci si possa fidare degli attori del settore privato senza un fermo controllo statale; questo è quanto di più lontano ci possa essere dalla realtà.

L'ironia in tutto questo è che lo stato dipende dagli attori del settore privato per le sue entrate. E come fonte di reddito, ora hanno i loro limiti. Dopo aver aumentato le tasse fino al punto da diminuire i guadagni, aver gravato su tutti con la spesa pubblica e la burocrazia asfissiante, e dopo aver strappato all'oca tutte le sue penne, la svalutazione monetaria è ora una fonte di finanziamento permanente e crescente per gli stati moderni.

Questo è lo sfondo che, consciamente o inconsciamente, spinge sia gli obiettivi monetari che le convinzioni economiche a giustificarli. I politici si sono scavati una fossa profonda e sanno solo che devono continuare a scavare.

Questo articolo spiega gli errori centrali di un incombente disastro monetario ed economico: l'uso dei tassi d'interesse come mezzo per controllare l'inflazione, la cecità nella svalutazione a morte di una valuta e la dipendenza da una statistica che in termini economici è priva di significato, ovvero il PIL.


Credenze errate sul ruolo dei tassi d'interesse

I banchieri centrali e l'intera comunità degli investitori ritengono che il rapporto tra prezzi e denaro sia governato dai tassi d'interesse. In altre parole, per contenere l'inflazione, con cui l'establishment intende aumenti dell'indice dei prezzi al consumo, la manipolazione dei tassi d'interesse è la chiave. Per le prove empiriche si fa spesso riferimento a Paul Volcker, quando in qualità di presidente della FED lasciò salire i tassi d'interesse a livelli senza precedenti per uccidere l'inflazione e impedirne l'ulteriore accelerazione.

Ma l'evidenza empirica da sola è insufficiente: è necessaria un'analisi adeguata. La storia di Volcker ignora l'effettiva relazione tra i tassi d'interesse e la quantità di denaro, che è mostrata nel seguente grafico.

Le aspettative di un continuo aumento dei prezzi sono state soppresse all'inizio degli anni '80 da quasi un 20% dei tassi sui fondi federali. Ma l'offerta di denaro ha continuato ad espandersi senza sosta, salendo tra le altre cose anche per far fronte a maggiori pagamenti degli interessi.

Nella misura in cui l'aumento delle quantità di denaro e credito ha rappresentato un fatto permanente, la linea di politica riguardo i tassi d'interesse è stato un miserabile fallimento. Questo fallimento non è stato riconosciuto all'epoca, quando l'attenzione, come lo è oggi, era sulle conseguenze per i prezzi. Ma la misurazione dei prezzi come indicazione dell'inflazione è soggettiva quando lo statistico compila le statistiche. E quando il costo dell'indicizzazione ha minacciato di destabilizzare le finanze pubbliche, sono stati applicati metodi di soppressione statistica agli aumenti dell'indice dei prezzi al consumo.

Ma l'evidenza dal grafico qui sopra solleva altre importanti domande. I pianificatori monetari centrali dovrebbero attenersi alla gestione dei tassi d'interesse come metodo principale di controllo dell'inflazione? Poiché i tassi d'interesse non sono correlati alla quantità di denaro e credito significa che i tassi d'interesse non rappresentano il prezzo del credito? Questa mancanza di correlazione fa presagire un fallimento della linea di politica?

Rispondere a queste domande è ora una priorità. L'inflazione dei prezzi sta aumentando in un momento in cui le economie in tutte le principali giurisdizioni sono in stallo. Indubbiamente la risposta sarà quella di far salire i tassi d'interesse, per quanto con riluttanza, pur rimanendo liberi di espandere le quantità di valuta e credito per sostenere l'attività economica, la spesa pubblica e per risolvere i fallimenti sistemici.

Ma come ho postulato in un articolo sulla condizione dell'Eurozona, anche un modesto rialzo dei tassi d'interesse porterà quasi sicuramente ad una sostanziale contrazione del mercato dei pronti contro termine, cosa che si rifletterebbe in un crollo del credito bancario in un sistema bancario pieno di crediti inesigibili nascosti e in cui le banche, dalle grandi alle piccole, hanno rapporti attivi/patrimoniali totali di oltre venti volte. La BCE è intrappolata. Gli Stati Uniti dovranno affrontare una crisi diversa, per cui il rialzo dei tassi d'interesse indebolirà i valori degli asset finanziari su cui la FED ha fatto affidamento per mantenere intatta la fiducia economica. Destabilizzerà pesantemente le finanze del governo federale e le società zombi, sovraccariche di debiti improduttivi, andranno in bancarotta, portando a livelli di disoccupazione da depressione.

In sintesi, siamo passati dagli anni di Volcker e oggi la situazione debitoria complessiva, diventata ipersensibile ai rialzi dei tassi d'interesse, è più grave che mai. La soluzione, dove le banche centrali stampano senza dover far salire i tassi d'interesse e senza far crollare le loro valute, è un'illusione, soprattutto quando si comprende correttamente il ruolo dei tassi d'interesse. Per capire perché, dobbiamo rispondere alla domanda posta nel grafico qui sopra: la non correlazione tra i tassi d'interesse e le quantità di valuta e credito. Solo dopo possiamo veramente vedere la portata degli errori che guidano le politiche monetarie contemporanee.


I tassi d'interesse riflettono il tempo, non i costi

Se c'è una ragione per cui lo stato fallirà sempre nelle sue politiche monetarie, è l'incapacità della mente burocratica di incorporare il tempo nel suo processo decisionale. Nell'economia di mercato produttiva, che è poco più di un nome per intendere le azioni collettive degli individui che effettuano transazioni e delle loro imprese, il tempo è cruciale. Un produttore incorpora il tempo nei suoi calcoli di profitto ed un consumatore nei suoi bisogni e desideri, sia che desideri qualcosa immediatamente o sia disposto a posticipare il suo acquisto. E poiché il denaro è il collegamento tra guadagni, spese, risparmi ed investimenti, anche il tempo è essenziale. È questo fatto inconfutabile che porta a preferire il possedimento del denaro prima piuttosto che dopo; e se un essere umano deve separarsene temporaneamente affinché gli venga restituito in seguito, si aspetterà un risarcimento per la perdita del suo uso.

Fondamentalmente questo è ciò che rappresentano i tassi d'interesse nell'economia di mercato. È il fattore di preferenza temporale, impostato tra gli esseri umani che effettuano transazioni, che valuta il possesso futuro meno del possesso presente. Alla pura preferenza temporale si aggiunge un elemento di rischio di controparte: quando gli esseri umani che effettuano transazioni prevedono un calo del potere d'acquisto prima che il denaro dovuto venga restituito.

L'obiettivo comune del sistema bancario centrale per un'inflazione dei prezzi al 2% implica che la compensazione degli interessi, affinché includa la preferenza temporale ed il deprezzamento monetario, suggerisce un'assenza di rischio di controparte per un tasso d'interesse minimo del 3%. Ma già i prezzi in dollari stanno salendo del 6,2%, quindi dovremmo vedere tassi d'interesse annui superiori al 7%. Anche quel 6,2% è pesantemente falsificato, quindi forse dovrebbe essere un minimo del 10% o anche di più. Vedete il seguente grafico e pensate alle implicazioni sulla preferenza temporale se John Williams di Shadowstats.com ha ragione nella sua analisi dell'inflazione dei prezzi al consumo, che secondo lui si avvicina al 15%.

E poi c'è il rischio di controparte: la possibilità che gli interessi non vengano pagati. Senza fare affidamento sulle statistiche ufficiali, o di chiunque altro, è ovvio che il divario tra i tassi d'interesse ufficialmente imposti e la realtà del mercato è probabilmente maggiore di quanto non sia mai stata.

Non possiamo sapere quale dovrebbe essere la compensazione degli interessi per la separazione temporanea dal denaro; questa è una questione per le transazioni individuali. Ma mantenere i tassi d'interesse soppressi a zero sta inibendo l'impiego di capitale per scopi produttivi, finanziati da risparmi genuini. Non dovremmo essere sorpresi da questo sviluppo, perché sostituire i risparmiatori con lo stato come fonte di capitale d'investimento era l'obiettivo finale di Keynes espresso nelle Note Conclusive della sua Teoria Generale, quando faceva riferimento alla cosiddetta eutanasia del redditiero. Ma ciò significa che lo stato deve essere in grado di valutare i termini dell'offerta di capitale, giudicare a chi deve essere fornito e poi per fornirlo; richiede un giudizio in assenza di calcolo economico incorporante il tempo, quest'ultimo che, come si è detto, è del tutto al di fuori della contemplazione burocratica.

Ora diamo un'occhiata alla situazione senza la pianificazione monetaria dello stato. In un libero mercato con una moneta sana ed onesta, dopo aver identificato una possibile opportunità, un'impresa può calcolare i suoi costi previsti e, dalla sua conoscenza dei prezzi di mercato, può stimare il costo degli interessi che è disposta a pagare per sfruttare la redditività del progetto. Se un investimento proposto è ritenuto redditizio, l'azienda deve quindi essere pronta ad aumentare il tasso d'interesse in misura sufficiente per invogliare i consumatori a posticipare parte della loro spesa immediata. È questa domanda di capitale che determina il tasso d'interesse nel contesto della preferenza temporale richiesta dai potenziali risparmiatori per attrarre il capitale necessario. Ed i fattori di mercato assicurano anche che sia generalmente destinato al suo uso più produttivo.

I critici della teoria della preferenza temporale potrebbero dire che le imprese considerano l'interesse solo come un costo, e che come costo ha senso dare allo stato un ruolo attivo affinché mantenga il tasso il più basso possibile in modo da stimolare l'attività economica. Ma tutto ciò ignora il fatto che anche gli uomini d'affari considerano l'interesse come un riferimento rispetto al quale valutare la redditività. Anche se non prende in prestito per finanziare un progetto di produzione, un imprenditore misurerà comunque il rendimento anticipato del suo capitale rispetto alla preferenza temporale che può ottenere cedendo i suoi fondi ad altri mutuatari.

È quindi relativamente semplice comprendere il ruolo del risparmio per l'approvvigionamento di capitale in un libero mercato. L'errore commesso da Keynes è stato quello di considerare gli interessi come usura, addebitati dai risparmiatori in modo che possano godersi una vita agiata vivendo dei propri risparmi. Ignorò la scomoda verità che non possederlo rende il denaro meno prezioso. Quella di Keynes era una convinzione che favoriva le sue teorie sull'intervento statale.

Ma se si considerano i tentativi dello stato di manipolare i tassi d'interesse e garantire che il capitale sia messo a disposizione delle imprese redditizie che non lo sprecheranno, finiamo inevitabilmente in problemi insormontabili. Le agenzie statali non sono attrezzate per effettuare un calcolo economico in accordo coi mercati, che come abbiamo visto è fondamentale per la determinazione del tasso. Rispetto alle economie gestite lungo linee di libero mercato, le politiche degli stati che utilizzano l'inflazione monetaria e la manipolazione dei tassi d'interesse hanno dimostrato di essere fallimentari.

Con il potere d'acquisto delle valute fiat che ora diminuisce ad un ritmo accelerato, la riluttanza dei responsabili delle politiche monetarie a lasciar salire i tassi scaturisce dalla trappola del debito in cui sono finiti. Le banche centrali si sono spinte troppo oltre per tornare sui propri passi. Il loro dilemma comincia ad essere notato dall'homo economicus, che decide collettivamente i valori relativi tra valute e beni di consumo. Poiché il potere d'acquisto di una valuta è indebolito da una maggiore preferenza per il possesso di beni, i mercati alla fine forzeranno la mano dei banchieri centrali. Fino ad allora la soppressione dei tassi d'interesse garantirà che il potere d'acquisto delle valute fiat continuerà a diminuire ad un ritmo crescente, misurato rispetto alle materie prime, ai prezzi degli input alla produzione, ai costi del lavoro e della logistica, ai prezzi alla produzione e infine ai prezzi al consumo.

Mettendo da parte il problema non correlato delle interruzioni logistiche, la produzione sarà limitata a causa delle pressioni sui prezzi alla produzione; ci saranno carenze di beni essenziali, anche in relazione al calo della domanda dei consumatori. Quando un'economia entra in questo stallo delle condizioni economiche, i tentativi dello stato di stimolare la domanda in calo con un'ulteriore inflazione monetaria non faranno altro che peggiorare ulteriormente la situazione, con i mercati che richiederanno sconti ancora più elevati per il valore futuro del denaro, essendo la preferenza temporale riflessa in compensazione del tasso d'interesse.

In vista di questi sviluppi, dovremmo aspettarci che i prezzi degli asset finanziari inizino ad anticipare la prospettiva di un continuo rialzo dei tassi d'interesse e dei rendimenti obbligazionari. Il calo dei valori degli asset finanziari indebolirà la garanzia fondamentale per i sistemi bancari. Nell'Eurozona c'è il timore aggiuntivo che i mercati dei pronti contro termine, ritenuti superiori a €10.000 miliardi – più grandi dei bilanci combinati della BCE e delle banche centrali nazionali – si contrarranno seriamente a fronte di tassi d'interesse positivi. Questo mercato dei pronti contro termine è diventato gonfio a causa della ZIRP, il che significa che una banca può trasferire crediti di dubbia qualità nel sistema euro senza alcun costo.

Sebbene la tendenza del credito bancario a contrarsi sarà comune a tutti i sistemi bancari, ciò potrebbe portare ad una crisi bancaria dapprima nell'Eurozona, dove le banche sono anche spaventosamente sovraindebitate.

Una crisi sistemica, che si combina con una trappola del debito in cui sono finiti stati ed imprese sovraindebitati, è ora diventata il risultato certo della soppressione dei tassi d'interesse. L'errore è stato confondere la preferenza temporale con il prezzo del credito. È un errore antico tanto quanto le religioni che vietavano l'usura. Avendo commesso l'errore e credendo che l'interesse sia il salario dell'usuraio peccatore, e che quindi possa e debba essere soppresso o bandito, ora non c'è scampo alle conseguenze. Quando gli attori di mercato reagiscono sempre più alla soppressione dei tassi d'interesse cedendo valuta fiat, le banche centrali puntano i piedi rifiutando inizialmente di accettare questa realtà. Se l'accettassero sin da subito, stati, imprese e consumatori indebitati diventerebbero insolventi come una questione di politica ufficiale. E man mano che gli attori economici iniziano a comprendere la differenza tra il denaro e le valute fiat, la fuga da queste ultime aumenterà sicuramente. Questo sta già iniziando a riflettersi nelle valutazioni delle criptovalute.

Per quanto riguarda i tassi d'interesse, le banche centrali sono in trappola. Ma è importante capire che consentire ai tassi d'interesse di salire affinché riflettano la preferenza temporale, non è la stessa cosa che fermare l'inflazione. Non vi è alcuna garanzia che, da soli, tassi d'interesse sufficientemente elevati stabilizzeranno il potere d'acquisto delle valute. Al limite, temporaneamente.


Il problema dell'inflazione

Ora che abbiamo contestualizzato i tassi d'interesse, possiamo affrontare il problema dell'inflazione. Negli anni '20 l'economia iniziò ad allontanarsi dalle teorie classiche sulla quantità del denaro e del libero mercato sotto la crescente influenza delle dottrine marxiste. Il socialismo comunista dei sovietici stava guadagnando terreno, visto semplicisticamente come l'unica alternativa al socialismo fascista europeo. Il socialismo di sinistra ha rafforzato gli argomenti a favore dell'intervento statale nell'economia e dell'uso del denaro per ulteriori obiettivi socialisti. La successiva evoluzione delle politiche monetarie è stata quella di rimuovere tutto vincoli su come viene distribuito dallo stato. E oggi i politici hanno dissociato completamente l'inflazione dei prezzi dall'aumento delle quantità di valuta e credito.

Le recenti dichiarazioni del FOMC non menzionano affatto la quantità di denaro in circolazione, limitandosi a commentare gli obiettivi per i prezzi e la politica dei tassi d'interesse. Né vengono mai menzionati i cambiamenti nel potere d'acquisto del dollaro. Non si parla mai del trasferimento di ricchezza dall'economia produttiva allo stato attraverso la svalutazione monetaria: si sostiene invece che la politica monetaria sia uno stimolo necessario. È come se la malattia fosse diventata nient'altro che un'eruzione cutanea e non dovuta ad una condizione sottostante. Ma anche l'evidenza empirica mostra chiaramente il legame tra l'aumento delle quantità di denaro in circolazione e un calo del suo potere d'acquisto.

La conoscenza della matematica elementare va nella stessa direzione. A parità di altre condizioni, se aumentate la quantità di qualcosa, l'utilità di ciascuna unità diminuisce proporzionalmente a suddetto aumento. Pertanto se scegliete di seguire il corso illustrato nel seguente grafico, potete aspettarvi che il potere d'acquisto della vostra valuta diminuisca in modo significativo – motivo per cui i prezzi salgono se misurati in una valuta in calo.

Dal punto di vista dello stato, emettere denaro è come scuotere le olive da un ulivo e non aspettarsi alcuna conseguenza. La popolazione è tenuta in uno stato di ignoranza. Ulteriore offuscamento deriva dal fatto che la nuova valuta e credito sono indistinguibili dalla valuta esistente. Descrivere la valuta fiat come denaro è un'ulteriore cortina fumogena.

Ci vuole tempo prima che nuova valuta e credito entrino nell'economia mentre vengono spesi. Se la popolazione fosse consapevole dell'effetto del trasferimento di ricchezza – dove lo stato, le grandi banche, le grandi imprese, i ricchi ed i clientes ottengono il possesso iniziale di nuova valuta e credito, mentre i risparmiatori, i pensionati, i poveri e coloro a con redditi bassi e fissi perdono – questo sistema disonesto crollerebbe sotto i colpi di una rivoluzione. Ma così com'è, e se la storia dell'inflazione monetaria è la nostra guida, i perdenti lo scopriranno solo troppo tardi per salvarsi.

La perdita di credibilità pubblica per una moneta è la sua campana a morto. A quel punto la matematica della quantità non conta più: se la popolazione decide di sbarazzarsi di tutta la sua liquidità monetaria mentre ha ancora potere d'acquisto, preferendo invece possedere beni, la valuta perderà completamente il suo valore. È anche un voto sulla credibilità di chi la emette, di solito una banca centrale o un dipartimento del Tesoro. E con la scomparsa della moneta, anche le entrate fiscali diventano inutili.

La situazione è facile da risolvere. Il primo passo è smettere di emettere valuta e credito, ma gli stati sono sempre riluttanti ad adottare questa soluzione. Promuovere i tassi d'interesse come meccanismo per controllare l'inflazione è fondamentalmente una cortina fumogena che ha l'effetto di continuare a promulgare il finanziamento inflazionistico a beneficio dello stato.


Errata interpretazione statistica del PIL e dell'inflazione monetaria

Gli economisti matematici si affidano alle statistiche per guidare la politica monetaria ed economica senza rendersi conto dei bias di conferma e delle tautologie coinvolte. Un esempio dei primi è già rimarcato in questo articolo in relazione alla misurazione dei prezzi, la quale dal 1980 è stata oggetto di modifiche per ridurre i costi di indicizzazione (pubblicamente ammesso la prima volta che l'indice dei prezzi al consumo è stato rivisto nei primi anni '80). Oggi le cifre dell'IPC sono accettate come un vero riflesso del potere d'acquisto di una valuta. L'inganno ha permesso all'inflazione monetaria di raggiungere un livello più alto di quanto altrimenti sarebbe stato tollerato.

Probabilmente la tautologia più pericolosa che porta ad un bias di conferma è la negazione della vera relazione tra il prodotto interno lordo e l'aumento della quantità di denaro ed il seguente grafico illustra una correlazione estremamente netta tra i due. La linea grigia, che mostra la differenza nei loro tassi di aumento, mostra solo una piccola divergenza per la maggior parte del tempo.

Ci sono state solo due variazioni notevoli in questa correlazione. Nella grande crisi finanziaria di tredici anni fa, c'è stato un lieve rallentamento del ritmo di crescita di M3, influenzato dal calo del credito bancario durante la crisi crisi. Più di recente l'economia è uscita dai lockdown dove il PIL per l'anno fiscale 2020 (fino a settembre) è andato in stallo, mentre si è verificata una sostanziale accelerazione della crescita di M3, a riflesso della deliberata spesa in deficit e quantitative easing. E la correlazione ora è ripresa.

I tempi di non correlazione si spiegano con variazioni temporanee del tasso di risparmio che crescendo rinvia una quota maggiore della spesa totale dei consumatori, impattando quindi sul PIL.

Teoricamente il PIL è il totale delle vendite finali di tutti i nuovi beni e servizi, i quali sono distintivi in ​​quanto a differenza degli asset finanziari non sono soggetti a valutazione. Tutti i prodotti di consumo hanno un'utilità limitata, estinguendo il loro valore di acquisto. Ai fini delle statistiche sul PIL, i beni di seconda mano sono già stati pagati e incorporati nel PIL in una data precedente; se il prodotto è un servizio, il suo valore si estingue completamente una volta che è stato fornito.

Il PIL registra quindi la spesa diretta dei consumatori; cattura anche gli aumenti dei risparmi, ma con un intervallo di tempo variabile a seconda di come tali risparmi vengono ridistribuiti. Quando depositati in banca, supportano la sua attività di prestito. I risparmi destinati alle emissioni obbligazionarie e azionarie vengono spesi.

In alternativa, se un risparmiatore sceglie di acquistare un asset finanziario sui mercati secondari, il venditore intasca i proventi, alcuni dei quali possono essere spesi e altri reinvestiti. I risparmi netti che fluiscono nei mercati secondari sono ritardati nel loro impatto sul PIL, il che è particolarmente vero durante i mercati rialzisti che comportano una crescente partecipazione pubblica.

L'effetto dei lockdown ha ridotto la spesa diretta dei consumatori e aumentato i saldi in contanti ed i depositi, registrati come consumo posticipato (risparmio) in un momento in cui un sostanziale stimolo monetario rappresentava gran parte della deviazione dalla correlazione tra M3 e PIL.

Inoltre il Tesoro degli Stati Uniti ha colto l'opportunità di un aumento del risparmio pubblico per finanziare il proprio deficit. Ciò ha ritirato temporaneamente gran parte dell'aumento di M3 dalla circolazione pubblica, aumentando il saldo del suo conto generale presso la FED: da meno di $400 miliardi nel marzo 2020 a $1.817 miliardi solo quattro mesi dopo. Tale aumento di $1.400 miliardi ha rappresentato una parte significativa del calo di $3.700 miliardi nella linea grigia sul grafico qui sopra. La spesa successiva del saldo del conto generale attraverso la spesa pubblica ed il welfare state ha invertito l'effetto iniziale, rafforzando la statistica del PIL e consentendogli di riflettere la precedente espansione monetaria.

Per riassumere, se si aumenta la quantità di valuta e credito in circolazione e si consentono eventuali cambiamenti nei percorsi tortuosi tra la sua emissione e la distribuzione finale, è possibile approssimare l'aumento del PIL nominale.

Un momento di ulteriore riflessione conferma che deve essere così, perché in un'economia dove la quantità di denaro e credito non cambia, indipendentemente dal fatto che l'attività economica cambi in bene o in male, il PIL totale non può cambiare. È irrilevante se la valuta e il credito esistenti vengano utilizzati nelle modifiche tra l'allocazione del consumo o capitale finanziato dai risparmi e dai depositi bancari; così come sono irrilevanti i cambiamenti nei modelli di spesa per le importazioni, purché i pagamenti con l'estero si saldino. Pertanto gli aumenti nella statistica del PIL possono riflettere solo aumenti nelle quantità di denaro e credito.

Le uniche eccezioni a questa regola sono i cambiamenti nel livello della valuta accumulata, i cambiamenti nel livello degli acquisti di beni usati rispetto ai nuovi ed i cambiamenti nei livelli delle attività non registrate ed esentate, la maggior parte delle quali sono fattori temporanei.

A parte queste eccezioni, possiamo aspettarci che le variazioni del PIL vengano seguite da vicino dalle variazioni nella quantità di denaro. Ciò è confermato nel grafico qui sopra, anche nella misura in cui la rapida espansione di M3 durante i lockdown si è successivamente riflessa pienamente nell'aumento del PIL. Certo, c'è stata una variazione considerevolmente maggiore nelle statistiche trimestrali, ma si sono compensate a vicenda su base annua.

Il bias di conferma, per cui sulla base di una ripresa del PIL i pianificatori monetari centrali affermano che l'attività economica è stata salvata dai loro stimoli monetari, è chiaramente una tautologia statistica. Ed a causa della loro ignoranza, anche l'industria della gestione degli investimenti, guidata dagli economisti matematici, ha creduto a suddetta illusione. Non si chiedono perché quando l'economia statunitense si è effettivamente fermata per gran parte degli anni prima del 2020/2021, il PIL a malapena l'abbia riflesso.


Le conseguenze degli errori della politica monetaria

Questo articolo si è concentrato su due gravi errori alla base della politica monetaria: il ruolo dei tassi d'interesse e la convinzione che l'aumento del PIL significhi qualcosa di diverso dall'inflazione monetaria. È vero che questi non sono gli unici errori che guidano la politica monetaria: associata alla fallacia del tasso d'interesse c'è la convinzione che l'inflazione dei prezzi possa essere gestita manipolando i tassi d'interesse, un errore nascosto quando la politica fallisce sopprimendo le prove, come mostra il grafico sopra sull'IPC rispetto alla versione di Shadowstats.com spogliata dagli abbellimenti statistici.

Il risultato è che quasi tutti sono stati indotti a credere che aggiustamenti dei tassi d'interesse di appena uno o due per cento saranno sufficienti per far fronte all'“inflazione”, erroneamente definita come aumento dei prezzi.

Invece la definizione ufficiale di inflazione è la conseguenza degli aumenti senza precedenti delle quantità di valute e credito. E non è limitato a poche giurisdizioni: l'espansione monetaria è comune alle politiche di tutte le principali banche centrali, pertanto i poteri d'acquisto del dollaro, dell'euro, della sterlina, dello yen e dello yuan sono coordinati, tutti in calo. Inoltre, con il dollaro che funge da standard monetario per tutte le altre banche centrali, sono scoraggiate le deviazioni verso politiche monetarie meno inflazionistiche di quelle della FED.

Misurare le conseguenze degli errori attraverso le variazioni dei tassi di cambio è quindi simile a scommettere su quale pietra affonderà più velocemente se gettata nel bacino delle valute fiat. Il calo del potere d'acquisto diventerà la componente dominante della preferenza temporale. Qualsiasi analisi spassionata indica che aumenti del tasso di sconto futuro per le valute fiat non si rifletteranno su tassi d'interesse di pochi punti percentuali, ma sostanzialmente di più.

Tuttavia c'è una comprensione crescente, ma finora generalmente incoerente, che non tutto vada bene nel mondo delle valute fiat, incarnata dall'ascesa delle criptovalute. I Bitcoiner, ad esempio, sono molto avanti nella comprensione di sta succedendo alle valute fiat rispetto alle generazioni precedenti.

Il peso dell'eccesso di valuta, alimentato da iniezioni di nuovo denaro depositato nelle istituzioni d'investimento da parte della FED, della Banca d'Inghilterra, della BCE e della Banca del Giappone, ha portato i valori degli asset finanziari a livelli inauditi. L'esposizione al rischio di questi ultimi di fronte all'inevitabile fallimento della politica monetaria è più acuta negli asset denominati in dollari; infatti i rialzi dei tassi d'interesse saranno l'araldo del prossimo mercato ribassista. E sarà nell'affrontare quest'ultimo punto che i banchieri centrali dovranno pagare dazio l'errata convinzione di poter continuare ad emettere nuova valuta e sostenere i valori degli asset finanziari.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


giovedì 23 dicembre 2021

Il mining di Bitcoin e la carenza di seminconduttori sono in rotta di collisione

 

 

da Bitcoin Magazine

Le carenze nelle catene di approvvigionamento stanno iniziando a rivelare molte dipendenze geopolitiche da attori esterni e la fragilità complessiva che tali dipendenze possono creare per una data nazione quando le supply chain sono stressate.

Tutto ciò che serve è che un piccolo domino si capovolga ed i problemi si riversano a cascata attraverso l'intero sistema. Non dovrebbe sorprendere che le nazioni stiano iniziando a vedere questi problemi in chiave sicurezza nazionale ed a rispondere di conseguenza.


Affrontare la carenza di semiconduttori

Ad esempio, il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti è stato molto coinvolto nell'affrontare i problemi delle catene di approvvigionamento, in particolare nel contesto di una carenza di semiconduttori. Già ad aprile e maggio 2021 ha incontrato aziende di semiconduttori coinvolte in diversi punti della supply chain per comprendere e affrontare meglio i problemi alla base di queste carenze. Sulla scia dell'ultimo di questi incontri a settembre, il Dipartimento del Commercio ha inviato una richiesta di informazioni a tutte le aziende di semiconduttori dell'intera filiera al fine di ottenere maggiori informazioni sui colli di bottiglia e sui flussi specifici nel suo complesso.

Voleva sapere dove si inseriscono le aziende lungo la supply chain, la dimensione nanometrica (nm) dei loro chip, il tipo di chip o prodotti che producono, le vendite stimate, le scorte di prodotti, ecc. Era una richiesta molto completa, cercando essenzialmente di scoprire tutto ciò che c'era da sapere sui prodotti delle aziende, sulle vendite, sui numeri dei magazzini e su tutto ciò che è correlato.

Infatti ciò che sta cercando di fare è stabilire una linea di base per una visione generale del flusso logistico di tutto, dalla fabbricazione all'imballaggio fino alla consegna del prodotto.

Questa richiesta è stata accolta con un grave contraccolpo sia a Taiwan che in Corea del Sud, evidenziando l'enorme importanza geopolitica della capacità di fabbricazione di chip nell'economia globale.


L'importanza geopolitica della fabbricazione di chip

Il ministero sudcoreano del commercio, dell'industria e dell'energia e quello taiwanese degli affari economici hanno entrambi espresso seria preoccupazione per la portata delle richieste di informazioni. In particolare a Taiwan, dove si trova la più grande azienda di fabbricazione di chip TSMC, i politici sono arrivati ​​al punto di chiedersi se il rispetto delle richieste di informazioni potrebbe significare cedere informazioni che in definitiva potrebbero minacciare il dominio globale di TSMC in futuro.

Informazioni approfondite come la dimensione in nm, i tipi di chip prodotti o chi li sta acquistando, potrebbero essere teoricamente utilizzate per posizionare investimenti in infrastrutture, strappare i clienti a TSMC e soddisfare tutte le loro esigenze. Per un Paese come Taiwan, l'importanza dell'industria dei semiconduttori è un fattore importante nel disincentivare gli attacchi dalla Cina. Perdere tal dominio è forse molto più importante delle sole considerazioni economiche.

Dato che il Senato degli Stati Uniti ha di recente approvato lo "US Innovation and Competition Act", che spenderà $52 miliardi per aumentare la capacità di fabbricazione domestica di semiconduttori, ed il "CHIPs for America Act" per creare crediti d'imposta sul reddito delle società di semiconduttori, i timori di Taiwan potrebbero non essere infondati.

Gli Stati Uniti hanno lavorato per ricostruire la propria industria di semiconduttori sin dall'amministrazione Trump e, ironia della sorte, un impianto di fabbricazione TSMC in Arizona ha aperto i battenti la scorsa estate. Le azioni in tal direzione hanno ingranato la marcia dopo la carenza di approvvigionamento dovuta ai lockdown, poiché i chip per computer sono necessari per tutti i tipi di cose che non vi aspettereste, come elettrodomestici da cucina, automobili e persino lampadine.


Bitcoin e sicurezza dei semiconduttori

I semiconduttori sono il petrolio dell'era digitale. Ogni nazione avrà bisogno del proprio piano di sicurezza nazionale sull'affidabilità dell'offerta di semiconduttori così come ha piani sull'affidabilità energetica. È una realtà che non si può più ignorare.

Quindi, cosa ha a che fare tutto questo con Bitcoin? Gli ASIC: l'hardware di mining è inutile se non si hal'energia per alimentarlo, ma altresì l'energia per alimentare i miner è inutile se non ci sono questi ultimi in prima istanza.

Per quanto riguarda la capacità di fabbricazione di 7 nm o meno (la punta di diamante), gli unici a produrli sono Intel, Samsung e TSMC. Ciò conferisce a queste aziende molto peso politico in termini di produzione di ASIC all'avanguardia.

La dinamica di chi può e non può produrre semiconduttori in generale sta già venendo alla ribalta, mentre le nazioni si rendono conto dell'importanza di ridurre al minimo la dipendenza da attori stranieri per sostenere tale capacità. È solo una questione di tempo prima che questi problemi facciano riferimento anche al mining di Bitcoin.

Che forma assumerà? Chi lo sa. Forse rappresenterà un acceleratore affinché le nazioni più grandi espandano la loro capacità di fabbricazione interna; forse le nazioni con capacità vieteranno le esportazioni di attrezzatura di mining verso le nazioni nemiche; forse le nazioni si dedicheranno allo spionaggio per acquisire proprietà intellettuale relativa a tecniche di fabbricazione all'avanguardia.

Qualunque sia la forma che assumerà, accadrà e basta e l'effetto sull'ecosistema dei miner sarà a dir poco interessante. 


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


mercoledì 22 dicembre 2021

Green Armageddon, Parte #5

 

 

di David Stockman

Armageddon verde non è un'iperbole, è il risultato certo del tentativo di eliminare le emissioni di CO2 da un moderno sistema energetico che respira ed esala letteralmente carbonio fossilizzato.

Infatti l'idea stessa di convertire l'economia odierna in un sistema respiratorio ad energia alternativa è talmente al di là del razionale da sfidare il buon senso. Eppure è proprio qui che ci stanno conducendo i poteri forti del COP26 ed i loro megafoni nei media generalisti.

In primo luogo, è necessario comprendere che i sostenitori del cambiamento climatico mentono su quanta "energia verde" usiamo ora e quindi sulla possibilità di abbandonare il sistema di approvvigionamento energetico basato sui combustibili fossili in modo da arrivare a zero emissioni nette di CO2 entro il 2050.

Ad esempio, si afferma comunemente che il 12% del consumo di energia primaria negli Stati Uniti (2020) è rappresentato da "rinnovabili", il che implica che siamo partiti con un buon inizio nell'eliminazione della dipendenza dai combustibili fossili.

In realtà le cose non stanno così, ma neanche un po'. Questo perché le “rinnovabili” e l'energia verde definita solare ed eolica non sono neanche lontanamente la stessa cosa.

Secondo il DOE, gli Stati Uniti hanno consumato 11,6 quad (quadrilioni di BTU) di energie rinnovabili nel 2020, ma 7,3 quad, o il 63% di questi, sono stati rappresentati da combustibili non fossili vecchio stile, tra cui:

• Idroelettrico: 2,6 quad

• Legno: 2,5 quad

• Biocarburanti: 2.0 quad

• Geotermico: 0,2 quad

Naturalmente, non c'è niente di sbagliato in questi combustibili non fossili e in alcuni casi possono essere abbastanza efficienti, ma non fanno parte della "soluzione verde" per sostituire alcuni o tutti i 73 quad di combustibili fossili consumati nel 2020 perché la maggior parte di queste fonti è esaurita o non è auspicabile espanderla.

Abbiamo già visto, per esempio, che l'idroelettrico, che era uno dei preferiti del New Deal negli anni '30, è stato sfruttato molto tempo fa. Fino all'80% dei fiumi negli Stati Uniti è già sfruttato e sono decenni che gli ambientalisti non permettono un nuovo grande progetto idroelettrico. Infatti la produzione idroelettrica di 291 miliardi di kWh nel 2020 è stata ben al di sotto del livello di picco di 356 miliardi di kWh registrato nel 1997 ed è stata addirittura superata dai 304 kWh generati nel lontano 1974.

Né sentiamo i talebani del clima battere i pugni per la fonte originale dei moderni BTU: più combustione di legno!

In realtà, sostengono il contrario: piantare nuovi alberi come "compensazione" delle emissioni di carbonio.

Allo stesso modo, la maggior parte dei 2.0 quad attribuibili ai biocarburanti è rappresentata dall'etanolo prodotto dal mais fermentato. Tuttavia qualsiasi aumento materiale del consumo di etanolo, tramite una miscelazione obbligatoria con la benzina, distruggerebbe la maggior parte dei motori a combustione interna, trasformando le vaste distese di produzione alimentare dell'Iowa e del Nebraska in fattorie di carburante.

Infine pensate alla piccola quantità di consumo attribuibile all'energia geotermica. Si dà il caso che l'elettricità geotermica sia il più vicino possibile ad una fonte perfetta di energia rinnovabile, come notato di recente da un analista, ma c'è un enorme problema:

È praticamente privo di carbonio, non emette grandi quantità di gas nocivi né genera scorie radioattive, non richiede il disboscamento di foreste vergini, non occupa molto spazio, non rovina l'orizzonte, non decapita o incenerisce gli uccelli, è integrato dal calore naturale della Terra, fornisce potenza di carico di base a fattori di capacità solitamente intorno al 90% e può anche essere ciclato.

È anche una delle fonti energetiche più economiche attualmente disponibili. Nessun'altra fonte di energia rinnovabile può eguagliare questo impressionante elenco di virtù o addirittura avvicinarsi ad esso.

Allora perché non ce n'è di più?

Perché non ce n'era molto sin dall'inizio. Mentre le fonti di energia rinnovabile come l'eolico e il solare sono sfruttabili in misura maggiore o minore quasi ovunque, le risorse geotermiche ad alta temperatura si trovano solo dove c'è una coincidenza di flusso di calore elevato e idrologia favorevole, e [...] queste coincidenze si verificano solo in un pochi posti.

Questo ci porta alle uniche "rinnovabili" che sono effettivamente espandibili su larga scala: solare ed eolico. Per quanto riguarda il primo, va notato che il consumo degli Stati Uniti nel corso del 2020 è stato pari a soli 1,2 quad, ovvero meno della metà dell'energia primaria fornita dal legno (compreso un piccolo consumo industriale di rifiuti organici come le cartiere, ecc.).

Proprio così. Dopo decenni di grandi sussidi statali, il solare è ancora eclissato dal carburante utilizzato per la prima volta dagli uomini delle caverne!

Il problema dell'energia eolica non è meno proibitivo. Nel caso dei 3,0 quad di energia primaria attribuiti all'eolico nel 2020, quasi il 100% è stato utilizzato per generare energia elettrica per la rete. Di conseguenza solo il 90% di quell'energia eolica arriva in una casa, in un impianto industriale o in un'auto elettrica. La differenza è rappresentata dai BTU persi nelle linee di trasmissione e distribuzione a valle (perdite T&D). E se si aggiunge il fatto che il 64% del consumo solare primario è stato utilizzato anche dalle società elettriche e anch'esso ha subito perdite T&D, allora siamo di fronte ad un fatto davvero sorprendente.

Vale a dire, nel 2020 solo 3,4 quad di energia solare ed eolica hanno effettivamente generato energia elettrica netta per gli utenti finali nell'economia statunitense.

A sua volta, quella minuscola cifra rappresenta solo il 4,9% dei 69,7 quad di energia netta da tutti i combustibili (dopo aver sottratto i rifiuti del sistema da tutte le fonti di combustibile) utilizzati dall'intera economia statunitense nel 2020. Eppure anche quella piccola frazione era un artefatto dei sussidi statali che sono stati gettati sui due combustibili verdi.

Nel caso dell'energia eolica, ad esempio, c'è un sussidio federale di 2,5 centesimi per kWh, che rappresenta il 69% del prezzo medio all'ingrosso dell'energia eolica, più un credito d'imposta del 30% sugli investimenti per l'installazione originale del parco eolico. Inoltre nessuno fa pagare per il vento, quindi l'energia eolica è massicciamente ad alta intensità di capitale con le spese in conto capitale che rappresentano il 70% dei costi dell'energia eolica, il che significa che un altro 21% del costo dell'energia è finanziato dallo Zio Sam.

Quindi si ripresenta la solita domanda: come si arriva ad una sostituzione del 50% dei combustibili fossili con energia verde entro il 2035, che sarebbe il percorso minimo per azzerare le emissioni nette di CO2 entro il 2050, anche presumendo sussidi ancora più dispendiosi di quelli che già abbiamo?

In poche parole, non ci si arriva. Questo perché anche un'indagine superficiale vi porta a sbattere contro l'elefante nella stanza dell'energia verde: l'unico modo pratico per fornire energia eolica e solare ai settori di utilizzo finale dell'economia è attraverso la massiccia conversione di BTU verdi in elettricità e la loro distribuzione attraverso la rete elettrica.

Inutile dire che tal processo sarebbe irto di ostacoli e rischi che i talebani del clima non riconoscono nemmeno lontanamente. Infatti, come mostreremo di seguito, convertire anche il 50% dell'attuale consumo di combustibili fossili in eolico e solare richiederebbe quasi il raddoppio del consumo totale di energia primaria nel settore dai 35,7 quad nel 2020 a quasi 66 quad nel 2035.

La quota del 10,6% di energia primaria dei servizi pubblici, o 3,8 quad nel 2020 per solare ed eolico, dovrebbe aumentare a quasi il 67% e 44,0 quad entro il 2035 (si vedano i calcoli di seguito). Vale a dire, la produzione solare ed eolica dovrebbe aumentare di quasi 12 volte nei prossimi 15 anni. Ed il costo dei sussidi per realizzarlo (compreso l'aumento drastico dei prezzi delle utenze al dettaglio per i consumatori) sarebbe davvero sbalorditivo

Ma ecco il punto: data l'intermittenza intrinseca e l'inaffidabilità dell'energia solare ed eolica, la rete elettrica diventerebbe pericolosamente più fragile e soggetta a blackout durante i periodi di picco della domanda e bassa produzione solare/eolica. Questo perché quando si elimina la metà, o circa 11 quad, dell'energia fossile ora utilizzata dall'industria dei servizi elettrici, si rimuove la capacità di carico di base che è essenzialmente disponibile il 100% del tempo, salvo per la manutenzione programmata e le interruzioni impreviste.

Al contrario, quando i due terzi della rete sono alimentati da energia solare ed eolica, come s'è previsto per il 2035, si trasforma radicalmente la natura del sistema elettrico. Non rimarrebbe più alcun alimentatore di carico di base, il che significa che il sistema dovrebbe essere dotato di enormi impianti di pompaggio idroelettrico, aria compressa, o accumulatori a batteria in modo da sostenere i giorni senza vento o sole — oltre a soddisfare l'ora del giorno ed i picchi stagionali di domanda che diventerebbero molto più intensi quando quasi l'intera economia è elettrificata, come ulteriormente spiegato di seguito.

Il problema, ovviamente, è che la produzione di energia elettrica in modo che possa essere immagazzinata e prelevata in seguito è intrinsecamente inefficiente ed una perdita di BTU. Questo è particolarmente vero con lo stoccaggio attraverso il pompaggio, l'unica idea pratica per immagazzinare energia e sostenere i sistemi su larga scala. Tale soluzione, però, fa bruciare un sacco di BTU pompando acqua a monte verso un serbatoio, in modo che le saracinesche possano essere aperte per rigenerare la stessa energia idroelettrica quando necessario.

Complessivamente si stima che la gamma di soluzioni di accumulo disponibili comporterebbe una dissipazione del 10-40% dell'energia verde primaria fornita al sistema di utenza. Quindi non solo verrebbero sostenuti enormi costi per finanziare lo stoccaggio di energia, ma la perdita di BTU nel processo di caricamento ed estrazione dello stoccaggio richiederebbe ancora più capacità di energia verde primaria per compensare i BTU sprecati!

Pertanto se la perdita di energia dovuta ai sistemi di accumulo per 32,2 quad di solare ed eolico incrementale è in media del 25%, sarebbero necessari altri 8 quad di capacità primaria solare ed eolica per soddisfare il fabbisogno energetico previsto per il 2035. Cioè, entro il 2035 il sistema delle utenze avrebbe bisogno di 44 quad di energia solare ed eolica, o 11,5 volte più capacità della sua produzione di energia verde nel 2020.

Pensate poi alle implicazioni che avrebbe spostare il 50% dei combustibili fossili utilizzati nel settore dei trasporti verso la produzione di energia elettrica alimentata da energia solare ed eolica. Durante il 2020 il settore dei trasporti ha utilizzato 24,23 quad di energia primaria, di cui i combustibili fossili (prodotti petroliferi e gas naturale) hanno fornito 22,85 quad, o il 94% del totale.

Il totale del consumo di energia primaria nel settore dei trasporti è stato gravemente depresso nel 2020 a causa della chiusura delle compagnie aeree durante gran parte dell'anno e della forte riduzione dei viaggi in auto sia per il tempo libero che per il pendolarismo. Di conseguenza la base appropriata è il 2019, quando il consumo totale è stato di 28,6 quad, che ha rappresentato un tasso di crescita dello 0,41% annuo rispetto al livello registrato per l'anno 2000.

Ai fini della nostra analisi, quindi, abbiamo ipotizzato che il tasso di crescita modesto continui fino al 2035, determinando un consumo annuo di energia primaria di 30,53 quad nel settore dei trasporti. Se metà di questo (15 quad) dovesse essere spostato dai combustibili fossili al solare e all'eolico, sarebbero necessari altri 8,3 quad di energia verde.

Questa è la matematica quando si tiene conto che l'efficienza energetica dalla spina all'albero di trasmissione è di circa il 72% per i veicoli elettrici rispetto al 39% dal serbatoio all'albero di trasmissione in condizioni di guida ottimali per i veicoli a combustione interna e il 35% in media. Un vantaggio senza dubbio, ma è parzialmente compensato dal fatto che il 10% dell'energia elettrica primaria generata sulla rete viene perso in T&D.

La postulata decarbonizzazione del 50% del solo settore dei trasporti richiederebbe quindi che i 3,8 quad di solare ed eolico utilizzati nel 2020 dal settore delle utenze raggiungano 12,1 quad entro il 2035. E questo senza aver preso in considerazione l'effetto di spostamento negli altri quattro settori .

E non è nemmeno la metà della storia. Quando si passa ai veicoli elettrici e si distribuisce 3 volte più quad di energia attraverso il sistema delle utenze, si crea anche scompiglio con la gestione del carico. Questo perché l'aumento dei viaggi durante le vacanze crea picchi di carico che superano drasticamente i livelli giornalieri. Nel caso dei viaggi aerei, ad esempio, durante un anno tipo le miglia percorse a luglio sono pari a quasi il 140% del livello per il minimo stagionale di febbraio.

Immaginate un 4 luglio caldo ma nuvoloso e senza vento. Il normale aumento dell'aria condizionata e della domanda commerciale si sovrapporrebbe ad un'enorme flotta di veicoli elettrici sulle strade, andando ad intaccare le stazioni di ricarica con un effetto implacabile. Quest'anno, ad esempio, un record di 47 milioni di viaggiatori è sceso in strada nel fine settimana del 4 luglio.

Naturalmente questo non è un problema per il sistema di alimentazione esistente. La domanda media è di circa 9 milioni di barili al giorno, ma le scorte di carburante variano tra 220 e 260 milioni di barili, più un altro inventario stimato a 50 milioni di barili nei serbatoi dei 285 milioni di veicoli della nazione. Quindi, con oltre 300 milioni di bbl, o 33 giorni di alimentazione nel sistema, le fluttuazioni del carico di picco vengono prontamente assorbite.

Inutile dire che l'energia elettrica è un'altra storia. Non può essere immagazzinata come prodotto. Come indicato sopra, la produzione deve sempre soddisfare la domanda istantanea o la rete crollerà. L'unica soluzione è immagazzinare energia elettrica distribuibile in un'altra forma: serbatoi o batterie di stoccaggio pompati, e questo è dannatamente costoso.

Inoltre, a differenza delle scorte di carburante per motori che sono efficientemente guidate dal mercato, creare un enorme surplus distribuibile a livello di sistema sulla rete elettrica per le richieste di picco di veicoli elettrici sarebbe un compito arduo. Dopotutto sarebbero necessari circa 140 milioni di veicoli elettrici sulle strade degli Stati Uniti rispetto agli attuali 1,4 milioni per soddisfare il 50% della domanda di carburante.

Né il settore dei trasporti è unico nel suo genere. Attualmente il settore industriale rappresenta 22,1 quad (2020) della domanda di energia primaria, di cui 19,7 quad sono forniti da combustibili fossili. Questi ultimi riforniscono varie apparecchiature a combustione, centrali elettriche e macchinari azionati da motori a combustione interna, nonché materie prime per le industrie di trasformazione chimica.

Sulla base del tiepido tasso di crescita della domanda di energia primaria nel settore industriale (perché la produzione è stata delocalizzata in Cina, ecc.), prevediamo una domanda di energia primaria di 23,2 quad entro il 2035 e che 12,9 quad dovrebbero provenire da fonti solari ed eolico attraverso la rete elettrica per sostituire il 50% dell'attuale consumo fossile.

Quindi, se aggiunto alla domanda incrementale stimata sopra dal settore dei trasporti, avreste bisogno di un totale di 25,0 quad di energia solare ed eolica, o quasi 6,6 volte in più rispetto ai livelli attuali, per soddisfare la domanda ampliata sulla rete elettrica dalla conversione all'energia verde.

La storia diventa più complicata quando aggiungete il settore residenziale e commerciale. Ad esempio, il settore residenziale è già fortemente elettrificato a causa dell'alimentazione di luci, aria condizionata ed elettrodomestici. Di conseguenza, mentre il settore domestico ha un fabbisogno di energia primaria di 6,54 quad, in realtà utilizza 11,53 quad contando i 5 milioni di quad di consumo di energia indiretta.

La domanda delle famiglie è già fortemente sbilanciata verso le ore, i giorni e le stagioni di punta: 5,7 quad dei 6,5 quad di consumo di energia primaria nel 2020 sono stati forniti da combustibili fossili. Se ne convertiste anche metà in solare ed eolico entro il 2035, costringendo essenzialmente gli utenti residenziali a convertire la maggior parte del riscaldamento a gas in riscaldamento elettrico, avreste bisogno di quasi 4 quad aggiuntivi di solare ed eolico per supportare l'aumento della domanda residenziale sulla rete elettrica.

Vale a dire, il settore la cui domanda di energia è più variabile — i 130 milioni di unità abitative americane — diventerebbe virtualmente tutto elettrico. Entro il 2035 9,0 quad, su una domanda totale di energia residenziale pari a 12,0 quad di consumo, sarebbero forniti dalla rete elettrica.

Questo singolo fatto non creerebbe una disconnessione ancora più eclatante tra l'inaffidabile offerta di energia solare ed eolica e la domanda variabile dal lato utente?

Sicuramente. E questo è particolarmente vero quando si aggiungono gli ultimi due elementi del quadro domanda/offerta: il settore commerciale sta crescendo di circa lo 0,6% annuo, quindi entro il 2035 l'uso primario totale sarebbe di 5,3 quad ed il fabbisogno incrementale di energia eolica e solare per sostituire la metà degli attuali combustibili fossili, che ora rappresentano l'88% della domanda di energia primaria nel settore, ammonterebbe a 2,9 quad.

Infine la domanda di base di energia primaria nel settore dei servizi pubblici è di circa 37,0 quad (2019) e non cresce da anni. Quindi, in una proiezione fino al 2035, le attuali fonti di energia fossile e non fossile sarebbero le seguenti, ignorando volutamente gli spostamenti stimati sopra nei quattro settori di utilizzo finale. E questo non presuppone neanche alcuna perdita di capacità nucleare o idroelettrica nel frattempo:

• Nucleare: 8.2 quad

• Idroelettrico: 2,6 quad

• Biocarburanti: 1.2 quad

• Eolico e solare attuali: 3,8 quad

• Requisiti di combustibile fossile dello status quo: 21,2 quad

• Energia primaria totale di riferimento: 37,0 quad

Almeno nel caso delle utenze, sostituire la metà dei 21,2 quad di combustibili fossili con solare ed eolico non sarebbe così impegnativo. Questo perché in media solo il 37% dei BTU fossili sparati nelle caldaie dei servizi pubblici finisce come elettricità in uscita a causa della perdita di energia nelle turbine a vapore, una perdita che non si verifica con l'energia solare.

Di conseguenza sarebbero necessari circa 4,0 quad di capacità solare ed eolica (senza considerare lo stoccaggio di riserva) per sostituire circa 11,0 quad di combustibili fossili che sarebbero altrimenti consumati dal settore dei servizi.

Nel complesso, quindi, la trasformazione implicita del settore dei servizi pubblici sarebbe sbalorditiva, e questo vi porterebbe solo a metà strada verso le emissioni zero entro il 2050. Ecco il riassunto di ciò che sarebbe richiesto in termini di solare totale e capacità eolica nel settore dei servizi pubblici entro il 2035:

• Solare ed eolico attuali: 3,8 quad

• Sostituzione settore trasporti: +8,5 quad

• Sostituzione settore residenziale: +3,9 quad

• Sostituzione settore industriale: +12,9 quad

• Sostituzione settore commerciale: +2,9 quad

• Sostituzione settore utenze: +4.0 quad

• Stoccaggio di riserva: +8.0 quad

• Totale solare ed eolico, 2035 : 44,0 quad

• Multiplo del livello nel 2020: 11,6X

Inutile dire che quanto sopra è un disastro economico in attesa di accadere. Non si può passare da 3,8 quad di solare ed eolico dopo decenni di tiepidi aumenti fino a 44,0 quad in meno di 15 anni. Un tale cambiamento farebbe finire gli Stati Uniti in ostaggio di un sistema energetico centralizzato basato su una rete di servizi pubblici che sarebbe pericolosamente instabile, squilibrato e soggetto a catastrofici eventi imprevedibili.

Per tornare alla nostra fallacia della finestra rotta, comporterebbe anche lo smantellamento e la distruzione di un sistema di approvvigionamento di carburante altamente decentralizzato basato sullo sfruttamento dei pacchetti BTU compatti ad alta densità prodotti da Madre Natura durante oltre 400 milioni di anni.

Eppure il valore di queste finestre energetiche rotte sarebbe sbalorditivo: 100 milioni di veicoli con motore a combustione interna demoliti prima della fine della loro vita utile; 35 milioni di unità di riscaldamento domestico alimentate a gasolio o gas demolite e sostituite con riscaldamento elettrico; milioni di combustori industriali e macchinari basati su motori a combustione interna smantellati; e quasi 14 quad di capacità di energia fossile perfettamente buona nei settori commerciale e dei servizi pubblici gettati nella discarica.

In breve, i politici ed i burocrati che si sono riuniti a Glasgow hanno la più pallida idea del caos economico e umano che stanno cercando di scatenare?

Per niente!

Ironia della sorte, è stato lo stesso Sleepy Joe a guidare i lemming verso una proverbiale scogliera scozzese, che ricordiamolo, non è tanto lontana dal luogo di uno dei più stupidi raduni politici mai organizzati dall'umanità. Né lo stupidissimo ospite e primo ministro britannico, Boris Johnson, ha apprezzato tale ironia.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


👉 Qui il link alla Prima Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2021/11/green-armageddon-parte-1.html

👉 Qui il link alla Seconda Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2021/12/green-armageddon-parte-2.html

👉 Qui il link alla Terza Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2021/12/green-armageddon-parte-3.html

👉 Qui il link alla Quarta Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2021/12/green-armageddon-parte-4.html

 

martedì 21 dicembre 2021

Il caso Evergrande: c'è una bolla immobiliare in Cina?

 

 

di Daniel Fernàndez

La Cina ha innervosito i mercati dei capitali mondiali. Evergrande, il più grande sviluppatore immobiliare in Cina e uno dei più grandi al mondo, è alle corde. È molto probabile che vada in bancarotta (è già inadempiente su alcuni pagamenti di interessi sulle sue obbligazioni). Alcune persone stanno discutendo se si tratti di una "Lehman Brothers" in salsa cinese. Siamo, quindi, sull'orlo di un nuovo collasso finanziario globale?

Cominciamo con l'analizzare lo stato di salute del settore in cui si trova Evergrande. Qual è lo stato del settore immobiliare in Cina? Ci sono segni di una bolla immobiliare?


La bolla immobiliare cinese e le città vuote

La presenza di una bolla immobiliare cinese è stata segnalata da oltre un decennio. La prova principale è l'esistenza di città fantasma, città praticamente vuote. Da oltre dieci anni le città fantasma non sembrano causare un problema sistemico, sebbene rappresentino indubbiamente un problema locale. Tuttavia il tasso di posti sfitti ha continuato a crescere nelle città secondarie della Cina. Anche a Pechino il tasso di posti sfitti ha raggiunto il 20%.

Il tasso di alloggi sfitti in Cina è relativamente alto rispetto ad altri Paesi, sebbene nel 2017 fosse inferiore a quello di Spagna e Italia.

I dati sul tasso di sfitti non sono allarmanti, ma quando questo indicatore (e l'esistenza di città fantasma) viene combinato con altri indicatori, la situazione del settore immobiliare cinese appare davvero allarmante.


Rapporto prezzo alloggio/prezzo affitto

L'alloggio è un bene strumentale durevole e come tale deve essere valutato. Come si determina il prezzo di un bene strumentale? Il modo più comune è basarlo sul reddito che è in grado di generare. Nel caso dell'abitazione, il reddito che genera è l'affitto. Di conseguenza è fondamentale che il valore della casa sia un ragionevole multiplo del valore locativo.

Il rapporto "prezzo alloggio/prezzo affitto" dà un'idea di quanto sia inflazionato il mercato immobiliare. Quando l'indicatore è molto alto, l'acquisto di una casa non può essere giustificato dal reddito che genererà. L'unico motivo per cui qualcuno comprerà una casa in questo caso è se spera di venderla ad un prezzo più alto (e se tutti operano sulla stessa aspettativa, siamo di fronte ad una bolla per definizione).

Il rapporto prezzo alloggio/prezzo affitto nel mercato immobiliare cinese è incredibilmente alto. È superato solo dal mercato immobiliare in Turchia e Taiwan. Acquistare una casa in Cina e affittarla è un piano aziendale scadente, poiché ci vogliono ben quarantotto anni per recuperare l'investimento.


La redditività dell'acquisto di una casa

La redditività dell'investimento in abitazioni può essere analizzata in modo simile: il reddito di una casa viene diviso per il suo prezzo di vendita ed il risultato (una volta detratti i costi) è la redditività dell'investimento nel settore immobiliare. Un'analisi rivela che gli investimenti immobiliari nelle città cinesi sono meno redditizi rispetto alle città altrove.

Inoltre i rendimenti degli investimenti nel mercato immobiliare cinese sono molto inferiori al tasso d'interesse ipotecario prevalente nel Paese. Quindi acquistare una casa in Cina non ha senso. Questo è un chiaro segno di una bolla immobiliare.


Prezzo di acquisto delle case rispetto al reddito mediano dei cittadini

Un altro modo per analizzare se il mercato immobiliare è in bolla, è quello di determinare se il cittadino medio può acquistare una casa. Lo scopo principale di una casa è essere abitata (domanda finale). Se il prezzo delle abitazioni cresce ben al di sopra del potere d'acquisto del cittadino medio, la domanda di abitazioni (che alimenta la crescita dei prezzi) potrebbe rivelarsi puramente speculativa e crollare in futuro quando sarà chiaro che la domanda finale non esiste.

Il rapporto tra prezzo delle case e reddito pro capite della Cina è il secondo più alto al mondo (dietro solo all'India). Il cittadino cinese medio impiegherebbe 146 anni per pagare una casa se dovesse destinare tutto il suo reddito all'alloggio.

L'indicatore precedente potrebbe essere problematico come mezzo di confronto tra Paesi, poiché mette in relazione il reddito nazionale pro capite con il prezzo delle abitazioni urbane (nonostante ciò, vale la pena discuterne a causa dell'enorme contrasto tra la Cina e gli altri Paesi). Se disaggreghiamo l'indicatore per città, arriviamo alla stessa conclusione: il prezzo delle abitazioni è troppo alto rispetto al reddito degli abitanti cinesi.


Il contributo del settore immobiliare al PIL

Un altro modo per valutare se il mercato immobiliare cinese è in bolla, è quello di esaminare il contributo del settore immobiliare al PIL. Un contributo elevato indica che troppe risorse sono destinate all'edilizia abitativa. Questo indicatore è il logico corollario di quelli discussi sopra: se i prezzi delle case sono alti, i produttori reagiscono aumentando l'offerta, attingendo a risorse da altre parti dell'economia.

Il contributo del settore immobiliare cinese al suo PIL è maggiore rispetto a quello nelle enormi bolle immobiliari irlandesi e spagnole degli anni 2000. Quasi un terzo dell'attività economica della Cina è legato al mattone.


La concentrazione sproporzionata della ricchezza negli immobili

Un altro segnale di bolla è la concentrazione della ricchezza e degli investimenti in un unico settore. Il settore immobiliare è un investimento preferito dai cittadini cinesi. Il recente aumento del reddito e della qualità della vita dei cittadini cinesi ha aumentato esponenzialmente la loro capacità di risparmiare ed investire. L'asset in cui investono è stato quasi esclusivamente l'immobiliare. Nel 2018 il 76% della ricchezza delle famiglie cinesi è stato investito in abitazioni (in Giappone questa cifra è del 41% e negli Stati Uniti è del 27,7%).

La concentrazione delle attività nel mercato immobiliare rende le famiglie cinesi vulnerabili agli shock in tal mercato. La valutazione del mercato immobiliare cinese oggi è doppia rispetto a quella del mercato immobiliare statunitense, anche se il PIL cinese è inferiore del 25% rispetto a quello statunitense. Nella bolla immobiliare giapponese scoppiata negli anni '90, la valutazione di mercato al picco era anch'essa il doppio di quella del mercato immobiliare statunitense.

L'enorme domanda di immobili sta generando un'offerta abitativa di gran lunga superiore alle esigenze dei cittadini cinesi (tipica caratteristica di una bolla). Nel 2008 solo il 30% delle nuove abitazioni è stato acquistato da persone che già possedevano almeno una casa; nel 2018 questa cifra era dell'88%.


Le autorità cinesi vogliono far scoppiare la bolla

I problemi discussi qui sono così evidenti che la direzione del Partito Comunista ha preso provvedimenti: ha implementato misure finanziarie relativamente restrittive, come rapporti di indebitamento e requisiti patrimoniali per gli sviluppatori di immobili. Queste misure hanno impedito agli sviluppatori finanziariamente più irresponsabili di aumentare il loro debito anche di un solo yuan. La bolla immobiliare cinese è enorme e vari indicatori economici non lasciano spazio a dubbi. Il problema di Evergrande non è un problema isolato, ma un problema sistemico dell'economia cinese.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


lunedì 20 dicembre 2021

Joe Weisenthal pensa che non sia immorale svalutare il denaro

 

 

di Robert Murphy

Joe Weisenthal è un editore e conduttore di Bloomberg che di recente ha utilizzato il suo profilo su Twitter per lanciare pietre contro i falchi dell'inflazione. In un post Weisenthal ha deriso le persone preoccupate per il calo del potere d'acquisto del dollaro e ha affermato che sarebbe immorale che esso trattenga il suo valore nel tempo.

Come vedremo, sebbene l'esperimento mentale di Weisenthal su un viaggiatore del tempo sia un po' stravagante, ci offre una buona opportunità per esplorare l'economia sottostante. L'intero episodio sottolinea, ancora una volta, perché la Scuola Austriaca fornisca un faro di luce in mezzo alla confusione della nostra sapienza finanziaria.


Il viaggiatore del tempo di Weisenthal

Di seguito è riportato il tweet originale, che è in gran parte autoesplicativo, anche se i lettori interessati possono vedermi alle prese con Weisenthal facendo clic qui.

Weisenthal e Adam Singer prendono in giro i tipi come Ron Paul che sono sconvolti dal costante declino del potere d'acquisto del dollaro da quando la FED è stata costituita alla fine del 1913. Weisenthal pensa che sia assurdo aspettarsi che una valuta trattenga il suo valore di mercato nel corso di un secolo. Cosa avrebbe fatto un simile "accaparratore" a beneficio della società per tutto questo tempo?


Ridurre la scala dei tempi

Per andare al sodo, Weisenthal si sbaglia: non c'era nulla di immorale nel gold standard classico e nel suo mantenimento del potere d'acquisto per lunghi periodi. Ma sarà più facile individuare il difetto nel pensiero di Weisenthal se consideriamo prima una storiella semplice.

Supponiamo che Joey sia un adolescente che taglia l'erba per un reddito extra e in genere guadagna $25 a fine settimana. Joey vuole comprare una Xbox da $300, quindi risparmia i soldi mettendoli sotto il materasso. Dopo tre mesi, Joey porta i $300 risparmiati in contanti al centro commerciale e compra l'agognata consolle.

Joe Weisenthal ha qualche problema con questo scenario? L'economia di mercato ha funzionato in modo immorale permettendo a Joey di trasferire il suo potere d'acquisto dall'inizio dell'estate alla fine dell'estate? Joey avrebbe dovuto fare qualcos'altro oltre a tagliare l'erba affinché potesse posticipare il suo consumo nel tempo?

Confido che Weisenthal non si opporrà al fatto che Joey risparmi denaro durante l'estate. Ma allora qual è la differenza di principio tra il differimento di tre mesi di Joey ed il viaggiatore nel tempo di Weisenthal che ha posticipato il proprio consumo di cento anni?


I beni presenti sono privilegiati rispetto ai beni futuri

Infatti un viaggiatore del tempo non solo non dovrebbe essere penalizzato per aver differito il consumo di un secolo, ma dovrebbe essere ricompensato. Questo perché i beni presenti sono più preziosi dei beni futuri (si noti che qui stiamo entrando in questioni molto tecniche, il lettore interessato può dare un'occhiata alla mia serie di podcast in tre parti – uno , due e tre – per ascoltare i dettagli della teoria dell'interesse secondo la tradizione Austriaca).

Quindi, per tornare ai tweet originali, se un ragazzo nel 1921 aveva due quarti in tasca, e questo gli bastava per comprare un delizioso hamburger, allora in base alla sua volontà di scambiare il suo hamburger del 1921 con uno nel 2021, come minimo lo scambio dovrebbe avvenire alla pari. E infatti potrebbe (normalmente) ottenere una promessa per più di un hamburger in futuro, visto che i primi sono più apprezzati (questo non è tanto un mistero come lo scambio di un hamburger nel presente con più di un hot dog nel presente).

È facile capire perché, soggettivamente, alle persone dovrebbe essere promesso un numero maggiore di beni in futuro per rinunciare al consumo oggi. Ma come possono, meccanicamente, i mutuatari mantenere queste promesse? Com'è possibile, tecnologicamente parlando, trasformare 100 unità di beni presenti in (diciamo) 150 unità di beni futuri?

La risposta è che più a lungo siamo disposti ad aspettare, in generale, maggiore sarà l'output fisico che possiamo ottenere per una data quantità di input odierni. Eugen von Böhm-Bawerk faceva notoriamente riferimento a processi superiori di produzione, più ciclici. Ad esempio, se un uomo è nel bosco e vuole portare l'acqua da un ruscello nella sua capanna vicina, ha diverse tecniche che potrebbe usare.

Un metodo molto veloce e diretto è quello di porre le mani a coppa e correre avanti e indietro dal ruscello alla sua capanna. Questo gli permette di accedere all'acqua molto rapidamente, ma la resa, misurata in litri d'acqua per ora di lavoro, è molto bassa.

Un metodo intermedio sarebbe quello di svuotare due noci di cocco e creare dei piccoli secchi, e poi andare avanti e indietro armato dei beni capitali appena creati. Ciò richiederebbe più tempo per portare l'acqua nel capanno, ma una volta avviato il processo, fornirebbe molti più galloni all'ora di lavoro, compreso il tempo trascorso a costruire i secchi.

Infine può impiegare diversi mesi a scavare un piccolo sentiero dal ruscello alla sua capanna, in modo che l'acqua scorra direttamente verso di essa. Una volta completati, i suoi lavori di ristrutturazione sarebbero estremamente produttivi se misurati in termini di volume d'acqua per ora del suo tempo di lavoro.

E così vediamo che la società sarebbe disposta e in grado di ricompensare l'ipotetico viaggiatore del tempo di Weisenthal per aver guadagnato $100 nel 1921 e poi aver posticipato il suo consumo di un secolo. Le risorse reali che sarebbero andate a soddisfarlo nel 1921 sarebbero state liberate per essere investite in processi più lunghi, i quali avrebbero avuto una resa fisica più elevata. Per dirla in modo semplice, ha perfettamente senso che un hamburger del 1921 venga scambiato sul mercato a termine per diversi hamburger del 2021.


Obbligazioni & contanti

Possiamo vedere ancor di più la debolezza nell'analisi di Weisenthal se supponiamo che il viaggiatore del tempo prenda il suo denaro e lo depositi in un conto di risparmio presso una banca. Sarebbe immorale per un conto bancario avere $100 nel 1921 e vederli crescere fino a superare tale importo fino al 2021?

O un altro esempio, cosa accadrebbe se il viaggiatore del tempo del 1921 avesse inizialmente acquistato un'obbligazione a lunghissimo termine che sarebbe scaduta nel 2021? Il viaggiatore del tempo si infilerebbe il titolo in tasca, attiverebbe la macchina del tempo e si presenterebbe alla porta di Weisenthal, chiedendogli di aiutarlo ad incassare il suo bond ormai maturato (e lavorando a Bloomberg, Weisenthal è proprio il tizio giusto a cui chiederlo). Il viaggiatore del tempo scoprirebbe che l'interesse nominale che avrebbe guadagnato sull'obbligazione centenaria è appena sufficiente ad averne conservato il potere d'acquisto, poiché le merci sono molto più costose di quanto il viaggiatore fosse abituato a vedere. L'economia di mercato si è comportata in modo immorale consentendo il verificarsi di tale transazione?

In linea di principio lo stesso tipo di scambio intertemporale si verifica se le persone investono i propri risparmi non in conti bancari o obbligazioni, ma invece accumulando denaro reale. Anche qui, il calo iniziale dei consumi libera risorse reali che possono essere incanalate nella produzione di una maggiore quantità di beni futuri. Come spiega Ludwig von  Mises in Human Action:

Se un individuo impiega una somma di denaro non per il consumo, ma per l'acquisto di fattori di produzione, il risparmio si trasforma direttamente in accumulo di capitale. Se il singolo risparmiatore impiega i suoi risparmi aggiuntivi per aumentare la sua disponibilità di liquidità, perché questa è ai suoi occhi la modalità più vantaggiosa di utilizzarli, determina una tendenza al calo dei prezzi delle merci e all'aumento del potere d'acquisto dell'unità monetaria. Se presumiamo che l'offerta di denaro nel sistema di mercato non cambi, questo comportamento da parte del risparmiatore non influenzerà direttamente l'accumulo del capitale ed il suo impiego per un'espansione della produzione. L'effetto del risparmio del nostro risparmiatore, cioè l'eccedenza dei beni prodotti sui beni consumati, non scompare a causa del suo accaparramento. I prezzi dei beni capitali non salgono all'altezza che avrebbero raggiunto in assenza di tale accaparramento. Ma il fatto che siano disponibili più beni strumentali non è influenzato dallo sforzo di un certo numero di persone nel voler aumentare le proprie disponibilità di liquidità. Se nessuno impiega i beni – il cui mancato consumo ha determinato il risparmio aggiuntivo – in un'espansione della sua spesa al consumo, essi rimangono come un incremento della quantità di beni capitali disponibili, qualunque sia il loro prezzo. Questi due processi – l'aumento della liquidità di alcune persone e l'aumento dell'accumulo di capitale – avvengono fianco a fianco.

È un argomento affascinante riflettere sul denaro ideale (se un tale concetto ha senso) e se il suo potere d'acquisto diminuirà, aumenterà o rimarrà stabile per lunghi periodi. Quello che possiamo dire con certezza è che cambiamenti rapidi ed imprevedibili sono indesiderabili, perché una moneta estremamente fluttuante vanifica l'efficacia del calcolo monetario, che è uno dei pilastri della civiltà stessa. Vale a dire, la contabilità in partita doppia funziona solo quando le unità monetarie dei ricavi e dei costi sono comparabili.


Conclusione

Contrariamente alle riflessioni di Joe Weisenthal, non c'è nulla di immorale se una moneta mantiene il suo potere d'acquisto per lunghi periodi. In generale, quando le persone incanalano i propri risparmi in veicoli convenzionali (come conti bancari o obbligazioni), vengono liberate nel contempo risorse reali che possono essere utilizzate per produrre una maggiore quantità fisica di produzione. In linea di principio, detenere valuta potrebbe essere semplicemente un'attività finanziaria diversa per raggiungere lo stesso scopo.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/